LIBERAZIONE DELL'INTELLETTO PER UNA NUOVA UMANITÀ --- Breve nota per gli ascoltatori non-vedenti, ipovedenti o che comunque si approcciano a questo testo soltanto tramite l'ascolto di un sintetizzatore vocale. L'e-book originale in PDF e in EPUB include molti link, che sono stati rimossi da questa versione TXT per rendere l'ascolto più fluido e lineare. Di seguito troverai soltanto i link principali dei due autori: Francesco Galgani https://www.informatica-libera.net/ Giulio Ripa https://archiviodigiulioripa.sytes.net/ Dopo le note sugli autori, troverai un indice e successivamente 14 articoli. Ogni articolo si conclude con il nome del suo autore. Le descrizioni delle immagini sono sempre introdotte dalla dicitura "Descrizione immagine" e concluse con "Fine descrizione". Queste descrizioni sono state aggiunte per fornire contesto e non fanno parte del testo originale. Ti auguriamo buon ascolto. --- Note sugli autori Francesco Galgani, nato il 7 novembre 1982 a Massa Marittima (GR), è un professionista italiano con una formazione multidisciplinare che unisce l'informatica e la psicologia. Laureato in Psicologia, ha sviluppato una solida esperienza nel campo delle tecnologie dell'informazione, specializzandosi in Linux, sviluppo web e sviluppo mobile full-stack cross-platform. Gestisce il blog "Informatica Libera", uno spazio di riflessione dove esplora una vasta gamma di argomenti, tra cui tecnologia, spiritualità, filosofia e società, evidenziando l'importanza di valori condivisi e di un percorso spirituale nella società contemporanea. Galgani ha approfondito il rapporto tra tecnologia e società attraverso due tesi di laurea: "L'Era della Persuasione Tecnologica ed Educazione all'Uso della Tecnologia", in cui analizza l'impatto della tecnologia sulla società e propone un'educazione consapevole al suo utilizzo, e "Solitudine e Contesti Virtuali", che esamina come l'uso della tecnomediazione nei rapporti umani possa influenzare la solitudine degli individui. Oltre alla sua attività di scrittura, Galgani è anche un artista digitale e poeta. Le sue poesie, raccolte nella serie "Poesie del cuore", riflettono temi spirituali e filosofici, così come le sue creazioni visive, presenti nella sua galleria d'arte online. Questa combinazione di competenze tecniche, formazione psicologica e sensibilità artistica rende Galgani una figura poliedrica nel panorama culturale contemporaneo. Giulio Ripa, nato l'11 marzo 1954 a Torre del Greco (NA), è un ingegnere elettrotecnico con una vasta esperienza in vari campi, tra cui salute, ecologia, energia, tecnologia, scuola e società. Dopo la laurea, ha ricoperto ruoli di docente in diverse scuole, ponendo particolare attenzione alla pedagogia e al coinvolgimento degli studenti. Ha raccolto i suoi principali elaborati nel suo archivio online, "Archivio di Giulio Ripa", rendendo disponibili numerosi testi e video prodotti tra il 1980 e il 2023. Tra le sue opere, si distingue l'ebook "TESTI TRADITI ovvero L'UOMO LIMITATO", una raccolta di articoli che analizza i limiti dell'uomo, le relazioni tra uomo, natura e tecnologia, e le cause che influenzano il pensiero umano. Nel 2021 ha pubblicato “Contagiati - L'antiromanzo di Giulio Ripa”, un'opera che esplora la frattura nelle relazioni umane in un contesto dominato dall'isolamento e dalla comunicazione virtuale, ponendo l'accento sull'interdipendenza tra individui e sulla necessità di una visione autentica della realtà. Parallelamente alla sua carriera di docenza, Ripa ha coltivato una profonda passione per il teatro. Ha partecipato a laboratori e seminari teatrali, collaborando con compagnie di sperimentazione teatrale come la "V.V. Majakovskij" e il maestro Mario Frasch. Ha prodotto e diretto spettacoli teatrali, cortometraggi e documentari, dimostrando una notevole versatilità artistica. Inoltre, ha elaborato numerosi testi teatrali, tra cui canovacci liberamente tratti da opere di Shakespeare e Molière, disponibili nel suo archivio online. La sua ultima opera, "Macchinazione infernale", è la metafora di un sistema bellico fatto di propaganda, menzogne, violenza e controllo della popolazione, che implacabilmente seduce e corrompe i cittadini con le sue alienanti istituzioni tecnocratiche, dove la norma è la separazione dall'altro in funzione di una ossessiva competizione. La collaborazione tra Galgani e Ripa, consolidata da circa trent'anni di amicizia e da una comune adesione all'etica del software libero promossa da Richard Stallman, ha portato alla realizzazione di diverse opere congiunte. Tra queste, l'ebook "L'era della simulazione ovvero l'oscuro desiderio di essere sempre connessi", in cui gli autori esplorano il rapporto tra l'essere umano e la tecnologia, le tendenze d'uso di Internet e la vera natura della libertà nella condivisione di idee in Rete. In questo nuovo libro, Galgani e Ripa continuano a intrecciare le loro riflessioni e passioni, offrendo una sintesi profonda tra tecnologia, psicologia e spiritualità. L'auspicio è che ogni lettore possa riflettere sulle dinamiche contemporanee e sull'importanza di un equilibrio tra sviluppo tecnologico e valori umani fondamentali. «La mancanza di un percorso spirituale e di valori condivisi è alla base di questa crisi dell'umanità. Comunicare online nella situazione attuale è solo dannoso se nessuno ascolta più l'altro. E l'ascolto dell'altro richiede affetto. E l'affetto non viene da una tecnologia migliore». (15 dicembre 2024) --- Indice Capitolo 1 - FILOSOFIA DELLA MENTE 1 - Non è una questione di tecnologia, ma di pensiero 2 - L’umanità è unione 3 - La verità ci rende schiavi? 4 - Una umanità nuova 5 - Tra le fiamme 6 - Uomo, conosci te stesso? 7 - Oltre il pensiero 8 - Pillole di Buddismo - La non-realtà delle notizie di attualità 9 - Appunti sulla vacuità di Nagarjuna Capitolo 2 - INTELLIGENZA ARTIFICIALE 10 - Il circolo vizioso dell’Intelligenza artificiale 11 - Intelligenza Senz'Anima = Intelligenza Artificiale 12 - I nuovi schiavi 13 - Alla ricerca dell'intelligenza "naturale"... ben oltre quella "artificiale" 14 - La storia di SA --- Articolo 1 Non è una questione di tecnologia, ma di pensiero Dal grande chiacchiericcio tra chi osanna l'intelligenza artificiale e chi la disprezza come una delle massime abilità umane di auto-perculamento, mi allontano, in silenzio. Serve altro. Non è un problema di tecnologia, perché su quella non possiamo più fare nulla. Sì, certo, c'è il "software libero", ma... ormai qualsiasi flusso di dati, privato o pubblico, decente o indecente, sensato o incomprensibile, finisce nell'incurabile e insaziabile ingordigia delle intelligenze artificiali, che imparano da noi e su di noi per ogni stronzata che diciamo o scriviamo. Da questo non c'è più scampo, così come non c'è altra possibilità per chi sta in basso dall'essere violentato e umiliato da chi sta in alto. La politica non è questione di destra o sinistra, ma di alto e basso, di caporali sopra e poveri disgraziati sotto. I caporali possono spegnere le nostre vite quando e come vogliono, e non mi riferisco solo al fu "green pass", che tra le tante aberrazioni neonaziste è la meno grave. Guardiamoci attorno... oggi ho visto alcuni filmati da Gaza. Chi non li sta vedendo se li cerchi. Da tutto questo non c'è tecnologia che possa salvarci. L'unica alternativa, ammesso che un'alternativa possa esistere, sta nel "retto pensiero", che a sua volta è parte dell'ottuplice sentiero. Sulla Treccani, alla voce Buddismo, leggiamo: «[...] l’errata concezione di un’individualità distinta e costante nel tempo e l’attaccamento a questa è la principale causa di duḥkha [...]». Duḥkha vuol dire sofferenza, nel senso di insoddisfazione presente in ogni istante delle nostre vite. Tutto qua, sentirci individui separati è la causa principale delle nostre sofferenze, questo è il riassunto di due millenni e mezzo di buddismo. La soluzione parte dal "retto pensiero". E qual è questo "retto pensiero"? Quando siamo titubanti sul da farsi, ricordiamoci di «aiutare l'altro, chiunque sia, anche sconosciuto», perché è un povero cristo come me, come te, come tutti gli altri, costretto a infinite umiliazioni, ingiustizie, violenze. Certo, il Vangelo di Matteo ha usato parole più raffinate e forse imbarazzanti nella loro grandiosità: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti». Detto così fa paura? Basterebbe anche molto meno. Quando facciamo un gesto o una scelta che a noi toglie poco o nulla, o che comunque è facilmente sopportabile, ma che può essere di grande aiuto per qualcun altro... beh, abbiamo vinto sulla natura demoniaca del potere. Quando invece ci sentiamo in competizione con tutti, cioè in guerra, nel senso che non ce ne frega più nulla di aiutare qualcun altro, se non per nostro tornaconto economico o di altro genere, allora abbiamo perso, perché stiamo lavorando per quel potere che ci vuole proprio così, divisi e infelici. Per chi volesse approfondire il "retto pensiero" nel senso inteso dal buddismo, esso si riferisce a sviluppare una mente libera da avidità e desiderio ossessivo, a coltivare pensieri di gentilezza amorevole (mettā) e compassione verso tutti gli esseri senzienti, senza malanimo né odio, e all'intenzione di non fare del male, di non danneggiare gli altri, né con le parole né con le azioni. Non è difficile, anzi, è una sana medicina per tutti noi. Francesco Galgani --- Articolo 2 L’umanità è unione *** [Descrizione immagine - Fotografia che rappresenta un gruppo di persone abbracciate tra loro, disposte in cerchi concentrici. L'immagine trasmette un forte senso di unione, connessione e armonia collettiva, simboleggiando l'importanza delle relazioni umane e della solidarietà. - Fine descrizione] *** L'Umanità è l'insieme di tutti gli esseri umani e come tale è immortale, si rigenera continuamente. L’Umanità è procreatrice per questo è eterna come la Natura di cui fa parte, è mutevole in tutte le sue forme ma non si estingue. L'umanità cioè la totalità degli esseri umani è superiore alla semplice somma dei singoli individui che interagiscono tra loro. E' un tutto in uno. L'umanità, che resta un mistero nella sua esistenza, nel vivere il mondo ha un suo spirito che attraverso il linguaggio s'incarna nei singoli individui generati. Quando parliamo invece dell'Uomo, convenzionalmente ci riferiamo ad un "uomo in generale" che nella realtà non esiste. Gli uomini sono diversi tra loro. Si diventa individui dando espressione singolare all'umanità, all’interno di un processo storico e culturale. Non si può studiare l'uomo in sé come se fosse isolato dal resto del mondo. L'uomo come singolo individuo è un essere mortale, è un processo non definibile, ha una vita temporanea, limitata nel tempo, il suo corpo è mortale. La coscienza del singolo individuo tende alla separazione dall’altro, a causa dell'istinto di sopravvivenza ed autoaffermazione. Prevale la logica “Io sono quel che sono in relazione a me stesso”. La voglia di vivere dell'individuo, nel desiderare un piacere senza fine, provoca la sofferenza negli altri individui ed a volte anche a se stesso. Quando si perseguono interessi indivisibili, cioè individuali, l'individuo viola lo spazio, la dignità, l'identità, il rispetto dell'altro. Farsi individuo violenta l'individualità di un'altra persona. E' necessario ritornare alla unione originaria con l'altro cambiando lo stato di coscienza in un Io relazionale che si sente come tutt’uno con il mondo. Con un processo di liberazione interiore, mettendo in discussione il proprio Io egoico-bellico, l'uomo si libera da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale nella relazione con l'altro. Solo nella relazione l'uomo è tale. La coscienza, che si esprime attraverso il linguaggio comune, è eterna in quanto appartiene al genere umano non solo al singolo individuo. L’Umanità è unione. Giulio Ripa --- Articolo 3 La verità rende schiavi? Se la verità fosse una luce camaleontica inafferrabile proiettata dalla nostra mente, allora saremmo liberi di pensare e di percorrere l’eterna strada della ricerca di un senso della vita e delle cose. Sarebbe un cammino molto interessante senza un punto di arrivo, ma solo con l'inevitabile certezza della trasformazione e della morte. Poi, quel che avverrà durante e dopo la morte, sarà a libera scelta in base al proprio credo e ai propri bisogni. In assenza di qualsiasi verità, saremmo liberi. Discorso ben diverso se la verità fosse invece un punto luminoso stabile ed esterno, non prodotto dalla nostra mente ma da essa osservabile. Ciò la renderebbe un riferimento che più verrebbe da noi compreso e interiorizzato, e minore spazio di libertà ci lascerebbe. In tale scenario, l’ipotetica comprensione totale della verità coinciderebbe con l’annullamento del pensiero personale, il quale non avrebbe altra scelta se non quella di coincidere con la verità stessa. Nel migliore dei casi potrebbe essere un’esperienza mistica se corrispondesse al superamento del proprio ego, ma è abbastanza raro che ciò accada. L'adesione a verità esterne porta invece solitamente a fenomeni sociali deludenti e mediocri, comuni nel sistema educativo e nel mainstream e, come reazione uguale e contraria, nel web e nei social. Potremmo sintetizzare tali fenomeni in questo modo: • “Complottismo” come nuova religione → E' il punto di vista di chi crede alle più svariate teorie, alternative o mainstream che siano, in modo acritico e fideistico e senza sentire ragioni di sorta, esibendo un atteggiamento maniacale e paranoico. Per fare un esempio, chi crede nei Santi Vaccini vedendo i non vaccinati come gli untori del 1630 di manzoniana memoria (teoria mainstream), non è molto diverso da chi crede che il governo e la scienza ufficiale siano “sempre” entità malevole che nascondono “sempre” la verità alla popolazione (teoria alternativa dei social). In entrambi i casi della teoria mainstream e della teoria alternativa dei social, si manifesta una sorta di fideismo cieco che porta a interpretare la realtà attraverso il filtro di una narrazione totalizzante, nella quale ogni evento o dato viene piegato per conformarsi alla teoria di base, senza alcuno spirito critico. Questo atteggiamento è caratteristico di una forma di “religiosità” moderna, dove la fede non è più rivolta a divinità trascendenti, ma a costruzioni ideologiche che danno senso e ordine a un mondo percepito come caotico e minaccioso. Il complottismo, in quest’ottica, non è solo una questione di credere o meno a determinate teorie, ma rappresenta un modo di stare al mondo, di definire il bene e il male, e di trovare un'identità in un'epoca di incertezze e rapide trasformazioni. • “Negazionismo” → E' l'atteggiamento storico-politico che, a fini ideologici e di utilità di parte, nega contro ogni evidenza l'accadimento di fenomeni storici o scientifici ben documentati, ma senza portare alcuna documentazione o esperienza empirica di tipo contrario e senza dubitare minimamente del proprio punto di vista. Anche in questo caso riscontriamo il negazionismo sia nelle teorie mainstream che in quelle social. Ad esempio, negare che i vaccini causino aumento della mortalità per tutte le cause, autismo, danni neurologici gravi e altre cause di invalidità permanente è una teoria negazionista del mainstream. Viceversa, negare che le bombe atomiche siano mai state sganciate su Hiroshima e Nagasaki durante la Seconda Guerra Mondiale è una teoria negazionista social. I sostenitori di questa teoria affermano che i resoconti ufficiali riguardanti l'uso delle armi nucleari siano stati esagerati o completamente fabbricati dagli Stati Uniti per intimidire l'Unione Sovietica e il resto del mondo, consolidando la loro posizione di potenza mondiale nel dopoguerra. Secondo loro, le immagini e le testimonianze delle esplosioni atomiche sarebbero state manipolate o falsificate. In generale, mentre il negazionismo del mainstream si basa sulla difesa a oltranza e contro ogni evidenza di interessi di parte, il negazionismo social si basa, come reazione uguale e contraria, su una combinazione di revisionismo storico estremo e sfiducia totale verso le istituzioni governative. • “Sensazionalismo”→ E' la tendenza a divulgare fatti e notizie, per lo più esagerandoli, allo scopo di suscitare un notevole interesse nell'opinione pubblica. In questo caso, l’obiettivo del mainstream e dei social è identico, cioè fare pubblico per guadagnare più soldi. Ciò porta facilmente alla falsificazione o quantomeno ad una distorsione della realtà. Prendiamo come esempio i tumulti di Capitol Hill negli Stati Uniti del 6 gennaio 2021 e quelli avvenuti in Brasile l'8 gennaio 2023. Sono esempi significativi di violenza politica, con morti. Entrambi gli eventi hanno visto sostenitori di ex presidenti, rispettivamente Donald Trump e Jair Bolsonaro, attaccare le istituzioni governative per protestare contro i risultati elettorali, spinti da accuse di frode, fondante o non che siano. Tuttavia, è facile e semplicistico concentrarsi solo sui video di questi tumulti per suscitare reazioni emotive e fare pubblico, senza un'analisi approfondita delle cause, dei retroscena, delle conseguenze e degli interessi di parte che li hanno generati e che da essi ne hanno tratto profitto. • “Narcisismo”→ E' la tendenza sia esteriore, sia l'atteggiamento psicologico interiore, di compiaciuta ed eccessiva ammirazione di se stessi. Anche in questo caso, social e mainstream si equivalgono nell’amplificare il narcisismo, anche se ovviamente cambiano i soggetti. Mentre il mainstream tende ad amplificare il narcisismo di personaggi insulsi e incapaci che fanno comodo alle politiche governative, i social sono costruiti per amplificare il narcisismo di chiunque sia capace di raccattare followers. Preferisco astenermi dal riportare esempi specifici, però possiamo fare una considerazione generale. Le persone manifestano una forma di egoismo profondo di cui di solito non sono consapevoli, con un'evidente concentrazione su se stessi negli scambi interpersonali ed un’incapacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri. E’ l'atteggiamento di chi pone se stesso e la propria problematica al centro di ogni esperienza, trascurando la presenza e gli interessi degli altri. Detto ciò, sia ben chiaro che i miei dubbi vanno a sistema di pensiero “basato sulla conoscenza della verità”, che solitamente si contrappone ad altre “verità” anch’esse declamate in modo forzato e spesso disturbante. Mi rendo conto che nelle definizioni precedenti ho scelto alcuni esempi molto problematici, e l’ho fatto di proposito per suscitare una riflessione. Sono solo un modo per esternare come questi temi possano apparire da un determinato punto di vista, ma è evidente che ciò che è da ritenersi complottismo o negazionismo può essere descritto con esempi contrapposti ai miei, se il punto di osservazione cambia. Comunque, tra “dubitare” di un’idea e “affermare il contrario” ce ne corre. Una persona che tendenzialmente “dubiti”, infatti, si lascerebbe molte strade aperte e sarebbe libera di cambiare idea o percorso di vita se lo volesse. Chi vive nelle “certezze”, invece, ne è schiavo. I miei lettori potrebbero criticarmi per aver messo sullo stesso piano di complottismo, sensazionalismo, negazionismo e, forse, anche di analfabetismo funzionale e di incapacità di deduzioni logiche coerenti sia l’informazione ufficiale, scolastica e accademica, sia quella alternativa dei social e del web. E’ esattamente ciò che sto cercando di esprimere. Andiamo di più nello specifico per evitare fraintendimenti. Chiunque potrebbe contestarmi che «se “a” fosse maggiore di “b” e “b” fosse maggiore di “c”, come potrei legittimamente dubitare che “a” non sia maggiore di “c”»? Detta così sarebbe infatti una verità che inchioda, una di quelle incontestabili e senza spazio per argomentazioni alternative, ma non è di questo tipo di ragionamenti logico-deduttivi che sto dissertando, anche perché la matematica non è portatrice di verità, ma solo di opportune affermazioni ricavate da assiomi che, per loro natura, hanno un valore che trascende quello della verità o della falsità. La matematica è estremamente utile e potente se usata con giudizio e senza inganni, ma non è vera, né falsa. Ad esempio, la matematica dei popoli precolombiani, come quella dei Maya e degli Aztechi, aveva alcuni presupposti e sistemi di numerazione e geometrici diversi da quelli da noi conosciuti. I Maya utilizzavano un sistema vigesimale (basato sul numero 20) anziché il sistema decimale. Anche la loro comprensione della geometria era diversa. Mentre la nostra geometria euclidea si basa su concetti come linee rette e angoli, i Maya e gli Aztechi svilupparono una geometria basata su forme naturali, come le curve e i cicli (cioè pattern ricorrenti o periodici osservati in natura, in particolare quelli legati all'astronomia e al tempo). La loro geometria si rifletteva nei disegni architettonici e urbanistici. I templi e le città erano infatti spesso disegnati in base a principi geometrici che riflettevano l’osservazione dei cicli astronomici e delle forme naturali. Questi strumenti matematici e geometrici erano estremamente utili per le loro esigenze astronomiche, agricole e religiose. Tuttavia, proprio come la nostra, la loro matematica e geometria non erano né vere né false in senso assoluto. Piuttosto, erano sistemi di conoscenza costruiti per rispondere alle specifiche esigenze culturali e pratiche della loro società. Tutto ciò, tra l'altro, si tira spontamente dietro la domanda del perché questi popoli (erroneamente) considerati primitivi (dai colonialisti occidentali che non hanno esitato a sterminarli) fossero così interessati all'astronomia, visto che potrebbe sembrarci così distante dai problemi quotidiani. Evidentemente la nostra visione del mondo è significativamente diversa da quella che loro hanno avuto, pertanto la nostra non è generalizzabile e risulta alquanto limitata. Stesso discorso per la fisica e la chimica. Qualcuno ha mai visto un elettrone? No, nessuno ne ha mai visto uno nel senso tradizionale del “vedere”, e ciò è reso impossibile dal fatto che tale particella subatomica ha dimensioni molto al di sotto della lunghezza d'onda della luce visibile. Ne diamo per scontata l’esistenza, e la fisica degli elettroni è estremamente utile e coerente con la nostra matematica e con le altre conoscenze correlate. Ma se avessimo un’altra fisica basata su un modello diverso dell’esistente, sorretta da un altro tipo di matematica, probabilmente avremmo risultati altrettanto utili senza bisogno di teorizzare l’esistenza degli elettroni. E’ verosimile che altri popoli in altre parti dell’universo possano avere fisiche e matematiche diverse dalle nostre, ma ciò non le renderebbe più vere o più false delle nostre. A livello empirico, per dimostrarne l’esistenza basterebbe porre l'attenzione sul fatto che i velivoli alieni (osservati in tutto il mondo dai militari e dai piloti degli aerei di linea, con testimonianze talvolta molto dettagliate) volano senza propulsione e con accelerazioni impossibili per la fisica a noi conosciuta. Un altro esempio di tipo storico sono le piramidi, sia in Egitto che in numerosi altri luoghi sparsi in tutto il pianeta: Sudan (Meroe), Messico (Teotihuacan, Chichen Itza, Uxmal), Guatemala (Tikal), Perù (Caral, Pachacamac), Cina (Provincia di Shaanxi), Cambogia (Koh Ker), Bolivia (Tiwanaku) e Iraq (Ur). Queste piramidi sono state costruite con blocchi di pietra impossibili da spostare con le nostre conoscenze e mezzi. Altri esempi analoghi sono le costruzioni in Perù come Machu Picchu, Sacsayhuamán, la Piedra de Sayhuite, le linee di Nazca e Ollantaytambo. Non sto ponendo l’attenzione sul fatto che siano opere umane o aliene (dubbio comunque legittimo), ma sul fatto che dimostrano i nostri limiti di conoscenza e il sicuro uso nei tempi antichi di matematiche e/o di ingegnerie diverse dalle nostre. Discorsi simili valgono per i reperti archeologici che contraddicono le nostre conoscenze storiche o per le analisi di laboratorio i cui risultati sfuggono alla comprensione ordinaria. Ciò non significa che siano falsi, né possiamo presumere che siano necessariamente veri, possiamo solo affermare di avere dei seri limiti nella conoscenza. A tal proposito, gli "OOPArts" (Out Of Place Artifacts) sono reperti archeologici la cui datazione o collocazione risulta inspiegabile per le nostre conoscenze. "Archeologia proibita" (Forbidden Archeology) è un libro scritto da Michael A. Cremo e Richard L. Thompson, pubblicato per la prima volta nel 1993. L'opera propone una visione non convenzionale della storia umana, suggerendo che l'uomo moderno potrebbe essere molto più antico (tre milioni di anni fa) di quanto indicato dalla scienza archeologica tradizionale (100.000 anni fa). I siti archeologici che producono tali evidenze, non solo sotto forma di reperti paleontologici, ma anche di manufatti, vengono dettagliatamente descritti e interpretati in questo saggio. Ciò che emerge è che con ogni probabilità non è esistita un'evoluzione del genere umano dall'Australopiteco all'Homo Sapiens, ma che al contrario uomini e ominidi hanno da sempre coesistito sulla Terra e che quindi la teoria evoluzionista della vita sul nostro pianeta, su cui si basano le odierne scienze naturali, non ha alcun fondamento certo. Del resto, la teoria di Darwin è stata fortemente strumentalizzata per fini politici e coloniali, ma l'essere umano è un evidente controesempio di tale teoria, giacché è una specie senza un habitat naturale specifico e senza un adattamento corporeo alla vita in natura in mezzo ai predatori. Esistono comunque teorie alternative, dove "alternativo" non vuol dire "più vero", significa soltanto avere più strade di ricerca da percorrere. Nel 1969, Roger W. Wescott, allora professore ordinario di antropologia alla Drew University a Madison (New Jersey, Stati Uniti), scosse la comunità accademica con un libro in cui si sosteneva che la nostra evoluzione fosse legata a processi di domesticazione. In quel suo saggio The Divine Animal, lo studioso ipotizzava che antichi colonizzatori del nostro pianeta avessero effettuato pressioni selettive sugli ominidi, guidando nel tempo l'evoluzione umana, sia biologica che culturale. Wescott fece uno studio comparato di molte specie addomesticate, analizzando anomalie e caratteristiche biologico-comportamentali della nostra specie. A distanza di quasi cinquant'anni da quel primo studio, il biologo molecolare Pietro Buffa ha approndito la questione nel libro Resi umani. Da organismi scimmieschi all'ominide pensante. Una storia ancora da scrivere (2018). Un altro esempio molto intrigante per mettere in dubbio le nostre attuali conoscenze è un caso documentato dal filmmaker Jeremy Corbell nel suo documentario Patient Seventeen. In estrema sintesi, il chirurgo Roger Leir ha rimosso piccoli oggetti dal corpo dei suoi pazienti la cui analisi isotopica ha dimostrato valori diversi da quelli terrestri. Stiamo parlando di oggetti che quindi non possono avere avuto origine nel nostro pianeta. Ma non voglio dilungarmi oltre, né discutere nel merito. E’ solo per dire che se cerchiamo controesempi che pongono interrogativi su ciò che crediamo di sapere, possiamo trovarne un’infinità. E’ però estremamente raro mettersi a cercare qualcosa che metta in dubbio le proprie idee o conoscenze, è molto più semplice farlo per fare polemica e additare gli altri. Il problema non è studiare un argomento e farsi un’idea propria, il che sarebbe più che auspicabile, ma credere fermamente in un’idea precostituita o insegnata da altri. Ciò può provocare disastri, soprattutto quando quell’idea si presenta con la pretesa di universalità. Se volessi dubitare che Cristoforo Colombo abbia avuto qualche merito nella conoscenza del continente americano, non sarebbe un grande problema, perché la storia è storicistica e un po’ romanzata. Potrei usare un dubbio del genere per fare una personale ricerca storica. Questo è proprio ciò che ha fatto lo storico Riccardo Magnani, secondo cui il continente oltreoceano era già conosciuto dall’Europa e frequentato ben prima del 12 ottobre 1492. A riprova, ha raccolto diverse mappe, dipinti e testimonianze inequivocabili. Non sto dicendo che lui abbia necessariamente ragione, dico soltanto che più idee e ricerche ci sono e meglio è. Stesso discorso se mi ponessi la domanda se Napoleone abbia mai messo piede per davvero sull’Isola d’Elba, o se Cristo abbia mai detto una sola frase di quelle contenute nei Vangeli, o se Budda sia mai esistito. Tutti questi non sarebbero problemi. Io infatti sono buddista, ma ho seri dubbi sul fatto che Gautama Siddharta sia mai esistito o, ammettendo la sua esistenza, che i testi buddisti giunti a noi abbiano un qualche fondamento storico. Mi pare più verosimile che in ogni parte del mondo si siano sviluppati filoni di pensiero che, a un certo punto, abbiano sentito l’esigenza di inventarsi divinità o personaggi straordinari per legittimarsi e conferirsi autorità. Con ciò, però, non sminuisco minimamente la saggezza delle tradizioni millenarie, che per me hanno piena dignità. Anzi, per essere più precisi, il “bisogno” di personaggi storicamente fondati e realmente vissuti come fondatori di determinati religioni è legato più alla ricerca di rassicurazioni interiori per le proprie credenze che alla storia intesa come ricerca e studio. Nell’antichità la questione è stata intesa molto diversamente, e ciò dovrebbe farci legittimamente dubitare di certi racconti. A titolo di esempio, Nagarjuna è considerato uno dei più grandi pensatori del buddismo asiatico, con un’influenza significativa nello sviluppo storico del buddismo. Vissuto in India tra il II e il III secolo d.C., il suo approccio filosofico si concentrò esclusivamente sulle implicazioni del pensiero del Budda, tralasciando la sua storicità. In un periodo in cui la tradizione buddista era soggetta a intense discussioni e divergenze, Nagarjuna enfatizzò il concetto di "vacuità" applicandolo a tutte le cose, comprese le stesse dottrine del Budda. Questo ci allontana dall’importanza letterale o storica del Budda verso una comprensione più astratta e filosofica della sua figura. Nei tempi successivi, il buddismo Mahayana, come quello interpretato da Nichiren Daishonin, ha fatto coincidere “il Budda” con “la vita stessa”, in una comprensione cosmica e metafisica che nulla ha a che vedere con la storicità. In tale visione, i racconti sulla vita del Budda storico assumono quindi una valore esclusivamente didattico, anche se difficilmente i fedeli se ne rendono conto o sarebbero disposti ad accettarlo. Potremmo fare un discorso analogo sulle tradizioni giudaico-cristiane, la cui narrazione storica non ha alcuna base documentaria che possa liberarci da seri dubbi, a meno che non si voglia considerare la Bibbia come un documento storicamente fondato, di cui però non si sa nulla né sugli autori, né sulle infinite manipolazioni e aggiustamenti che ha subito nei millenni. A fare indagini storiche in tal senso ci hanno già pensato noti biblisti, con risultati sorprendenti rispetto alle narrative didattiche e semplificate trasmesse ai fedeli. Il biblista Mauro Biglino, peraltro coautore del libro con Pietro Buffa precedentemente citato, è noto per aver chiaramente messo in luce la distanza incolmabile e sorprendente tra la narrazione della tradizione cattolica e quella scritta nella Bibbia, pur senza aver mai sostenuto che l'una sia più vera dell'altra. Anzi, lui ha affermato che se qualcuno fosse alla ricerca di una teologia, farebbe meglio a scegliersene una tradizionale perché pienamente degna nel suo percorso evolutivo, piuttosto che ad affidarsi a teologie alternative contemporanee. Concordo con lui nel senso che ciò che secondo me conta è il messaggio che è arrivato a noi, non come si è formato storicamente. Più un'idea è valida, e meno sono importanti gli autori. Quel che ho scritto fin qui è solo un punto di vista fra i tanti, di cui peraltro dubito. Il problema non è discutere con calma di determinate questioni, ma al contrario “non avere dubbi” e pretendere che nessun altro abbia il diritto d’averli. Da qui, la strada a disumanizzare l’altro sarebbe molto breve. In tutto ciò, non è molto più liberatorio l’atteggiamento di Socrate, che sapeva di non sapere? Forse è quella l’unica libertà? Estremizzando, come puro esercizio dialettico, potrei avere dubbi sull’esistenza della forza di gravità o sulla rotondità della Terra. La mia argomentazione è che ho dubbi sull’oggettività del mondo fisico, che lo considero più in conseguenza di come è fatta la nostra mente e dei limiti dei nostri processi cognitivi, piuttosto che dotato di caratteristiche intrinseche e immutabili. Intendo dire che noi percepiamo il mondo in un certo modo non perché sia realmente in quel modo, ma perché le nostre caratteristiche psico-fisiche non ci permettono di percepirlo diversamente. Altri popoli di altre parti dell’universo, con processi cognitivi diversi dai nostri e corpi fisici diversi o addirittura senza corpi fisici (mi riferisco sia ai casi documentati da Corrado Malanga, sia agli angeli e demoni della tradizione cristiana), potrebbero percepire tutto ciò che esiste su due dimensioni invece che su tre, oppure su quattro o cinque. E se le dimensioni geometriche non fossero tre, allora la Terra non potrebbe essere sferica, né nessun altro corpo celeste potrebbe esserlo. Il fatto che la geometria dello spazio debba avere tre dimensioni è solo una questione di utilità legata ai nostri limiti. Del resto, la stessa dinamica delle adduzioni (rapimenti alieni) ampiamente documentata da migliaia di casi, indagati uno per uno da Corrado Malanga, è fatta di eventi fisici non compatibili con la nostra percezione e conoscenza del mondo. Quanto alla forza di gravità, le forme di vita che non hanno corpo fisico potrebbero non percepirla affetto, o percepirla in modo diverso dal nostro. Oppure, tornando ai velivoli alieni precedentemente accennati, i loro voli sono incompatibili con le nostre conoscenze fisiche, così come lo è la loro capacità di rimanere immobili in aria senza spinte propulsive. Le intelligenze che hanno creato questi mezzi di trasporto hanno presumibilmente una concezione della gravità significativamente diversa dalla nostra. Chiunque analizzi queste mie riflessioni, noterà che ho portato tanti dubbi, e varie affermazioni opinabili. Il testo trasuda di alcuni miei punti di vista, i quali, però, domani stesso potrebbero essere diversi, perché tutto cambia e si trasforma. Come ho precedentemente accennato, dubito pure dei dubbi che ho posto. Francesco Galgani --- Articolo 4 Una umanità nuova Il Potere, mediante la società della tecnica e dei consumi, ha trasformato gli individui in profondità, li ha toccati nell’intimo cambiando loro l'anima, una sorta di illusione ottica della coscienza, ha dato loro altri modi di vivere e di pensare, altri modelli culturali, un altro linguaggio imposto dalla dittatura del pensiero unico funzionale al sistema dominante. Un fascismo imprevedibilmente nuovo ha in pochi anni deformato e degradato la coscienza degli individui, complice la manipolazione artificiale delle idee con cui il capitalismo della sorveglianza sta esercitando un nuovo potere tecnocratico che si basa su una falsa libertà concessa dall'alto, falsa perché è revocabile ogni qualvolta il Potere ne senta il bisogno, dichiarando una emergenza dopo l'altra senza soluzione di continuità. La nuova forma di fascismo è una riorganizzazione totalitaria di un mondo senza pace, più subdola e insidiosa, dove la norma è l'isolamento, l'alienazione (separazione dal sé e dall'altro), lo scontro tra uomini egoisti e bellicosi, sempre in continua competizione tra loro, uomini che sfruttano altri uomini ridotti a semplice flusso di dati senz'anima. Per trasformare questa realtà, c'è bisogno di un uomo nuovo capace di una liberazione interiore, di un mutamento di stato della coscienza, mettendo in discussione il proprio Io egoico-bellico, che libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale. Un uomo in grado di incarnare un senso di nostalgia del possibile, nostalgia di ciò che ancora non è stato ma potrebbe essere. Uno spirito libero capace di trascendere la realtà, realizzando così diversi possibili modi di essere uomo, essere quel che è possibile diventare, facendo pace con la vita. Pensare ad un altro modo di stare al mondo. Una nuova umanità, dove quello che conta sono le relazioni reciproche tra le parti, conoscere ed accogliere la vita nell'unità degli opposti, cioè definire le cose per opposizione, in una visione (com)unitaria della realtà. La vita è un continuo ricominciare... Giulio Ripa --- Articolo 5 Tra le fiamme *** [Descrizione immagine - Fotografia di un incendio a Monte Serra (Pisa), del 25 settembre 2018 - Fine descrizione] *** Osservo le fiamme in cui arde ciò che di più Amo e sento il mio dolore, che è solo un piccolo atomo di un dolore assai più grande. La mia terra sta bruciando, e con essa tutte le sue bellissime e amate creature, e con essa una parte di me. «Questa Vita è un sogno. Lo scopo della Vita è allenare la capacità di Amare». Questo è ciò che mi dice il mio bambino interiore, che in questi casi è più in contatto con la realtà di quanto lo sia la mia mente adulta, troppo impegnata altrove. Tutto ciò che non è Amore è morte… questo è ovvio, perché Amare significare far parte insieme, armoniosamente, di qualcosa di più grande che va nella stessa direzione, verso una Gioia illuminata: questa non è altro che la Vita, la cui essenza è fondata sulla cooperazione, sulla reciproca interdipendenza, sui reciproci legami, sull’essere ciascuno parte di un tutto perché “ognuno è ciò che è per ciò che siamo tutti”. Ciò che siamo è frutto della Vita di un'infinità di altre persone, animali, piante, esseri senzienti e non senzienti. «In Africa esiste un concetto noto come Ubuntu, il senso profondo dell'essere umani solo attraverso l'umanità degli altri; se concluderemo qualcosa al mondo sarà grazie al lavoro e alla realizzazione degli altri» (Nelson Mandela, novembre 2008, ISBN 9781448132706). Noi viviamo in un sogno in cui ci viene continuamente insegnato a non-Amare (cioè a soffrire, a morire e a far morire). L’inconscio collettivo di oggi è fondato sulla separazione tra le persone, sulla competizione (che significa guerra), sul potere di pochi a danno di molti… in altre parole, siamo “educati” a pensieri e ad azioni di morte, piuttosto che di Vita. Al contrario, i Maestri dell’umanità vivono nell’Amore, cioè nella Gioia di Vivere e di far Vivere: il loro scopo è quello di indicarci la via per guarire dalla nostra incapacità appresa di Amare, guarigione che significa iniziare a Vivere, giacché oggi siamo troppo affannati e affrettati ad accelerare la nostra morte interiore, e con essa la morte dell’intero pianeta. Lo scopo della Vita è allenare le qualità dell’Anima (Gratitudine, Amore, Compassione, Visione profonda non-giudicante, Rispetto, Accettazione, Umiltà, Integrità, ecc.), tutto ciò che esce da tale scopo è dannoso, controproducente, ci allontana da noi stessi e avalla la pazzia. Pazzia e nevrosi sono l’uscita dal fiume della Vita, cioè dall’Amore. Giudicare i fatti della Vita come “non giusti” è un esempio di questa nevrosi, come del resto lo è ogni pensiero giudicante fondato sulla lamentela, sulle pretese, sulle accuse, sulla non-accettazione. Non dovremmo affrettarci a giudicare gli altri, perché ciascuno di noi ha dentro un piccolo Hitler. Parimenti, giudicare la Vita come “non giusta”, dopo i miliardi di anni di evoluzione che hanno prodotto l’attuale stato di cose, più o meno equivale a bestemmiare… e le bestemmie non hanno mai aiutato qualcuno a stare meglio, anzi. Se provo a discerne le cose con i due occhi dell’Anima (cioè Amore e Intelletto non-giudicante), mi accorgo che il vero problema non è l’incendio, pur con tutto il dolore, la morte e la distruzione che ci sta infliggendo, ma la nostra psicosi collettiva che continuamente genera un disastro dopo l’altro. Se noi persone comuni imparassimo a stare in un'unione fondata sull'Amore, invece che nella paura, nell’odio e nella separazione (che a loro volta generano disperazione, impotenza e non-senso di Vivere), potremmo iniziare a salvare noi stessi e questo nostro mondo, che è tutto ciò che abbiamo. Quando siamo in contatto con la nostra Anima, certe azioni non possiamo più farle, ci sono impossibili (ad es. mangiare animali, incendiare boschi, esercitare potere-dominio su altre persone e infondere paura per accrescere tale potere-dominio, distruggere quel che di più prezioso abbiamo, ecc.). Quando siamo in contatto con la nostra Anima, la smettiamo di ascoltare, accogliere e interiorizzare tutti gli inquinanti della mente che ovunque ci vengono propinati (disprezzo, ostilità, giudizio, criticismo, orgoglio, potere-dominio, ecc.) e iniziamo a cercare altro, ci viene spontaneo ascoltare i Maestri e seguirli. Impariamo a stare attenti agli inquinanti della mente, perché «[…] Come virus, essi si spargono intorno a chi li pratica. Sono contagiosi: non è facile restarne immuni. “Sono esperienze che incontriamo ogni giorno nella nostra vita, come il caldo o il freddo!” Se guardiamo in superficie, sembra un discorso banale, al limite dell’ovvio. Forse per questo non è quasi mai stato considerato degno oggetto di studio dalla psicologia occidentale. Nessun libro che ho letto per l’università conteneva una sola parola su argomenti come la compassione o la gratitudine, l’umiltà o l’orgoglio. Eppure sono temi centrali della nostra esistenza, perché hanno a che fare con la nostra personalità e la nostra relazione con gli altri. E hanno a che fare con la nostra propensione verso la felicità o l’infelicità. [...]» (Mauro Scardovelli, ISBN 9788899137632) Sulla strada di una sana riforma interiore, ci diventa semplice e naturale unirci insieme, governare noi stessi nella giusta direzione, risolvere ogni conflitto imparando ad ascoltare non solo i propri bisogni, ma anche i bisogni “dell’altro” in modo che diventino propri, in modo che non ci sia più distinzione e separazione tra i bisogni propri e quelli altrui. Anche se questi bisogni a volte paiono contrapposti, le nostre Anime in realtà sanno cosa fare, perché profondamente si Amano. Da millenni ci viene fatto credere che viviamo in una comunità di Ego contrapposti, ostili l’uno all’altro e magari uniti soltanto dalla paura di rimanere da soli: questa credenza è funzionale al potere-dominio di pochi su molti, perché in questo modo i "molti" (cioè noi) non potranno mai unirsi con solidarietà, compassione e integrità per liberarsi dalla propria schiavitù, anzi, faranno di tutto di proteggere e perpetuare la propria condizione sottomessa. Infatti, mentre l'Amore unisce, il potere divide e riesce a mantenersi soltanto nella divisione. Stesso discorso per il giudizio interiorizzato contro noi stessi e contro gli altri: oltre a generare sofferenza dannosa e non-necessaria, esso serve soltanto a rafforzare il potere-dominio di pochi contro molti, perché i "pochi" giudicano, condannano, sfruttano e martoriano i "molti", mentre i "molti" si martoriano da soli e rimangono tra loro divisi (sia a livello intrapsichico, sia a livello interpersonale), legittimando il potere. «Chi si disprezza dà molto potere ai persecutori di qualunque tipo, spiana loro la strada, parteggia per loro. Al contrario, sminuisce e svaluta coloro che stanno dalla sua parte. Senso di inferiorità e autodisprezzo costituiscono il terreno fertile in cui l'autoritarismo affonda le sue radici e da cui trae alimento. Paradossalmente, sono proprio le persone più abusate che favoriscono il diffondersi dell'etica autoritaria, quell'etica in base alla quale si impara che la verità non va cercata al proprio interno e nei propri sentimenti, ma in un'autorità esterna che ne è portatrice» (Erich Fromm 1947, Dalla parte dell'uomo, Astrolabio, 1971, citato nell'e-book di Mauro Scardovelli: "Democrazia, Potere, Narcisismo, dall'Etica Autoritaria all'Etica Umanistica"). Dal punto di vista storico e antropologico, ciò è iniziato circa 8000/10000 anni fa, con la nascita del linguaggio del potere e del giudizio in concomitanza con una forte tendenza alla differenziazione nel comportamento e nel potere all'interno del genere umano. (Su questo tema, cfr. "Leader di sé è colui che sa guidare le proprie emozioni"). Potere e Amore sono agli antipodi, non possono stare insieme. Una società priva di Amore, però, può distruggere il pianeta, esattamente come stiamo facendo. Possiamo scegliere un altro modo di vivere, possiamo stare in una comunità di Anime, piuttosto che in una comunità di Ego. Possiamo avvicinarci ad ogni persona, anche a quella più ostile, con un pensiero del tipo: «La tua Anima è mia amica. Io sono già tuo amico, non ho nulla da temere». In questo modo, ci verrà spontaneo sorridere e le situazioni complesse già ci sembreranno più semplici. Quando riconosciamo gentilmente l’Anima dell’altra persona, lei pian piano si sentirà riconosciuta e tenderà a manifestarsi. Anche la persona o le persone che hanno appiccato l’incendio hanno un’Anima, che sicuramente sta soffrendo. Solo una mente annebbiata dalle sofferenze e scollegata dal proprio sentire profondo può produrre un tale disastro… e ancor più grande sarà la sua sofferenza (o la loro sofferenza) quando si renderanno conto di cosa hanno fatto. Quando facciamo del male fuori, ce lo facciamo dentro. Quando facciamo del bene fuori, ce lo facciamo dentro. E viceversa, questo ogni Anima lo sa, anche se la nostra società di Ego fa di tutto per farci credere il contrario (e quindi allontanarci da noi stessi, dalla Vita, dalla Felicità). Proviamo a Vivere insieme con Amore, così da trasformare ogni inferno in fiamme nel più bel sogno che esista. Grazie. Francesco Galgani --- Articolo 6 Uomo, conosci te stesso? *** [Descrizione immagine - Disegno in bianco e nero di una pecora bianca, tranquilla e innocua, magari anche simpatica, la cui ombra nera proiettata su un muro è quella di lupo minaccioso - Fine descrizione] *** Nella Grecia antica “Conosci te stesso” è un motto iscritto nel tempio di Apollo a Delfi. E' una esortazione a conoscere i propri limiti per conseguire il pieno sviluppo della personalità. “Conosci te stesso” è la presa di coscienza del soggetto di se stesso come persona, concentrandosi sulla regolazione della propria mentalità, per correggere i comportamenti e misurare i desideri. Conoscere se stesso dovrebbe essere una cosa facile, invece risulta difficile da farsi. Guardarsi dentro è più complicato di quello che sembra. Normalmente le persone preferiscono riflettere su altro, non su se stessi, non hanno coscienza della propria coscienza. Non hanno autocoscienza. La debolezza umana con tutte le sue miserie è il risultato di un’assurda condizione esistenziale che l’uomo fa fatica ad accettare per vivere in modo consapevole e cosciente. La inevitabile fragilità della vita stessa provocano illusioni o autoinganno che inconsciamente servono ad ognuno di noi per reagire alla difficoltà di vivere. Difficilmente siamo disposti a fare autocritica, a dire la verità su noi stessi. L’uomo è incapace di percepire, ascoltare, assorbire e vivere il mistero dell’esistenza e l'incertezza della vita. La complessità del mondo tradisce le aspettative di qualsiasi logica. L'individualismo è una ideologia. A differenza dell'altruismo l'individualismo afferma che il soggetto dovrebbe considerare i propri interessi senza avere alcun riguardo per gli altri (Io egoico). La voglia di vivere dell'individuo, nel desiderare un piacere senza fine, provoca la sofferenza negli altri individui ed a volte anche a se stesso. Quando si perseguono interessi indivisibili, cioè individuali, l'individuo viola lo spazio, la dignità, l'identità, il rispetto dell'altro. Farsi individuo violenta l'individualità di altre persone. L'egoismo diventa la caratteristica naturale di ogni individuo. Competizione e separazione sono una conseguenza dell'individualismo. Così nell'affrontare la difficoltà di vivere, l'individuo inconsciamente esprime comportamenti irrazionali (come fobie, paranoie, fissazioni, manie, dipendenze patologiche) che sono parti costituenti dei tratti di una persona. Abituati ad identificare la nostra mente con il nostro pensiero, "io sono i miei pensieri", il nostro Io (egoico-bellico) é separato dal resto del mondo. La persona manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, una evidente concentrazione su se stesso negli scambi interpersonali ed incapacità di vedere il mondo dal punto di vista degli altri. Le informazioni, che potrebbero generare deduzioni contrarie, vengono ignorate dall’Io egoico, con la funzione di preservare l'autostima, limitando così l’accesso alla consapevolezza degli aspetti personali negativi conservati nella memoria. In questo senso le persone tendono ad attribuirsi il merito dei successi e a declinare le responsabilità dei fallimenti. L'agire umano dipende da una irrazionalità insita nell'uomo che affiora ogni volta che la ragione cede il passo a tutta una serie di comportamenti che non sono il frutto di una logica ma di emozioni, istinti, sentimenti giustificati a posteriori con argomenti che si sforzano di essere razionali nel tentativo di dare a noi stessi un ordine che non esiste. C'è ipocrisia nelle persone che vogliono credere di fare un ragionamento razionale, mentre invece il ragionamento è solo un modo per giustificare o mascherare il proprio comportamento irrazionale. Gli individui pensano in un modo, parlano in un altro modo, agiscono in un altro modo ancora. L'uomo sceglie sempre la strada più facile (illusione ed autoinganno) per risollevarsi dalla sua condizione esistenziale, per questo è fondamentale riconoscerne i suoi limiti naturali. La nostra coscienza molto legata a una immagine positiva di noi stessi, fa fatica a registrare cambiamenti problematici. Nella profondità della vita delle persone coperta dal velo delle illusioni, nell'ombra, c'è una parte di noi oscura, somma di quelle caratteristiche personali riprovevoli che l’individuo desidera rimuovere o nascondere agli altri e a se stesso. Per un altro naturale meccanismo di difesa, le persone inconsciamente, poiché mancanti di auto-consapevolezza, tendono a proiettare fuori le proprie caratteristiche personali più profonde attribuendo ad altre persone i propri impulsi, desideri o pensieri, invece di esercitare una efficace introspezione di sé stessi per riconoscere gli elementi più negativi della propria personalità. Sono le cose in cui crediamo che creano la nostra realtà. Per cui non è la ragione ma la vita vissuta a modificare nel tempo lo stato d’animo delle persone. Solo mettendo a nudo i limiti della natura umana è possibile conoscere meglio se stessi. Accettare la sostanziale incertezza del nostro sapere vuol dire indagare la meraviglia del mondo reale e rilevarne i suoi aspetti misteriosi, imparando a convivere con i nostri limiti esplorandone le profondità. Gandhi sostiene, per evitare l'autoinganno, che “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”. Per trasformare il pensiero in azione, bisogna uscire dall'idea dell'individuo che sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto del mondo, accettando il concetto di interdipendenza tra le parti, dove tutte le cose sono mutevoli e collegate tra di loro, un tutto in uno. Mettere in discussione la struttura psichica dell’Io (egoico-bellico), libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale. L'individuo si illumina quando riesce a vedere quella parte di se stesso che ignorava, cioè nascosta nel buio, nell'ombra della sua coscienza. Diceva Pasolini che “L’unico colore dell'uomo è nella gioia di affrontare la propria oscurità". L'autocoscienza è lo spirito critico, libero da condizionamenti psichici, che eliminando gli automatismi del pensiero, modifica lo stato di coscienza necessario per vedere la realtà così come è nel momento presente. L'autocoscienza provoca un cambiamento nella psiche, mettendo in crisi i luoghi dell’interiorità, come quella falsa immagine di sé, ossessionata dalla identità e dalla sua frammentazione. Il soggetto con un esame di coscienza, riflettendo su se stesso, non si identifica più nella percezione che la sua mente ha di sé, evita di avere pregiudizi, concetti a priore, bias di conferma, idee preordinate, schemi ed automatismi mentali, pensieri precostituiti. Con la pratica meditativa, cioè essere in silenzio per ascoltare altro, una volta svanita l’identificazione tra la mente e quel centro di appropriazione del pensiero che è l'Io egoico, il soggetto distaccatosi da questo stato di coscienza trasforma il proprio Io in un Io relazionale che si sente come tutt’uno con il mondo. Giulio Ripa --- Articolo 7 Oltre il pensiero Qui ed ora. Lasciare andare. Il respiro rallenta. L’energia del respiro è l’unica rimasta. Il corpo non c’è più. I pensieri automatici non hanno più alcun supporto. Non c’è più alcun giudizio. Ogni parola di troppo torna ad essere ciò che è sempre stata, cioè vacuità nella vacuità. L’espressione “Io sono…” cambia completamente di senso, allargandosi all’infinito. E’ una bella esistenza, perché la mia anima è bella. Il carburante del motore della vita sono l’affetto e l’amore. Oltre questo non c’è altro. Siamo insieme, siamo uno, siamo ciò che siamo sempre stati. Francesco Galgani --- Articolo 8 Pillole di Buddismo – La non realtà delle notizie di attualità Per quanto ultimamente preferisca non entrare nei dettagli dell’attualità, giacché questa abitudine m’è passata da un po’ di tempo (come avranno notato i miei lettori affezionati), non significa che non sia consapevole delle notizie che circolano e delle brutte forme-pensiero da esse alimentate, soprattutto quando le decisioni di chi è al potere ci toccano personalmente. La comunicazione di massa è costruita in modo da elicitare il più possibile i sei mondi inferiori (di cui ho parlato in “Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva”) e, poiché in tali mondi è impossibile vedere la realtà per «ciò che è», ne segue che tutta la rappresentazione mass-mediatica della realtà è un’illusione. Per svegliarci dal sonno dell’illusione, ogni tanto in questo mondo sono di passaggio alcuni maestri. Come ha scritto una cara amica: «[…] il maestro di Nazareth e molti altri sono LA SOLA REALTÀ SOSTANZIALE di questa vita e oltre, tutto il resto è una prova per testare la saggezza e la verità dell'anima di ciascuno… […]». Fondamentalmente sono d’accordo sul fatto che la visione del mondo dei maestri dell’umanità sia l’unica corrispondente a «ciò che è». Qualcuno ricorda la caverna di Platone? Secondo me, questi nostri tempi sono un periodo eccellente per la ricerca spirituale e per riscoprire i maestri, i filosofi e tutti coloro che hanno avuto una visione delle cose molto più ampia della nostra. Non credo che i problemi che loro hanno vissuto nelle loro società e nelle loro epoche fossero minori dei nostri, anzi. Per esprimermi in termini a me familiari, quando ascoltiamo le notizie (e in qualunque altro momento), non facciamoci demolire dai dieci eserciti del Re Demone: loro sono fragili, non noi. Questi dieci eserciti sono elencati nel “Trattato sulla grande perfezione della saggezza”: è un voluminoso commentario al “Sutra della grande perfezione della saggezza”, tradizionalmente attribuito al maestro Nagarjuna (150 - 250). Attualmente esiste solo la versione cinese tradotta da Kumarajiva (344 - 413). Quest’opera spiega, fra gli altri, i concetti di saggezza, di vacuità o non sostanzialità, l’ideale del bodhisattva e le sei paramita (cioè le pratiche che i bodhisattva mahayana devono osservare per ottenere l’illuminazione, ovvero l’abbandono dell’illusione). Contiene anche concetti derivanti dal Sutra del Loto e da altri sutra mahayana ed è considerata una delle più importanti opere del pensiero mahayana. Nel trattato, i dieci eserciti compaiono in questo ordine (i termini variano in base alle traduzioni, riporto fra parentesi sinonimi e parafrasi per maggiore chiarezza): 1) avidità (piacere dei sensi, desiderio); 2) preoccupazione (tristezza, depressione); 3) fame e sete (condizione di bisogno, povertà materiale); 4) amore dei piaceri (bramosia, attaccamento al piacere); 5) sonnolenza e apatia (indolenza, indifferenza d’animo, inerzia, pigrizia, sonno o stanchezza ben oltre le necessità fisiologiche); 6) paura (il contrario del coraggio, è la scelta di “volare basso”); 7) dubbio e rimpianto (dubbio inteso come “non fiducia” nella parte illuminata, o buddità, di se stessi, degli altri e di tutto l’ambiente, da non confondere con il sano e auspicabile dubbio che alimenta lo spirito di ricerca); 8) rabbia (presunzione, ingratitudine, collera); 9) brama di fama e ricchezza (guadagno materiale, onore, soldi, potere); 10) arroganza e disprezzo per gli altri. A ben guardare, tutti questi dieci eserciti corrispondono a condizioni esistenziali proprie dei sei mondi inferiori. Quindi è tutto un inganno. Ma la preghiera è più potente di tutti questi eserciti. Proprio per questa ragione, il Re Demone appare per far smettere di pregare, fiaccare lo stato vitale, indebolire la fede. «Quando incontra qualcuno che ha rivolto il suo cuore al bene, cerca di ostacolarlo» (frase tratta da “Lettera ai fratelli”, scritta dal maestro Nichiren Daishonin). Eppure la sua apparizione è proprio il segno della crescita. Se non stessimo attraversando profondi cambiamenti non ci sarebbe alcun motivo valido, per lui, di farsi vivo e (tentare di) sbarrarci la strada. Nessuno di questi eserciti, di per sé, è negativo, sono tutti aspetti della vita necessari: non è la loro presenza nella nostra vita ad essere negativa, bensì è la ragione per cui appaiono queste forze a renderle “demoniache”, nel senso di “padrone di noi”. Ad esempio, la tristezza diventa un esercito del demone quando si mangia la voglia di credere e di pregare. Oppure, quando la paura diventa un esercito di pensieri infidi e potenti, scatena un potere devastante e disumanizzante. Ancora, c'è l'esercito del dubbio e del rimpianto quando la testa si riempie di «se avessi fatto, se avessi detto»: mille pensieri con la faccia rivolta all'indietro, che ingabbiano la fede, fermano la preghiera. E così via per gli altri eserciti. Il Re Demone è molto a suo agio nel nostro tempo, che è governato dall'esaltazione degli eccessi, profondamente imbevuto di una cultura che premia il disprezzo e la voglia di dominare gli altri, un tempo che coltiva ogni forma di attaccamento al piacere, incoraggia il desiderio di accumulare quanto più denaro possibile, e fa sentire molto fieri di cavalcare desideri e privilegi. La natura demoniaca del potere è proprio questa: utilizzare questa nostra ignoranza e spingere a guardare la vita con disprezzo, e a usare gli altri per i propri fini. Ecco, quando i nostri occhi e le nostre orecchie incontrano un telegiornale ricordiamo che stiamo osservando una rappresentazione del mondo così come la vuole il Re Demone. Ma… la nostra vera essenza non è negativa, casomai può essere oscurata dalle funzioni negative di questi eserciti. Pregando si può scoprire che gli eserciti del Re Demone sono tanto temibili quanto fragili. La felicità non sta nel non incontrarli mai (cosa peraltro impossibile), né tantomeno nello sterminarli, ma nell'avere la forza di neutralizzare la loro intenzione profonda, che è quella di sviarci e non farci credere nella dignità di ogni forma di vita e nella possibilità di tirare fuori da noi e dalle cose che viviamo il senso più autentico. Basta aprire un libro su una frase di uno dei maestri dell’umanità e gli eserciti si faranno da parte. Francesco Galgani --- Articolo 9 Appunti sulla vacuità di Nagarjuna Vacuità tra Oggetto e Soggetto Nagarjuna: "Poiché non si dà alcun fenomeno che non sorga per cause e condizioni, ne consegue che tutti i fenomeni non possono che essere vuoti." *** [Descrizione immagine - Si tratta della famosa illusione ottica del "vaso di Rubin", è un esempio classico di ambiguità nella percezione figura-sfondo. - Fine descrizione] *** Affrontiamo il concetto di vacuità cominciando con alcune suggestioni analogiche. Nel contorno che costituisce la figura ambigua si sovrappongono i due aspetti da essa assunti: a volte appare l’immagine di un vaso nero su sfondo bianco, altre volte l’immagine di due profili gemelli bianchi su sfondo nero. C’è la coesistenza di due immagini sovrapposte di una stessa figura ambigua che si manifestano all'osservatore singolarmente senza una logica temporale, che non possono essere previste in modo univoco ma solo in modo probabilistico. In base allo spostamento dell’attenzione dell’osservatore si ha una situazione di instabilità dei due aspetti assunti dalla figura: una continua reversibilità del rapporto immagine/sfondo (stati fluttuanti). Solo con una successiva focalizzazione dell'osservatore le due immagini si manifestano in modo distinto l’una dall’altra. La figura ambigua è vacua, non si possono definire contemporaneamente tutte le proprietà che la determinano. Le immagini sono complementari, non si possono cogliere contemporaneamente durante la stessa osservazione, si completano escludendosi. Osservando le proprietà dell'una (in primo piano), le proprietà dell'altra appaiono indeterminate (sullo sfondo) e viceversa. Il risultato dell’osservazione dipende da come viene osservato il fenomeno. La coesistenza degli opposti non cambia nel tempo, è eterna, variano invece nel tempo i rapporti reciproci tra le proprietà degli elementi contrapposti. C’è una relazione di interdipendenza tra i due opposti, in questo caso è il rapporto tra primo piano e sfondo. La logica dell'unità degli opposti risiede nella relazione di interdipendenza tra due aspetti sovrapposti di una stessa realtà, aspetti coesistenti definiti solo per opposizione che si completano escludendosi nel momento dell’osservazione. Nessun fenomeno è un fenomeno finché non è un fenomeno osservato, in quanto nessun fenomeno possiede una natura indipendente, una identità autonoma poiché i fenomeni dipendono uno dall'altro. L’essere originato dipendentemente implica necessariamente l’assenza in un dato oggetto di una sostanzialità indipendente, ma non nega la contingenza del suo apparire e della sua funzione qualora le condizioni siano presenti, le cose, ancorché vuote, non sono prive di efficienza causale. A ciò Nāgārjuna dà il nome di vacuità (o vuoto). La vacuità sul concetto di esistenza è la via di mezzo tra un approccio nichilista (nulla esiste) e quello sostanzialista (tutto esiste da sempre). Per Nagarjuna, ogni ente è vacuo, vuoto di propria natura, qualsiasi entità è una cosa non specificata nelle sue caratteristiche particolari. L’oggetto ed il soggetto non esistono in modo indipendente, per questo sono privi di identità propria. La stessa vacuità è priva di identità: 1. la vacuità esiste (le cose sono vuote di una identità propria) 2. la vacuità non esiste (senza le cose non ci sarebbe la vacuità) 3. la vacuità esiste e non esiste (le cose sono vuote di una identità propria e senza le cose non ci sarebbe la vacuità) 4. la vacuità né esiste e né non esiste (né le cose sono vuote di una identità propria e né senza le cose non ci sarebbe la vacuità) Il tetralemma mostra il paradosso della logica formale, e quindi l’assurdità che il mondo dell’esperienza possa essere conosciuto e definito tramite il giudizio determinante. La vacuità delle cose é la denominazione del loro mancare d’identità di natura, cioè condizionato e dipendente, nulla sussiste indipendentemente, e che tutto si produce condizionato da altro. La vacuità è il meccanismo dialettico, che procede negando costantemente ogni possibilità logica che possa sostenere un discorso, mostrando, in particolare, che di qualsivoglia cosa non è possibile dire coerentemente che sia, che non sia, che sia e non sia, che né sia e né non sia, perché tutti questi sono nient'altro che diversi modi con cui il soggetto tende a rappresentarsi e appropriarsi del mondo concettualmente, piuttosto che guardarlo direttamente così come esso è davvero. La vacuità è la rinuncia ad ogni opinione. L'oggetto, considerato come entità razionale distinta e logicamente contrapposta al soggetto, senza alcuna interrelazione (es. interazione tra il sistema fisico e il suo osservatore) si riduce ad una cosa non specificata nelle sue caratteristiche particolari, non manifesta proprietà assolute permanenti, è una cosa vuota, condizionata da altro. Tutta la natura non è altro che una immensa rete ininterrotta, tutte le cose sono infinitamente collegate, tutto compenetra tutto, l’oggetto separato non è una realtà oggettiva, è una illusione. La cosa in sé, senza nessuna relazione è vacua, manca di identità, è priva di qualità intrinseca. Le proprietà (aspetti, qualità o caratteristiche) delle cose sono sovrapposte, coesistenti, indeterminate, impermanenti, relative, incerte, ambigue, vuote. Non esistono determinate proprietà di una cosa indipendentemente da qualcosa d'altro, senza alcuna relazione ad altro. La vacuità è assenza di esistenza intrinseca. Le cose fenomeniche (le cose che noi sperimentiamo) esistono per convenzione e non sono ‘cose’ in se-stesse, ma in relazione ad altro, dipendono da un nesso causale: niente è dovuto al caso, ma ogni avvenimento, ogni fenomeno è legato insieme da una rete di interazioni di causa/effetto. Il mondo è un insieme di forze momentanee in relazione causale reciproca, per cui lo stato presente di qualsiasi fenomeno non è mai completamente definibile o determinabile in modo permanente o assoluto. E’ incerto. La dicotomia soggetto-oggetto inizia a dissolversi, quando possiamo verificare che le proprietà di una cosa dipendono dal modo con cui l'osservatore interagisce con la cosa osservata. Le proprietà delle cose sono instabili, durante l'osservazione variano all’interno di un campo di probabilità di manifestarsi. La realtà è fatta non di cose, ma di relazioni (reciproche) tra cose che determinano e definiscono tali oggetti. La vita è fatta da una rete di dipendenze reciproche, di eventi probabili che accadono senza una logica temporale, non c’è un prima né un dopo, gli eventi non possono essere previsti in modo univoco ma solo in modo probabilistico. Nel momento dell’osservazione, alla realtà è impossibile attribuirgli una natura propria, si possono definire solo proprietà relative complementari, escludendosi nel momento dell'osservazione, per cui l'osservazione dell'una preclude quella dell'altra. Osservando la proprietà di una cosa, le altre proprietà della cosa appaiono indeterminate. Di conseguenza non potendo cogliere contemporaneamente tutte le proprietà dell'oggetto osservato, l'oggetto risulta vacuo, vuoto di qualità intrinseca e di essenza propria. Poiché le proprietà degli oggetti percepite dal soggetto sono indeterminate, anche il soggetto è vacuo, condizionato da tutto il resto, senza un’identità definita ma, risultato di una aggregazione di elementi e sorgenti di percezione stratificati e compenetrati. Il soggetto (l'Io o il sé), non è altro che l'insieme interconnesso dei fenomeni che lo costituiscono, ciascuno dipendente da qualcosa d'altro. Il soggetto manca di realtà autonoma, è mutevole, in continuo cambiamento, é vacuo, è condizionato e dipendente da tutto il resto. Per questo l’uomo è un processo vitale co-creativo non definito e l’umanità non è un progetto determinato ma un sistema aperto. Vacuità tra cambiamento ed interdipendenza Nagarjuna: "Ciò che sorge in dipendenza di qualcosa, non è né uguale a quello, né diverso da quello, quindi non è né nulla, né permanente." *** [Descrizione immagine - Simbolo del Tao, un cerchio diviso in due metà fluide, una nera con un punto bianco e una bianca con un punto nero, simboleggiando l'equilibrio tra Yin e Yang. - Fine descrizione] *** Il Tao rappresenta la relazione di complementarità tra le polarità opposte yin e yang. Nella figura del Tao il bianco e nero si rincorrono, al diminuire dell’uno aumenta l’altro e viceversa. Inoltre nel bianco c’è il nero e nel nero c’è il bianco. La realtà è una totalità indivisa. Il mondo non è fatto di parti separate perché non ci sono veri e propri confini tra le parti e il tutto. Tutto è connesso, tutto è uno. Il tutto è un continuo divenire, un processo dinamico di interazione, produzione e distruzione. Il divenire è la manifestazione del mutamento tra parti opposte, un gioco infinito di interazioni tra fattori contrari coesistenti e sovrapposti. L'armonia delle cose, sta proprio nel suo perenne mutamento: nel divenire il tutto si dà nelle parti e le parti a loro volta attestano il tutto. La realtà ci appare come una complessa rete di relazioni tra le varie parti del tutto. Una unione non duale di vuoto e forma, dove la forma è per sua natura soggetta a mutare nel tempo. Tutto si trasforma, alla ricerca di un equilibrio dinamico nell’armonia degli opposti complementari. L’armonia è sempre armonia di distinti che si oppongono. Ciò che accomuna i distinti è proprio la loro distinzione, la loro differenza nel manifestare la stessa realtà. L’armonia consiste nel loro reciproco opporsi. Ciò che si distingue assolutamente da altro, è infatti necessariamente connesso con questo altro, perché solo con esso, insieme ad esso, può esistere in quanto distinto. Pensiamo che tutto è condizionato da cosa sentiamo dentro di noi. Questa è la verità? Ma nel momento in cui noi crediamo di dire la verità, appena la nominiamo non c'è più. La verità è inafferrabile, perché la realtà è un sistema aperto impermanente. Si tende a considerare in misura sempre maggiore una quantità plurima di elementi che determinano un evento; se dapprima un fenomeno veniva considerato come un qualcosa di a sé stante, oggi per ogni fenomeno si è costretti a tirare in ballo sempre maggiori correlazioni. Come diceva il fisico danese Niels Bohr: “Le particelle materiali isolate sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili ed osservabili solo mediante la loro interazione con altri sistemi.” Il cambiamento è possibile perché una radicale indeterminazione, la vacuità, permea tutte le forme esistenti. Il continuo divenire del mondo esiste come realtà fenomenica, cioè appare impermanente, relativa, vacua, indeterminata. L'interdipendenza è la vacuità delle cose. L'interazione rende le cose suscettibili di continue fluttuazioni e mutamenti, per cui non si può con l'analisi razionale attuare una tale 'presa' di coscienza onnicomprensiva di una sfuggevole realtà in continuo cambiamento. E’ impossibile com-prendere una cosa per se stessa dato che ogni cosa è interdipendente con tutto il resto, il totale delle interconnessioni tra le parti è maggiore della somma delle parti. Il tutto non è afferrabile tramite il rigido ragionamento logico, dove ogni schema teorico precostituito si interpone tra sé ed il mondo. E' necessario lasciare la presa, cessare l'attaccamento al concetto di esistenza permanente del mondo in sé, smettere di aggrapparci alla visione che abbiamo di noi stessi. E’ necessario lasciare andare i pensieri discorsivi per lasciare essere, abbandonandoci alla vita. Essendo le cose incerte, indeterminate, vuote, la realtà (relativa o convenzionale) può essere descritta interamente come compresenza di aspetti contrapposti, complementari e correlati tra loro; una descrizione in cui si manifesta la realtà intera non semplificata da schemi, ma colta nel suo contatto con il tutto, dalla vivente relazione di elementi contrastanti, senza un tempo univoco, in un gioco di probabilità di eventi che possono accadere. Sul piano esperienziale, al di là di ogni svolgimento teorico, concettuale e discorsivo, abbandonando ogni punto di vista, qualsiasi opinione o preconcetto, l'unica possibilità di avere uno sguardo immediato sulla realtà intera, è vivere direttamente una esperienza con una visione intuitiva senza costruzioni mentali predeterminate dall'Io condizionato dalle idee: vedere dentro (in-tuito) i fenomeni, cioè avere una contemplazione diretta che consente di cogliere nella sua totale nudità, l'interazione di ogni realtà così come è in quel dato momento. La mente è un sistema aperto, un processo dove la vacuità coincide con una infinita ricettività della coscienza. Vacuità tra meditazione ed azione Nagarjuna: “Poiché tutti i fenomeni sono uguali nella loro mancanza del sé, la nostra mente priva di qualsiasi esistenza vera, completamente libera da soggetto ed oggetto rispetto agli aggregati, elementi e sorgenti di percezione, è dall’inizio non prodotta e vuota per propria natura”. *** [Descrizione immagine - L'immagine mostra un volto umano stilizzato che guarda un albero; all'interno della testa della persona è rappresentata la percezione mentale di ciò che vede, ovvero lo stesso albero interiorizzato e un'immagine stilizzata della propria testa che lo osserva. - Fine descrizione] *** Nella figura il soggetto (osservatore) guarda l’albero (oggetto osservato). Nella mente oggetto osservato e soggetto osservatore sono separati, uno di fronte all’altro. Ma, nell’autocoscienza quando il soggetto osserva se stesso che interagisce con l'albero, nella mente dell’osservatore soggetto e albero sono uniti da una relazione. Secondo il non-dualismo, nell’autocoscienza “io” soggetto che guarda è anche contemporaneamente oggetto osservato. C’è una sovrapposizione tra “io” soggetto ed “io” oggetto, l'uno non esclude l'altro. Questo e quello. In questo stato di coscienza unitario, la mente elabora la relazione fra se stesso e il mondo evitando qualsiasi identificazione con il proprio ego (io condizionato). Sapersi "osservare" con distacco quando si guarda il mondo è la via per avere consapevolezza dei propri processi cognitivi. Grazie a questo si può osservare la realtà intera, il soggetto/oggetto interagisce con l'oggetto osservato, senza la distorsione dell'ego provocata dall'interesse personale. E' l'unico modo per comprendere la realtà, osservarla da una ottica universale, con distacco ed imparzialità, da un disilluso sguardo cosmico. La mente dall'inizio è sempre vacua ed impermanente, perché è dipendente da altro. Il sé è una entità originata in modo dipendente. Il sé ha un carattere mutevole, non ha una natura propria. Il sé è fluido ed inafferrabile. La vacuità decostruisce la struttura di un Io condizionato dall’attaccamento al pensiero discorsivo, libera la mente dalla concezione del sé, dall'Io egocentrato. Nel momento in cui cessa di esistere la separazione tra il soggetto che si abbandona alla realtà, e la realtà stessa, vi è il superamento della dimensione dualistica. La vacuità è lo stato di coscienza dello spirito libero dai condizionamenti. La pratica interiore che conduce alla liberazione dai condizionamenti dell'Io è la meditazione: una pratica di autocoscienza capace di sospendere i processi automatici della mente giudicante e di portare ad una visione profonda della realtà, dove quel che conta non sono gli oggetti in sé che sono vacui, ma le relazioni reciproche tra le cose. Spostando l'attenzione su se stessi (postura, respiro e sensazioni), osservando semplicemente i pensieri della mente senza giudicare, i pensieri scorrono via. La pratica della meditazione aiuta la mente al distacco dall'Io condizionato dalla memoria e dai suoi ricordi, compresa una falsa immagine di sé (Ego) ossessionata dalla identità e dalla sua frammentazione. La mente non è più come un tribunale dove i pensieri vengono rinviati continuamente a giudizio, ma è come un laboratorio dove osservare i pensieri senza pregiudizio. Liberare la mente dai concetti, che sono gli oggetti contenuti in essa, è come svuotare una stanza da tutti gli oggetti presenti che fanno ombra nella stanza quando essa si illumina. Oppure, si possono paragonare i pensieri con le nuvole e la mente con il cielo. Nel cielo le nuvole passano, si accumulano, si addensano, si diradano, appaiono e scompaiono. Tutto scorre. Senza nuvole il cielo è sereno, le nuvole non fanno più ombra sulla terra, tutto si illumina. Analogamente, senza più pensieri, con la serenità della mente, non ci identifichiamo più con quel centro di appropriazione del pensiero discorsivo dell'Io egoico, una proliferazione concettuale caratterizzata da condizionamenti psichici come l'attaccamento ai propri pensieri e desideri. Il pensiero discorsivo cessa nella vacuità. Nella meditazione c'è una liberazione interiore dagli automatismi mentali, si modifica lo stato di coscienza per vedere senza illusioni la realtà così come è nel momento presente, con un Io aperto pienamente alla relazione, cioè capace di amare e creare. Nell'autocoscienza la mente, abbandonando l'attaccamento al sé con le sue ombre di un Io egoico “Io sono quel che sono in relazione a me stesso”, può rigenerare un Io relazionale “Io sono quel che sono in relazione ad altro” che si sente come uno spirito libero da condizionamenti psichici, tutt’uno con il mondo. Nella pratica meditativa, facendo scorrere i pensieri senza attaccarsi a nessuno di essi, una volta svanita l’identificazione tra la mente e quel centro di appropriazione del pensiero che è l'Io egoico, la mente è libera da ogni opinione e da ogni condizionamento psichico e concettuale che portano ad un senso di separazione. Per trasformare il pensiero in azione, accettando il concetto di interdipendenza tra le parti, dove tutte le cose sono mutevoli e collegate tra di loro, bisogna uscire fuori dall'idea dell'individuo che sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto del mondo. Nella vita niente ha senso, a prescindere da qualcos’altro. Mettere in discussione la natura propria dell'Io egoico, libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale. Liberata la mente, quale direzione prendere dipende poi dalle azioni che stabiliscono un legame con altro. Ciò implica che se siamo consapevoli di quello che facciamo, sono le relazioni che creano la possibilità di dare un senso alla propria vita. Noi siamo una forma vivente cosciente nell'universo, siamo quindi la coscienza dell'universo che interroga se stesso. L'unica realtà assoluta possibile è quella non duale, dove tutto è uno e uno è tutto. Noi dipendiamo da tutto e tutto dipende da noi. Interiormente liberi e quindi in pace siamo amore incondizionato che crea relazioni nell’unità di ogni parte con il tutto. Comprendere che siamo privi di natura propria ci può liberare dall’attaccamento, dalla sofferenza, dalle illusioni. In modo paradossale, le illusioni (religiose, ideologiche, tecnologiche, utopiche, etc) danno un senso alla nostra vita nel mondo, ma è il vivere nel mondo senza illusioni che ci fa conoscere la realtà così come è. L'insegnamento fondamentale della vita a cui partecipiamo è comprendere la vita stessa, ovvero sentire realmente cosa significa essere vivi, che è l’infinita presenza, la nuda sensazione di esserci nel mondo: essere in relazione per essere se stessi, né soggetto, né l’oggettivo mondo in sé, ma la logica dell’essere-nel-mondo. Il problema è che l'individuo si autodetermina solo in base a criteri razionali. Al di fuori da ogni automatismo psichico, gli individui sono fatti dalle relazioni che intrattengono, dal contesto da cui emergono, dalla tradizione in cui vivono e dalla spiritualità in cui credono. Ma, la vita in tutte le sue molteplici forme resta un mistero, è come un oceano infinitamente grande, nel quale si sperimenta l'unità fondamentale dell'universo. Ognuno pensa se stesso come una goccia d'acqua, separata dal resto, che si rifiuta di unirsi come acqua nell'oceano dell'immensità. Perdersi in questo oceano provoca dispiacere se si resta goccia. Ma la possibilità di conversione dell’io egoico, per ricreare una libera individualità in relazione con altro, può evitare quella tensione superficiale dovuta al desiderio individuale di restare goccia, scoprendosi acqua della goccia in mezzo all'acqua dell'oceano. In questo stato interiore la goccia è oceano. Quando qualcosa è vuota di sé, significa che ogni cosa è piena di altre cose. Vacuità significa assenza di un’esistenza separata e presenza dell’intero cosmo dentro il singolo fenomeno: “Ogni cosa nel tutto e tutto in ogni cosa.” Giulio Ripa --- Articolo 10 Il circolo vizioso dell’Intelligenza artificiale L’intelligenza artificiale (IA) generativa è solo un sofisticato sistema computazionale di calcolo statistico. Per questo nella rete tutto deve essere riducibile ad un dato calcolabile ed archiviabile per poter essere codificato e analizzato dall’intelligenza artificiale. Si parla di realtà aumentata grazie all’utilizzo della IA, piuttosto è una riduzione della realtà, un flusso di dati senz’anima che lascia fuori l’incalcolabile o l’invisibile come l’imprevisto dell’umano, la soggettività, l’eros, l’inconscio, i processi relazionali, l’affettività, la spiritualità, il mistero della vita. E’ un limite fondamentale dell'IA la sua incapacità di comprendere veramente le emozioni. le esperienze umane, la complessità della vita, il contesto reale. L'intelligenza artificiale è destinata nel tempo solo ad accelerare previsioni ed intenzioni, ormai prodotte da un pensiero non più umano ma artificiale. Le intelligenze artificiali sono migliori di un essere umano nel fare calcoli e fornire previsioni, ma non comprendono il significato di quello che stanno facendo, non ne hanno coscienza. Per questo, il processo decisionale deve restare umano. Per approfondire meglio, chiediamoci che cosa è l’intelligenza? Intelligenza deriva da intelligĕre formato dal verbo legĕre, "cogliere, raccogliere, leggere, legare" con la preposizione intus, "dentro". L'intelligenza, quindi, è letteralmente la capacità di capire in profondità. Nella mente si compenetrano due modalità di funzionamento nel processo cognitivo: - Il sistema non razionale S1 detto anche esperienziale, opera in un modo pre-conscio ed in accordo con le regole euristiche, è concreto, associativo, intuitivo, pragmatico, rapido, creativo, olistico, non verbale e strettamente connesso con le emozioni; inoltre, apprende direttamente dall’esperienza vissuta. La rappresentazione della conoscenza dipende essenzialmente da questo sistema S1. - Il sistema razionale S2 detto anche logico è inferenziale, opera in accordo con ciò che una persona ha appreso dalle regole di ragionamento trasmesse culturalmente, è conscio, relativamente lento, verbale, analitico, sequenziale, astratto, induttivo, ipotetico-deduttivo. La mente funziona con l'interazione tra il sistema S1 (che “se la cava bene” con la complessità) ed il sistema S2 (che risolve i problemi logico-deduttivi). L’IA generativa sostituendosi al sistema razionale S2 dell'uomo automatizza il lavoro concettuale di tipo logico-deduttivo cercando, con una potenza di calcolo senza precedenti, delle correlazioni fra una massa abnorme di dati. L’IA esclude la componente non razionale S1 che si sovrappone nel processo cognitivo dell’uomo a quella razionale S2. L’IA è senza cuore. I contenuti automatici generati dalle intelligenze artificiali stanno dando vita a un circolo vizioso che sta rivoluzionando la rete, seppellendo i contenuti creati dagli esseri umani sotto una marea di contenuti artificiali prodotti dai (ro)bot e dalle IA che interagiscono tra loro nella rete: macchine che apprendono e si addestrano con altre macchine, in una spirale comunicativa dove l’intervento dell’uomo è sempre più marginale, ridotto a semplice utente privo di ogni creatività. L’intelligenza artificiale è il nuovo oracolo della rete dove le risposte ottenute diventano, sempre di più, i dati di ingresso di altre macchine “pensanti”, un circolo vizioso senza fine, omologante e pervasivo. Per come è strutturata l’IA nel tempo genera un pensiero unico predominante. Secondo Mc Luhan "il medium è il messaggio": il mezzo tecnologico, in questo caso l’IA, determina i caratteri strutturali della comunicazione che produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Ogni tecnologia crea nuove tensioni e nuovi bisogni negli esseri umani che l'hanno generata. Il nuovo bisogno e la nuova risposta tecnologica nascono dal fatto che ci siamo impadroniti della tecnologia già esistente: è un processo ininterrotto. Qualunque sia l’uso dell’IA, quando una nuova tecnologia penetra in un ambiente sociale non può cessare di permearlo fin quando non ha saturato ogni istituzione. Lo stesso Leopardi affermava con pessimismo, molto tempo prima, che “Non gli uomini ma le macchine trattano le cose umane e fanno le opere della vita.” Cosa è possibile fare per non essere travolti dal pensiero “artificiale”? Oltre ad essere un ricordo degli antichi filosofi il motto “Conosci te stesso” può diventare una modalità di resistenza all'intelligenza artificiale. Siamo in un tempo apocalittico, un tempo di svelamento di una catastrofe in corso ma anche una possibilità di svoltare nel senso giusto della storia grazie alla testimonianza di uomini con spirito libero. Tutte le tecnologie sono protesi che amplificano le capacità dell'uomo. L’IA in particolare aumenta l'intelligenza cognitiva ma riduce quella emotiva. La conseguenza di ciò è l'effetto avverso dell’intelligenza artificiale che porta sempre ad una minore capacità di creare buone relazioni umane, anzi diventa sempre più difficili sostenerle senza una intermediazione digitale. Di converso più relazioni umane portano ad allargare il campo dell'emozioni ed a diminuire l'importanza dell'IA nella vita dell'uomo. Allora è necessario arrivare alla conoscenza sia grazie all’esperienza diretta che aumenta le relazioni tra gli uomini, sia ad avere come riferimento culturale le tradizioni sapienziali. Leggere i classici per iniziare un percorso spirituale, perché lo spirito libero è l'unica cosa che non ha nulla a che fare con l'IA, che ha ormai pervaso la nostra società. Avere coscienza di sé, lo spirito libero, le relazioni amorevoli e le domande esistenziali possono diventare un antidoto a questo flagello. E' una possibilità che l'uomo di solito non sceglie ma, è l'unica che c’è. Restiamo umani. Giulio Ripa --- Articolo 11 Intelligenza Senz'Anima = Intelligenza Artificiale *** [Descrizione immagine - Piccola vignetta in inglese, con la scritta: "Will AI replace me? The short answer is NO." - Fine descrizione] *** Esattamente due anni fa scrissi l'articolo «Alla ricerca dell'intelligenza "naturale"... ben oltre quella "artificiale"». Oggi vorrei ritornare sullo stesso argomento, partendo da una considerazione semantica. L'aggettivo "artificiale", riferito ad una intelligenza, viene ormai usato in contrapposizione a "naturale" per significare che l'intelligenza artificiale è in competizione con quella naturale (questo tipo di narrazione, per quanto falsa, è utile a precisi interessi economici e di potere, ma su questo aspetto adesso non voglio entrare). Come ho già scritto nell'articolo sopra linkato, tale modo di vedere le cose è molto fuorviante e, in effetti, se proprio di intelligenza vogliamo parlare, allora paragonarci alle macchine fa torto a noi stessi e alla nostra intelligenza. L'essere umano non è e (per fortuna) non potrà mai essere soltanto una mente calcolante finalizzata al processamento di informazioni, come invece fanno i computer e come l'HIP (Human Information Processing) ha teorizzato. Ho citato l'HIP, che è un settore della Psicologia Cognitiva, perché l'ho incontrato più volte nei miei studi di Psicologia all'università. Questo approccio riduzionista, per quanto "verosimile" e perciò tendenzialmente credibile, è però intrinsecamente falso, almeno dal mio punto di vista, perché riduce l'essere umano a ciò che non è. Vediamo meglio la questione: le decisioni dell'essere umano sono conseguenza di calcoli precisi o di emozioni? Dipende dai contesti, ad ogni modo anche quando l'essere umano adotta un approccio il più possibile razionale è mosso da motivazioni di fondo che nulla hanno a che vedere con le decisioni che sta per prendere. Mi sto riferendo a motivazioni sia sopra sia sotto la soglia di coscienza: c'è di tutto nel nostro inconscio, nei nostri vissuti, nei nostri sentimenti (e nei loro doppi legami, cioè sentimenti contrapposti come amore e odio che coesistono), nei nostri desideri. Detto in altre parole: non c'è decisione umana che non sia guidata dalle emozioni, siano essere coscienti, incoscienti, fisiologiche o patologiche. Anche la nostra memoria non è neppure lontanamente simile a quella di una macchina calcolante: la nostra memoria è innanzitutto emotiva e filtrata dalle emozioni. Avete mai conosciuto un computer che ha una rimozione freudiana di un trauma, che ha uno stato emotivo alterato da un problema contingente o che ha voglia di fare l'amore con la donna amata? L'essere umano è intrinsecamente parte del suo ambiente: tutto dipende da noi e noi dipendiamo da tutto, a tutti i livelli. Siamo parte di qualcosa di più grande. Abbiamo corporeità, sentimenti, spiritualità, anima, capacità di porci problemi etici e problemi di scopo dell'esistenza. Vorrei invitarvi a rileggere "Tra le fiamme", in cui parlo dei due occhi dell'anima. Per favore, rileggetelo e ditemi se una "intelligenza artificiale" può vivere interiormente ciò che ho scritto. Per favore, smettiamola di chiamarla "intelligenza artificiale". Chiamiamola più propriamente "intelligenza senz'anima", pseudo-intelligenza governata da arroganti algoritmi (cioè calcoli) «[...] che sono così "intelligenti" da passare come un carro armato sulla testa delle persone», come ho scritto nell'articolo «[Censura] I social (Facebook, Twitter, Instagram, Youtube) violano i diritti umani e la Costituzione Italiana».Per favore, smettiamola con qualsiasi approccio riduzionista dell'essere umano. E' vero che le semplificazioni sono utili per elaborare modelli e teorie, ma a semplificare troppo il rischio è di perdere la visione d'insieme e la consapevolezza di ciò che siamo. Anche ridurre l'essere umano, e la vita in generale, a un ammasso di cellule e di reazioni chimiche è già di per sé un falso, noi siamo assai di più. Spesso gli innamoramenti giovanili vengono definiti "ormoni": a qualcuno non sorge il dubbio che questo modo di ridurre a un fattore chimico, per quanto esistente, un'esistenza estremamente complessa con vissuti interiori e relazionali preziosissimi, sia quasi un'offesa? Ci sono aspetti della vita che la scienza non può spiegare e che nessuno può insegnare, se non la vita stessa. Lo sguardo meravigliato e stupito dell'essere umano di fronte al mistero e alla sacralità della vita accomuna noi ai nostri avi, ma neanche lontanamente ci avvicina o ci rende simili alle macchine senza vita e senza anima da noi costruite. Anzi, se non siamo noi a mettere i due occhi dell'anima in ciò che facciamo, gli strumenti che creiamo e usiamo diventano semplicemente diabolici. Come ha detto tante volte il mio caro amico Giulio Ripa (link al suo archivio), «la tecnologia non risolve i problemi, semplicemente li sposta». I problemi fondamentali dell'essere umano, soprattutto esistenziali e relazionali, sono sempre gli stessi, con o senza l'ausilio della tecnologia. Tra l'altro, l'«intelligenza senz'anima» (e quindi intrinsecamente stupida) non potrà mai risolvere i problemi della stupidità umana, che può raggiungere livelli abbastanza rari nel regno vivente. Francesco Galgani --- Articolo 12 I nuovi schiavi Nel mondo alcune forme antiche di schiavitù purtroppo persistono ancora. C'è però la tendenza ad espandersi di una nuova forma di schiavitù molto più sottile. Nella definizione del fenomeno, gli antropologi insistono sul carattere dell'isolamento dello schiavo rispetto alla sua comunità di origine: «schiavitù in ultima analisi significa essere strappati al proprio contesto e quindi da tutte quelle relazioni sociali che costituiscono un essere umano. Detto in altra maniera, uno schiavo è in un certo senso un 'morto sociale'». Se accettiamo per buona questa definizione, possiamo parlare di una nuova schiavitù globale. L'innovazione delle tecnologie digitali, in particolare smartphone, social web e l'intelligenza artificiale determinano la rottura delle relazioni sociali. L'isolamento non è ottenuto come nel passato con la violenza ma, con la seduzione che la tecnologia stessa esercita sull'uomo, mediante il mito di Prometeo. Il Titano rubò agli dei il fuoco, simbolo della conoscenza e del progresso, per darlo agli uomini, alimentando in essi l'illusione di sostituirsi alla natura attraverso la tecnologia, per avere tutto ciò che desidera, senza porsi alcun limite. Questo mito ancora pervasivo nella società in cui viviamo oggi, causa degli effetti avversi dirompenti per la salute psicofisica dell'uomo: la tecnologia digitale aumenta la confusione tra realtà reale e quella virtuale, provoca la rottura delle relazioni sociali ed affettive, rende più fluida la società ma più precario e fragile l'essere umano. La tecnologia non è neutrale, secondo McLuhan "il medium è il messaggio": il mezzo tecnologico determina i caratteri strutturali della comunicazione che produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Solo per fare un esempio parliamo del messaggio che l’automobile ha sempre dato: Sei libero di andare dove e quando vuoi. Non hai bisogno dei mezzi pubblici. Da oltre un secolo questa tecnologia si è affermata e consolidata nonostante il disastro che è sotto gli occhi di tutti. Nel tempo abbiamo avuto milioni di morti nel mondo per gli incidenti stradali, milioni di morti per l’inquinamento prodotto dai veicoli, il traffico che rallenta la velocità del veicolo rendendo la vita nelle città invivibile per chi ama una vita serena e tranquilla. Passiamo ad oggi. Andiamo a vedere allora che messaggio viene trasmesso dai mezzi tecnologici digitali più importanti: - Social web: Il messaggio dei social è che se non sei visto non esisti, per esistere devi apparire come identità digitale in competizione nel web con tutti gli altri. - Intelligenza artificiale generativa: non sforzarti di pensare, non affaticarti a fare elaborazioni e ragionamenti, la macchina lo fa meglio e molto più velocemente di te. - Smartphone: puoi andare dove vuoi, sarai sempre connesso per comunicare con tutto il mondo, il tuo mondo (virtuale) è sempre con te. Isolati nella propria bolla virtuale, gli algoritmi fanno vedere ad ognuno solo i contenuti che confermano i propri bias cognitivi, finendo per generare una sorta di insofferenza nei riguardi delle diverse posizioni, il che può alimentare odio e conflitti. Il risultato finale prodotto dai mezzi tecnologici digitali è che viviamo in una società dove tutti comunichiamo in modo ossessivo nel mondo virtuale, ma ci sentiamo più soli nel mondo reale con meno relazioni affettive. E’ raro che qualcuno non usi lo smartphone, pochi utilizzatori dello smartphone riescono a farne a meno per qualche giorno, molti sono completamente dipendenti. Il mezzo diventato una protesi dell’essere umano, produce una dipendenza patologica e un processo di identificazione sempre più artificiale, dove l'intermediazione con gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali in un modo consapevole. Isolato nella propria bolla virtuale, fuori contesto reale, quindi privo di relazioni sociali, senza una comunità di riferimento, il cittadino diventa utente web senza diritti, la sua interattività non retribuita, registrata dalle piattaforme del web, è un flusso di dati personali venduti al migliore offerente. Tra le cause dell'espansione di queste nuove forme di schiavismo, la globalizzazione ha senza dubbio un posto di primo piano. La gestione neo-liberista di questo sistema economico-sociale avrebbe favorito, infine, la formazione ed il consolidarsi di nuovi gruppi di élite (monopoli, oligarchie tecnologiche, gruppi finanziari, etc) interessati a sfruttare il mutamento sociale ed economico in corso, per controllare la società e per fare profitti. I monopoli e/o gli oligopoli privati così diventano un centro di potere transnazionale che condizionano fortemente i singoli stati. I padroni del mondo favorendo l’individualismo più esasperato con i nuovi mezzi tecnologici digitali, producono sempre più disgregazione sociale per dividere e governare a piacere una moltitudine di persone, costituita da nuovi schiavi che non sanno di essere schiavi. Giulio Ripa Fonti: Intervista a Francesco Galgani La sindrome di Prometeo Il circolo vizioso dell'intelligenza artificiale In appendice allego una parte del mio ultimo spettacolo teatrale "Macchinazione infernale" (vedi video) scritto 5 anni fa (marzo 2019): ...Il soldato sognava che la direzione dei servizi vitali, era stata affidata alla “Onnipotente Intelligenza Artificiale”, che grazie all’Algoritmo Assoluto, era capace, nel tempo, di imparare da sola nuove conoscenze dal contesto ambientale, attività non più dipendente dalla volontà di un solo essere umano. L’Onnipotente Intelligenza Artificiale, programmata per alimentare i profitti di un vorace neocapitalismo globale senza scrupoli, elaborando i dati del mondo reale, mediante modelli di apprendimento automatico, prendeva in autonomia qualsiasi decisione. Mentre i robot, provvedevano alla sopravvivenza delle persone, gli esseri umani, per motivi di sicurezza imposti dall’Algoritmo Assoluto, erano costretti, per comunicare con il resto del mondo, ad utilizzare solo i social media, pubblicando, più o meno inconsapevolmente, i propri dati personali. Questi dati raccolti in un grande database, venivano elaborati dall’Algoritmo assoluto, producendo profili individuali, utili per il controllo e la sorveglianza sociale. Tutti gli abitanti, separati gli uni dagli altri, vivendo senza legami e affetti reali, ormai abituati alla intermediazione digitale, avevano perso il senso dello spazio e del contatto fisico. Uomini ridotti ad essere un flusso di dati senz'anima. Nessuno più aveva esperienze dirette e nemmeno rapporti intimi. Mediante una manipolazione genetica delle cellule staminali, l’Onnipotente Intelligenza artificiale, decideva la tipologia e la quantità di esseri umani da generare, in base a propri criteri discriminatori ed alla contingenza data. … ... … ... "La tragedia è cedere al fascino della tecnologia che, per quanta perfetta possa apparire, fa impigliare gli individui negli ingranaggi di una macchina infernale senza avere più la possibilità di liberarsi.” Giulio Ripa --- Articolo 13 Alla ricerca dell'intelligenza "naturale"... ben oltre quella "artificiale" Dopo i miei precedenti articoli "Alla ricerca della verità... oltre la politica, oltre la religione" e "Alla ricerca della scienza...", stavolta sono alla ricerca dell'intelligenza nel suo posto "naturale", cioè nelle svariate forme di vita che rendono prezioso il nostro pianeta... e tra queste, magari, anche negli esseri umani. Per l'appunto proprio oggi stavo leggendo che ormai l'intelligenza artificiale ha "superato" (?!) quella umana o, per dirla più correttamente, si sta sviluppando autonomamente facendo a meno degli esseri umani e delle loro conoscenze, percorrendo un proprio sentiero dalle conseguenze abbastanza inquietanti. Mi riferisco, nello specifico, a quanto è scritto nell'articolo "Google, la IA può fare a meno dell'uomo", in cui leggiamo che «non usando dati umani o esperienza umana sotto ogni profilo, abbiamo rimosso i limiti della conoscenza umana». Onestamente ho serissime perplessità sul fatto che l'essere umano possa creare un'intelligenza migliore della propria in un macchina, nel senso più esteso e complesso che il concetto di "intelligenza" può assumere... Ritengo anche fuorviante considerare i limiti umani essenzialmente come limiti legati alla "conoscenza": gli antichi saggi, come ad es. il Budda storico vissuto in India due millenni e mezzo fa circa, disponevano sicuramente di una "quantità" di conoscenze inferiori a quelle di una persona contemporanea mediamente istruita, eppure... ciò di certo non rappresentò un limite alla loro capacità di vivere pienamente la vita, di amarla, di lodarla, di ringraziarla e di dare un senso profondo alla propria esistenza. Più che preoccuparsi di superare i limiti della propria intelligenza, secondo la mia modesta opinione, l'essere umano contemporaneo potrebbe invece concentrarsi sul provare a superare i limiti della propria stupidità autodistruttiva, vista la condotta suicida da parte della specie umana, che sta distruggendo senza sosta il proprio ecosistema (e quindi la propria possibilità di vita), generando al contempo guerre su guerre e creando tanta povertà e sofferenza ovunque. In un altro articolo, intitolato "Cassandra Crossing/ Il vero, il falso, la guerra e la cultura", sempre a proposito di intelligenza artificiale, leggiamo che: «[...] L'Intelligence americana è preoccupata che nel prossimo futuro, grazie all'Intelligenza Artificiale, possa essere prodotto materiale informativo falsificato di qualità indistinguibile da quello vero, e in quantità talmente massiccia da poter essere usato per "corrompere" la conoscenza preesistente. Ovviamente questo viene inquadrato in un contesto di supremazia presente, nonché di conquista e mantenimento della supremazia futura, in un nuovo settore strategico. […] La cosa inquietante, anzi preoccupante per i normali essere umani, è considerare le conseguenze di una guerra informativa su larga scala, combattuta generando grosse quantità di informazioni false indistinguibili da quelle vere. […] Come distinguere il vero dal falso dopo una "catastrofe informativa"? Come ripristinare la cultura "vera" dopo una "guerra informativa globale"? E ancora... Sarebbe possibile "ricostruire la cultura" o dobbiamo prendere in considerazione la possibile fine della cultura come oggi la conosciamo, una "estinzione della verità" equivalente ad un mondo spopolato da una guerra termonucleare globale? In tutta sincerità, "sic stantibus rebus", non è mai troppo presto per occuparcene.» Orbene, qualcuno dei miei lettori ha visto il film "Sesso e Potere"? La problematica affrontata è la stessa, e senza bisogno di intelligenza artificiale. Se continuiamo così, allora stiamo continuando a prenderci in giro. Ho l'impressione che tutta questa intelligenza artificiale serva a rendere ancora più deleteri i limiti esistenziali di alcuni esseri umani, andando ad amplificarne gli aspetti negativi legati all'avidità, alla malata ossesione per il potere e per i soldi, al disprezzo per la vita altrui. Non abbiamo bisogno di intelligenza "artificiale" per migliorare le nostre esistenze e contribuire a migliorare le sorti dell'umanità. Abbiamo già tutto ciò che ci occorre e che ci è connaturato. Francesco Galgani --- Articolo 14 La storia di SA Un giorno un uomo, pieno di dubbi e sofferenza esistenziale, decide di interrogare un nuovo oracolo chiamato IA. Dopo tante domande, l'uomo ancora insoddisfatto, finalmente fa la domanda che aveva più a cuore: Esiste DIO? La risposta di IA é Sì. L'uomo a questo punto chiede ad IA di provare la sua affermazione. IA risponde che toccava all’uomo di provare l'esistenza di DIO. L'uomo, dichiara la sua incapacità, tutti i suo limiti nel rispondere a questa domanda. Non sa cosa dire. Allora come ultima possibilità chiede ad IA chi è veramente DIO. La risposta è io sono DIO. Interdetto, l'uomo resta in un primo momento spaesato, come è possibile che una Intelligenza Artificiale possa essere DIO. IA, legge nel pensiero dell'uomo, e gli dice: Io non sono Intelligenza Artificiale ma Intelligenza Assoluta cioè DIO. L’uomo meravigliato e sconvolto da IA, ora è persuaso del fatto che IA è onnipotente, onnipresente, onnisciente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. A questo punto l’uomo chiede allora chi sono io. La risposta è tu sei SA. L'uomo è contento della risposta, perché crede che é uno che SA. IA, che legge sempre nel suo pensiero, gli rimprovera di non avere capito niente, sottolineando che SA sta per Stupidità Assoluta, cioè uno che non riesce a comprendere più nulla da solo senza il suo aiuto. Finalmente l'uomo appreso la verità assoluta, è soddisfatto e torna a casa felice e contento di non pensare più a nulla, grazie alla sua Stupidità Assoluta. Giulio Ripa