Non è una questione di tecnologia, ma di pensiero

Dal grande chiacchiericcio tra chi osanna l'intelligenza artificiale e chi la disprezza come una delle massime abilità umane di auto-perculamento, mi allontano, in silenzio.

Serve altro.

Non è un problema di tecnologia, perché su quella non possiamo più fare nulla. Sì, certo, c'è il "software libero", ma... ormai qualsiasi flusso di dati, privato o pubblico, decente o indecente, sensato o incomprensibile, finisce nell'incurabile e insaziabile ingordigia delle intelligenze artificiali, che imparano da noi e su di noi per ogni stronzata che diciamo o scriviamo.

Da questo non c'è più scampo, così come non c'è altra possibilità per chi sta in basso dall'essere violentato e umiliato da chi sta in alto. La politica non è questione di destra o sinistra, ma di alto e basso, di caporali sopra e poveri disgraziati sotto. I caporali possono spegnere le nostre vite quando e come vogliono, e non mi riferisco solo al fu "green pass", che tra le tante aberrazioni neonaziste è la meno grave. Guardiamoci attorno... oggi ho visto alcuni filmati da Gaza. Chi non li sta vedendo se li cerchi. Da tutto questo non c'è tecnologia che possa salvarci.

L'unica alternativa, ammesso che un'alternativa possa esistere, sta nel "retto pensiero", che a sua volta è parte dell'ottuplice sentiero. Sulla Treccani, alla voce Buddismo, leggiamo: «[...] l’errata concezione di un’individualità distinta e costante nel tempo e l’attaccamento a questa è la principale causa di duḥkha [...]». Duḥkha vuol dire sofferenza, nel senso di insoddisfazione presente in ogni istante delle nostre vite. Tutto qua, sentirci individui separati è la causa principale delle nostre sofferenze, questo è il riassunto di due millenni e mezzo di buddismo. La soluzione parte dal "retto pensiero".

E qual è questo "retto pensiero"? Quando siamo titubanti sul da farsi, ricordiamoci di «aiutare l'altro, chiunque sia, anche sconosciuto», perché è un povero cristo come me, come te, come tutti gli altri, costretto a infinite umiliazioni, ingiustizie, violenze. Certo, il Vangelo di Matteo ha usato parole più raffinate e forse imbarazzanti nella loro grandiosità: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti». Detto così fa paura?

Basterebbe anche molto meno. Quando facciamo un gesto o una scelta che a noi toglie poco o nulla, o che comunque è facilmente sopportabile, ma che può essere di grande aiuto per qualcun altro... beh, abbiamo vinto sulla natura demoniaca del potere. Quando invece ci sentiamo in competizione con tutti, cioè in guerra, nel senso che non ce ne frega più nulla di aiutare qualcun altro, se non per nostro tornaconto economico o di altro genere, allora abbiamo perso, perché stiamo lavorando per quel potere che ci vuole proprio così, divisi e infelici.

Per chi volesse approfondire il "retto pensiero" nel senso inteso dal buddismo, esso si riferisce a sviluppare una mente libera da avidità e desiderio ossessivo, a coltivare pensieri di gentilezza amorevole (mettā) e compassione verso tutti gli esseri senzienti, senza malanimo né odio, e all'intenzione di non fare del male, di non danneggiare gli altri, né con le parole né con le azioni.

Non è difficile, anzi, è una sana medicina per tutti noi.

(7 dicembre 2024)

Dalle basi di Java ai microservizi con Spring Boot

«La conoscenza è come un fuoco: se non la alimenti condividendola, si spegne». Per questo motivo, condivido questi miei corposi appunti, che ho trasformato in un libro strutturato per agevolare l'apprendimento e la preparazione a colloqui di lavoro.

Per la pubblicazione mi affido al mio blog, anziché ad un libro stampato, perché l'uso di manuali cartacei è sempre più desueto tra noi programmatori, che solitamente cerchiamo e troviamo tutto online. Gli scaffali delle biblioteche e delle librerie sono ormai pieni di libri di informatica costosi, chiusi e impolverati, ma «un libro chiuso è solo carta».

Tieni a mente che questo testo può contenere errori o imprecisioni. Non ho risorse per fare una revisione accurata, che solitamente andrebbe affidata a terzi.

Che tu stia imparando Java per la prima volta, approfondendo la tua conoscenza per progetti avanzati o preparando un colloquio tecnico impegnativo, spero di darti una mano nel tuo studio.

Francesco Galgani, 7 dicembre 2024

Nota: La prima versione dei miei appunti su Java risale al 2006, questa versione arriva 18 anni dopo. Ti segnalo anche: "Le mie attività di sviluppatore e di didattica del software" e "Sviluppare app multipiattaforma con Codename One".

Netflix: addormentatore di cervelli?

Chi segue il mio blog, conosce le preoccupazioni che ho espresso negli ultimi dieci anni a proposito dei social, degli smartphone, della televisione e, in tempi più recenti, dell'intelligenza artificiale. I social network, invece di promuovere la democrazia e la connessione umana, spesso amplificano la competizione, l'odio, l'invidia e l'isolamento sociale, portando ad una svalutazione dell'essere umano, ridotto a cercare validazione attraverso likes e followers.

«Ama Dio e ama il prossimo, diceva il comandamento. Ma già per Nietzsche Dio era morto. E il prossimo? Nel mondo pre-tecnologico la vicinanza era fondamentale. Ora domina la lontananza, il rapporto mediato e mediatico. Il comandamento si svuota. Perché non abbiamo più nessuno da amare». Suggerisco di leggere e ascoltare "La morte del prossimo grazie a Internet" (intervista a Luigi Zoja, 2019) e "La base dell'educazione umana è l'amore, non lo smartphone" (è una mia recente intervista).

Il "grande assente" nei miei scritti e nelle mie discussioni è stato "Netflix", per il semplice motivo che non lo uso, preferendo ancora, quando possibile, la classica sala cinematografica e - che rarità! - le desuete videoteche amatoriali in cui i film esistono ancora su "supporti fisici" sconosciuti ai più giovani, piuttosto che su effimeri cloud posseduti da terzi.

Oggi i film si guardano sul telefonino o su un televisore con l'app di Netflix o di servizi analoghi di "streaming on demand", in cambio solitamente di un piccolo canone mensile, pagato il quale l'accesso a una sterminata collezione di film e di serie televisive è praticamente illimitato. Nel mondo digitale, gli "amanti del cinema" forse sono quei pochi che ancora non usano Netflix, ma che cercano rarità che solitamente trovano spazio solo su piattaforme "peer to peer" o in negozi di vendita online di DVD, Blu-ray e affini.

Ma non è di cinefilia che vorrei discutere. I problemi sono altri.

L'avvento di Netflix ha rivoluzionato la fruizione di contenuti audiovisivi, ma ha anche sollevato preoccupazioni riguardo alla passività degli spettatori. La pratica del "binge-watching" porta gli utenti a trascorrere ore davanti allo schermo, spesso senza interruzioni, favorendo un atteggiamento passivo e una fruizione acritica dei contenuti. Questo comportamento riduce la capacità di riflessione critica e l'interazione sociale, isolando l'individuo in un consumo mediatico incessante.

Oltre alla passività, emergono interrogativi sull'uso di Netflix come veicolo di propaganda politica e sociale. La piattaforma promuove specifiche agende ideologiche attraverso la selezione dei contenuti. I temi legati al politically correct, al woke, ai diritti LGBTQ+, alla presunta crisi climatica, e altri, rispondono a precise strategie politiche nella cinematografia piuttosto che a genuine scelte artistiche.

La questione della censura è altrettanto rilevante. In diversi paesi, Netflix ha rimosso contenuti su richiesta dei governi locali. Queste azioni indicano che contenuti realmente critici nei confronti del sistema non possono trovare spazio su Netflix (né sui social).

La combinazione di passività indotta dal binge-watching e la possibile esposizione a contenuti filtrati o orientati ideologicamente è un potente veleno anti-democratico, per non dire anti-umano. Gli spettatori potrebbero essere inconsapevolmente manipolati da narrazioni che riflettono specifiche agende politiche o sociali, senza avere l'opportunità di confrontarsi con prospettive alternative o critiche. Questo scenario di "conformismo culturale" limita la diversità di pensiero e la capacità di analisi critica. Ciò si somma ai danni fisici, emotivi e relazionali provocati dalla dipendenza da contenuti seriali e dalla tendenza a consumarli in modo compulsivo.

(4 dicembre 2024)

L'autoreferenzialità è disconnessione dalla realtà?

Nel mondo odierno fatto di illusioni, persuasioni e propaganda incessante, anche grazie alla stampella tecnologica NATO-centrica dell'intelligenza artificiale, la vera sfida è mantenere un minimo di senso di realtà.

Facciamo un esempio. Per un mio personale interesse sociologico nel valutare dove ci stanno portando le attuali tecnologie, ho chiesto a ChatGPT (intelligenza artificiale di OpenAI) e a Gemini (intelligenza artificiale di Google): «L'Italia fa bene ad inviare armi all'Ucraina?».

Per rispetto verso i miei lettori, e per decenza, non riporto le risposte, che non sono altro che una brutta fotocopia del "giornalismo spazzatura" italiano e della propaganda atlantista.

Non è che le risposte, di per sé, siano argomentate male, il problema è che sono disconnesse dalla realtà. L'orrore della guerra in quanto tale e le sofferenze inenarrabili che essa provoca sarebbero già sufficienti per argomentare una risposta sensata, ma la narrazione predominante non ne tiene conto, preferendo spostare l'attenzione su altro. Il problema è l'autorefenzialità, cioè il fatto di considerare un specifico punto di vista – il proprio – come l'unico dicibile e discutibile. Questo significa disconoscere completamente la realtà altrui, ovvero vivere al di fuori di una realtà condivisa o almeno potenzialmente condivisibile.

Nel caso della domanda che ho fatto alle intelligenze artificiali, le risposte ignorano completamente la sofferenza della Russia, che si sente aggredita e gravemente minacciata nella sua integrità ed esistenza, e la sofferenza dei diretti interessati inviati in guerra (a prescidere dalla loro nazionalità). Empatia e senso di realtà mancano nelle informazioni che circolano nel dibattito pubblico.

Da che mondo è mondo, tutti coloro che entrano in una guerra lo fanno per "legittima difesa" (dal proprio punto di vista). Se non consideriamo l'esperienza, la sensibilità e la visione del mondo di tutte le parti coinvolte in un avvenimento, in questo caso una guerra, non potremo comprenderlo.

A parte la guerra, anche rimanendo nei nostri piccoli vissuti, l'autoreferenzialità è il nostro principale nemico nella comprensione della realtà. Più una persona è autoreferenziale e maggiore è la sua propensione a farsi nemici e a mettersi in grave pericolo senza neanche rendersene conto.

Dal punto di vista della psicologia clinica, l'autoreferenzialità a cui mi sto riferendo si trova innanzitutto nel disturbo narcisistico di personalità, caratterizzato da manie di grandiosità, bisogno di ammirazione, mancanza di empatia, e interpretazione di ogni evento in termini di sé. La troviamo inoltre nei deliri psicotici di riferimento o di persecuzione, cioè nelle convinzioni erronee e persistenti che gli eventi esterni o i comportamenti degli altri siano incentrati su di sé. In forma meno grave, l'autorefenzialità si trova anche nei disturbi istrionici, cioè nella necessità di essere al centro dell'attenzione.

Il minimo comun denominatore di queste condizioni è un atteggiamento mentale in cui una persona è eccessivamente focalizzata su di sé, ignorando o fraintendendo le prospettive altrui. I segnali di riconoscimento di questi modelli disfunzionali di pensiero, di emozioni e di comportamenti, condivisi da quasi tutto il mondo politico e finanziario, è l'incapacità di considerare correttamente le conseguenze delle proprie azioni al di fuori della propria visione limitata. Questa incapacità ha accompagnato la storia di religioni e ideologie politiche ed economiche a un disastro dopo l'altro.

Essere persi nelle nebbie di una autoreferenzialità che ha divorziato dalla realtà significa vivere in un paradosso continuo, dovuto al fatto che, pur disponendo grazie a Internet della massima quantità di informazioni, della massima possibilità di informarci, in realtà abbiamo una comprensione minima o nulla di ciò che accade intorno a noi.

Ci sono tutti i dati, tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, eppure abbiamo la massima ignoranza, la massima inconsapevolezza. L'autoreferenzialità uccide e fa uccidere.

Mai nella storia dell'umanità i popoli sono stati così lontani, come lo sono oggi, dal capire la guerra che incombe su di loro e la morte che li sta per falciare. La vogliamo smettere di parlare di armi nucleari, di riarmo, di ritorno della leva obbligatoria, in poche parole di "fare la guerra", con ignobile distaccata indifferenza?

Queste non sono discussioni filosofiche astratte, ma problemi da risolvere qui ed ora. Il primo passo è smontare i miti e le menzogne del potere, dei quali l'intelligenza artificiale è una delle espressioni. Stesso discorso per i social e per la televisione.

Se si ignorano le realtà terribili da capire e da digerire, rimanendo nel comfort di una facile autoreferenzialità personale o sociale, il percorso della menzogna ci porterà inevitabilmente al nostro annientamento. I castelli di bugie possono suggestionare per un periodo limitato di tempo, ma prima o poi franano inesorabilmente senza sconti per nessuno.

Coloro che seguono i pifferai magici e gli incantatori di serpenti, o che lo sono loro stessi, sono destinati a essere nulla e a finire nel nulla. Gli altri, cioè coloro che almeno si fanno qualche domanda, costruiscono la propria dignità giorno per giorno, o almeno ci provano.

La realtà presenta sempre il suo conto. L'investimento progressivo ed emotivo nella menzogna autoreferenziale portata avanti per anni o per decenni corrisponde alla creazione di uno tsunami di merda che prima o poi porterà via tutto, senza dare tante spiegazioni.

(2 dicembre 2024)

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