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Buddismo

Pillole di Buddismo - La non-realtà delle notizie di attualità

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Per quanto ultimamente preferisca non entrare nei dettagli dell’attualità, giacché questa abitudine m’è passata da un po’ di tempo (come avranno notato i miei lettori affezionati), non significa che non sia consapevole delle notizie che circolano e delle brutte forme-pensiero da esse alimentate, soprattutto quando le decisioni di chi è al potere ci toccano personalmente.

La comunicazione di massa è costruita in modo da elicitare il più possibile i sei mondi inferiori (di cui ho parlato in “Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva”) e, poiché in tali mondi è impossibile vedere la realtà per «ciò che è», ne segue che tutta la rappresentazione mass-mediatica della realtà è un’illusione.

Per svegliarci dal sonno dell’illusione, ogni tanto in questo mondo sono di passaggio alcuni maestri. Come ha scritto una cara amica: «[…] il maestro di Nazareth e molti altri sono LA SOLA REALTÀ SOSTANZIALE di questa vita e oltre, tutto il resto è una prova per testare la saggezza e la verità dell'anima di ciascuno… […]». Fondamentalmente sono d’accordo sul fatto che la visione del mondo dei maestri dell’umanità sia l’unica corrispondente a «ciò che è». Qualcuno ricorda la caverna di Platone?

Secondo me, questi nostri tempi sono un periodo eccellente per la ricerca spirituale e per riscoprire i maestri, i filosofi e tutti coloro che hanno avuto una visione delle cose molto più ampia della nostra. Non credo che i problemi che loro hanno vissuto nelle loro società e nelle loro epoche fossero minori dei nostri, anzi.

Per esprimermi in termini a me familiari, quando ascoltiamo le notizie (e in qualunque altro momento), non facciamoci demolire dai dieci eserciti del Re Demone: loro sono fragili, non noi.

Questi dieci eserciti sono elencati nel “Trattato sulla grande perfezione della saggezza”: è un voluminoso commentario al “Sutra della grande perfezione della saggezza”, tradizionalmente attribuito al maestro Nagarjuna (150 - 250). Attualmente esiste solo la versione cinese tradotta da Kumarajiva (344 - 413). Quest’opera spiega, fra gli altri, i concetti di saggezza, di vacuità o non sostanzialità, l’ideale del bodhisattva e le sei paramita (cioè le pratiche che i bodhisattva mahayana devono osservare per ottenere l’illuminazione, ovvero l’abbandono dell’illusione). Contiene anche concetti derivanti dal Sutra del Loto e da altri sutra mahayana ed è considerata una delle più importanti opere del pensiero mahayana. Nel trattato, i dieci eserciti compaiono in questo ordine (i termini variano in base alle traduzioni, riporto fra parentesi sinonimi e parafrasi per maggiore chiarezza):

1) avidità (piacere dei sensi, desiderio);
2) preoccupazione (tristezza, depressione);
3) fame e sete (condizione di bisogno, povertà materiale);
4) amore dei piaceri (bramosia, attaccamento al piacere);
5) sonnolenza e apatia (indolenza, indifferenza d’animo, inerzia, pigrizia, sonno o stanchezza ben oltre le necessità fisiologiche);
6) paura (il contrario del coraggio, è la scelta di “volare basso”);
7) dubbio e rimpianto (dubbio inteso come “non fiducia” nella parte illuminata, o buddità, di se stessi, degli altri e di tutto l’ambiente, da non confondere con il sano e auspicabile dubbio che alimenta lo spirito di ricerca);
8) rabbia (presunzione, ingratitudine, collera);
9) brama di fama e ricchezza (guadagno materiale, onore, soldi, potere);
10) arroganza e disprezzo per gli altri.

A ben guardare, tutti questi dieci eserciti corrispondono a condizioni esistenziali proprie dei sei mondi inferiori. Quindi è tutto un inganno.

Ma la preghiera è più potente di tutti questi eserciti. Proprio per questa ragione, il Re Demone appare per far smettere di pregare, fiaccare lo stato vitale, indebolire la fede. «Quando incontra qualcuno che ha rivolto il suo cuore al bene, cerca di ostacolarlo» (frase tratta da “Lettera ai fratelli”, scritta dal maestro Nichiren Daishonin). Eppure la sua apparizione è proprio il segno della crescita. Se non stessimo attraversando profondi cambiamenti non ci sarebbe alcun motivo valido, per lui, di farsi vivo e (tentare di) sbarrarci la strada.

Nessuno di questi eserciti, di per sé, è negativo, sono tutti aspetti della vita necessari: non è la loro presenza nella nostra vita ad essere negativa, bensì è la ragione per cui appaiono queste forze a renderle “demoniache”, nel senso di “padrone di noi”. Ad esempio, la tristezza diventa un esercito del demone quando si mangia la voglia di credere e di pregare. Oppure, quando la paura diventa un esercito di pensieri infidi e potenti, scatena un potere devastante e disumanizzante. Ancora, c'è l'esercito del dubbio e del rimpianto quando la testa si riempie di «se avessi fatto, se avessi detto»: mille pensieri con la faccia rivolta all'indietro, che ingabbiano la fede, fermano la preghiera. E così via per gli altri eserciti.

Il Re Demone è molto a suo agio nel nostro tempo, che è governato dall'esaltazione degli eccessi, profondamente imbevuto di una cultura che premia il disprezzo e la voglia di dominare gli altri, un tempo che coltiva ogni forma di attaccamento al piacere, incoraggia il desiderio di accumulare quanto più denaro possibile, e fa sentire molto fieri di cavalcare desideri e privilegi. La natura demoniaca del potere è proprio questa: utilizzare questa nostra ignoranza e spingere a guardare la vita con disprezzo, e a usare gli altri per i propri fini.

Ecco, quando i nostri occhi e le nostre orecchie incontrano un telegiornale ricordiamo che stiamo osservando una rappresentazione del mondo così come la vuole il Re Demone.

Ma… la nostra vera essenza non è negativa, casomai può essere oscurata dalle funzioni negative di questi eserciti. Pregando si può scoprire che gli eserciti del Re Demone sono tanto temibili quanto fragili. La felicità non sta nel non incontrarli mai (cosa peraltro impossibile), né tantomeno nello sterminarli, ma nell'avere la forza di neutralizzare la loro intenzione profonda, che è quella di sviarci e non farci credere nella dignità di ogni forma di vita e nella possibilità di tirare fuori da noi e dalle cose che viviamo il senso più autentico.

Basta aprire un libro su una frase di uno dei maestri dell’umanità e gli eserciti si faranno da parte.

(7 agosto 2021)

Pillole di Buddismo - Dieci Mondi - Aiutare gli eventi a svolgersi in una direzione positiva

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Ogni giorno è un giorno buono per avere pensieri positivi e per essere grati dei doni della vita. Nel proseguo di questo articolo, vedremo come tale disposizione d’animo faccia cambiare direzione al nostro destino.

Per prima cosa, è già appurato e dimostrato che la sola disposizione mentale, anche restando fermi in meditazione o in preghiera, cambi in maniera significativa gli eventi attorno a noi. Ne avevo già parlato nell’articolo “Non crediamo a quelle forme-pensiero che tolgono energia”, referendomi nello specifico al cosiddetto “Maharishi Effect”. Nel 1978, 7.000 persone meditarono con l’intenzione di avere un effetto positivo sulla città circostante per tre settimane consecutive. Il risultato dei loro sforzi di meditazione intenzionali e collettivi fu che l’energia collettiva della città venne completamente trasformata: si ridussero i tassi globali di criminalità, gli atti violenti e le morti in media del 16%; diminuirono i suicidi e gli incidenti stradali, tenendo conto di tutti i fattori variabili; le attività terroristiche si ridussero del 72% nel corso del progetto di meditazione. Da allora sono stati condotti più di 50 studi per verificare la validità dell’Effetto Maharishi e i risultati hanno confermato l’impatto diretto che la meditazione globale ha sul mondo.

Un altro esempio del potere di ciò in cui crediamo è dato dalle “profezie che si autoavverano”, di cui avevo parlato in “Pillole di Psicologia - Il senso delle preghiere”. Nel 1948, il sociologo statunitense Robert King Merton (1910-2003), introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità». Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas (1863-1947), aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: «Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze».

Dopo queste premesse, già dovrebbe essere evidente che prestare attenzione a direzionare positivamente pensieri e parole abbia un grande effetto benefico. Sottovalutare o negare questo fatto significa soltanto vivere in maniera meno consapevole e meno gratificante: credere che tutto dipenda soltanto dalle azioni indipendentemente dai pensieri, o al contrario dal caso o dalla predestinazione, è un atteggiamento irrispettoso verso noi stessi e controproducente.

Nella vita quotidiana, infatti, otteniamo quasi sempre risultati migliori per noi stessi e per le persone vicine evidenziando le positività, invece delle negatività. Da un certo punto di vista, la nostra disposizione interiore, o orientamento del cuore e dell’intelletto, compie miracoli, ma di solito non ce ne accorgiamo. Tutto ciò, ovviamente, a condizione che pensieri, parole e azioni vadano nella stessa direzione. Come scrissi in “Fede positiva?”, «Nulla è a caso e i nostri pensieri possono essere profezie auto-avverantesi. Le parole sono importanti ed è proprio per questo che vanno legate all'azione, altrimenti diventano parole svuotate di significato. Lo stesso vale per le parole che compongono le nostre preghiere». Per esprimere lo stesso concetto con riferimento alla fede buddista nel Sutra del Loto, il maestro Nichiren Daishonin, in una lettera del 1276, si espresse così: «Ma c’è una differenza fra i benefici del daimoku recitato da un santo e i benefici del daimoku che recitiamo noi? Per risponderti, nessuno dei due è in alcun modo superiore o inferiore all'altro. L'oro posseduto da uno stolto non è differente dall'oro posseduto da un sapiente; il fuoco acceso da uno stolto è uguale al fuoco acceso da un sapiente. Tuttavia c'è una differenza se si recita il daimoku e allo stesso tempo si va contro l'intento di questo sutra» (tratto dal Gosho “Le quattorci offese”).

L’ottimismo nasce dalla fiducia nella vita, cioè in noi stessi e nel nostro ambiente: concretamente significa, volta per volta, fare scelte fiduciose in cui cuore e intelletto agiscano insieme, senza pretese e senza bisogno di esercitare alcun controllo ossessivo su noi stessi, sulle altre persone o sulle cose che accadono.

Provo a mostrare meglio questo concetto con una metafora vicina a un certo tipo di pensiero mistico che si riconosce nell’espressione «Deus sive Natura» (letteralmente «Dio ossia la Natura») del filosofo Baruch Spinoza (1632 - 1677). Per chi vuole approfondire, avevo affrontato il pensiero di Spinoza nell’articolo “Dalla tirannia incostituzionale televisiva a Baruch Spinoza”. Non voglio entrare qui nello storico dibattito teologico sulle idee di Spinoza, perché ci porterebbe fuori strada. Chiedo soltanto ai miei lettori pazienti di provare, per un attimo, a osservare la realtà con la stessa visione che questo filosofo ci ha trasmesso. Ecco, dovrebbe esserci evidente che se «Deus sive Natura», allora l’assurdità di avere lamentele, pretese, giudizi e bisogno di controllo ossessivo verso la vita equivale in tutto e per tutto a bestemmiare, cioè a giudicare Dio. Spero che questa chiave di lettura possa suscitare in tutti noi prudenza quando apriamo bocca o abbiamo atteggiamenti di lamentela o di disprezzo.

Per fare un altro esempio di saggezza interreligiosa, come riportato dal filosofo Lou Marinoff nel libro "Qualunque fiore tu sia sboccerai" (a pag. 37), secondo la cabala, che è l'insieme degli insegnamenti esoterici dell'ebraismo rabbinico, ogni situazione può e dovrebbe essere interpretata in modo positivo per celebrare ogni istante della propria esistenza.

Tornando alle vicissitudini quotidiane, l’ottimismo è, ad esempio, un fattore vitale tra i sopravvissuti ai naufragi, talvolta rimasti in balìa dell’oceano per molti giorni, in zattere aperte, esposti alle intemperie e ad altri pericoli, spesso senza cibo né acqua. Coloro che mantengono un atteggiamento positivo, e credono che saranno salvati in tempo, hanno maggiori probabilità di sopravvivere alle traversie rispetto a coloro che si disperano e abbandonano ogni speranza.

Per tutte queste ragioni, ciò in cui ciascuno di noi “crede” in un dato momento ha un ruolo cruciale nella creazione della “propria realtà”, del proprio inferno, paradiso o altro tipo di esistenza.

Non è solo una questione di fede religiosa o di altro tipo, è innanzitutto questione del “mondo interiore” in cui solitamente dimoriamo. Nella recente serie televisiva “Lucifer” (2016-2021), creata da Tom Kapinos, non è il diavolo a infliggere di propria volontà le pene, ma sono le anime stesse dei dannati a creare il proprio “loop infernale”, da cui potrebbero uscire se lo volessero, cioè liberarsi, ma non lo fanno: tale genio cinematografico significa qualcosa?

Queste che sto scrivendo sono solo parole, eppure c’è qualcosa di straordinario nel potere della nostra disposizione interiore su tutto l’ambiente circostante. Nell’audiolibro “Il dono del silenzio(a partire da 2 ore e 10 minuti circa), Thich Nhat Hanh racconta un evento realmente accaduto in un tempio vietnamita, durante la Guerra del Vietnam: i soldati francesi entrarono con le loro armi nel tempio e sentirono fin da subito una sensazione di disagio. Sentivano di non essere soli, ma non vedevano nessuno perché c’era poca luce. Usando una torcia elettrica, videro una cinquantina di monaci seduti in meditazione: lo stato d’animo dei soldati cambiò radicalmente, si sentirono assolutamente impotenti e incapaci di nuocere. I monaci buddisti non dissero nulla e continuarono la loro meditazione, i soldati rimasero turbati, se ne andarono e uno di loro in particolare cominciò a comprendere l’assurdità della guerra. Tutto ciò accadde in silenzio.

Soffermiamoci sui mondi interiori, perché la costruzione della “nostra realtà”, come ho appena accennato, dipende dal mondo in cui ci troviamo. I “Dieci mondi” (o “Dieci regni dell'esistenza”) è una dottrina buddista mahayana cinese, originatasi all'interno della scuola del Gran Maestro T’ien-t’ai (538-597), la cui biografia su Wikipedia è riportata alla voce "Zhìyǐ Tiāntái Dàshī" (è la stessa persona, ma la traslitterazione del nome cinese in caratteri latini è fatta diversamente). La dottrina dei “Dieci mondi” si diffuse, a partire dalla Cina, nei paesi influenzati dal “Canone buddista cinese”, ovvero Giappone, Corea e Vietnam. Una descrizione approfondita di questi dieci mondi richiederebbe almeno un libro (ad es. "I dieci mondi - Introduzione al Buddismo di Nichiren Daishonin" di Richard Causton, Esperia editore, 2004, fuori catalogo e difficile da trovare, oppure il più recente libretto tascabile del 2012 "I dieci mondi", ancora acquistabile e disponibile anche come ebook), qui mi limiterò ad una sintesi. Per chi vuole approfondire, segnalo la dispensa gratuita di 19 pagine, in PDF, "I dieci mondi".

Iniziamo con una immagine schematica dei dieci mondi (puoi cliccarci sopra per ingrandirla):

Dieci Mondi (Buddismo di Nichiren Daishonin)

In ordine dal più basso e negativo verso il più alto e desiderabile, troviamo:

1) Il mondo d’inferno, una condizione di disperazione nella quale siamo completamente sopraffatti dalla sofferenza, dal senso di impotenza e di impossibilità di uscire da tale sofferenza. Il termine Inferno deriva dalla parola sanscrita naraka, che letteralmente indica una prigione sotterranea. Il nome giapponese (jigoku) è composto da due caratteri che significano “terra” e “prigione”. Terra indica il luogo più in basso di tutti, e prigione lo stato in cui l’essere è legato e totalmente immobilizzato: la condizione spirituale di una persona a cui è stata tolta la volontà di vivere e di agire, che non ha più la forza né la speranza di cambiare le cose. L’energia vitale che alimenta i desideri, gli istinti, le passioni, è quasi del tutto annientata. Il tempo, nel mondo d’Inferno, sembra non passare mai. Quando la forza vitale si indebolisce, il flusso vitale quasi si interrompe e lo scorrere del tempo appare lentissimo.

2) Il mondo degli spiriti affamati (mondo di avidità o mondo di fame) è uno stato in cui siamo dominati da un desiderio illusorio che non potrà mai venire definitivamente appagato. “Fame” deriva dalla parola sanscrita preta che in origine significava “cadavere”, e col tempo il termine finì per essere usato per indicare un regno di infelicità, come l’inferno e l’animalità, in cui si può cadere dopo la morte. Preta significa anche “spirito ancestrale”; in India si credeva che molti spiriti degli antenati fossero affamati e avidi di cibo, per questo si cominciò a chiamare i morti “spiriti affamati”. Chi sperimenta questa condizione è schiavo dei desideri, non si gode la vita perché gli manca sempre qualcosa. Con la conseguenza di sentirsi perennemente insoddisfatto e frustrato. Potremmo definire l’avidità come il desiderio di riempire a tutti i costi un senso di vuoto interiore: molte delle cosiddette sindromi della mancanza, come gli attacchi di bulimia, le crisi di astinenza, la possessività e la gelosia possono ricondursi a questo stato vitale. Rispetto al mondo d’inferno, lo spazio vitale è leggermente più grande, anche se di poco. Non si è più in una condizione di totale schiavitù e disperazione ma si ha una ragione per cui vivere.

3) Il mondo degli animali (mondo di animalità o mondo di stupidità), una condizione basata sugli istinti. In origine il termine (giapponese chikusho) si riferiva alla condizione propria degli animali. “Stupido” è chi non usa la propria intelligenza e la propria coscienza, prerogative dell’essere umano; chi non si chiede mai il perché delle cose, chi non si assume la responsabilità delle proprie azioni. Il mondo di animalità segue la legge del più forte, la logica della guerra. L’esplosione di rabbia irrefrenabile, il raptus omicida, come pure la paura paralizzante, l’attacco di panico, possono tutte essere manifestazioni del mondo di animalità.

4) Il mondo degli asura (collera), uno stato caratterizzato dal bisogno irrefrenabile di controllare, prevaricare e dominare gli altri, convinti della propria bontà e saggezza o, per dirla in altri termini, della propria superiorità; chi si trova in questo stato collerico può comportarsi anche in maniera molto pacata, senza esternare rabbia, ma posizionando se stesso o se stessa sopra un piedistallo rispetto agli altri (anche in maniera inconsapevole). “Collera” (giapponese shura) deriva dal termine sanscrito asura, che designava in origine una categoria di divinità benevole divenute in seguito demoni litigiosi incessantemente in lotta con gli dèi. T’ien-t’ai ne fa una descrizione precisa nel Maka Shikan: «La persona nel regno di Ashura ha un irresistibile impulso a prevalere su chiunque altro. Come il falco, che vola alto nel cielo in cerca della preda, guarda in basso verso gli altri e rispetta soltanto se stesso. Mostra superficialmente una sorta di benevolenza, di rettitudine, di correttezza, di sapienza e di fede, e può anche mostrare una forma primitiva di integrità morale, ma dentro è un mostruoso Ashura». Chi è nel mondo di collera ha un senso spropositato dell’io. L’invidia è un’altra caratteristica del mondo di collera. Si prova invidia verso chi gode di una posizione più elevata o più fortunata di noi, ma questo sentimento non induce a cercare di migliorare la propria condizione, bensì a trascinare gli altri al proprio livello. Il dramma della persona nel mondo di Collera è che vive costantemente nella paura che venga rivelata la sua vera natura.

Questi quattro mondi vengono definiti i quattro cattivi sentieri per la distruttiva negatività e l'inconsapevolezza che li contraddistinguono. La mia personale sensazione è che, quando incontro una persona che a me pare dimorare nel mondo di inferno, non soltanto un dialogo vero è molto difficile per non dire improbabile, ma la mia capacità di non lasciarmi risucchiare dalla forma-pensiero della negatività che aleggia nell'aria viene messa alla prova. Il silenzio dei monaci del tempio vietnamita sopra citato forse è assai più saggio di tante parole. Magari non servono le parole, serve altro, come saper ascoltare mantenendo uno stato vitale interiore positivo e con fede nella vita. Per quanto disperata appaia la situazione, se sentiamo che non siamo soli, ma abbiamo un legame con gli altri e con il mondo, riusciremo sicuramente a risollevarci e a reagire. Queste sono le mie impressioni, l'incontro con il mondo di inferno è sempre difficile. Andiamo avanti nell’elencazione dei mondi:

5) Il mondo degli esseri umani (umanità) è uno stato di tranquillità, nel quale appare la capacità di ragionare e di discernere; pur essendo alla base della nostra identità di esseri umani, questa condizione comunque vive di un fragile equilibrio, facilmente scivola verso uno dei mondi bassi quando appare una situazione negativa; è una tranquillità nella quale non stiamo lottando, né perseguendo alcun ideale. Il mondo di umanità è un trampolino di lancio, una possibilità. Solo se coltiviamo la buddità riusciamo a manifestare pienamente il nostro potenziale umano. Nel buddismo il corpo umano è chiamato “recipiente dei nobili sentieri” o “recipiente della Legge”, adatto cioè a svolgere la pratica buddista.

6) Il mondo degli esseri celesti, o mondo del desiderio, o mondo di estasi, è lo stato di gioia tipico che nasce dopo aver realizzato un desiderio o evitato una sofferenza: questo è il mondo dove dimora il Re Demone, il ladro di vita che si nutre delle nostre creazioni illusorie, dei nostri desideri e delle nostre debolezze.

I mondi fin qui illustrati sono a volte definiti i "sei mondi inferiori": la loro caratteristica è quella di essere fondamentalmente reazioni alle mutevoli situazioni esterne. In essi sperimentiamo una mancanza di vera libertà e autonomia.

Quelli che il Buddismo definisce invece i "quattro mondi nobili" rappresentano lo sforzo di vivere con integrità, libertà interiore e compassione:

7) Il mondo di degli ascoltatori della voce (mondo di studio o mondo di apprendimento) descrive la condizione di aspirazione verso l’Illuminazione, è lo stato del discepolo che ha acquisito la comprensione ascoltando gli insegnamenti del budda.

8) Il mondo dei risvegliati all’origine dipendente (mondo di realizzazione o mondo di illuminazione parziale) indica la capacità di percepire la vera natura dei fenomeni.

Questi ultimi due mondi sono talvolta chiamati i "due veicoli" in quanto le persone che manifestano questi stati sono parzialmente illuminate e libere da alcuni desideri illusori. Caratteristica di questi due stati è lo spirito di ricerca. Da un altro punto di vista, questi mondi possono essere molto incentrati sul proprio Ego, tanto che, in molte scritture, il Budda ammonisce le persone dei due veicoli per il loro egoismo e autocompiacimento. Una vera erudizione, infatti, è un bene solo quando viene messa al servizio della collettività, in particolare al servizio di coloro che non hanno potuto studiare. Proseguiamo:

9) Il mondo dei bodhisattva è lo stato di compassione nel quale superiamo i limiti dell’egoismo e ci adoperiamo per il benessere degli altri; il buddismo mahayana enfatizza la figura del bodhisattva come ideale del comportamento umano.

10) Il mondo di budda (buddità) è lo stato di perfezione e assoluta libertà, in cui si assapora un senso di unità con la forza vitale fondamentale dell’universo: quando siamo nello stato di buddità riusciamo a sperimentare qualsiasi fenomeno – comprese le inevitabili prove dolorose della vita – come un’opportunità di gioia e appagamento.

Lo stato vitale interiore della buddità, che è l’unico di reale libertà, si manifesta attraverso l’impegno altruistico e le azioni del bodhisattva. Credo che per una vita bella e realizzata ci convenga dimorare soprattutto in quest’ultimi quattro mondi nobili, prestando particolare attenzione agli inganni del sesto mondo (detto anche “sesto cielo”), perché le gioie di tale estasi sono costruire su una realtà illusoria (che da un attimo all’altro può risucchiarci nell’inferno). E’ cruciale notare che mentre per stare nei sei mondi inferiori non occorre fare assolutamente nulla, in quanto questo mondo è in mano al Re Demone e le società umane, nel loro complesso, sembrano intenzionalmente costruite per farci dimorare nei mondi inferiori, prendere dimora nei quattro mondi nobili richiede sia un impegno attivo quotidiano, sia la volontà di accogliere i demoni che spesso verranno a farci visita per riportarci nei mondi inferiori. Maggiore è la fede, maggiore è la forza dei demoni che verranno. Per una fede grandiosa può persino scomodarsi direttamente il Re Demone in persona, invece di inviare altri demoni minori… Al contrario, «[…] fintanto che una persona non cerca di uscire dal ciclo di nascita e morte e non aspira al veicolo del Budda, il demone veglierà su di lui come un genitore […]» (tratto dal Gosho “Le azioni del devoto del Sutra del Loto”).

Vorrei concludere con due frasi tratte da “Le quattordici offese”:

«[...] Gli uomini vivono in questo mondo fuggevole ove tutto è incertezza e impermanenza, eppure giorno e notte non pensano che alla quantità di ricchezza che possono ammassare in questa esistenza. Dall’alba al crepuscolo si concentrano solo su faccende terrene, senza venerare il Budda e senza credere nella Legge; trascurano la pratica buddista, mancano di saggezza e sprecano le loro giornate. Quando saranno trascinati davanti al tribunale di Yama, il signore dell’inferno, quali provviste porteranno con sé nel lungo viaggio attraverso il triplice mondo, cosa potranno usare come barca o zattera per attraversare il mare delle sofferenze di nascita e morte e giungere nella Terra della Ricompensa Effettiva o nella Terra del Budda della Luce Tranquilla? Quando siamo illusi è come se sognassimo, quando siamo illuminati è come se ci fossimo svegliati. [...]»

«[...] la felicità in questa vita non è che un sogno dentro un sogno, e che la vera felicità è quella che si trova nella pura terra del Picco dell’Aquila. Continua a praticare senza mai abbandonare la fede fino all’ultimo istante della vita e quando giungerà quel momento, ammira! [...]»

(4 agosto 2021)

Nota: per quanto riguarda i termini che ho usato per nominare i dieci mondi, trattandosi di traduzioni da testi orientali antichi, la nomenclatura varia a seconda dei traduttori e delle epoche. Ho verificato che gli stessi editori, da un anno all’altro, cambiano le traduzioni. I concetti di fondo, comunque, rimangono gli stessi. Ho fatto questa precisazione perché, ad esempio, cercando i dieci mondi su Wikipedia o su altri fonti troverete termini diversi. Io mi sono basato sulle traduzioni adottate da Esperia editore.

Pillole di Consapevolezza - La disciplina della Pazienza secondo un'Intelligenza Spirituale Interreligiosa

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Ringrazio il caro maestro Mauro Scardovelli per questo suo recente video del 29 luglio 2021 (fonte), riportato in calce, in cui è tornato a occuparsi di una tematica universale e fuori dal tempo. Qui egli affronta la Pazienza come qualità dell'Anima, da una prospettiva che comprende contributi della Cristianità e del Buddismo. Mi ha sorpreso come le sue riflessioni siano in armonia con la mia quotidiana e frequente Meditazione dell'Audizione, in particolare con l'apertura accogliente e non giudicante verso ciò che ci offre la vita.

Per chi come me segue con dedizione Mauro ormai da molti anni, certe espressioni da lui usate e i significati di certi termini (come Ego ed Anima) sono ormai assodati. Per coloro che comunque non hanno ancora approfondito il suo pensiero, o desiderano ripassarlo, rimando alla raccolta di video che ho fatto in sua memoria, affinché non vadano persi (è un mio archivio di suoi video vecchi ma significativi). Ho dedicato inoltre una speciale sezione monotematica del mio blog sulla "Comunicazione Non Violenta", anch'essa con video di Mauro.

Grazie a tutti,
1 agosto 2021

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Pillole di Buddismo - Oltre le bugie (e oltre il green pass)

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Qualunque tipo di potere inteso come coercizione (potere politico, religioso, scolastico, medico-scientifico, ecc.) esercita la sua funzione demoniaca e legittima se stesso tramite l’istituzionalizzazione della bugia a verità. Questo è un modus cogitandi et operandi universale, che trascende le circostanze storiche e culturali. Per questa stessa ragione, chi ama non ricerca mai la coercizione altrui, casomai prova a favorire una libertà responsabilizzante mirata ad un’autonoma acquisizione di consapevolezza per il tramite dell’esperienza.

Per fortuna qualsiasi istituzione umana, così come ogni persona, non ha soltanto funzioni egoiche (cioè demoniache o distruttive), ma anche animiche (cioè benefiche e dirette al bene di tutti noi). Le costruzioni egoiche, prima o poi, franano come castelli fatti con carte da gioco: per quanto possano durare perseverando nell’istituzionalizzazione della bugia a verità e a legge, si tratta comunque di costruzioni illusorie che non reggono il contatto con una singola verità. Poiché il potere coercitivo è consapevole di ciò, farà di tutto per ostacolare, deviare, rallentare o impedire l’ineluttabile acquisizione di consapevolezza da parte delle masse, nella qual cosa di solito è efficace, perché il Re Demone è il principe di questo mondo e i suoi alleati sono ovunque. Il Re Demone trae la sua forza dalle nostre debolezze e desideri, ma la nostra emancipazione dalle sue lusinghe e la nostra acquisizione di consapevolezza sono, appunto, ineluttabili. Il mondo di oggi è come una bolla di sapone che è scoppiata: l’attuale società ci incoraggia a soddisfare ogni desiderio, alimentando di conseguenza la nostra sofferenza. La prosperità effimera di cui godiamo, o di cui abbiamo goduto, ci è costata cara e il potere che esercitano su di noi i desideri è appunto demoniaco. Le menzogne e i miti sono duri a morire, come il dna sono trasmessi da una generazione all’altra, ma non sono eterni.

Abbiamo permesso alla qualità oscura della vita umana di trasformare il desiderio, il sé e l'intelligenza in forze del male: ora si trova nel controllo del governo, del capitale, degli affari e della scienza. Questa qualità crea guerre, inquinamento, distruzione della natura e del nostro essere.

Siamo noi esseri umani che abbiamo dato vita a questa “creatura demoniaca”, abbandonandoci al potere illusorio del Re Demone, mettendo le nostre qualità migliori al suo servizio, e ora... siamo al capolinea o agli albori di una nuova civiltà virtuosa? Credo che entrambe le opzioni siano la risposta giusta: non si escludono a vicenda, ma sono coesistenti e correlate.

Tra i castelli di carte da gioco destinati a franare al primo alito di consapevolezza di verità, c’è la narrazione istituzionale della dichiarata pandemia covid, dei vaccini e di tutto l’illusionismo emotivo-terroristico al contorno, la cui ultima creatura infernale, nel momento in cui scrivo, è il green pass. Non ho bisogno di giustificare quest’ultima mia asserzione, i cacciatori di verità sanno dove frugare e sono già informati.

Ma come possiamo affrontare tutto ciò e andare oltre le bugie, oltre il procurato allarme a livello mondiale, oltre il falso ideologico da parte delle autorità e oltre la circonvenzione di persone sì capaci di intendere e volere, ma così emozionate dalla paura o così sotto la morsa del ricatto dal non rendersi conto che uno dei primi intenti del potere è mettere fratello contro fratello, amico contro amico, povero contro povero?

Secondo me, il grande errore da evitare, perché sarà di aiuto e non di ostacolo agli aspetti demoniaci del potere, è quello di ingaggiare una guerra su “chi ha ragione” e “chi ha torto”, su “cosa è giusto” e “cosa è sbagliato”, entrando così nello stesso meccanismo perverso che si desidera contrastare, cioè l’imposizione della volontà di qualcuno (in questo caso la propria) su quella di altri. Per quanto ciò possa rientrare in una legittima rivendicazione di diritti, scavando al di là della facciata esteriore troviamo rabbia e violenza almeno potenziale, magari non espressa in maniera visibile, ma di natura equiparabile a quella del potere (sebbene il rapporto di forze sia, di solito, incomparabilmente a nostro sfavore).

Cosa fare, quindi?

E’ qui che può avvenire un ribaltamento di prospettiva, dove il problema principale non è più quello di “avere ragione”, ma di essere “maestri di ascolto e di compassione”, capaci di entrare in rispettosa empatia e legame emotivo con gli altri esseri e con le loro anime.

Una singola verità pronunciata da un maestro di compassione può recare assai più beneficio delle urla di una miriade di persone arrabbiate, sebbene, almeno nell’immediato, difficilmente sarà accolta, perché maggiore è la saggezza di un consiglio e maggiore, di solito, è l’irritazione che provoca.

Tutto ciò richiede un grande lavoro su noi stessi, un coraggioso non-attaccamento ai propri schemi e convinzioni (che equivale alla flessibilità di poter cambiare idee, comportamenti, stile di vita, e anche di poter mettere in discussione le posizioni che qui ho espresso), l’umiltà di accogliere i propri errori come momento di crescita, la voglia di imparare da tutti e il riconoscimento della legittima piena libertà di tutti di fare le proprie scelte, che in senso assoluto non sono mai né giuste né sbagliate.

(30 luglio 2021)

Pillole di Buddismo - L'offerta del coraggio

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Fidarsi e affidarsi al Gohonzon, ovvero alla Legge mistica, ovvero alla natura illuminata che è dentro di noi e in qualsiasi altro luogo, corrisponde a fidarsi e ad affidarsi alla vita e a ciò che ci propone, consapevoli che ciascuno di noi ha una “missione” in questo mondo di Saha, cioè in questo mondo corrotto, ma al contempo puro, dove gli esseri si debbono esercitare nella pazienza e nella sopportazione. Questo affidamento, o fede, è la prima e principale forma di coraggio. Anche credere fermamente di avere una missione, ovvero di non essere qui per caso, è una grande ed essenziale forma di coraggio, che alimenta continuamente il nostro spirito di ricerca. Non a caso, nella visione buddista, non esistono terre pure o impure di per sé, ma soltanto terre dove gli esseri umani praticano la bontà o la malvagità.

L’equivalenza tra fidarsi e affidarsi al Gohonzon e fidarsi e affidarsi alla vita ha un profondo radicamento nel credere fermamente che la qualità della preghiera e la qualità della vita si equivalgono. Da questo punto di vista, tutti gli aspetti esteriori del rito buddista (cura del tempio, posizionamento di incenso, candele e offerte, cura e igiene del corpo, abbigliamento, postura, ecc.), hanno senso soltanto come incentivi per favorire una seria, rispettosa, dignitosa e vigorosa preghiera, al di fuori di questo non hanno altro significato. Del resto, è possibile fare anche un’eccellente preghiera in carcere, in ospedale, malati a letto o in altre circostanze che non rendono possibile la cura dei dettagli esteriori.

Un’altra forma essenziale di coraggio, che è in diretta conseguenza del proprio senso di missione, è l’offrire tutto (i propri talenti, le proprie realizzazioni anche economiche, il proprio tempo, in poche parole “la propria vita”) a un bene più grande che trascende la nostra esistenza e che ci riguarda tutti. Per dirla con una metafora buddista, ciò equivale a spostare la priorità di ciò che è realmente importante dal singolo nodo della Rete di Indra a tutta la Rete, affinché la nostra presenza nella Rete sia di benefica utilità per la Rete nel suo complesso. Questo è il passaggio dal “piccolo io” al “grande noi”.

Il coraggio dei veri eroi è quello di considerare ogni circostanza di vita e ogni incontro interpersonale come un’occasione di crescita e di apprendimento: la vita, negli infiniti modi in cui si manifesta, è nostra maestra. Il nostro modello di vita è il bodhisattva “Mai Sprezzante” (Fukyo), la cui pratica era quella di inchinarsi con riverenza di fronte a chiunque incontrasse e lodarne l’inerente natura di Budda. Tuttavia ciò provocava come risposta solo violenze e insulti. Le affermazioni di Mai Sprezzante mettevano senza dubbio alla prova le loro convinzioni sulla natura della vita di segno negativo, profondamente radicate. Tali reazioni, comunque, non riuscirono mai a smuovere le sue convinzioni: semplicemente egli si ritraeva a distanza di sicurezza e ripeteva l’inchino, onorando il potenziale positivo dei suoi persecutori. Col passare del tempo l’umanità di Mai Sprezzante brillò a tal punto che coloro che lo avevano disprezzato divennero suoi discepoli, e così poterono entrare nel sentiero per ottenere essi stessi  I’illuminazione.

Nell’offrire tutto ciò alla vita, al Gohonzon, alla Legge mistica, in definitiva a noi stessi, è “normale” che riusciamo a fare cose che, con stati di coscienza meno progrediti, meno coraggiosi, meno perseveranti e più egoistici (ovvero dimorando nei mondi inferiori), giudicheremmo impossibili: queste realizzazioni fuori dall’ordinario diventano possibili perché non sono per vanto personale (che ormai ha perso significato), ma per lodare, ringraziare e riverire la vita, proseguendo insieme in un cammino di fede e di maggiore consapevolezza. Questa è la ragione fondamentale per cui nelle riunioni di discussione (zadankai) condividiamo le esperienze di fede, per progredire insieme e incoraggiarci a vicenda.

(27 luglio 2021)

Pillole di Buddismo - Vivere vegan

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Thích Nhất Hạnh è un monaco buddista a me caro, poeta e attivista vietnamita per la pace.
Nel 2007 ha ispirato decine di migliaia di praticanti a seguire una dieta vegana, con queste parole: «In passato i buddisti erano vegetariani con l'intenzione di nutrire la nostra compassione verso gli animali. Ora sappiamo che dovremmo essere vegani per proteggere la Terra».

«Nel buddismo parliamo di azione collettiva. A volte pensiamo che quando nel mondo accade qualcosa di sbagliato, la causa sono gli altri, non noi. Ma noi partecipiamo a questa azione sbagliata con le nostre scelte di vita».

«Questo è il motivo per cui è così urgente imparare a cambiare il nostro modo di vivere la vita quotidiana, in modo che ci sia più consapevolezza, più pace, più amore. E lo possiamo fare a partire da ora, da oggi».

«Per gli attivisti è importante avere una pratica spirituale, che li aiuti a soffrire meno, a nutrire la loro felicità e a gestire la sofferenza, in modo che possano aiutare il mondo in modo efficace. La rabbia e la frustrazione non sono di grande aiuto».

Per approfondimenti: https://plumvillage.org/it/thich-nhat-hanh/key-teachings/

Il conseguimento della buddità in questa esistenza (Gosho, audio mp3, spiegazione di Ikeda)

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"Buddità - voce di Francesco Galgani.mp3"

In questo audio di circa un'ora leggo, nella parte iniziale, la traduzione di un antico testo (Gosho) del 1255 (scritto dal monaco buddista giapponese Nichiren Daishonin), che spiega la buddità (è intitolato "Il conseguimento della buddità in questa esistenza"), a cui faccio seguire la lettura di una spiegazione dell'attuale maestro buddista giapponese Daisaku Ikeda.
Era un audio che preparai per me stesso in occasione degli esami di buddismo di primo livello.

(Registrazione eseguita nel 2010)

Pillole di Buddismo - La gratitudine

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Vivere consapevolmente grati di tutto ciò che abbiamo ricevuto dagli altri, con il desiderio di ricompensarli, arricchisce la nostra esistenza. Ignorare ciò che dobbiamo agli altri impedisce il cammino verso la crescita personale.

La gratitudine verso i propri genitori, pur potendo sembrare una piccola cosa, è la prova del nostro sviluppo e della nostra crescita come esseri umani. Una persona che non riesce ad amare i propri genitori non può amare nessuno. L’essenza del nostro cammino spirituale consiste nel superamento della nostra mancanza di compassione. Sia il mondo orientale che quello occidentale convergono su questo punto: la cultura confuciana enfatizza la pietà filiare, mentre la tradizione giudaico-cristiana insegna i comandamenti di Mosè, tra i quali ricordiamo: «Onora il padre e la madre». Laddove i figli smettono di onorare i genitori (e i genitori smettono di fare da guida per i figli), la società si disintegra.

Anche se ognuno di noi ha un padre biologico, esistono molte altre figure paterne, come i maestri, i santi e i saggi. Lo stesso discorso può essere declinato al femminile per le figure materne, ad es., tra le figure materne della nostra epoca, mi viene in mente l'indiana Vandana Shiva. Se apriamo la nostra mente a tali figure, siamo certi di incontrare una guida per tutta la vita. Possiamo imparare qualcosa da tutti, come ci ricorda Confucio: «Quando incontrate persone virtuose cercate di emularle, quando incontrate persone che tali non sono, guardate in voi e meditate. Se viaggiassimo in tre, certamente avrei sempre un maestro accanto: dell’uno coglierei i pregi per trarne esempio, dell’altro coglierei i difetti per emendarmi. Pertanto è essenziale l’altrui presenza, giacché è nel rapporto con l’altro che si attiva il pensare e l’agire dell’uomo». Queste parole di Confucio dovrebbero più che mai rafforzare la nostra gratitudine per l’incontro con altre persone e per la loro esistenza. Ciascuno di noi esiste perché esistono gli altri, e viceversa. Il monaco buddista giapponese Nichiren Daishonin dimostrò rispetto e compassione persino per chi attentò alla sua vita, senza la minima lamentela, sostenendo che tutto il suo agire era motivato dal ripagare il suo debito di gratitudine; in una lettera, riferendosi al fatto che in nessun luogo del Giappone fosse al sicuro perché era odiato da tutti, scrisse: «[...] Come le montagne si sovrappongono alle montagne e le onde seguono le onde, così le persecuzioni si aggiungono alle persecuzioni e le critiche si aggiungono alle critiche. [...]», e in un'altra lettera espresse così i suoi sentimenti al riguardo: «[...] Ho fatto tutto questo unicamente per ripagare il debito di gratitudine che ho con i miei genitori, con il mio maestro, con i tre tesori del Buddismo e con il mio paese. Per loro ero disposto a distruggere il mio corpo e a dare la mia vita sebbene, come poi accadde, sono riuscito a scampare alla condanna a morte. [...] Ma sono tormentato da alcuni dubbi. [...] Anche facendo tutti gli sforzi possibili per la salvezza degli altri, è molto difficile salvarli dalla retribuzione del karma che loro stessi hanno creato. [...] Inoltre,  non  posso fare a meno di pensare che, qualunque cosa accada, bisognerebbe sempre preoccuparsi e avere compassione dei propri figli e discepoli. [...]». Ricordiamo anche le parole di Nelson Mandela, che ci ha lasciato l'esempio di trattare come amici persino i suoi oppressori: «Nel fondo del cuore di ogni individuo alberga una fiamma di bontà e umanità che non potrà estinguersi mai del tutto. Nel momento in cui si riesce a toccare profondamente il cuore di una persona, questa fiamma può arrivare a trasformarla completamente».

Per quanto riguarda coloro i cui genitori non ci sono più, la saggezza e la virtù dei genitori continuano a persistere nella vita e nelle azioni dei figli e dei nipoti.

Coloro che continuano a nutrire il desiderio di apprendere e di svilupparsi, indipendentemente dall’età o dalla posizione sociale, riescono a manifestare potenzialità oltre ogni immaginazione.

Tutti i figli sono “creature del futuro”. Tutti gli adulti, non solamente i genitori, devono assumersi la responsabilità del futuro dei giovani. Per questo è importante passare da una educazione che soddisfi le esigenze della società a una società che soddisfi le esigenze fondamentali dell’educazione. Tra queste esigenze fondamentali, vedo prioritario il passaggio da una cultura competitiva e giudicante, basata su lamentele, pretese e accuse, ad una cultura di gratitudine, lode e accoglienza della vita così com’è. In tale rinnovata cultura, la vita di ciascuno ha senso in quanto parte di un tutto di cui tutti facciamo parte, come insegna la filosofia e religione africana dell’Ubuntu, o come ci ricorda il mistico, poeta e filosofo persiano Shams Tabrizi, quando dice: «Il dolore di un uomo ci farà male a tutti. La gioia di un uomo farà sorridere tutti».

Quando incontriamo un bambino o una bambina, partiamo dal presupposto di poter imparare qualcosa insieme. Un’esistenza basata sulla gratitudine per la vita riduce spontaneamente i propri bisogni a quelli essenziali, senza lasciarsi inghiottire e distruggere dal tecno-turbo-capitalismo contemporaneo: tra questi bisogni essenziali, quelli animici di nutrimento e scambio affettivo prevalgono.

I figli osservano sempre i propri genitori, e i loro litigi li possono ferire profondamente. E’ molto importante che i genitori si integrino e si aiutino a vicenda per creare una famiglia saggia e allegra, nella quale i figli possano crescere con valide figure di riferimento.

(20 luglio 2021)

Pillole di Buddismo - Le parole

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«L'universo è un unico essere. Tutto e tutti sono interconnessi attraverso una rete invisibile di storie. Che ne siamo consapevoli o meno, siamo tutti in una conversazione silenziosa. Non fare del male, pratica la compassione. E non spettegolare alle spalle di nessuno - nemmeno un'osservazione apparentemente innocente! Le parole che escono dalla nostra bocca non svaniscono, ma sono perpetuamente immagazzinate nello spazio infinito e torneranno a noi a tempo debito. Il dolore di un uomo ci farà male a tutti. La gioia di un uomo farà sorridere tutti.»

Shams Tabrizi (1185 - 1248), mistico, poeta e filosofo persiano

fonte: http://feelingbuddhaful.com/40-rules-of-love-by-shams-tabirzi/

testo originale:

«The universe is one being. Everything and everyone is interconnected through an invisible web of stories. Whether we are aware of it or not, we are all in a silent conversation. Do no harm—practice compassion. And do not gossip behind anyone’s back – not even a seemingly innocent remark! The words that come out of our mouths do not vanish but are perpetually stored in infinite space and they will come back to us in due time. One man’s pain will hurt us all. One man’s joy will make everyone smile.»

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