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Buddismo

Traduzione Gongyo (aggiornata al 2014)

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Traduzione dei capitoli Hoben (Espedienti) e Juryo (Durata della vita del Tathagata)

Prima parte - Espedienti

A quel tempo l'Onorato dal Mondo sorse serenamente dal samadhi e, rivolto a Shariputra, disse: «La saggezza dei Budda è infinitamente profonda e incommensurabile. L'accesso a questa saggezza è difficile da comprendere e difficile da varcare. Nessuno tra gli ascoltatori della voce o tra i pratyekabuddha è in grado di comprenderla.
«Qual è la ragione di ciò? I Budda hanno assistito centinaia, migliaia, decine di migliaia, milioni, un numero infinito di Budda e hanno portato a termine innumerevoli pratiche e dottrine. Si sono esercitati con coraggio e diligenza e il loro nome è universalmente noto. Hanno percepito la Legge profonda e finora mai conosciuta e la espongono in modo appropriato alle circostanze; eppure la loro intenzione è difficile da comprendere. «Shariputra, da quando ho conseguito la Buddità ho esposto ampiamente i miei insegnamenti servendomi di varie cause e parabole e con innumerevoli espedienti ho guidato gli esseri umani inducendoli a rinunciare ai loro attaccamenti. Per quale motivo? Perché i Tathagata sono completamente dotati sia degli espedienti sia della paramita della saggezza.
«Shariputra, la saggezza dei Tathagata è vasta e profonda. Essi sono dotati di infinita [compassione] e di illimitata [eloquenza], di potere, coraggio, concentrazione, emancipazione e samadhi; inoltre sono penetrati profondamente nell'infinito e si sono risvegliati alla Legge finora mai conosciuta.
«Shariputra, i Tathagata sanno come operare diversi gradi di distinzione fra gli insegnamenti e li predicano con abilità. Le loro parole sono soavi e gentili e rallegrano il cuore delle moltitudini.
«Ricapitolando, Shariputra, i Budda hanno pienamente realizzato la Legge infinita, incommensurabile, finora mai conosciuta.
«Ora basta, Shariputra, altro non dirò, perché la Legge cui si sono risvegliati i Budda è la più rara e la più difficile da comprendere. Il vero aspetto di tutti i fenomeni può essere compreso e condiviso solo tra Budda. Questa realtà consiste di: aspetto, natura, entità, potere, azione, causa [interna], relazione, effetto [latente], retribuzione e della loro coerenza dall'inizio alla fine.»

Seconda parte - Durata della vita del Tathagata

Da quando ho conseguito la Buddità il numero di kalpa che sono trascorsi è incalcolabile: centinaia, migliaia, miriadi, milioni, miliardi, asamkhya.
Io ho predicato costantemente la Legge, istruendo e convertendo innumerevoli milioni di esseri viventi, facendoli entrare nella via del Budda; tutto questo per kalpa innumerevoli. Per salvare gli esseri viventi, uso l'espediente di mostrare il mio nirvana ma in verità non mi estinguo.
Sono sempre qui a predicare la Legge.
Sono sempre qui, ma grazie ai miei poteri sovrannaturali faccio in modo che gli esseri viventi obnubilati non mi vedano, neanche quando sono vicino.
Quando le moltitudini vedono la mia estinzione, per ogni dove fanno offerte alle mie reliquie.
Tutti nutrono pensieri nostalgici e i loro cuori anelano vedermi.
Quando gli esseri viventi diventano devoti credenti, dall'animo retto e sincero, e desiderano con un'unica mente vedere il Budda anche a costo della vita, allora io e l'assemblea dei monaci appariamo insieme sul sacro Picco dell'Aquila.
Allora io dico loro che sono sempre qui, che non mi estinguo mai, ma che, in virtù del potere degli espedienti, a volte sembra che io sia morto, a volte no; dico anche che se vi sono esseri viventi in altre terre, rispettosi e sinceri nel loro desiderio di credere, allora io predico la Legge suprema anche presso di loro.
Ma voi non avete mai udito queste mie parole, così pensate che io scompaia.
Quando osservo gli esseri viventi li vedo annegare in un mare di sofferenze; perciò non mi mostro, facendo scaturire il loro desiderio. Poi, quando i loro cuori bramano la mia venuta, faccio il mio avvento e predico la Legge per loro.
Questi sono i miei poteri sovrannaturali.
Per asamkhya di kalpa sono sempre vissuto sul sacro Picco dell'Aquila e in diversi altri luoghi. Quando gli esseri viventi assistono alla fine di un kalpa e tutto arde in un grande fuoco questa, la mia terra, rimane salva e illesa, costantemente popolata di esseri celesti e umani.
Le sale e i palazzi nei suoi giardini e nei suoi boschi sono adornati di gemme di varia natura. Alberi preziosi sono carichi di fiori e di frutti e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio.
Gli dèi suonano tamburi celesti creando un'incessante sinfonia di suoni. Boccioli di mandarava piovono dal cielo posandosi sul Budda e sulla moltitudine.
La mia pura terra non viene distrutta, eppure gli uomini la vedono consumarsi nel fuoco: ansia, paura e altre sofferenze predominano ovunque.
Questi esseri viventi con molte colpe, per il karma creato dalle loro azioni malvagie, trascorrono asamkhya di kalpa senza udire il nome dei tre tesori.
Ma coloro che praticano vie meritorie, che sono gentili, miti, onesti e retti, tutti loro mi vedranno qui, in persona, intento a predicare la Legge.
In certe occasioni io spiego a questa moltitudine che la durata della vita del Budda è incalcolabile, e a coloro che vedono il Budda solo dopo molto tempo spiego quanto sia difficile incontrare il Budda.
Tale è il potere della mia saggezza: la sua luce risplende senza limiti.
Ho conseguito questa vita che dura da infiniti kalpa come risultato di una lunga pratica. Voi, che siete dotati di saggezza, non dubitate di ciò!
Abbandonate ogni dubbio una volta per tutte, poiché le parole del Budda sono vere, non false. Egli è come l'abile medico, che usa uno stratagemma per curare i figli usciti di senno. Sebbene sia vivo, diffonde la notizia della sua morte, ma nessuno può accusarlo di menzogna.
Io sono il padre di questo mondo che salva coloro che sono afflitti e soffrono. Dato che le persone comuni sono illuse, sebbene io viva, faccio credere di essere estinto.
Questo perché, se mi vedessero costantemente, nelle loro menti sorgerebbero arroganza ed egoismo. Liberi da ogni freno, si abbandonerebbero ai cinque desideri e cadrebbero nei cattivi sentieri.
Io so sempre chi sta praticando la via e chi non lo sta facendo, e, in risposta al loro bisogno di salvezza, predico per loro diverse dottrine.
Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?

(Il Sutra del Loto, Esperia, 2014, traduzione di Burton Watson, pagg. 65-66 e 316-319)

Pillole di Buddismo - Verso una vera filosofia

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Ognuno di noi ha dentro di sé potenzialità illimitate, riserve di coraggio e positività che spesso rimangono inutilizzate perché viviamo in un contesto sociale che non incoraggia e non insegna a guardarsi dentro. La mancanza di una filosofia che funga da guida è la causa fondamentale dell’impasse nella quale si trova il mondo d’oggi. Una società senza filosofia è come un edificio privo di una struttura solida: anche se splendidamente e riccamente decorato all’esterno, è destinato inevitabilmente a crollare quando viene colpito da tempeste e terremoti. La prosperità della civiltà moderna è altrettanto fragile.

Imparando a conoscere la saggezza della filosofia, riusciamo a superare le difficoltà che incontriamo ogni giorno, nel corso della nostra vita. Indipendentemente dal tipo di problema, l’interpretazione del problema stesso può avere un effetto positivo oppure negativo sulla vita di ognuno di noi. Adottando un’interpretazione positiva, ciascuno di noi può trasformare i propri problemi in un nutrimento per lo sviluppo della propria crescita personale. Quando riusciamo a cambiare il nostro punto di vista, ci rendiamo conto che le difficoltà ci alimentano come esseri umani, proprio come carburante per il motore.

Tutti noi condividiamo il desiderio di porre rimedio alle difficoltà e di conoscere il valore, lo scopo e il significato della nostra vita. Secondo gli insegnamenti del buddismo mahayana, il donare è una delle pratiche del bodhisattva. Ci sono tre tipi di dono: il primo è dare aiuto materiale, il secondo è trasmettere la Legge, ovvero l’insegnamento che conduce all’illuminazione, e il terzo è aiutare le persone ad eliminare le paure e raggiungere la pace spirituale, che permette di superare le difficoltà nel mondo del lavoro, nella vita quotidiana e in qualsiasi altro campo. Lo scopo del buddismo è il raggiungimento di uno stato libero da qualsiasi paura, nel quale ciascuno di noi può manifestare coraggio e saggezza, con l’intento di pace e benessere per tutti.

I nostri più grandi nemici sono le illusioni e le aspettative non realistiche. Nella maggior parte dei casi, le nostre cosiddette limitazioni non sono niente di più che le nostre decisioni di imporcele. Noi possiamo superare le nostre limitazioni autoimposte e, una volta demolite, sarà sempre più difficile per gli altri rinchiuderci in spazi confinati.

La filosofia inizia con domande mirate alla comprensione e alla scoperta della verità. Pone dubbi, anziché certezze in cui credere. L’ideologia, invece, si basa sulla certezza o addirittura sull’inflessibilità dogmatica delle proprie convinzioni, oppure di quanto c’è stato insegnato. L’ideologia può rivelarsi un vero e proprio lavaggio del cervello, paralizzando in tal modo la capacità delle persone di porre, o porsi, domande. Un’epoca senza una filosofia che funga da guida è un’epoca nella quale le persone hanno smesso di fare domande. Le domande allargano la nostra visione della vita.

La vera filosofia prospera nelle azioni di ogni singolo individuo che cerca di condurre una vita buona e onesta, senza essere influenzato dalle tentazioni di fama e fortuna.

(13 luglio 2021)

Per approfondire: “Qualunque fiore tu sia sboccerai”, di Daisaku Ikeda e Lou Marinoff, Piemme editore

Pillole di Buddismo - Le parole

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«L'universo è un unico essere. Tutto e tutti sono interconnessi attraverso una rete invisibile di storie. Che ne siamo consapevoli o meno, siamo tutti in una conversazione silenziosa. Non fare del male, pratica la compassione. E non spettegolare alle spalle di nessuno - nemmeno un'osservazione apparentemente innocente! Le parole che escono dalla nostra bocca non svaniscono, ma sono perpetuamente immagazzinate nello spazio infinito e torneranno a noi a tempo debito. Il dolore di un uomo ci farà male a tutti. La gioia di un uomo farà sorridere tutti.»

Shams Tabrizi (1185 - 1248), mistico, poeta e filosofo persiano

fonte: http://feelingbuddhaful.com/40-rules-of-love-by-shams-tabirzi/

testo originale:

«The universe is one being. Everything and everyone is interconnected through an invisible web of stories. Whether we are aware of it or not, we are all in a silent conversation. Do no harm—practice compassion. And do not gossip behind anyone’s back – not even a seemingly innocent remark! The words that come out of our mouths do not vanish but are perpetually stored in infinite space and they will come back to us in due time. One man’s pain will hurt us all. One man’s joy will make everyone smile.»

Pillole di Buddismo - La gratitudine

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Vivere consapevolmente grati di tutto ciò che abbiamo ricevuto dagli altri, con il desiderio di ricompensarli, arricchisce la nostra esistenza. Ignorare ciò che dobbiamo agli altri impedisce il cammino verso la crescita personale.

La gratitudine verso i propri genitori, pur potendo sembrare una piccola cosa, è la prova del nostro sviluppo e della nostra crescita come esseri umani. Una persona che non riesce ad amare i propri genitori non può amare nessuno. L’essenza del nostro cammino spirituale consiste nel superamento della nostra mancanza di compassione. Sia il mondo orientale che quello occidentale convergono su questo punto: la cultura confuciana enfatizza la pietà filiare, mentre la tradizione giudaico-cristiana insegna i comandamenti di Mosè, tra i quali ricordiamo: «Onora il padre e la madre». Laddove i figli smettono di onorare i genitori (e i genitori smettono di fare da guida per i figli), la società si disintegra.

Anche se ognuno di noi ha un padre biologico, esistono molte altre figure paterne, come i maestri, i santi e i saggi. Lo stesso discorso può essere declinato al femminile per le figure materne, ad es., tra le figure materne della nostra epoca, mi viene in mente l'indiana Vandana Shiva. Se apriamo la nostra mente a tali figure, siamo certi di incontrare una guida per tutta la vita. Possiamo imparare qualcosa da tutti, come ci ricorda Confucio: «Quando incontrate persone virtuose cercate di emularle, quando incontrate persone che tali non sono, guardate in voi e meditate. Se viaggiassimo in tre, certamente avrei sempre un maestro accanto: dell’uno coglierei i pregi per trarne esempio, dell’altro coglierei i difetti per emendarmi. Pertanto è essenziale l’altrui presenza, giacché è nel rapporto con l’altro che si attiva il pensare e l’agire dell’uomo». Queste parole di Confucio dovrebbero più che mai rafforzare la nostra gratitudine per l’incontro con altre persone e per la loro esistenza. Ciascuno di noi esiste perché esistono gli altri, e viceversa. Il monaco buddista giapponese Nichiren Daishonin dimostrò rispetto e compassione persino per chi attentò alla sua vita, senza la minima lamentela, sostenendo che tutto il suo agire era motivato dal ripagare il suo debito di gratitudine; in una lettera, riferendosi al fatto che in nessun luogo del Giappone fosse al sicuro perché era odiato da tutti, scrisse: «[...] Come le montagne si sovrappongono alle montagne e le onde seguono le onde, così le persecuzioni si aggiungono alle persecuzioni e le critiche si aggiungono alle critiche. [...]», e in un'altra lettera espresse così i suoi sentimenti al riguardo: «[...] Ho fatto tutto questo unicamente per ripagare il debito di gratitudine che ho con i miei genitori, con il mio maestro, con i tre tesori del Buddismo e con il mio paese. Per loro ero disposto a distruggere il mio corpo e a dare la mia vita sebbene, come poi accadde, sono riuscito a scampare alla condanna a morte. [...] Ma sono tormentato da alcuni dubbi. [...] Anche facendo tutti gli sforzi possibili per la salvezza degli altri, è molto difficile salvarli dalla retribuzione del karma che loro stessi hanno creato. [...] Inoltre,  non  posso fare a meno di pensare che, qualunque cosa accada, bisognerebbe sempre preoccuparsi e avere compassione dei propri figli e discepoli. [...]». Ricordiamo anche le parole di Nelson Mandela, che ci ha lasciato l'esempio di trattare come amici persino i suoi oppressori: «Nel fondo del cuore di ogni individuo alberga una fiamma di bontà e umanità che non potrà estinguersi mai del tutto. Nel momento in cui si riesce a toccare profondamente il cuore di una persona, questa fiamma può arrivare a trasformarla completamente».

Per quanto riguarda coloro i cui genitori non ci sono più, la saggezza e la virtù dei genitori continuano a persistere nella vita e nelle azioni dei figli e dei nipoti.

Coloro che continuano a nutrire il desiderio di apprendere e di svilupparsi, indipendentemente dall’età o dalla posizione sociale, riescono a manifestare potenzialità oltre ogni immaginazione.

Tutti i figli sono “creature del futuro”. Tutti gli adulti, non solamente i genitori, devono assumersi la responsabilità del futuro dei giovani. Per questo è importante passare da una educazione che soddisfi le esigenze della società a una società che soddisfi le esigenze fondamentali dell’educazione. Tra queste esigenze fondamentali, vedo prioritario il passaggio da una cultura competitiva e giudicante, basata su lamentele, pretese e accuse, ad una cultura di gratitudine, lode e accoglienza della vita così com’è. In tale rinnovata cultura, la vita di ciascuno ha senso in quanto parte di un tutto di cui tutti facciamo parte, come insegna la filosofia e religione africana dell’Ubuntu, o come ci ricorda il mistico, poeta e filosofo persiano Shams Tabrizi, quando dice: «Il dolore di un uomo ci farà male a tutti. La gioia di un uomo farà sorridere tutti».

Quando incontriamo un bambino o una bambina, partiamo dal presupposto di poter imparare qualcosa insieme. Un’esistenza basata sulla gratitudine per la vita riduce spontaneamente i propri bisogni a quelli essenziali, senza lasciarsi inghiottire e distruggere dal tecno-turbo-capitalismo contemporaneo: tra questi bisogni essenziali, quelli animici di nutrimento e scambio affettivo prevalgono.

I figli osservano sempre i propri genitori, e i loro litigi li possono ferire profondamente. E’ molto importante che i genitori si integrino e si aiutino a vicenda per creare una famiglia saggia e allegra, nella quale i figli possano crescere con valide figure di riferimento.

(20 luglio 2021)

Il conseguimento della buddità in questa esistenza (Gosho, audio mp3, spiegazione di Ikeda)

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"Buddità - voce di Francesco Galgani.mp3"

In questo audio di circa un'ora leggo, nella parte iniziale, la traduzione di un antico testo (Gosho) del 1255 (scritto dal monaco buddista giapponese Nichiren Daishonin), che spiega la buddità (è intitolato "Il conseguimento della buddità in questa esistenza"), a cui faccio seguire la lettura di una spiegazione dell'attuale maestro buddista giapponese Daisaku Ikeda.
Era un audio che preparai per me stesso in occasione degli esami di buddismo di primo livello.

(Registrazione eseguita nel 2010)

Pillole di Buddismo - Vivere vegan

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Thích Nhất Hạnh è un monaco buddista a me caro, poeta e attivista vietnamita per la pace.
Nel 2007 ha ispirato decine di migliaia di praticanti a seguire una dieta vegana, con queste parole: «In passato i buddisti erano vegetariani con l'intenzione di nutrire la nostra compassione verso gli animali. Ora sappiamo che dovremmo essere vegani per proteggere la Terra».

«Nel buddismo parliamo di azione collettiva. A volte pensiamo che quando nel mondo accade qualcosa di sbagliato, la causa sono gli altri, non noi. Ma noi partecipiamo a questa azione sbagliata con le nostre scelte di vita».

«Questo è il motivo per cui è così urgente imparare a cambiare il nostro modo di vivere la vita quotidiana, in modo che ci sia più consapevolezza, più pace, più amore. E lo possiamo fare a partire da ora, da oggi».

«Per gli attivisti è importante avere una pratica spirituale, che li aiuti a soffrire meno, a nutrire la loro felicità e a gestire la sofferenza, in modo che possano aiutare il mondo in modo efficace. La rabbia e la frustrazione non sono di grande aiuto».

Per approfondimenti: https://plumvillage.org/it/thich-nhat-hanh/key-teachings/

Pillole di Buddismo - L'offerta del coraggio

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Fidarsi e affidarsi al Gohonzon, ovvero alla Legge mistica, ovvero alla natura illuminata che è dentro di noi e in qualsiasi altro luogo, corrisponde a fidarsi e ad affidarsi alla vita e a ciò che ci propone, consapevoli che ciascuno di noi ha una “missione” in questo mondo di Saha, cioè in questo mondo corrotto, ma al contempo puro, dove gli esseri si debbono esercitare nella pazienza e nella sopportazione. Questo affidamento, o fede, è la prima e principale forma di coraggio. Anche credere fermamente di avere una missione, ovvero di non essere qui per caso, è una grande ed essenziale forma di coraggio, che alimenta continuamente il nostro spirito di ricerca. Non a caso, nella visione buddista, non esistono terre pure o impure di per sé, ma soltanto terre dove gli esseri umani praticano la bontà o la malvagità.

L’equivalenza tra fidarsi e affidarsi al Gohonzon e fidarsi e affidarsi alla vita ha un profondo radicamento nel credere fermamente che la qualità della preghiera e la qualità della vita si equivalgono. Da questo punto di vista, tutti gli aspetti esteriori del rito buddista (cura del tempio, posizionamento di incenso, candele e offerte, cura e igiene del corpo, abbigliamento, postura, ecc.), hanno senso soltanto come incentivi per favorire una seria, rispettosa, dignitosa e vigorosa preghiera, al di fuori di questo non hanno altro significato. Del resto, è possibile fare anche un’eccellente preghiera in carcere, in ospedale, malati a letto o in altre circostanze che non rendono possibile la cura dei dettagli esteriori.

Un’altra forma essenziale di coraggio, che è in diretta conseguenza del proprio senso di missione, è l’offrire tutto (i propri talenti, le proprie realizzazioni anche economiche, il proprio tempo, in poche parole “la propria vita”) a un bene più grande che trascende la nostra esistenza e che ci riguarda tutti. Per dirla con una metafora buddista, ciò equivale a spostare la priorità di ciò che è realmente importante dal singolo nodo della Rete di Indra a tutta la Rete, affinché la nostra presenza nella Rete sia di benefica utilità per la Rete nel suo complesso. Questo è il passaggio dal “piccolo io” al “grande noi”.

Il coraggio dei veri eroi è quello di considerare ogni circostanza di vita e ogni incontro interpersonale come un’occasione di crescita e di apprendimento: la vita, negli infiniti modi in cui si manifesta, è nostra maestra. Il nostro modello di vita è il bodhisattva “Mai Sprezzante” (Fukyo), la cui pratica era quella di inchinarsi con riverenza di fronte a chiunque incontrasse e lodarne l’inerente natura di Budda. Tuttavia ciò provocava come risposta solo violenze e insulti. Le affermazioni di Mai Sprezzante mettevano senza dubbio alla prova le loro convinzioni sulla natura della vita di segno negativo, profondamente radicate. Tali reazioni, comunque, non riuscirono mai a smuovere le sue convinzioni: semplicemente egli si ritraeva a distanza di sicurezza e ripeteva l’inchino, onorando il potenziale positivo dei suoi persecutori. Col passare del tempo l’umanità di Mai Sprezzante brillò a tal punto che coloro che lo avevano disprezzato divennero suoi discepoli, e così poterono entrare nel sentiero per ottenere essi stessi  I’illuminazione.

Nell’offrire tutto ciò alla vita, al Gohonzon, alla Legge mistica, in definitiva a noi stessi, è “normale” che riusciamo a fare cose che, con stati di coscienza meno progrediti, meno coraggiosi, meno perseveranti e più egoistici (ovvero dimorando nei mondi inferiori), giudicheremmo impossibili: queste realizzazioni fuori dall’ordinario diventano possibili perché non sono per vanto personale (che ormai ha perso significato), ma per lodare, ringraziare e riverire la vita, proseguendo insieme in un cammino di fede e di maggiore consapevolezza. Questa è la ragione fondamentale per cui nelle riunioni di discussione (zadankai) condividiamo le esperienze di fede, per progredire insieme e incoraggiarci a vicenda.

(27 luglio 2021)

Pillole di Buddismo - Oltre le bugie (e oltre il green pass)

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Qualunque tipo di potere inteso come coercizione (potere politico, religioso, scolastico, medico-scientifico, ecc.) esercita la sua funzione demoniaca e legittima se stesso tramite l’istituzionalizzazione della bugia a verità. Questo è un modus cogitandi et operandi universale, che trascende le circostanze storiche e culturali. Per questa stessa ragione, chi ama non ricerca mai la coercizione altrui, casomai prova a favorire una libertà responsabilizzante mirata ad un’autonoma acquisizione di consapevolezza per il tramite dell’esperienza.

Per fortuna qualsiasi istituzione umana, così come ogni persona, non ha soltanto funzioni egoiche (cioè demoniache o distruttive), ma anche animiche (cioè benefiche e dirette al bene di tutti noi). Le costruzioni egoiche, prima o poi, franano come castelli fatti con carte da gioco: per quanto possano durare perseverando nell’istituzionalizzazione della bugia a verità e a legge, si tratta comunque di costruzioni illusorie che non reggono il contatto con una singola verità. Poiché il potere coercitivo è consapevole di ciò, farà di tutto per ostacolare, deviare, rallentare o impedire l’ineluttabile acquisizione di consapevolezza da parte delle masse, nella qual cosa di solito è efficace, perché il Re Demone è il principe di questo mondo e i suoi alleati sono ovunque. Il Re Demone trae la sua forza dalle nostre debolezze e desideri, ma la nostra emancipazione dalle sue lusinghe e la nostra acquisizione di consapevolezza sono, appunto, ineluttabili. Il mondo di oggi è come una bolla di sapone che è scoppiata: l’attuale società ci incoraggia a soddisfare ogni desiderio, alimentando di conseguenza la nostra sofferenza. La prosperità effimera di cui godiamo, o di cui abbiamo goduto, ci è costata cara e il potere che esercitano su di noi i desideri è appunto demoniaco. Le menzogne e i miti sono duri a morire, come il dna sono trasmessi da una generazione all’altra, ma non sono eterni.

Abbiamo permesso alla qualità oscura della vita umana di trasformare il desiderio, il sé e l'intelligenza in forze del male: ora si trova nel controllo del governo, del capitale, degli affari e della scienza. Questa qualità crea guerre, inquinamento, distruzione della natura e del nostro essere.

Siamo noi esseri umani che abbiamo dato vita a questa “creatura demoniaca”, abbandonandoci al potere illusorio del Re Demone, mettendo le nostre qualità migliori al suo servizio, e ora... siamo al capolinea o agli albori di una nuova civiltà virtuosa? Credo che entrambe le opzioni siano la risposta giusta: non si escludono a vicenda, ma sono coesistenti e correlate.

Tra i castelli di carte da gioco destinati a franare al primo alito di consapevolezza di verità, c’è la narrazione istituzionale della dichiarata pandemia covid, dei vaccini e di tutto l’illusionismo emotivo-terroristico al contorno, la cui ultima creatura infernale, nel momento in cui scrivo, è il green pass. Non ho bisogno di giustificare quest’ultima mia asserzione, i cacciatori di verità sanno dove frugare e sono già informati.

Ma come possiamo affrontare tutto ciò e andare oltre le bugie, oltre il procurato allarme a livello mondiale, oltre il falso ideologico da parte delle autorità e oltre la circonvenzione di persone sì capaci di intendere e volere, ma così emozionate dalla paura o così sotto la morsa del ricatto dal non rendersi conto che uno dei primi intenti del potere è mettere fratello contro fratello, amico contro amico, povero contro povero?

Secondo me, il grande errore da evitare, perché sarà di aiuto e non di ostacolo agli aspetti demoniaci del potere, è quello di ingaggiare una guerra su “chi ha ragione” e “chi ha torto”, su “cosa è giusto” e “cosa è sbagliato”, entrando così nello stesso meccanismo perverso che si desidera contrastare, cioè l’imposizione della volontà di qualcuno (in questo caso la propria) su quella di altri. Per quanto ciò possa rientrare in una legittima rivendicazione di diritti, scavando al di là della facciata esteriore troviamo rabbia e violenza almeno potenziale, magari non espressa in maniera visibile, ma di natura equiparabile a quella del potere (sebbene il rapporto di forze sia, di solito, incomparabilmente a nostro sfavore).

Cosa fare, quindi?

E’ qui che può avvenire un ribaltamento di prospettiva, dove il problema principale non è più quello di “avere ragione”, ma di essere “maestri di ascolto e di compassione”, capaci di entrare in rispettosa empatia e legame emotivo con gli altri esseri e con le loro anime.

Una singola verità pronunciata da un maestro di compassione può recare assai più beneficio delle urla di una miriade di persone arrabbiate, sebbene, almeno nell’immediato, difficilmente sarà accolta, perché maggiore è la saggezza di un consiglio e maggiore, di solito, è l’irritazione che provoca.

Tutto ciò richiede un grande lavoro su noi stessi, un coraggioso non-attaccamento ai propri schemi e convinzioni (che equivale alla flessibilità di poter cambiare idee, comportamenti, stile di vita, e anche di poter mettere in discussione le posizioni che qui ho espresso), l’umiltà di accogliere i propri errori come momento di crescita, la voglia di imparare da tutti e il riconoscimento della legittima piena libertà di tutti di fare le proprie scelte, che in senso assoluto non sono mai né giuste né sbagliate.

(30 luglio 2021)

Pillole di Consapevolezza - La disciplina della Pazienza secondo un'Intelligenza Spirituale Interreligiosa

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Ringrazio il caro maestro Mauro Scardovelli per questo suo recente video del 29 luglio 2021 (fonte), riportato in calce, in cui è tornato a occuparsi di una tematica universale e fuori dal tempo. Qui egli affronta la Pazienza come qualità dell'Anima, da una prospettiva che comprende contributi della Cristianità e del Buddismo. Mi ha sorpreso come le sue riflessioni siano in armonia con la mia quotidiana e frequente Meditazione dell'Audizione, in particolare con l'apertura accogliente e non giudicante verso ciò che ci offre la vita.

Per chi come me segue con dedizione Mauro ormai da molti anni, certe espressioni da lui usate e i significati di certi termini (come Ego ed Anima) sono ormai assodati. Per coloro che comunque non hanno ancora approfondito il suo pensiero, o desiderano ripassarlo, rimando alla raccolta di video che ho fatto in sua memoria, affinché non vadano persi (è un mio archivio di suoi video vecchi ma significativi). Ho dedicato inoltre una speciale sezione monotematica del mio blog sulla "Comunicazione Non Violenta", anch'essa con video di Mauro.

Grazie a tutti,
1 agosto 2021

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Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva

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Ogni giorno è un giorno buono per avere pensieri positivi e per essere grati dei doni della vita. Nel proseguo di questo articolo, vedremo come tale disposizione d’animo faccia cambiare direzione al nostro destino.

Per prima cosa, è già appurato e dimostrato che la sola disposizione mentale, anche restando fermi in meditazione o in preghiera, cambi in maniera significativa gli eventi attorno a noi. Ne avevo già parlato nell’articolo “Non crediamo a quelle forme-pensiero che tolgono energia”, referendomi nello specifico al cosiddetto “Maharishi Effect”. Nel 1978, 7.000 persone meditarono con l’intenzione di avere un effetto positivo sulla città circostante per tre settimane consecutive. Il risultato dei loro sforzi di meditazione intenzionali e collettivi fu che l’energia collettiva della città venne completamente trasformata: si ridussero i tassi globali di criminalità, gli atti violenti e le morti in media del 16%; diminuirono i suicidi e gli incidenti stradali, tenendo conto di tutti i fattori variabili; le attività terroristiche si ridussero del 72% nel corso del progetto di meditazione. Da allora sono stati condotti più di 50 studi per verificare la validità dell’Effetto Maharishi e i risultati hanno confermato l’impatto diretto che la meditazione globale ha sul mondo.

Un altro esempio del potere di ciò in cui crediamo è dato dalle “profezie che si autoavverano”, di cui avevo parlato in “Pillole di Psicologia - Il senso delle preghiere”. Nel 1948, il sociologo statunitense Robert King Merton (1910-2003), introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità». Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas (1863-1947), aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: «Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze».

Dopo queste premesse, già dovrebbe essere evidente che prestare attenzione a direzionare positivamente pensieri e parole abbia un grande effetto benefico. Sottovalutare o negare questo fatto significa soltanto vivere in maniera meno consapevole e meno gratificante: credere che tutto dipenda soltanto dalle azioni indipendentemente dai pensieri, o al contrario dal caso o dalla predestinazione, è un atteggiamento irrispettoso verso noi stessi e controproducente.

Nella vita quotidiana, infatti, otteniamo quasi sempre risultati migliori per noi stessi e per le persone vicine evidenziando le positività, invece delle negatività. Da un certo punto di vista, la nostra disposizione interiore, o orientamento del cuore e dell’intelletto, compie miracoli, ma di solito non ce ne accorgiamo. Tutto ciò, ovviamente, a condizione che pensieri, parole e azioni vadano nella stessa direzione. Come scrissi in “Fede positiva?”, «Nulla è a caso e i nostri pensieri possono essere profezie auto-avverantesi. Le parole sono importanti ed è proprio per questo che vanno legate all'azione, altrimenti diventano parole svuotate di significato. Lo stesso vale per le parole che compongono le nostre preghiere». Per esprimere lo stesso concetto con riferimento alla fede buddista nel Sutra del Loto, il maestro Nichiren Daishonin, in una lettera del 1276, si espresse così: «Ma c’è una differenza fra i benefici del daimoku recitato da un santo e i benefici del daimoku che recitiamo noi? Per risponderti, nessuno dei due è in alcun modo superiore o inferiore all'altro. L'oro posseduto da uno stolto non è differente dall'oro posseduto da un sapiente; il fuoco acceso da uno stolto è uguale al fuoco acceso da un sapiente. Tuttavia c'è una differenza se si recita il daimoku e allo stesso tempo si va contro l'intento di questo sutra» (tratto dal Gosho “Le quattorci offese”).

L’ottimismo nasce dalla fiducia nella vita, cioè in noi stessi e nel nostro ambiente: concretamente significa, volta per volta, fare scelte fiduciose in cui cuore e intelletto agiscano insieme, senza pretese e senza bisogno di esercitare alcun controllo ossessivo su noi stessi, sulle altre persone o sulle cose che accadono.

Provo a mostrare meglio questo concetto con una metafora vicina a un certo tipo di pensiero mistico che si riconosce nell’espressione «Deus sive Natura» (letteralmente «Dio ossia la Natura») del filosofo Baruch Spinoza (1632 - 1677). Per chi vuole approfondire, avevo affrontato il pensiero di Spinoza nell’articolo “Dalla tirannia incostituzionale televisiva a Baruch Spinoza”. Non voglio entrare qui nello storico dibattito teologico sulle idee di Spinoza, perché ci porterebbe fuori strada. Chiedo soltanto ai miei lettori pazienti di provare, per un attimo, a osservare la realtà con la stessa visione che questo filosofo ci ha trasmesso. Ecco, dovrebbe esserci evidente che se «Deus sive Natura», allora l’assurdità di avere lamentele, pretese, giudizi e bisogno di controllo ossessivo verso la vita equivale in tutto e per tutto a bestemmiare, cioè a giudicare Dio. Spero che questa chiave di lettura possa suscitare in tutti noi prudenza quando apriamo bocca o abbiamo atteggiamenti di lamentela o di disprezzo.

Per fare un altro esempio di saggezza interreligiosa, come riportato dal filosofo Lou Marinoff nel libro "Qualunque fiore tu sia sboccerai" (a pag. 37), secondo la cabala, che è l'insieme degli insegnamenti esoterici dell'ebraismo rabbinico, ogni situazione può e dovrebbe essere interpretata in modo positivo per celebrare ogni istante della propria esistenza.

Tornando alle vicissitudini quotidiane, l’ottimismo è, ad esempio, un fattore vitale tra i sopravvissuti ai naufragi, talvolta rimasti in balìa dell’oceano per molti giorni, in zattere aperte, esposti alle intemperie e ad altri pericoli, spesso senza cibo né acqua. Coloro che mantengono un atteggiamento positivo, e credono che saranno salvati in tempo, hanno maggiori probabilità di sopravvivere alle traversie rispetto a coloro che si disperano e abbandonano ogni speranza.

Per tutte queste ragioni, ciò in cui ciascuno di noi “crede” in un dato momento ha un ruolo cruciale nella creazione della “propria realtà”, del proprio inferno, paradiso o altro tipo di esistenza.

Non è solo una questione di fede religiosa o di altro tipo, è innanzitutto questione del “mondo interiore” in cui solitamente dimoriamo. Nella recente serie televisiva “Lucifer” (2016-2021), creata da Tom Kapinos, non è il diavolo a infliggere di propria volontà le pene, ma sono le anime stesse dei dannati a creare il proprio “loop infernale”, da cui potrebbero uscire se lo volessero, cioè liberarsi, ma non lo fanno: tale genio cinematografico significa qualcosa?

Queste che sto scrivendo sono solo parole, eppure c’è qualcosa di straordinario nel potere della nostra disposizione interiore su tutto l’ambiente circostante. Nell’audiolibro “Il dono del silenzio(a partire da 2 ore e 10 minuti circa), Thich Nhat Hanh racconta un evento realmente accaduto in un tempio vietnamita, durante la Guerra del Vietnam: i soldati francesi entrarono con le loro armi nel tempio e sentirono fin da subito una sensazione di disagio. Sentivano di non essere soli, ma non vedevano nessuno perché c’era poca luce. Usando una torcia elettrica, videro una cinquantina di monaci seduti in meditazione: lo stato d’animo dei soldati cambiò radicalmente, si sentirono assolutamente impotenti e incapaci di nuocere. I monaci buddisti non dissero nulla e continuarono la loro meditazione, i soldati rimasero turbati, se ne andarono e uno di loro in particolare cominciò a comprendere l’assurdità della guerra. Tutto ciò accadde in silenzio.

Soffermiamoci sui mondi interiori, perché la costruzione della “nostra realtà”, come ho appena accennato, dipende dal mondo in cui ci troviamo. I “Dieci mondi” (o “Dieci regni dell'esistenza”) è una dottrina buddista mahayana cinese, originatasi all'interno della scuola del Gran Maestro T’ien-t’ai (538-597), la cui biografia su Wikipedia è riportata alla voce "Zhìyǐ Tiāntái Dàshī" (è la stessa persona, ma la traslitterazione del nome cinese in caratteri latini è fatta diversamente). La dottrina dei “Dieci mondi” si diffuse, a partire dalla Cina, nei paesi influenzati dal “Canone buddista cinese”, ovvero Giappone, Corea e Vietnam. Una descrizione approfondita di questi dieci mondi richiederebbe almeno un libro (ad es. "I dieci mondi - Introduzione al Buddismo di Nichiren Daishonin" di Richard Causton, Esperia editore, 2004, fuori catalogo e difficile da trovare, oppure il più recente libretto tascabile del 2012 "I dieci mondi", ancora acquistabile e disponibile anche come ebook), qui mi limiterò ad una sintesi. Per chi vuole approfondire, segnalo la dispensa gratuita di 19 pagine, in PDF, "I dieci mondi".

Iniziamo con una immagine schematica dei dieci mondi (puoi cliccarci sopra per ingrandirla):

Dieci Mondi (Buddismo di Nichiren Daishonin)

In ordine dal più basso e negativo verso il più alto e desiderabile, troviamo:

1) Il mondo d’inferno, una condizione di disperazione nella quale siamo completamente sopraffatti dalla sofferenza, dal senso di impotenza e di impossibilità di uscire da tale sofferenza. Il termine Inferno deriva dalla parola sanscrita naraka, che letteralmente indica una prigione sotterranea. Il nome giapponese (jigoku) è composto da due caratteri che significano “terra” e “prigione”. Terra indica il luogo più in basso di tutti, e prigione lo stato in cui l’essere è legato e totalmente immobilizzato: la condizione spirituale di una persona a cui è stata tolta la volontà di vivere e di agire, che non ha più la forza né la speranza di cambiare le cose. L’energia vitale che alimenta i desideri, gli istinti, le passioni, è quasi del tutto annientata. Il tempo, nel mondo d’Inferno, sembra non passare mai. Quando la forza vitale si indebolisce, il flusso vitale quasi si interrompe e lo scorrere del tempo appare lentissimo.

2) Il mondo degli spiriti affamati (mondo di avidità o mondo di fame) è uno stato in cui siamo dominati da un desiderio illusorio che non potrà mai venire definitivamente appagato. “Fame” deriva dalla parola sanscrita preta che in origine significava “cadavere”, e col tempo il termine finì per essere usato per indicare un regno di infelicità, come l’inferno e l’animalità, in cui si può cadere dopo la morte. Preta significa anche “spirito ancestrale”; in India si credeva che molti spiriti degli antenati fossero affamati e avidi di cibo, per questo si cominciò a chiamare i morti “spiriti affamati”. Chi sperimenta questa condizione è schiavo dei desideri, non si gode la vita perché gli manca sempre qualcosa. Con la conseguenza di sentirsi perennemente insoddisfatto e frustrato. Potremmo definire l’avidità come il desiderio di riempire a tutti i costi un senso di vuoto interiore: molte delle cosiddette sindromi della mancanza, come gli attacchi di bulimia, le crisi di astinenza, la possessività e la gelosia possono ricondursi a questo stato vitale. Rispetto al mondo d’inferno, lo spazio vitale è leggermente più grande, anche se di poco. Non si è più in una condizione di totale schiavitù e disperazione ma si ha una ragione per cui vivere.

3) Il mondo degli animali (mondo di animalità o mondo di stupidità), una condizione basata sugli istinti. In origine il termine (giapponese chikusho) si riferiva alla condizione propria degli animali. “Stupido” è chi non usa la propria intelligenza e la propria coscienza, prerogative dell’essere umano; chi non si chiede mai il perché delle cose, chi non si assume la responsabilità delle proprie azioni. Il mondo di animalità segue la legge del più forte, la logica della guerra. L’esplosione di rabbia irrefrenabile, il raptus omicida, come pure la paura paralizzante, l’attacco di panico, possono tutte essere manifestazioni del mondo di animalità.

4) Il mondo degli asura (collera), uno stato caratterizzato dal bisogno irrefrenabile di controllare, prevaricare e dominare gli altri, convinti della propria bontà e saggezza o, per dirla in altri termini, della propria superiorità; chi si trova in questo stato collerico può comportarsi anche in maniera molto pacata, senza esternare rabbia, ma posizionando se stesso o se stessa sopra un piedistallo rispetto agli altri (anche in maniera inconsapevole). “Collera” (giapponese shura) deriva dal termine sanscrito asura, che designava in origine una categoria di divinità benevole divenute in seguito demoni litigiosi incessantemente in lotta con gli dèi. T’ien-t’ai ne fa una descrizione precisa nel Maka Shikan: «La persona nel regno di Ashura ha un irresistibile impulso a prevalere su chiunque altro. Come il falco, che vola alto nel cielo in cerca della preda, guarda in basso verso gli altri e rispetta soltanto se stesso. Mostra superficialmente una sorta di benevolenza, di rettitudine, di correttezza, di sapienza e di fede, e può anche mostrare una forma primitiva di integrità morale, ma dentro è un mostruoso Ashura». Chi è nel mondo di collera ha un senso spropositato dell’io. L’invidia è un’altra caratteristica del mondo di collera. Si prova invidia verso chi gode di una posizione più elevata o più fortunata di noi, ma questo sentimento non induce a cercare di migliorare la propria condizione, bensì a trascinare gli altri al proprio livello. Il dramma della persona nel mondo di Collera è che vive costantemente nella paura che venga rivelata la sua vera natura.

Questi quattro mondi vengono definiti i quattro cattivi sentieri per la distruttiva negatività e l'inconsapevolezza che li contraddistinguono. La mia personale sensazione è che, quando incontro una persona che a me pare dimorare nel mondo di inferno, non soltanto un dialogo vero è molto difficile per non dire improbabile, ma la mia capacità di non lasciarmi risucchiare dalla forma-pensiero della negatività che aleggia nell'aria viene messa alla prova. Il silenzio dei monaci del tempio vietnamita sopra citato forse è assai più saggio di tante parole. Magari non servono le parole, serve altro, come saper ascoltare mantenendo uno stato vitale interiore positivo e con fede nella vita. Per quanto disperata appaia la situazione, se sentiamo che non siamo soli, ma abbiamo un legame con gli altri e con il mondo, riusciremo sicuramente a risollevarci e a reagire. Queste sono le mie impressioni, l'incontro con il mondo di inferno è sempre difficile. Andiamo avanti nell’elencazione dei mondi:

5) Il mondo degli esseri umani (umanità) è uno stato di tranquillità, nel quale appare la capacità di ragionare e di discernere; pur essendo alla base della nostra identità di esseri umani, questa condizione comunque vive di un fragile equilibrio, facilmente scivola verso uno dei mondi bassi quando appare una situazione negativa; è una tranquillità nella quale non stiamo lottando, né perseguendo alcun ideale. Il mondo di umanità è un trampolino di lancio, una possibilità. Solo se coltiviamo la buddità riusciamo a manifestare pienamente il nostro potenziale umano. Nel buddismo il corpo umano è chiamato “recipiente dei nobili sentieri” o “recipiente della Legge”, adatto cioè a svolgere la pratica buddista.

6) Il mondo degli esseri celesti, o mondo del desiderio, o mondo di estasi, è lo stato di gioia tipico che nasce dopo aver realizzato un desiderio o evitato una sofferenza: questo è il mondo dove dimora il Re Demone, il ladro di vita che si nutre delle nostre creazioni illusorie, dei nostri desideri e delle nostre debolezze.

I mondi fin qui illustrati sono a volte definiti i "sei mondi inferiori": la loro caratteristica è quella di essere fondamentalmente reazioni alle mutevoli situazioni esterne. In essi sperimentiamo una mancanza di vera libertà e autonomia.

Quelli che il Buddismo definisce invece i "quattro mondi nobili" rappresentano lo sforzo di vivere con integrità, libertà interiore e compassione:

7) Il mondo di degli ascoltatori della voce (mondo di studio o mondo di apprendimento) descrive la condizione di aspirazione verso l’Illuminazione, è lo stato del discepolo che ha acquisito la comprensione ascoltando gli insegnamenti del budda.

8) Il mondo dei risvegliati all’origine dipendente (mondo di realizzazione o mondo di illuminazione parziale) indica la capacità di percepire la vera natura dei fenomeni.

Questi ultimi due mondi sono talvolta chiamati i "due veicoli" in quanto le persone che manifestano questi stati sono parzialmente illuminate e libere da alcuni desideri illusori. Caratteristica di questi due stati è lo spirito di ricerca. Da un altro punto di vista, questi mondi possono essere molto incentrati sul proprio Ego, tanto che, in molte scritture, il Budda ammonisce le persone dei due veicoli per il loro egoismo e autocompiacimento. Una vera erudizione, infatti, è un bene solo quando viene messa al servizio della collettività, in particolare al servizio di coloro che non hanno potuto studiare. Proseguiamo:

9) Il mondo dei bodhisattva è lo stato di compassione nel quale superiamo i limiti dell’egoismo e ci adoperiamo per il benessere degli altri; il buddismo mahayana enfatizza la figura del bodhisattva come ideale del comportamento umano.

10) Il mondo di budda (buddità) è lo stato di perfezione e assoluta libertà, in cui si assapora un senso di unità con la forza vitale fondamentale dell’universo: quando siamo nello stato di buddità riusciamo a sperimentare qualsiasi fenomeno – comprese le inevitabili prove dolorose della vita – come un’opportunità di gioia e appagamento.

Lo stato vitale interiore della buddità, che è l’unico di reale libertà, si manifesta attraverso l’impegno altruistico e le azioni del bodhisattva. Credo che per una vita bella e realizzata ci convenga dimorare soprattutto in quest’ultimi quattro mondi nobili, prestando particolare attenzione agli inganni del sesto mondo (detto anche “sesto cielo”), perché le gioie di tale estasi sono costruire su una realtà illusoria (che da un attimo all’altro può risucchiarci nell’inferno). E’ cruciale notare che mentre per stare nei sei mondi inferiori non occorre fare assolutamente nulla, in quanto questo mondo è in mano al Re Demone e le società umane, nel loro complesso, sembrano intenzionalmente costruite per farci dimorare nei mondi inferiori, prendere dimora nei quattro mondi nobili richiede sia un impegno attivo quotidiano, sia la volontà di accogliere i demoni che spesso verranno a farci visita per riportarci nei mondi inferiori. Maggiore è la fede, maggiore è la forza dei demoni che verranno. Per una fede grandiosa può persino scomodarsi direttamente il Re Demone in persona, invece di inviare altri demoni minori… Al contrario, «[…] fintanto che una persona non cerca di uscire dal ciclo di nascita e morte e non aspira al veicolo del Budda, il demone veglierà su di lui come un genitore […]» (tratto dal Gosho “Le azioni del devoto del Sutra del Loto”).

Vorrei concludere con due frasi tratte da “Le quattordici offese”:

«[...] Gli uomini vivono in questo mondo fuggevole ove tutto è incertezza e impermanenza, eppure giorno e notte non pensano che alla quantità di ricchezza che possono ammassare in questa esistenza. Dall’alba al crepuscolo si concentrano solo su faccende terrene, senza venerare il Budda e senza credere nella Legge; trascurano la pratica buddista, mancano di saggezza e sprecano le loro giornate. Quando saranno trascinati davanti al tribunale di Yama, il signore dell’inferno, quali provviste porteranno con sé nel lungo viaggio attraverso il triplice mondo, cosa potranno usare come barca o zattera per attraversare il mare delle sofferenze di nascita e morte e giungere nella Terra della Ricompensa Effettiva o nella Terra del Budda della Luce Tranquilla? Quando siamo illusi è come se sognassimo, quando siamo illuminati è come se ci fossimo svegliati. [...]»

«[...] la felicità in questa vita non è che un sogno dentro un sogno, e che la vera felicità è quella che si trova nella pura terra del Picco dell’Aquila. Continua a praticare senza mai abbandonare la fede fino all’ultimo istante della vita e quando giungerà quel momento, ammira! [...]»

(4 agosto 2021)

Nota: per quanto riguarda i termini che ho usato per nominare i dieci mondi, trattandosi di traduzioni da testi orientali antichi, la nomenclatura varia a seconda dei traduttori e delle epoche. Ho verificato che gli stessi editori, da un anno all’altro, cambiano le traduzioni. I concetti di fondo, comunque, rimangono gli stessi. Ho fatto questa precisazione perché, ad esempio, cercando i dieci mondi su Wikipedia o su altri fonti troverete termini diversi. Io mi sono basato sulle traduzioni adottate da Esperia editore.

Pillole di Buddismo - La non-realtà delle notizie di attualità

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Per quanto ultimamente preferisca non entrare nei dettagli dell’attualità, giacché questa abitudine m’è passata da un po’ di tempo (come avranno notato i miei lettori affezionati), non significa che non sia consapevole delle notizie che circolano e delle brutte forme-pensiero da esse alimentate, soprattutto quando le decisioni di chi è al potere ci toccano personalmente.

La comunicazione di massa è costruita in modo da elicitare il più possibile i sei mondi inferiori (di cui ho parlato in “Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva”) e, poiché in tali mondi è impossibile vedere la realtà per «ciò che è», ne segue che tutta la rappresentazione mass-mediatica della realtà è un’illusione.

Per svegliarci dal sonno dell’illusione, ogni tanto in questo mondo sono di passaggio alcuni maestri. Come ha scritto una cara amica: «[…] il maestro di Nazareth e molti altri sono LA SOLA REALTÀ SOSTANZIALE di questa vita e oltre, tutto il resto è una prova per testare la saggezza e la verità dell'anima di ciascuno… […]». Fondamentalmente sono d’accordo sul fatto che la visione del mondo dei maestri dell’umanità sia l’unica corrispondente a «ciò che è». Qualcuno ricorda la caverna di Platone?

Secondo me, questi nostri tempi sono un periodo eccellente per la ricerca spirituale e per riscoprire i maestri, i filosofi e tutti coloro che hanno avuto una visione delle cose molto più ampia della nostra. Non credo che i problemi che loro hanno vissuto nelle loro società e nelle loro epoche fossero minori dei nostri, anzi.

Per esprimermi in termini a me familiari, quando ascoltiamo le notizie (e in qualunque altro momento), non facciamoci demolire dai dieci eserciti del Re Demone: loro sono fragili, non noi.

Questi dieci eserciti sono elencati nel “Trattato sulla grande perfezione della saggezza”: è un voluminoso commentario al “Sutra della grande perfezione della saggezza”, tradizionalmente attribuito al maestro Nagarjuna (150 - 250). Attualmente esiste solo la versione cinese tradotta da Kumarajiva (344 - 413). Quest’opera spiega, fra gli altri, i concetti di saggezza, di vacuità o non sostanzialità, l’ideale del bodhisattva e le sei paramita (cioè le pratiche che i bodhisattva mahayana devono osservare per ottenere l’illuminazione, ovvero l’abbandono dell’illusione). Contiene anche concetti derivanti dal Sutra del Loto e da altri sutra mahayana ed è considerata una delle più importanti opere del pensiero mahayana. Nel trattato, i dieci eserciti compaiono in questo ordine (i termini variano in base alle traduzioni, riporto fra parentesi sinonimi e parafrasi per maggiore chiarezza):

1) avidità (piacere dei sensi, desiderio);
2) preoccupazione (tristezza, depressione);
3) fame e sete (condizione di bisogno, povertà materiale);
4) amore dei piaceri (bramosia, attaccamento al piacere);
5) sonnolenza e apatia (indolenza, indifferenza d’animo, inerzia, pigrizia, sonno o stanchezza ben oltre le necessità fisiologiche);
6) paura (il contrario del coraggio, è la scelta di “volare basso”);
7) dubbio e rimpianto (dubbio inteso come “non fiducia” nella parte illuminata, o buddità, di se stessi, degli altri e di tutto l’ambiente, da non confondere con il sano e auspicabile dubbio che alimenta lo spirito di ricerca);
8) rabbia (presunzione, ingratitudine, collera);
9) brama di fama e ricchezza (guadagno materiale, onore, soldi, potere);
10) arroganza e disprezzo per gli altri.

A ben guardare, tutti questi dieci eserciti corrispondono a condizioni esistenziali proprie dei sei mondi inferiori. Quindi è tutto un inganno.

Ma la preghiera è più potente di tutti questi eserciti. Proprio per questa ragione, il Re Demone appare per far smettere di pregare, fiaccare lo stato vitale, indebolire la fede. «Quando incontra qualcuno che ha rivolto il suo cuore al bene, cerca di ostacolarlo» (frase tratta da “Lettera ai fratelli”, scritta dal maestro Nichiren Daishonin). Eppure la sua apparizione è proprio il segno della crescita. Se non stessimo attraversando profondi cambiamenti non ci sarebbe alcun motivo valido, per lui, di farsi vivo e (tentare di) sbarrarci la strada.

Nessuno di questi eserciti, di per sé, è negativo, sono tutti aspetti della vita necessari: non è la loro presenza nella nostra vita ad essere negativa, bensì è la ragione per cui appaiono queste forze a renderle “demoniache”, nel senso di “padrone di noi”. Ad esempio, la tristezza diventa un esercito del demone quando si mangia la voglia di credere e di pregare. Oppure, quando la paura diventa un esercito di pensieri infidi e potenti, scatena un potere devastante e disumanizzante. Ancora, c'è l'esercito del dubbio e del rimpianto quando la testa si riempie di «se avessi fatto, se avessi detto»: mille pensieri con la faccia rivolta all'indietro, che ingabbiano la fede, fermano la preghiera. E così via per gli altri eserciti.

Il Re Demone è molto a suo agio nel nostro tempo, che è governato dall'esaltazione degli eccessi, profondamente imbevuto di una cultura che premia il disprezzo e la voglia di dominare gli altri, un tempo che coltiva ogni forma di attaccamento al piacere, incoraggia il desiderio di accumulare quanto più denaro possibile, e fa sentire molto fieri di cavalcare desideri e privilegi. La natura demoniaca del potere è proprio questa: utilizzare questa nostra ignoranza e spingere a guardare la vita con disprezzo, e a usare gli altri per i propri fini.

Ecco, quando i nostri occhi e le nostre orecchie incontrano un telegiornale ricordiamo che stiamo osservando una rappresentazione del mondo così come la vuole il Re Demone.

Ma… la nostra vera essenza non è negativa, casomai può essere oscurata dalle funzioni negative di questi eserciti. Pregando si può scoprire che gli eserciti del Re Demone sono tanto temibili quanto fragili. La felicità non sta nel non incontrarli mai (cosa peraltro impossibile), né tantomeno nello sterminarli, ma nell'avere la forza di neutralizzare la loro intenzione profonda, che è quella di sviarci e non farci credere nella dignità di ogni forma di vita e nella possibilità di tirare fuori da noi e dalle cose che viviamo il senso più autentico.

Basta aprire un libro su una frase di uno dei maestri dell’umanità e gli eserciti si faranno da parte.

(7 agosto 2021)

Pillole di Confucianesimo - Le cinque virtù costanti

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Forse già lo sai, ma vorrei ripetere la predizione del Budda su come sarà l’ultima epoca: «Sarà un’epoca caotica in cui anche i santi troveranno difficile vivere. Essi saranno come pietre in un grande fuoco, che per un po’ sembrano resistere al calore, ma alla fine si carbonizzano e si sbriciolano in cenere. Gli uomini saggi si appelleranno alle cinque virtù costanti, ma essi stessi avranno difficoltà a comportarsi di conseguenza». Quindi prosegue: «Non rimanere troppo a lungo nel posto d’onore».

(tratto da "I tre tipi di tesori", Nichiren Daishonin, 1277)

L'ultima epoca a cui si riferisce la profezia del Budda Shakyamuni (566 a.C. - 486 a.C.) qui citata è la nostra. Le cinque virtù costanti a cui si riferisce il Budda, e che sono entrate pienamente all'interno degli insegnamenti buddisti, fanno parte dell'insegnamento di Confucio (551 a.C. - 479 a.C.). Le date che ho qui indicato sono quelle tradizionali, ma non sono sicuro che Shakyamuni sia stato davvero contemporaneo di Confucio: forse, secondo studi più recenti, è vissuto uno o due secoli dopo.

Vediamo le cinque virtù costanti o wu chang (五常). In ordine decrescente di importanza, le virtù sono benevolenza o ren (仁), rettitudine o yi (义), correttezza o li (理), saggezza o zhi (智) e fedeltà o xin (信). Questi cinque principi etici regolavano la società nell'antica Cina, anche se tradurre xin presenta qualche difficoltà, perché il carattere combina i caratteri separati di "persone" e "parola", e significa "persistere in ciò che si è detto" o "le proprie azioni corrispondono alle proprie parole". Il significato è meglio descritto come simile alle parole fedeltà, integrità, onestà, fiducia, fede o promessa, ma non corrisponde direttamente a nessuna di queste singole parole.

Le cinque virtù costanti erano importanti per determinare chi fosse un "vero gentiluomo" nell'antica società cinese. Indipendentemente dalla classe o dallo status sociale di una persona, ci si aspettava che esibisse le cinque virtù e che usasse una condotta corretta verso gli altri.

Questo si applicava anche al modo in cui ci si aspettava che i governanti governassero. Un leader, dal burocrate locale all'imperatore, doveva governare con una preoccupazione benevola per il benessere delle persone a lui sottoposte. Uno dei motivi per cui ci si aspettava che i governanti vivessero secondo le cinque virtù costanti è che il concetto confuciano di governo implicava la guida attraverso l'esempio. La convinzione era che se gli individui nel governo fossero stati virtuosi, anche i loro sudditi lo sarebbero stati.

Un altro presupposto confuciano è che quando le persone sono tenute in riga da misure governative o da minacce di punizione, l'obiettivo primario del popolo diventa quello di sfuggire alla prigione o alle altre punizioni. In tale ipotesi, le persone si comportano "bene" non a causa di un vero senso dell'onore nel buon comportamento o della vergogna nel cattivo comportamento, ma semplicemente a causa della minaccia della punizione. Invece, l'ideale confuciano è quello di guidare attraverso la virtù e il controllo, o di dare una regola alle persone sotto il proprio governo attraverso la correttezza. Tutto ciò, a sua volta, coltiverà un senso di onore e rispetto tra il popolo.

Parte dell'ideologia confuciana è che le persone nascono buone e possono migliorarsi attraverso l'apprendimento. Quando il governo si concentra sull'educazione dei suoi cittadini, specialmente esemplificando la moralità, gli individui ne prenderanno nota. Con sufficiente educazione ed esempi di buona leadership da seguire, i cittadini diventeranno cittadini modello.

Purtroppo, nella nostra epoca assai distante dall'ideale confuciano, non abbiamo governanti o altre persone al comando di cui emulare le virtù... ma c'è sempre l'Anima dei grandi maestri dell'umanità, per chi ne è alla ricerca, per cui mi auguro che ciascuno di noi possa diventare un buon leader, un buon governante di se stesso o se stessa.

(11 agosto 2021)

Per approfondimenti: Confucius - an overview | ScienceDirect Topics

Pillole di Buddismo - Un esempio di cosa significa "essere consapevoli e parlare apertamente"

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Quanto segue è tratto dalla lettera (gosho) intitolata “Condoglianze per un marito defunto”, scritta nel 1278 da Nichiren Daishonin e indirizzata alla monaca laica Myoho.

Nel frammento che qui cito, Nichiren ricorda alcuni importanti eventi della sua vita, nei quali ha pagato duramente la sua decisione di parlare apertamente di ciò di cui era consapevole. E com’è andata a finire? Oggi i suoi insegnamenti sono conosciuti e praticati in tutto il mondo, quindi, storicamente parlando, ha vinto, nonostante abbia vissuto un estremo isolamento, condizioni assai precarie e disumane, frequenti attentati alla sua vita. Chiunque, al suo posto, probabilmente sarebbe morto di disperazione, eppure la sua fede è stata più forte di qualsiasi persecuzione fatta dai governanti e dalle persone comuni della sua epoca. Come ho scritto in “L'odio profondo e perverso dello Stato italiano verso i cittadini italiani (e una previsione)”: «[...] sembra che lo Stato sia sempre, storicamente e inderogabilmente, smentito. [...]». A quel tempo, “lo Stato” era l’empio potere monarchico e religioso del Giappone.

Quanto segue mi sembra un inno contro l’omertà:

«[…] Ormai il Giappone è diventato un paese nel quale le offese all’insegnamento corretto abbondano e sembra che i tempi siano maturi per l’invasione da parte di un paese straniero.

Chi ne è consapevole e non lo dice apertamente, anche se nell’esistenza presente può godere di pace e sicurezza, cadrà sicuramente nella grande fortezza dell’inferno di incessante sofferenza nella prossima vita. Ma, se, temendo una tale sorte, egli decide di parlare, deve essere preparato a subire l’esilio o la condanna a morte.

Consapevole di questo, durante l’epoca di Bunno [1260] sottoposi una petizione al defunto prete del Saimyo-ji, ma il mio consiglio non fu ascoltato. A quel tempo i credenti Nembutsu, quando seppero ciò che avevo fatto, cospirarono con i loro seguaci di alto e basso rango, e mi attaccarono con lo scopo di uccidermi, anche se non riuscirono nel loro intento.

[Il reggente Hojo] Nagatoki, il governatore di Musashi, figlio del prete laico del tempio Gokuraku, consapevole dei desideri di suo padre, mi fece esiliare senza una ragione plausibile nella provincia di Izu. Come tutti hanno potuto vedere, l’effetto è stato che il prete laico del Gokuraku-ji e Nagatoki sono morti e tutta la loro famiglia si è estinta.

Qualche tempo dopo, fui richiamato dall’esilio. Ancora una volta parlai apertamente come il sutra impone, con ancor maggiore veemenza di prima, e di nuovo, il dodicesimo giorno del nono mese dell’ottavo anno di Bun’ei [1271], fui esiliato, questa volta nella provincia insulare di Sado. Come avevo predetto al tempo in cui ero incorso nella disapprovazione delle autorità, i membri del clan reggente che mi avevano condannato all’esilio cominciarono a litigare fra loro. Forse fu per paura di questo che fui richiamato ancora una volta dall’esilio. Tuttavia i miei consigli non furono ascoltati e la gente comune nutrì un astio ancor maggiore nei miei confronti.

Anche se si rischia la vita per esprimere i propri ammonimenti, se le autorità dello stato non li ascoltano, non c’è dubbio che il paese sia destinato alla distruzione. Tuttavia, se, anche dopo che qualcuno ha messo in luce i loro errori, i governanti si rifiutano di seguirne il consiglio, allora non è colpa di chi ammonisce. Con questo pensiero in mente ho lasciato Kamakura nella provincia di Sagami il dodicesimo giorno del quinto mese dell’undicesimo anno di Bun’ei [1274]. Dal diciassettesimo giorno del sesto mese dello stesso anno risiedo qui, nelle profondità delle montagne, e ormai da cinque anni non mi avventuro per più di cento metri oltre il cancello.

Io sono originario della provincia di Awa. L’amministratore di quella provincia, Tojo Saemon-no-jo Kagenobu, dietro le pressioni del prete laico del Gokurakuji, del prete laico Toji Saemon e di tutti i credenti Nembutsu, di tanto in tanto intentava qualche causa contro di me. Alla fine scatenò le ostilità nei miei confronti e così i sostenitori del prete laico del Gokurakuji riuscirono a distorcere la legge per farmi interdire dalla zona sotto la giurisdizione di Tojo Kagenobu e impedirmi l’accesso. Quindi, sono passati molti anni dall’ultima volta che ho potuto visitare le tombe di mio padre e di mia madre.

Inoltre per due volte sono incorso nella disapprovazione dei governanti del paese. La seconda volta fu annunciato ufficialmente che sarei stato esiliato in una remota località, anche se in privato circolò voce che dovevo essere decapitato. Il dodicesimo giorno del nono mese, all’ora del bue [dall’una alle tre], fui condotto a Tatsunokuchi, presso Kamakura, per esser decapitato. In quel momento, per una qualche ragione, un oggetto simile alla luna giunse nell’aria dalla direzione di Enoshima e aleggiò sul capo del boia che ne fu così terrorizzato da non poter portare a termine il suo compito; poi ci furono vari sviluppi e così quella notte sfuggii alla condanna a morte.

In seguito, dopo essere stato esiliato nella provincia di Sado, ci fu un altro tentavo di decapitarmi, ma, come ho detto prima, scoppiò un dissidio fra varie fazioni a Kamakura e fu inviato in tutta fretta un messaggero a Sado; così non mi decapitarono. Alla fine fui perdonato e adesso vivo solo fra le montagne.

Quando ero nella provincia di Sado vivevo in un cimitero chiamato Tsukahara, un luogo fra i prati e le montagne, lontano da qualsiasi abitazione umana. La mia dimora era una piccola capanna che si reggeva su quattro pali. Dalle assi del tetto si intravedeva il cielo e i muri cadevano a pezzi. La pioggia entrava come se il tetto non ci fosse affatto e all’interno si ammucchiava la neve. Non c’erano né effigi del Budda, né alcuna traccia di stuoie o altre coperture del pavimento. Ma io vi collocai l’effigie del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, che avevo con me da tempo e, con il Sutra del Loto in mano, un mantello di paglia addosso e un cappello di paglia in testa, cercai di viverci come potevo. Passarono quattro anni, durante i quali nessuno venne a visitarmi o a portarmi cibo. Ero come Su Wu, prigioniero per diciannove anni nella terra dei barbari del nord, che indossava un mantello di paglia e mangiava neve.

Adesso sono cinque anni che vivo in questa dimora montuosa. Tutt’intorno, come alti paraventi, sono disposte quattro montagne. A nord si erge il monte Minobu, simile a una scala a pioli che arriva fino al cielo. A sud c’è il Takatori che sembra il monte Kukkutapada; a ovest lo Shichimen, simile alla Barriera di ferro e a est il monte Tenshi, che è il principe ereditario del monte Fuji, l’imperatore.

A nord c’è un grande fiume di nome Haya, rapido come una freccia. A sud c’è il fiume Hakiri capace di far rotolare enormi massi come se fossero foglie d’albero. A est il fiume Fuji scorre da nord a sud, impetuoso come l’affondo di mille alabarde. Lungo il suo corso, la cascata di Minobu è come una striscia di stoffa bianca che penzola dal cielo.

In mezzo a queste montagne e fiumi c’è un angusto appezzamento di terreno, dove sorge la dimora di Nichiren. È un luogo così immerso fra le montagne che anche a mezzogiorno è impossibile vedere il sole e di notte non c’è una luna alla quale comporre poesie. Sulle vette schiamazzano scimmie simili a quelle delle gole di Pa in Cina, e nelle valli lo scroscio battente del fiume sembra un rullo di tamburi. Il terreno è ricoperto da grosse pietre e le montagne sono fatte soltanto di roccia e ghiaia.

I governanti del paese mi odiano e, fra la gente comune, nessuno viene a visitarmi. In inverno i sentieri sono ostruiti dalla neve e in estate sono ricoperti dalla vegetazione. In lontananza si ode il triste bramito del cervo e le cicale strepitano nelle mie orecchie. Nessuno viene a visitarmi ed è difficile mantenermi in vita. Non ho indumenti per coprirmi e quindi puoi immaginare quanto sia stata benvenuta la veste che mi hai donato.

Anche chi mi ha conosciuto o ha sentito parlare di me in passato ha smesso di avere compassione, e i discepoli e i braccianti che fin adesso erano con me mi hanno tutti abbandonato. Quindi è stupefacente che una persona come te, che non ho mai visto e di cui non ho mai nemmeno sentito parlare, mi dimostri una simile gentilezza! Non posso fare a meno di chiedermi se tu sia la reincarnazione dei miei genitori defunti o forse una manifestazione delle dieci fanciulle demoni! […]»

(18 settembre 2021)

Pillole di Buddismo - Libero arbitrio e vittoria con il Daimoku (Nam-myoho-renge-kyo)

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Alcune frasi che vorrei mettere in evidenza, tratte da "Il Conseguimento della Buddità in questa esistenza" (cfr. testo integrale):

«“Mutua inclusione tra un singolo istante di vita e tutti i fenomeni” significa che la vita in ogni singolo istante abbraccia il corpo e la mente, l’io e l’ambiente di tutti gli esseri senzienti dei Dieci mondi e anche di tutti gli esseri insenzienti dei tremila regni: le piante, il cielo e la terra, fino al più piccolo granello di polvere. La vita in ogni singolo istante permea l’intero regno dei fenomeni e si manifesta in ognuno di essi. Risvegliarsi a questa verità è di per sé la relazione di mutua inclusione tra un singolo istante di vita e tutti i fenomeni. Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-renge-kyo, ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica, ma un insegnamento inferiore. “Insegnamenti inferiori” sono quelli diversi da questo sutra, che sono tutti espedienti e insegnamenti provvisori. Nessun espediente o insegnamento provvisorio conduce direttamente all’illuminazione e, senza la diretta via all’illuminazione, non si può conseguire la Buddità, neanche praticando vita dopo vita per innumerevoli kalpa. Conseguire la Buddità in questa esistenza sarebbe dunque impossibile. Perciò, quando invochi myoho e reciti renge devi sforzarti di credere profondamente che Myoho-renge-kyo è la tua vita stessa».

«Non pensare mai che qualcuno degli ottantamila sacri insegnamenti di Shakyamuni o qualcuno dei Budda e bodhisattva delle tre esistenze e delle dieci direzioni sia al di fuori di te».

«Se cerchi l’illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno mezzo centesimo».

«Il Sutra del Loto è il re dei sutra, la diretta via all’illuminazione, poiché spiega che l’entità della nostra mente o vita in ogni singolo istante, dalla quale sorgono sia il bene che il male, è in realtà l’entità della Legge mistica».

Queste citazioni sostanzialmente asseriscono che ciascuno di noi coincide con la Legge mistica, ovvero coincide con il Budda, cioè con la Vita, ovvero con tutto ciò che esiste. Usando un linguaggio che esce da quello comunemente usato in questo tipo di letteratura buddista, posso tranquillamente affermare, da queste premesse, che io sono “Il Creatore” della mia realtà (e non lo è un altro ente esterno, il cosiddetto “dio”, che da questa prospettiva non può esistere o, se esiste, coincide con me perché sono io il creatore), oppure potrei anche dire che “io sono l’intero universo”. Stesso discorso, ovviamente, per ogni altra persona.

E’ quindi evidente che la preghiera di Nam-myoho-renge-kyo non deve mai essere rivolta ad un ente esterno, ma solo a se stessi, perché ciascuno di noi è il Budda (altrimenti sarà un’infinita e dolorosa austerità, come scrive il Daishonin). Quindi, quando prego, “mi prego”: per quanto ciò abbia effettivamente poco senso nel linguaggio comune, da un punto di vista coscienziale potrebbe essere l'unica cosa sensata, nel senso che “La Coscienza” è “Una”, anche se compresente in contenitori diversi (i nostri corpi), tramite i quali (forse) fa esperienza di se stessa per diventare consapevole di sé (o per qualsiasi altro motivo che ora mi sfugge). Da questo punto di vista, noi potremmo creare inconsapevolmente, finché ne avremo bisogno, una realtà che non ci piace, nel senso che non corrisponde ai nostri desideri, per mettere in scena “quello che ancora non abbiamo capito”. Poi, quando l’avremo capito, metteremo inconsapevolmente in scena qualcos’altro, e così via in un percorso di accrescimento di consapevolezza. E più ciascuno di noi diventa consapevole, più diventa consapevole l’intera Coscienza, con beneficio per tutte le forme di vita. Ecco allora che la cosa migliore che possiamo fare è lavorare su noi stessi, in quanto ogni tentativo di modificare la realtà (solo apparentemente) esterna senza un vero cambiamento interiore è del tutto inutile, perché l’esterno fa da specchio all’interno (almeno finché percepiremo la realtà come duale).

Il problema del libero arbitrio si inserisce proprio nel modo in cui percepiamo la realtà. Se crediamo che sia duale, e che quindi esista un “interno” (che siamo noi) e un “esterno” (che è qualcos’altro), allora solo in questo caso può esistere il libero arbitrio, cioè il fatto che in ogni istante di vita possiamo scegliere tra due percorsi possibili (in quanto tutto è duale). Se però ci rendessimo conto che la realtà non è duale, allora cambierebbe tutto: il problema del libero arbitrio neanche esisterebbe più, perché ciascuno di noi avrebbe consapevolezza di essere tutto ciò che esiste, quindi non ci sarebbe più il problema di fare scelte. Tutto ciò, ovviamente, è molto distante dal sentire comune e dall’esperienza quotidiana, ma l’ho scritto soltanto per sottolineare che la libertà è innanzitutto una questione di percezione della realtà e, nella teoria buddista dei “dieci mondi”, l’unica condizione vitale in cui si è realmente liberi è la Buddità, nella quale, appunto (secondo le citazioni riportate sopra), il praticante ha la consapevolezza che non esiste alcun potere esterno a sé.

Giusto per ricordarcelo, nel Gohonzon, cioè nello specchio della nostra vita illuminata, la Buddità è al centro e gli altri nove mondi sono al suo servizio: in questo contesto, persino le malefatte del re demone diventano al servizio della Buddità, quindi non abbiamo nulla da temere. Finché continueremo a mantenere la Buddità al centro della nostra vita, così come rappresentata nel Gohonzon, alla fine tutto andrà dove deve andare.

Ricapitolando, la libertà fondamentalmente riguarda la consapevolezza che l'essere umano ha di sé e della sua falsa necessità di avere un potere esterno (politico, religioso o scientifico) che gli dica cosa deve fare. Questa falsa necessità è creata ed alimentata dalla scissione interna alla persona e interna alla società che il potere dispotico fomenta con qualsiasi mezzo lecito e illecito: smascherare questo tranello fa crollare tutto il sistema di potere e l'essere umano torna ad essere consapevole di sé e del fatto di essere il creatore della propria realtà (e, a quel punto, dèi e demoni se ne vanno perché non possono più interagire con questo essere risvegliato, né tanto meno dominarlo). In questa persona internamente riunita e risvegliata, anche il Daimoku cambia, perché diventa veramente rivolto soltanto a se stessa (per far risplendere la Buddità come uno specchio che viene lucidato) e a niente di esterno. I propositi di vita si chiariscono e vanno oltre i bisogni del momento, di cui comunque mantiene la giusta consapevolezza.

Solo in questo modo la “vittoria” nella vita per mezzo del Daimoku diventa possibile.

(28 settembre 2021)

Essere se stessi nel cammino spirituale: restare connessi alle proprie origini

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[...] Ai tempi del Buddha i brahmani, i sacerdoti induisti, predicavano che dopo la morte sarebbero andati in paradiso per dimorare in eterno con Brahma, il Dio universale.

Un giorno un brahmano chiese al Buddha: «Cosa posso fare per assicurarmi che dopo la morte sarò insieme a Brahma?» Il Buddha rispose: «Poiché Brahma è la fonte dell’amore, per poter dimorare con lui devi praticare i Brahmavihara: amore, compassione, gioia ed equanimità». Vihara significa rifugio o dimora. Amore in sanscrito è maitri; in pali, metta. Compassione è karuna in entrambe le lingue. Gioia è mudita. Equanimità è upekśa in sanscrito e upekkha in pali. I Brahmavihara sono i quattro elementi costitutivi del vero amore. Sono detti “incommensurabili” perché se li pratichi crescono dentro di te ogni giorno di più, fino a comprendere il mondo intero. Tu sei più felice, e lo sono anche tutti quelli che ti circondano.

Il Buddha rispettava il desiderio che ha ognuno di praticare la propria fede, quindi diede al brahmano una risposta che lo spingeva in quella direzione. Se ti piace la meditazione seduta, pratica la meditazione seduta; se ti piace la meditazione camminata, pratica la meditazione camminata; ma conserva le tue radici, siano esse ebraiche, cristiane o musulmane. È questo il modo corretto per tramandare lo spirito del Buddha; non puoi essere felice se hai perso il collegamento con le tue radici.

Scrive Nagarjuna, filosofo buddhista del secondo secolo dopo Cristo:

Praticare l’incommensurabile stato mentale dell’Amore estingue la rabbia nel cuore degli esseri viventi. Praticare l’incommensurabile stato mentale della Compassione estingue tutti i crucci e le ansie nel cuore degli esseri viventi. Praticare l’incommensurabile stato mentale della Gioia estingue la tristezza e il grigiore nel cuore degli esseri viventi. Praticare l’incommensurabile stato mentale dell’Equanimità estingue la rabbia, l’avversione e l’attaccamento nel cuore degli esseri viventi.

Se impariamo modi di praticare l’amore, la compassione, la gioia e l’equanimità, sapremo come guarire le malattie della rabbia, del dispiacere, dell’insicurezza, della tristezza, dell’odio, della solitudine e degli attaccamenti non salutari.

[...]

fonte: Insegnamenti sull'amore, Thich Nhat Hanh, 1997

vedi anche: Esplorando il Dhammapada, libero commentario

(6 aprile 2025)

Nam-myoho-renge-kyo in pratica: creare valore con la pratica di Nichiren Daishonin

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Disclaimer: questo testo è un elaborato personale di studio e divulgazione. Non rappresenta un documento ufficiale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Eventuali imprecisioni sono mie, comunque i link che ho riportato permettono una verifica diretta delle fonti.

Provo qui a riflettere su Legge mistica, preghiera, desideri, responsabilità e interdipendenza — con alcuni termini giapponesi linkati al Soka Gakkai Dictionary of Buddhism (EN) e citazioni in italiano dalla Biblioteca di Nichiren.

Introduzione: perché questo testo

Ho scritto questo breve saggio per rispondere con calma a obiezioni e critiche che spesso emergono riguardo al Buddismo di Nichiren come praticato nella Soka Gakkai Internazionale (SGI). Senza polemiche, provo a fare chiarezza su due questioni: che questa pratica favorisca l’egoismo o il materialismo e che la Soka Gakkai sia una “setta” di cui sospettare. La mia esperienza di studio e pratica indica l’opposto; nel proseguo, presento i motivi e le fonti.

Uno stimolo fondamentale nel redigere questo testo mi è giunto dall'incontro con i buddisti impegnati, a livello internazionale, in una preghiera costante, giorno e notte, tutti i giorni, per la pace. E' stata come una ventata d'aria fresca in mezzo alla calura o come una pioggia gentile nel deserto.

Quello che ho scritto non è solo per chi è nuovo all’argomento, ma per chiunque desideri un quadro organico in grado di tenere insieme principi, pratica e vita quotidiana.

Il punto di partenza è la Legge mistica (Myōhō Renge Kyō) e la sua invocazione Nam‑myōhō‑renge‑kyō: secondo Nichiren, è l’essenza del Sutra del Loto e il cuore della pratica che consente di manifestare la Buddità nella forma presente. La chiave è la trasformazione interiore che si riflette in azioni e risultati: ciò che SGI riassume nell’espressione creazione di valore, ereditata da Tsunesaburō Makiguchi.

Che cosa intendiamo per «Legge mistica»

Nel lessico di Nichiren, la Legge mistica (Myōhō Renge Kyō) è il principio fondamentale che permea la vita e l’universo. Myō (妙) indica il «meraviglioso che apre» e «pienamente dotato»: non un mistero irrazionale, ma la capacità della realtà di svelare la sua profondità e di trasformare perfino il «veleno» in «medicina» (hendoku iyaku). Renge (蓮華) — il loto che fiorisce e fruttifica allo stesso tempo — esprime la simultaneità di causa ed effetto. Kyō (経) è l’insegnamento che pervade il tempo e lo spazio.

Quando recitiamo Nam‑myōhō‑renge‑kyō (南無妙法蓮華経), non pronunciamo una formula magica: dichiariamo dedizione (namu/nam) alla Legge suprema (Myōhō Renge Kyō) e armonizziamo la nostra vita a questa dinamica. È l’essenza del daimoku, la pratica fondamentale.

«Il carattere myō significa aprire… poiché può guarire ciò che è ritenuto incurabile, è chiamato myō, o meraviglioso.» RSND, Il daimoku del Sutra del Loto.

1) Che cosa sono gli «insegnamenti errati»

Nichiren è noto per il suo linguaggio diretto quando difende ciò che considera la Legge corretta. «Errato» non significa «diverso da ciò che penso», ma «ciò che oscura o distorce il Sutra del Loto e impedisce alle persone di manifestare la loro Buddità». Per discernere, la tradizione fa riferimento ai Quattro Affidamenti (四依): affidarsi alla Legge, non alla persona; al significato, non alle parole; alla saggezza, non alle opinioni; agli insegnamenti definitivi, non a quelli provvisori. Il punto non è dividere il mondo in «noi/loro», ma custodire il cuore umanistico del Sutra del Loto: la dignità di ogni vita e l’accesso universale all’illuminazione.

«Affidatevi alla Legge e non alla persona.» RSND, L’insegnamento, la pratica e la prova.

SGI interpreta questa severità come responsabilità per gli effetti. Un insegnamento è «giusto» se, praticato, sviluppa coraggio, saggezza e compassione e migliora la vita delle persone e la società. Se induce dipendenza, fatalismo o disprezzo della vita, allora va corretto o abbandonato. Questa prospettiva «basata sui risultati» è coerente con il criterio di Nichiren: insegnamento, pratica e prova.

2) «Non dipendere dagli altri» — autonomia spirituale, non isolamento

L’espressione «non dipendere dagli altri» non è uno slogan individualista. Significa che l’autorità ultima non è il carisma di un leader o la pressione del gruppo, ma la Legge e la propria verifica nella vita quotidiana. Per SGI, «comunità» non equivale a conformismo: studiamo insieme per diventare più liberi e capaci di giudizio morale.

Esempio pratico

Se una scelta importante ti mette ansia (lavoro, relazione, salute), «non dipendere» significa: 1) sederti davanti al Gohonzon e recitare Nam‑myōhō‑renge‑kyō mirando a una decisione giusta per la dignità della vita; 2) confrontarti con chi stimi; 3) agire responsabilmente. Nessuno decide al posto tuo; nessuno è lasciato solo.

3) «Chi ha creato tutto?» — perché la risposta SGI non è teistica

Nel Buddismo di Nichiren non esiste un dio creatore che dal nulla fa sorgere il cosmo. L’universo è senza inizio (kuon ganjo) e la realtà si manifesta per origine dipendente: nulla esiste isolatamente, tutto sorge in relazione a cause e condizioni. La Legge mistica non è un «qualcuno» che decide, ma il principio immanente che descrive e governa la vita.

«Ciò che tutti i Budda prendono come maestro è la Legge.» RSND, Sulle preghiere.

Domandare «chi ha creato tutto?» presuppone una causa personale. Il Buddismo sposta il fuoco su un’altra domanda: «Qual è la Legge che, compresa e praticata, libera la vita umana?». La risposta è Nam‑myōhō‑renge‑kyō, identificata da Nichiren come la Legge fondamentale. Per questo egli parla di Myōhō come «madre di tutti i Budda»: non «madre del mondo fisico», ma origine dell’illuminazione.

4) Cosa significa davvero «mistica» (myō)

«Mistico» in Nichiren non significa occulto o anti‑razionale. Myō (妙) riassume tre sfumature: aprire (rivelare la vera realtà), pienamente dotato (ogni parte contiene il tutto) e rivitalizzare (ridare vita dove sembra non esserci speranza). Quando la vita si accorda con Myōhō, si attiva un potere di trasformazione che cambia la qualità della coscienza e, di conseguenza, le scelte e i risultati.

«Myō significa rivitalizzare, e rivitalizzare significa tornare a vivere.» RSND, Il daimoku del Sutra del Loto.

5) È immanente? Sì: la Legge come «vero aspetto di tutti i fenomeni»

Per Nichiren, il vero aspetto della realtà (shoho jissō) è un altro nome di Myōhō Renge Kyō. Questo «vero aspetto» si manifesta non solo nell’interiorità ma anche nel mondo circostante: unità di vita e ambiente (eshō funi). Non esistono terre «pure» o «impure» indipendenti dalle persone: è la qualità della mente/cuore che tinge l’esperienza.

«Il vero aspetto si manifesta invariabilmente in tutti i fenomeni…» RSND, Il reale aspetto del Gohonzon.

Religioni diverse: esclusivismo o dialogo?

SGI afferma insieme due principi: fermezza nella pratica di Nam‑myōhō‑renge‑kyō e rispetto per le altre tradizioni. La misura non è «chi ha ragione in astratto», ma il contributo alla dignità della vita e alla pace. Nel linguaggio di Nichiren, il Sutra del Loto è completo e definitivo; ma proprio per questo chi lo pratica può e deve dialogare senza arroganza.

6) Preghiera e gratitudine: a chi sono rivolte

Nella SGI, la preghiera si rivolge alla Legge mistica mediante il Gohonzon. Non si supplica un’entità arbitraria: si fissa un voto, si allineano pensieri e azioni e si costruiscono cause coerenti. Anche la gratitudine ha due direzioni: verso la Legge (recitando Nam‑myōhō‑renge‑kyō) e verso le persone/funzioni che ci sostengono — genitori, amici, insegnanti, «forze protettive» (shoten zenjin) intese come funzioni della vita e dell’ambiente.

«Questo mandala… è il maestro di tutti i Budda delle tre esistenze.» RSND, Offrire preghiere al mandala della Legge mistica.

Come si prega «concretamente»

  • Chiarezza del voto: «che la mia scelta giovi a me e agli altri».
  • Daimoku mirato: recitazione regolare, anche breve ma quotidiana, per rischiarare la mente e fortificare coraggio e saggezza.
  • Azione: cercare informazioni, parlare con chi può aiutare, fare il primo passo concreto.

La preghiera è «strategia» (RSND: La strategia del Sutra del Loto): viene prima, ma non sostituisce l’impegno.

7) «I desideri terreni sono illuminazione» (bonnō soku bodai)

Il Buddismo di Nichiren non tenta di reprimere l’energia dei desideri: la trasforma. «Desideri terreni» sono passioni, paure, attaccamenti; «illuminazione» è la saggezza compassionevole del Budda. Il principio afferma che, unendo la vita alla Legge, la stessa energia che prima generava sofferenza diventa carburante di valore.

Questo è il significato di «le illusioni e i desideri sono illuminazione» e di «le sofferenze di nascita e morte sono nirvana». RSND, L’eredità della Legge fondamentale della vita.

Dal veleno alla medicina (hendoku iyaku)

Per spiegare come avvenga la trasformazione, Nichiren parla del grande medico che trasforma il veleno in medicina. Non si tratta di romanticizzare il dolore, ma di attivare una risposta che trasforma crisi, fallimenti e blocchi in apprendimento, empatia e decisioni più sagge (trasformare la sofferenza in saggezza). Molti praticanti raccontano che, invece di «spegnere» desideri, cominciano a orientarli verso progetti che generano bellezza, beneficio e bene (la triade valoriale di Makiguchi).

Tre esempi concreti

  • Rabbia → coraggio: la recitazione chiarisce il confine tra dignità e risentimento; agisco con decisione ma senza odio.
  • Paura → prudenza creativa: non mi immobilizza; mi spinge a prepararmi meglio, a chiedere aiuto, a fare un passo alla volta.
  • Ambizione → missione: da bisogno di approvazione a voto di creare valore per molti, migliorando anche il proprio lavoro.

8) Pratica quotidiana: daimoku, gongyō e «prova»

La pratica SGI si fonda su due pilastri: la recitazione di Nam‑myōhō‑renge‑kyō e la lettura quotidiana di passi del capitolo II («Espedienti») e XVI («Durata della vita») del Sutra del Loto (gongyō). Questi capitoli esprimono l’uguaglianza di tutti alla Buddità e l’illuminazione eterna del Budda — il cuore della visione di Nichiren.

La prova è duplice: interiore (più coraggio, saggezza, compassione, gioia nonostante le sfide) ed esteriore (relazioni più sane, qualità del lavoro, contributo alla comunità). Se una pratica non produce prova, SGI invita a rivalutare obiettivi e metodi: la fede non è credulità, ma verifica.

9) «Creazione di valore»: dal desiderio al bene condiviso

Il nome «Soka» significa «creazione di valore». Tsunesaburō Makiguchi — educatore e primo presidente — sintetizzava tre dimensioni del valore: bellezza, beneficio, bene. L’idea è semplice e impegnativa: ogni situazione, anche la più difficile, può diventare terreno per creare qualcosa che abbellisca la vita, che sia utile e che migliori il mondo.

Come si fa, in concreto?

  • Voto: chiarire che tipo di persona voglio diventare e quale contributo voglio portare.
  • Pratica: sostenere il voto con daimoku e gongyō, specie nei momenti in cui «non ho tempo».
  • Cause: studiare, allenarsi, chiedere feedback, fare rete, aiutare altri a crescere.

Non si tratta di «pensiero positivo»: è una disciplina spirituale che educa il carattere e cambia le abitudini.

10) «Prendere in mano la propria vita» senza negare l’interdipendenza

Espressioni come «prendere in mano la propria vita», «essere artefici del proprio destino» o «tutto dipende da me» sono comuni nel linguaggio SGI e possono generare equivoci. In questa cornice, non significano onnipotenza individuale né colpevolizzazione delle vittime. Significano: assumere la responsabilità del proprio ichinen — l’orientamento fondamentale della mente/cuore — e scegliere le cause migliori in dialogo con una realtà che è interdipendente (eshō funi).

Quattro chiarimenti importanti

  • Agentività ("capacità di agire", "potere d’azione" o "senso di controllo sulle proprie azioni") ≠ controllo del mondo: posso scegliere la mia risposta, non comandare le circostanze. La pratica rafforza la capacità di affrontare e trasformare le difficoltà, la lucidità e la creatività.
  • Responsabilità ≠ colpa: dire «tutto dipende da me» significa che io posso fare qualcosa adesso — anche chiedere aiuto, tutelarmi, cambiare strada. Non è un giudizio sulle sofferenze subite.
  • Interdipendenza: proprio perché «dipendiamo da tutto», la qualità del mio stato vitale influenza la rete di relazioni. La mia trasformazione «muove» l’ambiente (spesso) e sempre la mia percezione/azione.
  • Voto e comunità: l’agentività è sostenuta dal voto (orientamento profondo) e da una comunità che incoraggia. Non «ce la faccio da solo»; scelgo come partecipare.

Rispondere all’obiezione «io dipendo da tutto, quindi non dipende da me»

La logica buddista risponde: proprio perché ogni cosa è relazione, la qualità della mia intenzione e delle mie azioni ha effetti reali. Recitare Nam‑myōhō‑renge‑kyō non «aggiunge» una forza dall’esterno: allinea la mia vita con la Legge e libera energie latenti (coraggio, saggezza, compassione) che modificano le dinamiche in gioco. Questo è il senso concreto di «i desideri sono illuminazione» e «veleno → medicina».

Possibili domande

«Se non capisco tutto il Sutra, ha senso praticare?»

Sì. Comprendere aiuta, ma la pratica non è un esame di teoria. Nichiren insiste sulla prova nella vita: recita, osserva i cambiamenti, continua a studiare. Con il tempo la comprensione si approfondisce.

«E le divinità protettive?»

Nel linguaggio tradizionale, shoten zenjin esprime le funzioni protettive della vita e dell’ambiente che si attivano quando sosteniamo la Legge. Non si tratta di «magia»: è una visione relazionale della realtà.

«Devo abbandonare la mia cultura o le mie convinzioni?»

No. SGI valorizza il dialogo e l’apporto di ciascuno. La pratica non chiede di annullare l’identità personale, ma di purificarla e orientarla al bene.

Fonti principali (italiano)

Per un glossario completo in inglese: Soka Gakkai Dictionary of Buddhism. Nel testo ho linkato: Nam‑myōhō‑renge‑kyō, daimoku, Gohonzon, ichinen sanzen, eshō funi, bonnō soku bodai, hendoku iyaku, kuon ganjo, kōsen‑rufu, shoten zenjin.

Grazie a tutti i meravigliosi compagni di fede.

(12 agosto 2025)

Fili d’erba nell’incendio: Europa, Israele, la legge del karma e la via buddista

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Disclaimer. Scrivo da una prospettiva personale, attribuendo responsabilità politiche, fattuali e morali secondo la mia comprensione dei fatti. Esprimo giudizi e previsioni in base alla mia consapevolezza, ma ciascuno è libero di avere opinioni o credenze diverse. Non intendo incitare all’odio né attribuire reati a persone specifiche. Il cuore del testo che stai per leggere è la via buddista che propongo in risposta ai nostri tempi apocalittici.


L’Europa farà la fine dell’Ucraina e Israele quella di Gaza. E’ l’inevitabile legge del karma.

L’Europa e Israele hanno scelto la via del nazismo, e percorrendola arriveranno a destinazione, ovvero alla distruzione delle fondamenta del vivere sociale. Oggi in Ucraina, grazie all’Europa, alla Gran Bretagna e al precedente governo statunitense, quasi non ci sono più uomini, ma donne sole che spesso prostituiscono se stesse e le figlie minorenni a causa della povertà estrema. L’Occidente collettivo ha voluto fare una guerra insensata e invincibile “fino all’ultimo ucraino” e c’è riuscito, creando un enorme buco nero di ruberia dei soldi pubblici, di riciclaggio di denaro, di traffico di armi, di corruzione sul piano personale. Nel frattempo, a Gaza non c’è più nulla che assomigli ad un luogo abitabile, e se non sono la sete e la fame a uccidere, lo sono gli spari contro chi va a prendere l’“aiuto umanitario” di farina avvelenata, nel senso di mischiata a psicofarmaci. Tutto questo perché Israele tratta i propri vicini con la stessa gentilezza e rispetto che si usa per un’infestazione di pidocchi.

Ucraina e Gaza sono lo specchio delle nostre cosiddette “democrazie”, basate sulla corruzione, sulla violenza, sulla protezione degli interessi economici più abietti. In poche parole, le nostre nazioni sono l’habitat ideale per i peggiori delinquenti, parassiti e terroristi, partendo dai vertici del potere politico e finanziario, e scendendo via via verso il basso.

Gaza e Ucraina sono anche una lezione, un boomerang che spazzerà via Israele e l’Europa, che saranno messe a ferro e a fuoco. Come i tuoni e i lampi precedono la tempesta, così i nostri decisori politici stanno attirando un drammatico collasso economico che distruggerà tante vite, oltre a una grande guerra continentale contro la Russia e a terrorismo diffuso in tutta Europa.

Noi siamo fili d’erba in mezzo a un incendio.

Nel 2019 scrissi che “questa è l’ultima possibilità, l’ultima lotta, prima che tutto venga distrutto” (in “Religione dell’Ultima Lotta”). Ormai è troppo tardi.

L’alternativa sarebbe una conversione generalizzata e quasi totalizzante alla sacralità e bellezza della vita, con esseri umani che ovunque si muovono nel mondo con sentimenti di gratitudine e di amore incondizionato verso tutti. E’ un sogno possibile, ma la realtà è fatta di persone che non hanno alcuna intenzione di separarsi dalle proprie illusioni, dai propri demoni, dalle proprie abitudini e da una visione negativa di se stesse e del prossimo. I popoli sono schiavi del Re Demone, delle sue creazioni illusorie e della miseria che ne consegue.

Nel Gosho “La pratica dell'insegnamento del Budda”, Nichiren Daishonin scrisse che “[…] Questo è un tempo davvero maledetto per vivere su questa terra. […]. Quando tutte le persone reciteranno Nam-myoho-renge-kyo, il vento non spezzerà i rami o le fronde, né la pioggia cadrà così forte da rompere una zolla. Il mondo diverrà come era ai tempi di Fu Hsi e Shen Nung. Nella loro esistenza presente le persone saranno libere dalla sfortuna e dai disastri e impareranno l’arte di vivere a lungo. Verrà il tempo in cui sarà rivelata la verità che per la persona e per la Legge non c’è vecchiaia né morte. Non ci può essere il minimo dubbio sulla promessa del sutra di «pace e sicurezza nell’esistenza presente» […]”.

Questo significa — parlando con la chiarezza cruda che la situazione impone — che non c’è bacchetta magica che fermi i proiettili o addolcisca i tiranni. Le immagini del vento che non spezza i rami e della pioggia che non frantuma le zolle non vanno prese come meteorologia miracolosa, ma come linguaggio simbolico di una società che, trasformando le cause interiori, muta anche gli effetti esteriori. È il principio di esho funi, ovvero l’unicità (non-dualità) di vita e ambiente: la qualità della nostra vita interiore si riflette nella qualità delle relazioni, delle istituzioni, perfino nel “clima” etico e culturale in cui respiriamo. Se la nostra vita si eleva, l’ambiente smette di essere un inferno costruito a nostra immagine e somiglianza.

Per questo, la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo non è una fuga, ma il motore della rivoluzione umana: un allenamento a smascherare quotidianamente il Re Demone che abita anche in noi — cattiveria, rassegnazione, cinismo — e a tradurre la vittoria interiore in azioni concrete: dialogo che disarma, cura dei più deboli, responsabilità civile, rifiuto della disumanizzazione dell’altro. Quando questa trasformazione non riguarda pochi “eroi” isolati ma una massa critica di persone comuni, allora quelle metafore diventano storia: meno odio, meno violenza, più saggezza nel risolvere i conflitti. Nichiren tocca la politica senza cedere alla politica: non si limita a denunciare il crollo della società, ma ci indica come invertire la traiettoria.

Lo stesso senso anima il Risshō Ankokuron — “Adottare l'insegnamento corretto per la pace nel paese”. Non un progetto settario, ma l’idea che la sicurezza pubblica nasca dalla dignità assoluta della vita riconosciuta e protetta. La Soka Gakkai traduce questo in kosen-rufu, che significa ampia diffusione della Legge mistica di Nam-myoho-renge-kyo per una pace fondata sulla dignità della vita: si tratta di espandere una rete di persone che, rinforzando pratica e studio del Buddismo di Nichiren Daishonin, producano istituzioni più giuste e culture meno violente. “Quando tutte le persone reciteranno” non è una formula settaria, ma l’indicazione di una soglia sociale: abbastanza cuori raddrizzati da raddrizzare anche l’andamento degli eventi.

E cosa dire della promessa di “pace e sicurezza nell’esistenza presente” e di “nessuna vecchiaia né morte per la persona e per la Legge”? Non si tratta di un paradiso edulcorato, ma di uno stato vitale incrollabile capace di creare valore anche dentro le tempeste. La Legge mistica (Myoho-renge-kyo) non “invecchia”, cioè non perde efficacia, come sorgente inesauribile di coraggio, saggezza e compassione. Non promette l’assenza di prove, che anzi sono necessarie e inevitabili. Ci promette invece coscienza, saggezza e forza per non trasformarci nei mostri che combattiamo.

Detto questo, la mia diagnosi politica e sociale rimane: siamo fili d’erba in mezzo a un incendio. Proprio per questo, la “conversione generalizzata” che auspico non è un desiderio romantico: è l’unico programma operativo realistico se vogliamo che l’incendio trovi meno ossigeno. L’“ultima lotta” di cui scrivevo nel 2019 non è tra blocchi di nazioni, ma dentro ciascuno di noi, ogni giorno. Se davvero è “troppo tardi” per evitare tutte le rovine, non è mai troppo tardi per impedire che la rovina ci rubi l’umanità.

In questo senso, noi possiamo essere il “vento che non spezza”, il vento della rivoluzione umana che, un cuore dopo l’altro, può ancora piegare la direzione della storia. E se il mondo resterà un campo bruciato, che almeno si trovi, in mezzo alle ceneri, la prova che l’erba ha saputo crescere controvento.

(23 agosto 2025)

In che senso "i desideri terreni sono illuminazione"?

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«Il Sutra del Loto fa un ulteriore passo avanti, esponendo il principio che le illusioni e i desideri sono illuminazione e che le sofferenze di nascita e morte sono nirvana. In altre parole, non esiste alcuna illuminazione separata dalla realtà delle illusioni e dei desideri e non può esserci il nirvana al di fuori delle sofferenze di nascita e morte. Queste coppie di fattori contrastanti sono connaturate nella nostra vita. Il Gran maestro T’ien-t’ai, uno dei principali studiosi buddisti cinesi, vissuto nel VI secolo, usò un’analogia per spiegare i suddetti principi. Supponiamo di avere un cachi aspro: immergendolo in un infuso di tiglio o esponendolo alla luce del sole, possiamo farlo diventare dolce. Non ci sono due cachi, il primo aspro e il secondo dolce. Il cachi è uno solo, e non è diventato dolce perché abbiamo aggiunto dello zucchero, bensì perché l’aspro del frutto è scomparso ed è emersa la sua potenziale dolcezza. Il catalizzatore, l’intermediario che ha permesso la trasformazione, è stato l’infuso in cui è stato immerso il cachi o la luce del sole alla quale è stato esposto. T’ien-t’ai paragona le illusioni e i desideri al cachi aspro, l’illuminazione al cachi dolce e il ​processo tramite il quale il cachi è diventato dolce alla pratica buddista.»

tratto dal libro: "I misteri di nascita e morte", di Daisaku Ikeda

Le illusioni e i desideri terreni sono illuminazione (Francesco Galgani's art, 23 agosto 2025)
(23 agosto 2025, vai alla mia galleria)

Mondo social: sostituire lamentela e depressione con il daimoku

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Per prima cosa, gli altri sono esseri umani come noi. Non c'è motivo di dividere il mondo in "noi" e in "loro", siamo tutti in un percorso di vita. Molte persone sono smarrite, e nella loro sfortuna non hanno ancora udito i preziosi insegnamenti che danno sollievo a tutte le creature. Per rendere tutto più difficile da vivere, accrescendo solitudine e impotenza, il Re Demone ha il quasi monopolio di tv, social e intelligenza artificiale.

Maggiore è la fiducia che diamo alle creazioni tecnologiche, con preferenza a contatti umani mediati da app di vario genere, è minore è la fede che abbiamo in noi stessi, negli altri, e nella vita. Certo, all'ombra del male c'è il bene, e viceversa, quindi comunque abbiamo la possibilità di fare cose che hanno un valore profondo anche nel contesto di un mondo iper-tecnologico, però dobbiamo stare molto attenti. I contesti virtuali sono creazioni illusorie che rubano vita, per questo il Re Demone, il ladro di vita, si trova in esse a suo agio, come se fossero la sua casa.

Ripartiamo dalle basi, da quell'ABC che non viene mai detto, come se fosse un segreto:

A. Nessun mezzo tecnologico è neutrale. Il mezzo è il messaggio. Non è questione di "come" lo si usa, ma il fatto stesso di usarlo trasforma profondamente il modo in cui percepiamo la realtà, il modo in cui la costruiamo e quello con cui ci relazioniamo con gli altri. I social network, invece di promuovere la democrazia e la connessione umana, spesso amplificano la competizione, l'odio, l'invidia e l'isolamento sociale, portando ad una svalutazione dell'essere umano, ridotto a cercare validazione attraverso likes e followers. Ho affrontato questi temi nella mia intervista "La base dell'educazione umana è l'amore, non lo smartphone", del 26 agosto 2024.

B. I progetti sul web, sui social o su specifiche app a scopo umanitario, spirituale o comunque di mutuo aiuto, senz’altro lodevoli, sono anche una risposta al problema della solitudine? E, più in generale, lo sono le varie comunità online? Finché si tratta di stare "soltanto" davanti a un computer o con lo smartphone, seppur con le più alte finalità sociali, la risposta è necessariamente negativa, perché quel "nutrimento affettivo" di cui ha un gran bisogno l’essere umano non può essere mediato da alcuna tecnologia (computer, smartphone, intelligenza artificiale o altro). Ho spiegato perché nella mia tesi di laurea "Solitudine e Contesti Virtuali", del 21 gennaio 2014.

C. Credere all'inganno che con l’intelligenza artificiale – e con la tecnologia in generale – si possa fare tutto, a cominciare dal superamento della sofferenza e della solitudine, significa credere all'oggetto di culto sbagliato. Il più grande furto che ci può fare il nostro contesto sociale iper-tecnologico è la perdita del senso della vita. Tolto il senso della vita, tolta la socialità, tolto il pensiero e tolto il lavoro, non rimane che la guerra? Non rimane che "ubbidire, credere e combattere" per dare un senso ai propri giorni? Se oggi ci sono ragazzi che abbandonano l'Italia per morire da mercenari, o che si suicidano per vincere una sfida sui social, c'è un motivo. Ho discusso di questo ed altro nella mia intervista "Un'alternativa all'IA (che non è nostra amica)", del 25 gennaio 2025.

Ricapitolando, la dinamica dei social e di app di vario genere è di indurre sentimenti di invidia, gelosia, competizione, narcisismo spinto, con un declino del proprio e dell'altrui benessere. I social sono costruiti appositamente per far litigare e far star male (lo ripeto: "appositamente", cioè "intenzionalmente") prolungando il più possibile l'esposizione ad essi. Chamath Palihapitiya, ex vicepresidente per la crescita di Facebook, nel novembre 2017, durante un talk alla Stanford Graduate School of Business (vedi video integrale), disse di provare «tremendo senso di colpa» e che «abbiamo creato strumenti che stanno strappando il tessuto sociale di come funziona la società», invitando le persone a prendersi una "hard break" dai social (dichiarazioni riprese dal Guardian, nell'articolo "Former Facebook executive: social media is ripping society apart"). Nello stesso periodo, Sean Parker (ex presidente di Facebook) disse che Facebook sfrutta la «vulnerabilità della psicologia umana» e che gli ideatori «lo sapevano consapevolmente, e l’abbiamo fatto lo stesso». Queste sono dichiarazioni della massima gravità riprese da Axios, nell'articolo "Sean Parker: Facebook was designed to exploit human "vulnerability"", che confermano la reale natura dei social.

Ciò nonostante, generalmente usiamo social e sistemi di messaggistica come riempitivi di vuoti interiori, come surrogato di una vicinanza fisica e di un contatto fisico che non c'è. Ciò amplifica la solitudine e il vuoto, in una spirale di negatività che può tenerci lontani dal nostro sole interiore, dalle persone più vicine e da uno o più aspetti della pratica buddista. In tal caso, il Re Demone gioisce.

Consapevoli di queste debolezze umane in un contesto tecnologico ostile per le nostre relazioni, la nostra missione di Bodhisattva richiede particolare attenzione. "Capire gli affari di questo mondo" significa anche capire la natura demoniaca dei mezzi che usiamo nella vita quotidiana. Quello che possiamo fare è innanzitutto esserne consapevoli, e poi inviare daimoku a tutte le nostre relazioni, in particolare a coloro che cadono in tristi comportamenti online che non portano alcun beneficio o valore né a sé né agli altri.

Anche le relazioni faccia a faccia sono diventate oggi molto più complicate che in passato, ma l'importante è provarci e trasformare con il daimoku le cose che non vanno. Ricordiamoci che al di fuori delle relazioni non c'è nient'altro, noi siamo relazione, la vita è relazione. Niente e nessuno esiste di per sé, ma solo in relazione dinamica a qualcos'altro, in continuo cambiamento. Questo il Buddismo lo chiama vacuità, o Via di Mezzo tra l'esistenza e la non-esistenza.

Per i giovanissimi tutto questo è assai più complicato che per noi, perché nascono in un mondo che sostituisce le relazioni con finte connessioni virtuali. I mali fisici, psichici e animici che ne conseguono sono un'infinità, con «modificazioni cerebrali simili a quelle che si ottengono in caso di alcolismo o dipendenza da droghe quali eroina, cocaina, marijuana, metanfetamina e ketamina» (come documentato nella succitata tesi di laurea).

Ecco una ricetta semplice per tutta questa oscurità: amiamo la vita, amiamo le persone e desideriamo il bene di tutti, ovvero ardiamo del desiderio di vivere come Bodhisattva, il resto verrà di conseguenza. Anche quando non è questo il nostro stato vitale, ripartiamo sempre dal potere trasformativo di Nam-myoho-renge-kyo e ricordiamoci che il Budda ci ha affidato la Legge mistica come «buona medicina per i mali della gente di Jambudvipa» (dal Gosho "La buona medicina per tutti i mali").

I social sono pieni di veleni, ma il Daishonin ci ha insegnato a trasformare il veleno in medicina:

«[...] Tutto è cambiato quando iniziai a conoscere la vita del maestro Daisaku Ikeda. Comprendere che anche lui aveva fronteggiato in giovane età sfide apparentemente insuperabili, con la decisione assoluta di vincere per la felicità di tutto il genere umano, fece nascere in me un profondo senso di gratitudine nei confronti del suo grande cuore. Iniziai a percepire che il mio destino poteva essere ribaltato, al di là delle mie capacità e di quello che le difficoltà mi facevano credere, e che se anche quella fosse stata la sfida della mia vita, mi sarei dedicata a ripagare questo profondo debito di gratitudine.
Cominciai a recitare Daimoku con il pensiero costante che myo significa “tornare a vivere”. Volevo ridare vita a ogni mia cellula, approfondendo la visione del Sutra del Loto secondo cui possiamo trasformare il karma nella nostra missione e il veleno in medicina.
La mia malattia è ancora definita “incurabile” ma, proprio perché secondo il Buddismo anche il karma “immutabile” può essere trasformato, ho iniziato a sentire che con la preghiera avrei potuto guarire la causa profonda di questa mia sofferenza karmica. [...]» 
 
(tratto da: "Ho preso per mano la mia malattia", Buddismo e Società 256, maggio 2025)

Tutto è collegato. Sono partito parlando di social e sono arrivato a citare l'esperienza di una malattia ritenuta incurabile. In effetti, la tv, i social e l'intelligenza artificiale oggi si presentano come una malattia incurabile. Nichiren ci ha detto cosa fare, e i nostri maestri della Soka Gakkai anche.

(25 agosto 2025)