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Le ragioni del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali - Riflessioni

«Solo se non saremo implacabilmente seguiti dalla registrazione di ogni traccia che lasciamo, la costruzione dell'identità di ciascuno potrà essere libera, e potrà nascere la libertà di donne e uomini»
Stefano Rodotà

 

Riflessioni

La privacy è un diritto di libertà, tale da mettere la persona nelle condizioni di decidere da sé a chi dare il permesso di far conoscere le proprie cose: questa libertà dovrebbe essere insegnata e trattata come un elemento fondamentale dell'educazione dell'individuo.

Da sempre le persone hanno una spinta sia a interessarsi della vita privata di altri e a divulgarne informazioni, veritiere o no che siano (dai pettegolezzi a casi ben più seri di divulgazione a mezzo stampa o via Internet, come nei casi di diffusione a un numero potenzialmente illimitato di persone via web di fatti privati altrui), sia a evitare che tale trattamento inflitto ad altri possa riguardarle in prima persona.

Nessuno dovrebbe dire “Io non ho nulla da nascondere”, perché non è vero, non è necessario avere chissà quali colpe per avere il desiderio di nascondersi: non a caso normalmente si chiede riservatezza in alcune attività quotidiane e non a caso si desidera confidare i propri timori, le proprie passioni, i momenti importanti della propria vita solo a certe persone e non ad altre. Non c'è nulla di più assurdo che negare il bisogno di riservatezza, che altro non è che il bisogno di tenere nascoste ad altri informazioni sul proprio comportamento.

Il diritto alla privacy è un diritto fondamentale della persona umana, e quindi protetto al massimo livello da parte dei nostri ordinamenti giuridici (meno in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, e in altre parti del mondo praticamente ignorato). E' un diritto che ha avuto un salto enorme di qualità e di importanza con lo sviluppo del Web2.0 e degli smartphone.

 

Un "dato" è una qualunque informazione, è il prodotto del fatto stesso di esistere, fin da prima di nascere (ancora nel grembo materno) e anche oltre la morte. E' impossibile vivere senza lasciare informazioni su noi stessi. Non sarebbe possibile conoscere nulla della storia dell'umanità se i nostri avi non avessero lasciato tracce. Sebbene la produzione dei dati sia un fatto individuale, lo scambio di informazioni presume l'esistenza di altre persone: i dati prodotti consentono ad altri di ricostruire la storia, l'identità, le abitudini e i costumi di una persona. Questo è il valore di un dato e, nello specifico, un dato personale è un'informazione riconducibile a una persona o che la identifica.

Molti dati della storia dell'archeologia sono dati non personali, perché non riconducibili ad una persona nota. Ad ogni modo, ogni dato non personale è potenzialmente un dato personale nel momento in cui, incrociandolo con altri dati, può essere attributo ad una specifica persona. In questo senso, difficilmente un dato anonimo è certamente anonimo e anonimo per sempre. Per tale ragione, la protezione dei dati comprende sia il dato personale in atto, sia il dato personale potenziale (dato anonimo).

(Queste riflessioni sono tratte da una lezione di Franco Pizzetti a Uninettuno, liberamente riadattate)

 

Dal diritto a "essere lasciati soli" alla privacy come strumento e diritto di libertà

Stefano Rodotà: «L'idea tradizionale della privacy come "diritto a essere lasciati soli", poteva sicuramente avere una sua profonda ragion d'essere in altre epoche. Qualcuno ha addirittura ipotizzato l'esistenza di una sorta di esigenza naturale delle persone ad avere uno spazio fisico di solitudine. Gli etologi, ossia coloro che studiano il comportamento animale, hanno osservato che se si mettono troppi topolini nella stessa gabbia, quando si supera un certo numero essi diventano aggressivi. Alcuni animali tendono a definire idealmente un loro spazio fisico, aggredendo un altro animale della loro specie solo nel momento in cui entra nel loro territorio. Non è così per gli uomini. La privacy è una costruzione culturale, ed è una costruzione culturale moderna, perché nel villaggio o nella cittadina del mondo pre-moderno - così come nel villaggio agricolo odierno - tutti sapevano tutto di tutti. Per tale motivo si instaura una tendenza ad isolarsi, a chiudersi, in altre parole a costruirsi una sfera non visibile degli altri, la quale talvolta può degenerare in un atteggiamento di non disponibilità verso i rapporti sociali. Al contrario, quando la privacy diventa uno strumento di libertà, può divenire naturale che io non voglia che alcune informazioni vengano raccolte sul mio conto per non essere discriminato. All'interno dello Statuto dei Lavoratori - un insieme di leggi molto importante promulgato nel 1970, dove per la prima volta i concetti di cui stiamo parlando trovarono una loro realizzazione - c'è una norma che recita: "Non si possono raccogliere informazioni, da parte dei datori del lavoro, sulle opinioni politiche, sindacali e religiose dei lavoratori". Le opinioni politiche o sindacali sono tipicamente opinioni pubbliche, allora perché questo divieto? La risposta ci può far capire meglio ciò di cui stiamo trattando. L'impedimento presente nello Statuto dei Lavoratori è stato concepito affinché il datore di lavoro non possa usare determinate informazioni al fine di discriminare o non assumere chi è iscritto a un certo partito o a un certo sindacato. In tal modo la riservatezza - la tutela della vita privata - diventa la condizione grazie alla quale posso vivere liberamente e posso affermare pubblicamente di far parte di un determinato partito senza senza aver paura di essere discriminato.» (fonte)

Buone riflessioni.

Francesco Galgani,
15 luglio 2014

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