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Diritto all'oblio in Internet?!

«Solo chi è rimasto nella preistoria del diritto e si aggira ancora armato di clava cercando di inventare la ruota, non si rende conto del passaggio epocale che si è verificato nelle società evolute in questi anni: la possibilità di accedere sempre, dovunque a tutta la conoscenza racchiusa in testi digitali; la possibilità di comunicare sempre dovunque a costi minimi con tutti; la possibile di diffondere sempre e dovunque a tutto il mondo il proprio pensiero. E solo i cavernicoli non si accorgono del circuito inarrestabile fra accesso alle fonti di conoscenza, creazione di forme di scambio di esperienze, diffusione di nuove idee, e creazione di nuova conoscenza»

(Vincenzo Zeno Zencovich, fonte).

 

I giovani si stanno formando alimentati da Facebook, Twitter, YouTube, web community, sms, Skype, blog, e continue evoluzioni, riversando continuamente in rete informazioni personali proprie e altrui, che nel lungo periodo potrebbero ritorcersi contro i diretti interessati perché “la rete ricorda tutto!”. A ciò va aggiunto che le notizie o i commenti riportati in rete, da qualunque fonte essi provengano, tendono a rimanere così come sono “per sempre”, veri o falsi che siano, ovvero completamente decontestualizzati dalle circostanze, dal luogo, dal tempo.

 

Qualcosa pubblicato in rete, anche da parte di altri, può ledere significativamente la dignità di una persona, le sue possibilità di impiego, la sua reputazione, il suo futuro: emblematico è il caso del cyberbullismo, nel quale il molestatore usa la rete per ledere l'autostima e la reputazione della vittima. I casi di suicidi per molestie di questo tipo dimostra come ormai, soprattutto per i giovani, l'identità digitale abbia un ruolo essenziale, se non addirittura preminente, per l'immagine di sé. Si veda a tal proposito l'articolo “Cyberbullismo: quando i social network spingono al suicidio”.

 

In un tale contesto problematico, legato all'effettiva difficoltà di avere un controllo sulle informazioni su di sé immesse in rete e quindi visibili a tutto il mondo per un tempo indeterminato, si inserisce il diritto all'oblio, che è una figura multiforme e mutevole, di difficile definizione. La recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 5525/2012 ha riconosciuto il diritto all'oblio, ripercorrendo l'evoluzione del concetto di privacy da vedere non più in una dimensione statica (nel senso di “riservatezza”) ma dinamica (riferita alla “protezione dei dati personali”) e, nel caso specifico, le sue nuove implicazioni in rapporto alla cronaca giudiziaria.

 

In particolare, secondo la Corte, l'interessato (un politico che si sentiva leso dalla visibilità online di una vecchia cronaca che lo riguardava per un'accusa di corruzione, da cui fu successivamente prosciolto), alla luce di quanto previsto dall'art. 11 del Codice per la protezione dei dati personali, aveva diritto a che l’informazione oggetto di trattamento rispondesse ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale o morale (c.d. principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza). Gli è stato pertanto attribuito il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (art. 7 del Codice).

 

Sempre secondo la Corte «se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza, al soggetto cui i dati appartengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultano ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati». Solo se un fatto di cronaca assume rilevanza quale fatto storico, ciò può giustificare la permanenza del dato, ma mediante la conservazione in archivi diversi (es. archivio storico) da quello in cui esso è stato originariamente collocato.

 

Secondo la Corte, al fine quindi di tutelare l'identità sociale del soggetto cui afferisce la notizia di cronaca, bisogna garantire al medesimo l’aggiornamento della stessa notizia e cioè il collegamento ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o addirittura mutare il quadro sorto a seguito della notizia originaria.

 

Sebbene il diritto all'oblio non abbia un esplicito riconoscimento né nella Costituzione italiana, né nel Codice in materia di protezione dei dati personali, è evidente, dalla sentenza sopra citata, che in tali fonti del diritto si trovino tutti i presupposti necessari al diritto all'oblio, che a livello costituzionale risiedono non soltanto nelle “ragioni e regioni del diritto alla riservatezza”, cioè gli art. 13, 15, 21 della Costituzione, ma anche e soprattutto nell'art. 2 e nell'art. 3 comma 1, laddove si affermano i principi generali del rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo e la pari dignità sociale; nel Codice in materia di protezione dei dati personali, inoltre, si trovano le basi del diritto all'oblio nei concetti di identità e dignità personali (art. 2), i diritti dell'interessato all'accesso, aggiornamento, cancellazione, rettifica, opposizione al trattamento dei dati (art. 7), i principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza (art. 11).

 

Il diritto all'oblio troverà una sua precisa ed esplicita collocazione nel nuovo Regolamento europeo generale sulla protezione dei dati, tuttora in corso di approvazione, all'art. 17, che prevede il diritto all’oblio e alla cancellazione, approfondendo e precisando il diritto alla cancellazione di cui all’articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46/CE e prevedendo le condizioni del diritto all’oblio, compreso l’obbligo del responsabile del trattamento che abbia divulgato dati personali di informare i terzi della richiesta dell’interessato di cancellare tutti i link verso tali dati, le loro copie o riproduzioni. La disposizione prevede inoltre il diritto di limitare il trattamento in determinati casi, evitando l’ambiguo termine di “blocco dei dati”. Per il nuovo Regolamento, quindi, il diritto all'oblio sarà soprattutto un diritto alla cancellazione.

 

La Corte di Giustizia, con la sentenza del 13 maggio 2014, ha obbligato Google ad applicare il diritto all'oblio, inteso come cancellazione di link. Per poter applicare il diritto europeo alla multinazionale americana, la Corte ha ritenuto che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46/CE (ovvero il "principio di stabilimento" che determina il diritto nazionale applicabile) deve essere interpretato nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e l’attività della quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro.

 

La questione è tutt'altro che semplice. «Non siamo d’accordo con la sentenza, ma rispettiamo l’autorità della Corte, facendo del nostro meglio per attenerci ad essa rapidamente e responsabilmente»: con queste parole, in un articolo online del Guardian del 10 luglio 2014 intitolato "Google admits to errors over Guardian 'right to be forgotten' link deletions", il vice presidente di Google nonché responsabile dell’ufficio legale, David Drummond, affronta il nodo del diritto all’oblio, dopo aver ammesso che Google ha erroneamente cancellato link che non dovevano essere rimossi. Il colosso di Mountain View, infatti, con il modulo di richiesta di rimozione di risultati di ricerca ai sensi della legge europea per la protezione dei dati, si è ritrovato in un vero e proprio ginepraio (sta ricevendo 10000 richieste al giorno di rimozione), per questo ha ritenuto di voler istituire un consiglio consultivo di esperti per esaminare la questione del diritto all'oblio: nello stesso articolo è infatti riportato che «Drummond also announced that Google had set up an advisory council of experts to examine the "right to be forgotten" issue. Jimmy Wales, Wikipedia founder and internet campaigner, will sit on the panel, as will Le Monde's editorial director, Sylvie Kauffmann, and the UN special rapporteur Frank La  Rue».

 

Si veda anche: Una questione fondamentale, la proprietà dei dati in rete

Per approfondimenti sul tema del diritto all'oblio, Franco Pizzetti, presidente dell'Autorità Garante per la Privacy dal 18 aprile 2005 al giugno 2012, ha pubblicato nel 2013 il libro "Il caso del diritto all'oblio" (in parte consultabile online), contenente saggi di vari autori.

 

Francesco Galgani,

14 luglio 2014

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