Mondo social: sostituire lamentela e depressione con il daimoku
Per prima cosa, gli altri sono esseri umani come noi. Non c'è motivo di dividere il mondo in "noi" e in "loro", siamo tutti in un percorso di vita. Molte persone sono smarrite, e nella loro sfortuna non hanno ancora udito i preziosi insegnamenti che danno sollievo a tutte le creature. Per rendere tutto più difficile da vivere, accrescendo solitudine e impotenza, il Re Demone ha il quasi monopolio di tv, social e intelligenza artificiale.
Maggiore è la fiducia che diamo alle creazioni tecnologiche, con preferenza a contatti umani mediati da app di vario genere, è minore è la fede che abbiamo in noi stessi, negli altri, e nella vita. Certo, all'ombra del male c'è il bene, e viceversa, quindi comunque abbiamo la possibilità di fare cose che hanno un valore profondo anche nel contesto di un mondo iper-tecnologico, però dobbiamo stare molto attenti. I contesti virtuali sono creazioni illusorie che rubano vita, per questo il Re Demone, il ladro di vita, si trova in esse a suo agio, come se fossero la sua casa.
Ripartiamo dalle basi, da quell'ABC che non viene mai detto, come se fosse un segreto:
A. Nessun mezzo tecnologico è neutrale. Il mezzo è il messaggio. Non è questione di "come" lo si usa, ma il fatto stesso di usarlo trasforma profondamente il modo in cui percepiamo la realtà, il modo in cui la costruiamo e quello con cui ci relazioniamo con gli altri. I social network, invece di promuovere la democrazia e la connessione umana, spesso amplificano la competizione, l'odio, l'invidia e l'isolamento sociale, portando ad una svalutazione dell'essere umano, ridotto a cercare validazione attraverso likes e followers. Ho affrontato questi temi nella mia intervista "La base dell'educazione umana è l'amore, non lo smartphone", del 26 agosto 2024.
B. I progetti sul web, sui social o su specifiche app a scopo umanitario, spirituale o comunque di mutuo aiuto, senz’altro lodevoli, sono anche una risposta al problema della solitudine? E, più in generale, lo sono le varie comunità online? Finché si tratta di stare "soltanto" davanti a un computer o con lo smartphone, seppur con le più alte finalità sociali, la risposta è necessariamente negativa, perché quel "nutrimento affettivo" di cui ha un gran bisogno l’essere umano non può essere mediato da alcuna tecnologia (computer, smartphone, intelligenza artificiale o altro). Ho spiegato perché nella mia tesi di laurea "Solitudine e Contesti Virtuali", del 21 gennaio 2014.
C. Credere all'inganno che con l’intelligenza artificiale – e con la tecnologia in generale – si possa fare tutto, a cominciare dal superamento della sofferenza e della solitudine, significa credere all'oggetto di culto sbagliato. Il più grande furto che ci può fare il nostro contesto sociale iper-tecnologico è la perdita del senso della vita. Tolto il senso della vita, tolta la socialità, tolto il pensiero e tolto il lavoro, non rimane che la guerra? Non rimane che "ubbidire, credere e combattere" per dare un senso ai propri giorni? Se oggi ci sono ragazzi che abbandonano l'Italia per morire da mercenari, o che si suicidano per vincere una sfida sui social, c'è un motivo. Ho discusso di questo ed altro nella mia intervista "Un'alternativa all'IA (che non è nostra amica)", del 25 gennaio 2025.
Ricapitolando, la dinamica dei social e di app di vario genere è di indurre sentimenti di invidia, gelosia, competizione, narcisismo spinto, con un declino del proprio e dell'altrui benessere. I social sono costruiti appositamente per far litigare e far star male (lo ripeto: "appositamente", cioè "intenzionalmente") prolungando il più possibile l'esposizione ad essi. Chamath Palihapitiya, ex vicepresidente per la crescita di Facebook, nel novembre 2017, durante un talk alla Stanford Graduate School of Business (vedi video integrale), disse di provare «tremendo senso di colpa» e che «abbiamo creato strumenti che stanno strappando il tessuto sociale di come funziona la società», invitando le persone a prendersi una "hard break" dai social (dichiarazioni riprese dal Guardian, nell'articolo "Former Facebook executive: social media is ripping society apart"). Nello stesso periodo, Sean Parker (ex presidente di Facebook) disse che Facebook sfrutta la «vulnerabilità della psicologia umana» e che gli ideatori «lo sapevano consapevolmente, e l’abbiamo fatto lo stesso». Queste sono dichiarazioni della massima gravità riprese da Axios, nell'articolo "Sean Parker: Facebook was designed to exploit human "vulnerability"", che confermano la reale natura dei social.
Ciò nonostante, generalmente usiamo social e sistemi di messaggistica come riempitivi di vuoti interiori, come surrogato di una vicinanza fisica e di un contatto fisico che non c'è. Ciò amplifica la solitudine e il vuoto, in una spirale di negatività che può tenerci lontani dal nostro sole interiore, dalle persone più vicine e da uno o più aspetti della pratica buddista. In tal caso, il Re Demone gioisce.
Consapevoli di queste debolezze umane in un contesto tecnologico ostile per le nostre relazioni, la nostra missione di Bodhisattva richiede particolare attenzione. "Capire gli affari di questo mondo" significa anche capire la natura demoniaca dei mezzi che usiamo nella vita quotidiana. Quello che possiamo fare è innanzitutto esserne consapevoli, e poi inviare daimoku a tutte le nostre relazioni, in particolare a coloro che cadono in tristi comportamenti online che non portano alcun beneficio o valore né a sé né agli altri.
Anche le relazioni faccia a faccia sono diventate oggi molto più complicate che in passato, ma l'importante è provarci e trasformare con il daimoku le cose che non vanno. Ricordiamoci che al di fuori delle relazioni non c'è nient'altro, noi siamo relazione, la vita è relazione. Niente e nessuno esiste di per sé, ma solo in relazione dinamica a qualcos'altro, in continuo cambiamento. Questo il Buddismo lo chiama vacuità, o Via di Mezzo tra l'esistenza e la non-esistenza.
Per i giovanissimi tutto questo è assai più complicato che per noi, perché nascono in un mondo che sostituisce le relazioni con finte connessioni virtuali. I mali fisici, psichici e animici che ne conseguono sono un'infinità, con «modificazioni cerebrali simili a quelle che si ottengono in caso di alcolismo o dipendenza da droghe quali eroina, cocaina, marijuana, metanfetamina e ketamina» (come documentato nella succitata tesi di laurea).
Ecco una ricetta semplice per tutta questa oscurità: amiamo la vita, amiamo le persone e desideriamo il bene di tutti, ovvero ardiamo del desiderio di vivere come Bodhisattva, il resto verrà di conseguenza. Anche quando non è questo il nostro stato vitale, ripartiamo sempre dal potere trasformativo di Nam-myoho-renge-kyo e ricordiamoci che il Budda ci ha affidato la Legge mistica come «buona medicina per i mali della gente di Jambudvipa» (dal Gosho "La buona medicina per tutti i mali").
I social sono pieni di veleni, ma il Daishonin ci ha insegnato a trasformare il veleno in medicina:
«[...] Tutto è cambiato quando iniziai a conoscere la vita del maestro Daisaku Ikeda. Comprendere che anche lui aveva fronteggiato in giovane età sfide apparentemente insuperabili, con la decisione assoluta di vincere per la felicità di tutto il genere umano, fece nascere in me un profondo senso di gratitudine nei confronti del suo grande cuore. Iniziai a percepire che il mio destino poteva essere ribaltato, al di là delle mie capacità e di quello che le difficoltà mi facevano credere, e che se anche quella fosse stata la sfida della mia vita, mi sarei dedicata a ripagare questo profondo debito di gratitudine.
Cominciai a recitare Daimoku con il pensiero costante che myo significa “tornare a vivere”. Volevo ridare vita a ogni mia cellula, approfondendo la visione del Sutra del Loto secondo cui possiamo trasformare il karma nella nostra missione e il veleno in medicina.
La mia malattia è ancora definita “incurabile” ma, proprio perché secondo il Buddismo anche il karma “immutabile” può essere trasformato, ho iniziato a sentire che con la preghiera avrei potuto guarire la causa profonda di questa mia sofferenza karmica. [...]»
(tratto da: "Ho preso per mano la mia malattia", Buddismo e Società 256, maggio 2025)
Tutto è collegato. Sono partito parlando di social e sono arrivato a citare l'esperienza di una malattia ritenuta incurabile. In effetti, la tv, i social e l'intelligenza artificiale oggi si presentano come una malattia incurabile. Nichiren ci ha detto cosa fare, e i nostri maestri della Soka Gakkai anche.
(25 agosto 2025)
In che senso "i desideri terreni sono illuminazione"?
«Il Sutra del Loto fa un ulteriore passo avanti, esponendo il principio che le illusioni e i desideri sono illuminazione e che le sofferenze di nascita e morte sono nirvana. In altre parole, non esiste alcuna illuminazione separata dalla realtà delle illusioni e dei desideri e non può esserci il nirvana al di fuori delle sofferenze di nascita e morte. Queste coppie di fattori contrastanti sono connaturate nella nostra vita. Il Gran maestro T’ien-t’ai, uno dei principali studiosi buddisti cinesi, vissuto nel VI secolo, usò un’analogia per spiegare i suddetti principi. Supponiamo di avere un cachi aspro: immergendolo in un infuso di tiglio o esponendolo alla luce del sole, possiamo farlo diventare dolce. Non ci sono due cachi, il primo aspro e il secondo dolce. Il cachi è uno solo, e non è diventato dolce perché abbiamo aggiunto dello zucchero, bensì perché l’aspro del frutto è scomparso ed è emersa la sua potenziale dolcezza. Il catalizzatore, l’intermediario che ha permesso la trasformazione, è stato l’infuso in cui è stato immerso il cachi o la luce del sole alla quale è stato esposto. T’ien-t’ai paragona le illusioni e i desideri al cachi aspro, l’illuminazione al cachi dolce e il processo tramite il quale il cachi è diventato dolce alla pratica buddista.»
tratto dal libro: "I misteri di nascita e morte", di Daisaku Ikeda
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(23 agosto 2025, vai alla mia galleria)
Fili d’erba nell’incendio: Europa, Israele, la legge del karma e la via buddista
Disclaimer. Scrivo da una prospettiva personale, attribuendo responsabilità politiche, fattuali e morali secondo la mia comprensione dei fatti. Esprimo giudizi e previsioni in base alla mia consapevolezza, ma ciascuno è libero di avere opinioni o credenze diverse. Non intendo incitare all’odio né attribuire reati a persone specifiche. Il cuore del testo che stai per leggere è la via buddista che propongo in risposta ai nostri tempi apocalittici.
L’Europa farà la fine dell’Ucraina e Israele quella di Gaza. E’ l’inevitabile legge del karma.
L’Europa e Israele hanno scelto la via del nazismo, e percorrendola arriveranno a destinazione, ovvero alla distruzione delle fondamenta del vivere sociale. Oggi in Ucraina, grazie all’Europa, alla Gran Bretagna e al precedente governo statunitense, quasi non ci sono più uomini, ma donne sole che spesso prostituiscono se stesse e le figlie minorenni a causa della povertà estrema. L’Occidente collettivo ha voluto fare una guerra insensata e invincibile “fino all’ultimo ucraino” e c’è riuscito, creando un enorme buco nero di ruberia dei soldi pubblici, di riciclaggio di denaro, di traffico di armi, di corruzione sul piano personale. Nel frattempo, a Gaza non c’è più nulla che assomigli ad un luogo abitabile, e se non sono la sete e la fame a uccidere, lo sono gli spari contro chi va a prendere l’“aiuto umanitario” di farina avvelenata, nel senso di mischiata a psicofarmaci. Tutto questo perché Israele tratta i propri vicini con la stessa gentilezza e rispetto che si usa per un’infestazione di pidocchi.
Ucraina e Gaza sono lo specchio delle nostre cosiddette “democrazie”, basate sulla corruzione, sulla violenza, sulla protezione degli interessi economici più abietti. In poche parole, le nostre nazioni sono l’habitat ideale per i peggiori delinquenti, parassiti e terroristi, partendo dai vertici del potere politico e finanziario, e scendendo via via verso il basso.
Gaza e Ucraina sono anche una lezione, un boomerang che spazzerà via Israele e l’Europa, che saranno messe a ferro e a fuoco. Come i tuoni e i lampi precedono la tempesta, così i nostri decisori politici stanno attirando un drammatico collasso economico che distruggerà tante vite, oltre a una grande guerra continentale contro la Russia e a terrorismo diffuso in tutta Europa.
Noi siamo fili d’erba in mezzo a un incendio.
Nel 2019 scrissi che “questa è l’ultima possibilità, l’ultima lotta, prima che tutto venga distrutto” (in “Religione dell’Ultima Lotta”). Ormai è troppo tardi.
L’alternativa sarebbe una conversione generalizzata e quasi totalizzante alla sacralità e bellezza della vita, con esseri umani che ovunque si muovono nel mondo con sentimenti di gratitudine e di amore incondizionato verso tutti. E’ un sogno possibile, ma la realtà è fatta di persone che non hanno alcuna intenzione di separarsi dalle proprie illusioni, dai propri demoni, dalle proprie abitudini e da una visione negativa di se stesse e del prossimo. I popoli sono schiavi del Re Demone, delle sue creazioni illusorie e della miseria che ne consegue.
Nel Gosho “La pratica dell'insegnamento del Budda”, Nichiren Daishonin scrisse che “[…] Questo è un tempo davvero maledetto per vivere su questa terra. […]. Quando tutte le persone reciteranno Nam-myoho-renge-kyo, il vento non spezzerà i rami o le fronde, né la pioggia cadrà così forte da rompere una zolla. Il mondo diverrà come era ai tempi di Fu Hsi e Shen Nung. Nella loro esistenza presente le persone saranno libere dalla sfortuna e dai disastri e impareranno l’arte di vivere a lungo. Verrà il tempo in cui sarà rivelata la verità che per la persona e per la Legge non c’è vecchiaia né morte. Non ci può essere il minimo dubbio sulla promessa del sutra di «pace e sicurezza nell’esistenza presente» […]”.
Questo significa — parlando con la chiarezza cruda che la situazione impone — che non c’è bacchetta magica che fermi i proiettili o addolcisca i tiranni. Le immagini del vento che non spezza i rami e della pioggia che non frantuma le zolle non vanno prese come meteorologia miracolosa, ma come linguaggio simbolico di una società che, trasformando le cause interiori, muta anche gli effetti esteriori. È il principio di esho funi, ovvero l’unicità (non-dualità) di vita e ambiente: la qualità della nostra vita interiore si riflette nella qualità delle relazioni, delle istituzioni, perfino nel “clima” etico e culturale in cui respiriamo. Se la nostra vita si eleva, l’ambiente smette di essere un inferno costruito a nostra immagine e somiglianza.
Per questo, la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo non è una fuga, ma il motore della rivoluzione umana: un allenamento a smascherare quotidianamente il Re Demone che abita anche in noi — cattiveria, rassegnazione, cinismo — e a tradurre la vittoria interiore in azioni concrete: dialogo che disarma, cura dei più deboli, responsabilità civile, rifiuto della disumanizzazione dell’altro. Quando questa trasformazione non riguarda pochi “eroi” isolati ma una massa critica di persone comuni, allora quelle metafore diventano storia: meno odio, meno violenza, più saggezza nel risolvere i conflitti. Nichiren tocca la politica senza cedere alla politica: non si limita a denunciare il crollo della società, ma ci indica come invertire la traiettoria.
Lo stesso senso anima il Risshō Ankokuron — “Adottare l'insegnamento corretto per la pace nel paese”. Non un progetto settario, ma l’idea che la sicurezza pubblica nasca dalla dignità assoluta della vita riconosciuta e protetta. La Soka Gakkai traduce questo in kosen-rufu, che significa ampia diffusione della Legge mistica di Nam-myoho-renge-kyo per una pace fondata sulla dignità della vita: si tratta di espandere una rete di persone che, rinforzando pratica e studio del Buddismo di Nichiren Daishonin, producano istituzioni più giuste e culture meno violente. “Quando tutte le persone reciteranno” non è una formula settaria, ma l’indicazione di una soglia sociale: abbastanza cuori raddrizzati da raddrizzare anche l’andamento degli eventi.
E cosa dire della promessa di “pace e sicurezza nell’esistenza presente” e di “nessuna vecchiaia né morte per la persona e per la Legge”? Non si tratta di un paradiso edulcorato, ma di uno stato vitale incrollabile capace di creare valore anche dentro le tempeste. La Legge mistica (Myoho-renge-kyo) non “invecchia”, cioè non perde efficacia, come sorgente inesauribile di coraggio, saggezza e compassione. Non promette l’assenza di prove, che anzi sono necessarie e inevitabili. Ci promette invece coscienza, saggezza e forza per non trasformarci nei mostri che combattiamo.
Detto questo, la mia diagnosi politica e sociale rimane: siamo fili d’erba in mezzo a un incendio. Proprio per questo, la “conversione generalizzata” che auspico non è un desiderio romantico: è l’unico programma operativo realistico se vogliamo che l’incendio trovi meno ossigeno. L’“ultima lotta” di cui scrivevo nel 2019 non è tra blocchi di nazioni, ma dentro ciascuno di noi, ogni giorno. Se davvero è “troppo tardi” per evitare tutte le rovine, non è mai troppo tardi per impedire che la rovina ci rubi l’umanità.
In questo senso, noi possiamo essere il “vento che non spezza”, il vento della rivoluzione umana che, un cuore dopo l’altro, può ancora piegare la direzione della storia. E se il mondo resterà un campo bruciato, che almeno si trovi, in mezzo alle ceneri, la prova che l’erba ha saputo crescere controvento.
(23 agosto 2025)
Nam-myoho-renge-kyo in pratica: creare valore con la pratica di Nichiren Daishonin
Disclaimer: questo testo è un elaborato personale di studio e divulgazione. Non rappresenta un documento ufficiale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Eventuali imprecisioni sono mie, comunque i link che ho riportato permettono una verifica diretta delle fonti.
Provo qui a riflettere su Legge mistica, preghiera, desideri, responsabilità e interdipendenza — con alcuni termini giapponesi linkati al Soka Gakkai Dictionary of Buddhism (EN) e citazioni in italiano dalla Biblioteca di Nichiren.
Introduzione: perché questo testo
Ho scritto questo breve saggio per rispondere con calma a obiezioni e critiche che spesso emergono riguardo al Buddismo di Nichiren come praticato nella Soka Gakkai Internazionale (SGI). Senza polemiche, provo a fare chiarezza su due questioni: che questa pratica favorisca l’egoismo o il materialismo e che la Soka Gakkai sia una “setta” di cui sospettare. La mia esperienza di studio e pratica indica l’opposto; nel proseguo, presento i motivi e le fonti.
Uno stimolo fondamentale nel redigere questo testo mi è giunto dall'incontro con i buddisti impegnati, a livello internazionale, in una preghiera costante, giorno e notte, tutti i giorni, per la pace. E' stata come una ventata d'aria fresca in mezzo alla calura o come una pioggia gentile nel deserto.
Quello che ho scritto non è solo per chi è nuovo all’argomento, ma per chiunque desideri un quadro organico in grado di tenere insieme principi, pratica e vita quotidiana.
Il punto di partenza è la Legge mistica (Myōhō Renge Kyō) e la sua invocazione Nam‑myōhō‑renge‑kyō: secondo Nichiren, è l’essenza del Sutra del Loto e il cuore della pratica che consente di manifestare la Buddità nella forma presente. La chiave è la trasformazione interiore che si riflette in azioni e risultati: ciò che SGI riassume nell’espressione creazione di valore, ereditata da Tsunesaburō Makiguchi.
Che cosa intendiamo per «Legge mistica»
Nel lessico di Nichiren, la Legge mistica (Myōhō Renge Kyō) è il principio fondamentale che permea la vita e l’universo. Myō (妙) indica il «meraviglioso che apre» e «pienamente dotato»: non un mistero irrazionale, ma la capacità della realtà di svelare la sua profondità e di trasformare perfino il «veleno» in «medicina» (hendoku iyaku). Renge (蓮華) — il loto che fiorisce e fruttifica allo stesso tempo — esprime la simultaneità di causa ed effetto. Kyō (経) è l’insegnamento che pervade il tempo e lo spazio.
Quando recitiamo Nam‑myōhō‑renge‑kyō (南無妙法蓮華経), non pronunciamo una formula magica: dichiariamo dedizione (namu/nam) alla Legge suprema (Myōhō Renge Kyō) e armonizziamo la nostra vita a questa dinamica. È l’essenza del daimoku, la pratica fondamentale.
«Il carattere myō significa aprire… poiché può guarire ciò che è ritenuto incurabile, è chiamato myō, o meraviglioso.» RSND, Il daimoku del Sutra del Loto.
1) Che cosa sono gli «insegnamenti errati»
Nichiren è noto per il suo linguaggio diretto quando difende ciò che considera la Legge corretta. «Errato» non significa «diverso da ciò che penso», ma «ciò che oscura o distorce il Sutra del Loto e impedisce alle persone di manifestare la loro Buddità». Per discernere, la tradizione fa riferimento ai Quattro Affidamenti (四依): affidarsi alla Legge, non alla persona; al significato, non alle parole; alla saggezza, non alle opinioni; agli insegnamenti definitivi, non a quelli provvisori. Il punto non è dividere il mondo in «noi/loro», ma custodire il cuore umanistico del Sutra del Loto: la dignità di ogni vita e l’accesso universale all’illuminazione.
«Affidatevi alla Legge e non alla persona.» RSND, L’insegnamento, la pratica e la prova.
SGI interpreta questa severità come responsabilità per gli effetti. Un insegnamento è «giusto» se, praticato, sviluppa coraggio, saggezza e compassione e migliora la vita delle persone e la società. Se induce dipendenza, fatalismo o disprezzo della vita, allora va corretto o abbandonato. Questa prospettiva «basata sui risultati» è coerente con il criterio di Nichiren: insegnamento, pratica e prova.
2) «Non dipendere dagli altri» — autonomia spirituale, non isolamento
L’espressione «non dipendere dagli altri» non è uno slogan individualista. Significa che l’autorità ultima non è il carisma di un leader o la pressione del gruppo, ma la Legge e la propria verifica nella vita quotidiana. Per SGI, «comunità» non equivale a conformismo: studiamo insieme per diventare più liberi e capaci di giudizio morale.
Esempio pratico
Se una scelta importante ti mette ansia (lavoro, relazione, salute), «non dipendere» significa: 1) sederti davanti al Gohonzon e recitare Nam‑myōhō‑renge‑kyō mirando a una decisione giusta per la dignità della vita; 2) confrontarti con chi stimi; 3) agire responsabilmente. Nessuno decide al posto tuo; nessuno è lasciato solo.
3) «Chi ha creato tutto?» — perché la risposta SGI non è teistica
Nel Buddismo di Nichiren non esiste un dio creatore che dal nulla fa sorgere il cosmo. L’universo è senza inizio (kuon ganjo) e la realtà si manifesta per origine dipendente: nulla esiste isolatamente, tutto sorge in relazione a cause e condizioni. La Legge mistica non è un «qualcuno» che decide, ma il principio immanente che descrive e governa la vita.
«Ciò che tutti i Budda prendono come maestro è la Legge.» RSND, Sulle preghiere.
Domandare «chi ha creato tutto?» presuppone una causa personale. Il Buddismo sposta il fuoco su un’altra domanda: «Qual è la Legge che, compresa e praticata, libera la vita umana?». La risposta è Nam‑myōhō‑renge‑kyō, identificata da Nichiren come la Legge fondamentale. Per questo egli parla di Myōhō come «madre di tutti i Budda»: non «madre del mondo fisico», ma origine dell’illuminazione.
4) Cosa significa davvero «mistica» (myō)
«Mistico» in Nichiren non significa occulto o anti‑razionale. Myō (妙) riassume tre sfumature: aprire (rivelare la vera realtà), pienamente dotato (ogni parte contiene il tutto) e rivitalizzare (ridare vita dove sembra non esserci speranza). Quando la vita si accorda con Myōhō, si attiva un potere di trasformazione che cambia la qualità della coscienza e, di conseguenza, le scelte e i risultati.
«Myō significa rivitalizzare, e rivitalizzare significa tornare a vivere.» RSND, Il daimoku del Sutra del Loto.
5) È immanente? Sì: la Legge come «vero aspetto di tutti i fenomeni»
Per Nichiren, il vero aspetto della realtà (shoho jissō) è un altro nome di Myōhō Renge Kyō. Questo «vero aspetto» si manifesta non solo nell’interiorità ma anche nel mondo circostante: unità di vita e ambiente (eshō funi). Non esistono terre «pure» o «impure» indipendenti dalle persone: è la qualità della mente/cuore che tinge l’esperienza.
«Il vero aspetto si manifesta invariabilmente in tutti i fenomeni…» RSND, Il reale aspetto del Gohonzon.
Religioni diverse: esclusivismo o dialogo?
SGI afferma insieme due principi: fermezza nella pratica di Nam‑myōhō‑renge‑kyō e rispetto per le altre tradizioni. La misura non è «chi ha ragione in astratto», ma il contributo alla dignità della vita e alla pace. Nel linguaggio di Nichiren, il Sutra del Loto è completo e definitivo; ma proprio per questo chi lo pratica può e deve dialogare senza arroganza.
6) Preghiera e gratitudine: a chi sono rivolte
Nella SGI, la preghiera si rivolge alla Legge mistica mediante il Gohonzon. Non si supplica un’entità arbitraria: si fissa un voto, si allineano pensieri e azioni e si costruiscono cause coerenti. Anche la gratitudine ha due direzioni: verso la Legge (recitando Nam‑myōhō‑renge‑kyō) e verso le persone/funzioni che ci sostengono — genitori, amici, insegnanti, «forze protettive» (shoten zenjin) intese come funzioni della vita e dell’ambiente.
«Questo mandala… è il maestro di tutti i Budda delle tre esistenze.» RSND, Offrire preghiere al mandala della Legge mistica.
Come si prega «concretamente»
- Chiarezza del voto: «che la mia scelta giovi a me e agli altri».
- Daimoku mirato: recitazione regolare, anche breve ma quotidiana, per rischiarare la mente e fortificare coraggio e saggezza.
- Azione: cercare informazioni, parlare con chi può aiutare, fare il primo passo concreto.
La preghiera è «strategia» (RSND: La strategia del Sutra del Loto): viene prima, ma non sostituisce l’impegno.
7) «I desideri terreni sono illuminazione» (bonnō soku bodai)
Il Buddismo di Nichiren non tenta di reprimere l’energia dei desideri: la trasforma. «Desideri terreni» sono passioni, paure, attaccamenti; «illuminazione» è la saggezza compassionevole del Budda. Il principio afferma che, unendo la vita alla Legge, la stessa energia che prima generava sofferenza diventa carburante di valore.
Questo è il significato di «le illusioni e i desideri sono illuminazione» e di «le sofferenze di nascita e morte sono nirvana». RSND, L’eredità della Legge fondamentale della vita.
Dal veleno alla medicina (hendoku iyaku)
Per spiegare come avvenga la trasformazione, Nichiren parla del grande medico che trasforma il veleno in medicina. Non si tratta di romanticizzare il dolore, ma di attivare una risposta che trasforma crisi, fallimenti e blocchi in apprendimento, empatia e decisioni più sagge (trasformare la sofferenza in saggezza). Molti praticanti raccontano che, invece di «spegnere» desideri, cominciano a orientarli verso progetti che generano bellezza, beneficio e bene (la triade valoriale di Makiguchi).
Tre esempi concreti
- Rabbia → coraggio: la recitazione chiarisce il confine tra dignità e risentimento; agisco con decisione ma senza odio.
- Paura → prudenza creativa: non mi immobilizza; mi spinge a prepararmi meglio, a chiedere aiuto, a fare un passo alla volta.
- Ambizione → missione: da bisogno di approvazione a voto di creare valore per molti, migliorando anche il proprio lavoro.
8) Pratica quotidiana: daimoku, gongyō e «prova»
La pratica SGI si fonda su due pilastri: la recitazione di Nam‑myōhō‑renge‑kyō e la lettura quotidiana di passi del capitolo II («Espedienti») e XVI («Durata della vita») del Sutra del Loto (gongyō). Questi capitoli esprimono l’uguaglianza di tutti alla Buddità e l’illuminazione eterna del Budda — il cuore della visione di Nichiren.
La prova è duplice: interiore (più coraggio, saggezza, compassione, gioia nonostante le sfide) ed esteriore (relazioni più sane, qualità del lavoro, contributo alla comunità). Se una pratica non produce prova, SGI invita a rivalutare obiettivi e metodi: la fede non è credulità, ma verifica.
9) «Creazione di valore»: dal desiderio al bene condiviso
Il nome «Soka» significa «creazione di valore». Tsunesaburō Makiguchi — educatore e primo presidente — sintetizzava tre dimensioni del valore: bellezza, beneficio, bene. L’idea è semplice e impegnativa: ogni situazione, anche la più difficile, può diventare terreno per creare qualcosa che abbellisca la vita, che sia utile e che migliori il mondo.
Come si fa, in concreto?
- Voto: chiarire che tipo di persona voglio diventare e quale contributo voglio portare.
- Pratica: sostenere il voto con daimoku e gongyō, specie nei momenti in cui «non ho tempo».
- Cause: studiare, allenarsi, chiedere feedback, fare rete, aiutare altri a crescere.
Non si tratta di «pensiero positivo»: è una disciplina spirituale che educa il carattere e cambia le abitudini.
10) «Prendere in mano la propria vita» senza negare l’interdipendenza
Espressioni come «prendere in mano la propria vita», «essere artefici del proprio destino» o «tutto dipende da me» sono comuni nel linguaggio SGI e possono generare equivoci. In questa cornice, non significano onnipotenza individuale né colpevolizzazione delle vittime. Significano: assumere la responsabilità del proprio ichinen — l’orientamento fondamentale della mente/cuore — e scegliere le cause migliori in dialogo con una realtà che è interdipendente (eshō funi).
Quattro chiarimenti importanti
- Agentività ("capacità di agire", "potere d’azione" o "senso di controllo sulle proprie azioni") ≠ controllo del mondo: posso scegliere la mia risposta, non comandare le circostanze. La pratica rafforza la capacità di affrontare e trasformare le difficoltà, la lucidità e la creatività.
- Responsabilità ≠ colpa: dire «tutto dipende da me» significa che io posso fare qualcosa adesso — anche chiedere aiuto, tutelarmi, cambiare strada. Non è un giudizio sulle sofferenze subite.
- Interdipendenza: proprio perché «dipendiamo da tutto», la qualità del mio stato vitale influenza la rete di relazioni. La mia trasformazione «muove» l’ambiente (spesso) e sempre la mia percezione/azione.
- Voto e comunità: l’agentività è sostenuta dal voto (orientamento profondo) e da una comunità che incoraggia. Non «ce la faccio da solo»; scelgo come partecipare.
Rispondere all’obiezione «io dipendo da tutto, quindi non dipende da me»
La logica buddista risponde: proprio perché ogni cosa è relazione, la qualità della mia intenzione e delle mie azioni ha effetti reali. Recitare Nam‑myōhō‑renge‑kyō non «aggiunge» una forza dall’esterno: allinea la mia vita con la Legge e libera energie latenti (coraggio, saggezza, compassione) che modificano le dinamiche in gioco. Questo è il senso concreto di «i desideri sono illuminazione» e «veleno → medicina».
Possibili domande
«Se non capisco tutto il Sutra, ha senso praticare?»
Sì. Comprendere aiuta, ma la pratica non è un esame di teoria. Nichiren insiste sulla prova nella vita: recita, osserva i cambiamenti, continua a studiare. Con il tempo la comprensione si approfondisce.
«E le divinità protettive?»
Nel linguaggio tradizionale, shoten zenjin esprime le funzioni protettive della vita e dell’ambiente che si attivano quando sosteniamo la Legge. Non si tratta di «magia»: è una visione relazionale della realtà.
«Devo abbandonare la mia cultura o le mie convinzioni?»
No. SGI valorizza il dialogo e l’apporto di ciascuno. La pratica non chiede di annullare l’identità personale, ma di purificarla e orientarla al bene.
Fonti principali (italiano)
- Il daimoku del Sutra del Loto — spiegazione di myō e «veleno → medicina».
- Offrire preghiere al mandala della Legge mistica — il Gohonzon come «maestro di tutti i Budda».
- Sulle preghiere — «i Budda prendono come maestro la Legge»; preghiera «certa» se basata sul Sutra del Loto.
- Il reale aspetto del Gohonzon — «vero aspetto» e eshō funi.
- L’eredità della Legge fondamentale della vita — «i desideri sono illuminazione».
- La strategia del Sutra del Loto — preghiera come «strategia».
Per un glossario completo in inglese: Soka Gakkai Dictionary of Buddhism. Nel testo ho linkato: Nam‑myōhō‑renge‑kyō, daimoku, Gohonzon, ichinen sanzen, eshō funi, bonnō soku bodai, hendoku iyaku, kuon ganjo, kōsen‑rufu, shoten zenjin.
Grazie a tutti i meravigliosi compagni di fede.
(12 agosto 2025)
Essere se stessi nel cammino spirituale: restare connessi alle proprie origini
[...] Ai tempi del Buddha i brahmani, i sacerdoti induisti, predicavano che dopo la morte sarebbero andati in paradiso per dimorare in eterno con Brahma, il Dio universale.
Un giorno un brahmano chiese al Buddha: «Cosa posso fare per assicurarmi che dopo la morte sarò insieme a Brahma?» Il Buddha rispose: «Poiché Brahma è la fonte dell’amore, per poter dimorare con lui devi praticare i Brahmavihara: amore, compassione, gioia ed equanimità». Vihara significa rifugio o dimora. Amore in sanscrito è maitri; in pali, metta. Compassione è karuna in entrambe le lingue. Gioia è mudita. Equanimità è upekśa in sanscrito e upekkha in pali. I Brahmavihara sono i quattro elementi costitutivi del vero amore. Sono detti “incommensurabili” perché se li pratichi crescono dentro di te ogni giorno di più, fino a comprendere il mondo intero. Tu sei più felice, e lo sono anche tutti quelli che ti circondano.
Il Buddha rispettava il desiderio che ha ognuno di praticare la propria fede, quindi diede al brahmano una risposta che lo spingeva in quella direzione. Se ti piace la meditazione seduta, pratica la meditazione seduta; se ti piace la meditazione camminata, pratica la meditazione camminata; ma conserva le tue radici, siano esse ebraiche, cristiane o musulmane. È questo il modo corretto per tramandare lo spirito del Buddha; non puoi essere felice se hai perso il collegamento con le tue radici.
Scrive Nagarjuna, filosofo buddhista del secondo secolo dopo Cristo:
Praticare l’incommensurabile stato mentale dell’Amore estingue la rabbia nel cuore degli esseri viventi. Praticare l’incommensurabile stato mentale della Compassione estingue tutti i crucci e le ansie nel cuore degli esseri viventi. Praticare l’incommensurabile stato mentale della Gioia estingue la tristezza e il grigiore nel cuore degli esseri viventi. Praticare l’incommensurabile stato mentale dell’Equanimità estingue la rabbia, l’avversione e l’attaccamento nel cuore degli esseri viventi.
Se impariamo modi di praticare l’amore, la compassione, la gioia e l’equanimità, sapremo come guarire le malattie della rabbia, del dispiacere, dell’insicurezza, della tristezza, dell’odio, della solitudine e degli attaccamenti non salutari.
[...]
fonte: Insegnamenti sull'amore, Thich Nhat Hanh, 1997
vedi anche: Esplorando il Dhammapada, libero commentario
(6 aprile 2025)
Silence does the work of the Buddha
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(October 24, 2022, go to my art gallery)
Pillole di Buddismo - Libero arbitrio e vittoria con il Daimoku (Nam-myoho-renge-kyo)
Alcune frasi che vorrei mettere in evidenza, tratte da "Il Conseguimento della Buddità in questa esistenza" (cfr. testo integrale):
«“Mutua inclusione tra un singolo istante di vita e tutti i fenomeni” significa che la vita in ogni singolo istante abbraccia il corpo e la mente, l’io e l’ambiente di tutti gli esseri senzienti dei Dieci mondi e anche di tutti gli esseri insenzienti dei tremila regni: le piante, il cielo e la terra, fino al più piccolo granello di polvere. La vita in ogni singolo istante permea l’intero regno dei fenomeni e si manifesta in ognuno di essi. Risvegliarsi a questa verità è di per sé la relazione di mutua inclusione tra un singolo istante di vita e tutti i fenomeni. Tuttavia, se reciti e credi in Myoho-renge-kyo, ma pensi che la Legge sia al di fuori di te, stai abbracciando non la Legge mistica, ma un insegnamento inferiore. “Insegnamenti inferiori” sono quelli diversi da questo sutra, che sono tutti espedienti e insegnamenti provvisori. Nessun espediente o insegnamento provvisorio conduce direttamente all’illuminazione e, senza la diretta via all’illuminazione, non si può conseguire la Buddità, neanche praticando vita dopo vita per innumerevoli kalpa. Conseguire la Buddità in questa esistenza sarebbe dunque impossibile. Perciò, quando invochi myoho e reciti renge devi sforzarti di credere profondamente che Myoho-renge-kyo è la tua vita stessa».
«Non pensare mai che qualcuno degli ottantamila sacri insegnamenti di Shakyamuni o qualcuno dei Budda e bodhisattva delle tre esistenze e delle dieci direzioni sia al di fuori di te».
«Se cerchi l’illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno mezzo centesimo».
«Il Sutra del Loto è il re dei sutra, la diretta via all’illuminazione, poiché spiega che l’entità della nostra mente o vita in ogni singolo istante, dalla quale sorgono sia il bene che il male, è in realtà l’entità della Legge mistica».
Queste citazioni sostanzialmente asseriscono che ciascuno di noi coincide con la Legge mistica, ovvero coincide con il Budda, cioè con la Vita, ovvero con tutto ciò che esiste. Usando un linguaggio che esce da quello comunemente usato in questo tipo di letteratura buddista, posso tranquillamente affermare, da queste premesse, che io sono “Il Creatore” della mia realtà (e non lo è un altro ente esterno, il cosiddetto “dio”, che da questa prospettiva non può esistere o, se esiste, coincide con me perché sono io il creatore), oppure potrei anche dire che “io sono l’intero universo”. Stesso discorso, ovviamente, per ogni altra persona.
E’ quindi evidente che la preghiera di Nam-myoho-renge-kyo non deve mai essere rivolta ad un ente esterno, ma solo a se stessi, perché ciascuno di noi è il Budda (altrimenti sarà un’infinita e dolorosa austerità, come scrive il Daishonin). Quindi, quando prego, “mi prego”: per quanto ciò abbia effettivamente poco senso nel linguaggio comune, da un punto di vista coscienziale potrebbe essere l'unica cosa sensata, nel senso che “La Coscienza” è “Una”, anche se compresente in contenitori diversi (i nostri corpi), tramite i quali (forse) fa esperienza di se stessa per diventare consapevole di sé (o per qualsiasi altro motivo che ora mi sfugge). Da questo punto di vista, noi potremmo creare inconsapevolmente, finché ne avremo bisogno, una realtà che non ci piace, nel senso che non corrisponde ai nostri desideri, per mettere in scena “quello che ancora non abbiamo capito”. Poi, quando l’avremo capito, metteremo inconsapevolmente in scena qualcos’altro, e così via in un percorso di accrescimento di consapevolezza. E più ciascuno di noi diventa consapevole, più diventa consapevole l’intera Coscienza, con beneficio per tutte le forme di vita. Ecco allora che la cosa migliore che possiamo fare è lavorare su noi stessi, in quanto ogni tentativo di modificare la realtà (solo apparentemente) esterna senza un vero cambiamento interiore è del tutto inutile, perché l’esterno fa da specchio all’interno (almeno finché percepiremo la realtà come duale).
Il problema del libero arbitrio si inserisce proprio nel modo in cui percepiamo la realtà. Se crediamo che sia duale, e che quindi esista un “interno” (che siamo noi) e un “esterno” (che è qualcos’altro), allora solo in questo caso può esistere il libero arbitrio, cioè il fatto che in ogni istante di vita possiamo scegliere tra due percorsi possibili (in quanto tutto è duale). Se però ci rendessimo conto che la realtà non è duale, allora cambierebbe tutto: il problema del libero arbitrio neanche esisterebbe più, perché ciascuno di noi avrebbe consapevolezza di essere tutto ciò che esiste, quindi non ci sarebbe più il problema di fare scelte. Tutto ciò, ovviamente, è molto distante dal sentire comune e dall’esperienza quotidiana, ma l’ho scritto soltanto per sottolineare che la libertà è innanzitutto una questione di percezione della realtà e, nella teoria buddista dei “dieci mondi”, l’unica condizione vitale in cui si è realmente liberi è la Buddità, nella quale, appunto (secondo le citazioni riportate sopra), il praticante ha la consapevolezza che non esiste alcun potere esterno a sé.
Giusto per ricordarcelo, nel Gohonzon, cioè nello specchio della nostra vita illuminata, la Buddità è al centro e gli altri nove mondi sono al suo servizio: in questo contesto, persino le malefatte del re demone diventano al servizio della Buddità, quindi non abbiamo nulla da temere. Finché continueremo a mantenere la Buddità al centro della nostra vita, così come rappresentata nel Gohonzon, alla fine tutto andrà dove deve andare.
Ricapitolando, la libertà fondamentalmente riguarda la consapevolezza che l'essere umano ha di sé e della sua falsa necessità di avere un potere esterno (politico, religioso o scientifico) che gli dica cosa deve fare. Questa falsa necessità è creata ed alimentata dalla scissione interna alla persona e interna alla società che il potere dispotico fomenta con qualsiasi mezzo lecito e illecito: smascherare questo tranello fa crollare tutto il sistema di potere e l'essere umano torna ad essere consapevole di sé e del fatto di essere il creatore della propria realtà (e, a quel punto, dèi e demoni se ne vanno perché non possono più interagire con questo essere risvegliato, né tanto meno dominarlo). In questa persona internamente riunita e risvegliata, anche il Daimoku cambia, perché diventa veramente rivolto soltanto a se stessa (per far risplendere la Buddità come uno specchio che viene lucidato) e a niente di esterno. I propositi di vita si chiariscono e vanno oltre i bisogni del momento, di cui comunque mantiene la giusta consapevolezza.
Solo in questo modo la “vittoria” nella vita per mezzo del Daimoku diventa possibile.
(28 settembre 2021)
Preghiere silenziose "alternative" d'accompagnamento al daimoku
Liberamente tratto e ispirato da "Pratica meditativa e guarente della gratitudine":
(clicca sull'immagine per ingrandirla)
(19 settembre 2021)
Pillole di Buddismo - Un esempio di cosa significa "essere consapevoli e parlare apertamente"
Quanto segue è tratto dalla lettera (gosho) intitolata “Condoglianze per un marito defunto”, scritta nel 1278 da Nichiren Daishonin e indirizzata alla monaca laica Myoho.
Nel frammento che qui cito, Nichiren ricorda alcuni importanti eventi della sua vita, nei quali ha pagato duramente la sua decisione di parlare apertamente di ciò di cui era consapevole. E com’è andata a finire? Oggi i suoi insegnamenti sono conosciuti e praticati in tutto il mondo, quindi, storicamente parlando, ha vinto, nonostante abbia vissuto un estremo isolamento, condizioni assai precarie e disumane, frequenti attentati alla sua vita. Chiunque, al suo posto, probabilmente sarebbe morto di disperazione, eppure la sua fede è stata più forte di qualsiasi persecuzione fatta dai governanti e dalle persone comuni della sua epoca. Come ho scritto in “L'odio profondo e perverso dello Stato italiano verso i cittadini italiani (e una previsione)”: «[...] sembra che lo Stato sia sempre, storicamente e inderogabilmente, smentito. [...]». A quel tempo, “lo Stato” era l’empio potere monarchico e religioso del Giappone.
Quanto segue mi sembra un inno contro l’omertà:
«[…] Ormai il Giappone è diventato un paese nel quale le offese all’insegnamento corretto abbondano e sembra che i tempi siano maturi per l’invasione da parte di un paese straniero.
Chi ne è consapevole e non lo dice apertamente, anche se nell’esistenza presente può godere di pace e sicurezza, cadrà sicuramente nella grande fortezza dell’inferno di incessante sofferenza nella prossima vita. Ma, se, temendo una tale sorte, egli decide di parlare, deve essere preparato a subire l’esilio o la condanna a morte.
Consapevole di questo, durante l’epoca di Bunno [1260] sottoposi una petizione al defunto prete del Saimyo-ji, ma il mio consiglio non fu ascoltato. A quel tempo i credenti Nembutsu, quando seppero ciò che avevo fatto, cospirarono con i loro seguaci di alto e basso rango, e mi attaccarono con lo scopo di uccidermi, anche se non riuscirono nel loro intento.
[Il reggente Hojo] Nagatoki, il governatore di Musashi, figlio del prete laico del tempio Gokuraku, consapevole dei desideri di suo padre, mi fece esiliare senza una ragione plausibile nella provincia di Izu. Come tutti hanno potuto vedere, l’effetto è stato che il prete laico del Gokuraku-ji e Nagatoki sono morti e tutta la loro famiglia si è estinta.
Qualche tempo dopo, fui richiamato dall’esilio. Ancora una volta parlai apertamente come il sutra impone, con ancor maggiore veemenza di prima, e di nuovo, il dodicesimo giorno del nono mese dell’ottavo anno di Bun’ei [1271], fui esiliato, questa volta nella provincia insulare di Sado. Come avevo predetto al tempo in cui ero incorso nella disapprovazione delle autorità, i membri del clan reggente che mi avevano condannato all’esilio cominciarono a litigare fra loro. Forse fu per paura di questo che fui richiamato ancora una volta dall’esilio. Tuttavia i miei consigli non furono ascoltati e la gente comune nutrì un astio ancor maggiore nei miei confronti.
Anche se si rischia la vita per esprimere i propri ammonimenti, se le autorità dello stato non li ascoltano, non c’è dubbio che il paese sia destinato alla distruzione. Tuttavia, se, anche dopo che qualcuno ha messo in luce i loro errori, i governanti si rifiutano di seguirne il consiglio, allora non è colpa di chi ammonisce. Con questo pensiero in mente ho lasciato Kamakura nella provincia di Sagami il dodicesimo giorno del quinto mese dell’undicesimo anno di Bun’ei [1274]. Dal diciassettesimo giorno del sesto mese dello stesso anno risiedo qui, nelle profondità delle montagne, e ormai da cinque anni non mi avventuro per più di cento metri oltre il cancello.
Io sono originario della provincia di Awa. L’amministratore di quella provincia, Tojo Saemon-no-jo Kagenobu, dietro le pressioni del prete laico del Gokurakuji, del prete laico Toji Saemon e di tutti i credenti Nembutsu, di tanto in tanto intentava qualche causa contro di me. Alla fine scatenò le ostilità nei miei confronti e così i sostenitori del prete laico del Gokurakuji riuscirono a distorcere la legge per farmi interdire dalla zona sotto la giurisdizione di Tojo Kagenobu e impedirmi l’accesso. Quindi, sono passati molti anni dall’ultima volta che ho potuto visitare le tombe di mio padre e di mia madre.
Inoltre per due volte sono incorso nella disapprovazione dei governanti del paese. La seconda volta fu annunciato ufficialmente che sarei stato esiliato in una remota località, anche se in privato circolò voce che dovevo essere decapitato. Il dodicesimo giorno del nono mese, all’ora del bue [dall’una alle tre], fui condotto a Tatsunokuchi, presso Kamakura, per esser decapitato. In quel momento, per una qualche ragione, un oggetto simile alla luna giunse nell’aria dalla direzione di Enoshima e aleggiò sul capo del boia che ne fu così terrorizzato da non poter portare a termine il suo compito; poi ci furono vari sviluppi e così quella notte sfuggii alla condanna a morte.
In seguito, dopo essere stato esiliato nella provincia di Sado, ci fu un altro tentavo di decapitarmi, ma, come ho detto prima, scoppiò un dissidio fra varie fazioni a Kamakura e fu inviato in tutta fretta un messaggero a Sado; così non mi decapitarono. Alla fine fui perdonato e adesso vivo solo fra le montagne.
Quando ero nella provincia di Sado vivevo in un cimitero chiamato Tsukahara, un luogo fra i prati e le montagne, lontano da qualsiasi abitazione umana. La mia dimora era una piccola capanna che si reggeva su quattro pali. Dalle assi del tetto si intravedeva il cielo e i muri cadevano a pezzi. La pioggia entrava come se il tetto non ci fosse affatto e all’interno si ammucchiava la neve. Non c’erano né effigi del Budda, né alcuna traccia di stuoie o altre coperture del pavimento. Ma io vi collocai l’effigie del Budda Shakyamuni, il signore degli insegnamenti, che avevo con me da tempo e, con il Sutra del Loto in mano, un mantello di paglia addosso e un cappello di paglia in testa, cercai di viverci come potevo. Passarono quattro anni, durante i quali nessuno venne a visitarmi o a portarmi cibo. Ero come Su Wu, prigioniero per diciannove anni nella terra dei barbari del nord, che indossava un mantello di paglia e mangiava neve.
Adesso sono cinque anni che vivo in questa dimora montuosa. Tutt’intorno, come alti paraventi, sono disposte quattro montagne. A nord si erge il monte Minobu, simile a una scala a pioli che arriva fino al cielo. A sud c’è il Takatori che sembra il monte Kukkutapada; a ovest lo Shichimen, simile alla Barriera di ferro e a est il monte Tenshi, che è il principe ereditario del monte Fuji, l’imperatore.
A nord c’è un grande fiume di nome Haya, rapido come una freccia. A sud c’è il fiume Hakiri capace di far rotolare enormi massi come se fossero foglie d’albero. A est il fiume Fuji scorre da nord a sud, impetuoso come l’affondo di mille alabarde. Lungo il suo corso, la cascata di Minobu è come una striscia di stoffa bianca che penzola dal cielo.
In mezzo a queste montagne e fiumi c’è un angusto appezzamento di terreno, dove sorge la dimora di Nichiren. È un luogo così immerso fra le montagne che anche a mezzogiorno è impossibile vedere il sole e di notte non c’è una luna alla quale comporre poesie. Sulle vette schiamazzano scimmie simili a quelle delle gole di Pa in Cina, e nelle valli lo scroscio battente del fiume sembra un rullo di tamburi. Il terreno è ricoperto da grosse pietre e le montagne sono fatte soltanto di roccia e ghiaia.
I governanti del paese mi odiano e, fra la gente comune, nessuno viene a visitarmi. In inverno i sentieri sono ostruiti dalla neve e in estate sono ricoperti dalla vegetazione. In lontananza si ode il triste bramito del cervo e le cicale strepitano nelle mie orecchie. Nessuno viene a visitarmi ed è difficile mantenermi in vita. Non ho indumenti per coprirmi e quindi puoi immaginare quanto sia stata benvenuta la veste che mi hai donato.
Anche chi mi ha conosciuto o ha sentito parlare di me in passato ha smesso di avere compassione, e i discepoli e i braccianti che fin adesso erano con me mi hanno tutti abbandonato. Quindi è stupefacente che una persona come te, che non ho mai visto e di cui non ho mai nemmeno sentito parlare, mi dimostri una simile gentilezza! Non posso fare a meno di chiedermi se tu sia la reincarnazione dei miei genitori defunti o forse una manifestazione delle dieci fanciulle demoni! […]»
(18 settembre 2021)
Pillole di Confucianesimo - Le cinque virtù costanti
Forse già lo sai, ma vorrei ripetere la predizione del Budda su come sarà l’ultima epoca: «Sarà un’epoca caotica in cui anche i santi troveranno difficile vivere. Essi saranno come pietre in un grande fuoco, che per un po’ sembrano resistere al calore, ma alla fine si carbonizzano e si sbriciolano in cenere. Gli uomini saggi si appelleranno alle cinque virtù costanti, ma essi stessi avranno difficoltà a comportarsi di conseguenza». Quindi prosegue: «Non rimanere troppo a lungo nel posto d’onore».
(tratto da "I tre tipi di tesori", Nichiren Daishonin, 1277)
L'ultima epoca a cui si riferisce la profezia del Budda Shakyamuni (566 a.C. - 486 a.C.) qui citata è la nostra. Le cinque virtù costanti a cui si riferisce il Budda, e che sono entrate pienamente all'interno degli insegnamenti buddisti, fanno parte dell'insegnamento di Confucio (551 a.C. - 479 a.C.). Le date che ho qui indicato sono quelle tradizionali, ma non sono sicuro che Shakyamuni sia stato davvero contemporaneo di Confucio: forse, secondo studi più recenti, è vissuto uno o due secoli dopo.
Vediamo le cinque virtù costanti o wu chang (五常). In ordine decrescente di importanza, le virtù sono benevolenza o ren (仁), rettitudine o yi (义), correttezza o li (理), saggezza o zhi (智) e fedeltà o xin (信). Questi cinque principi etici regolavano la società nell'antica Cina, anche se tradurre xin presenta qualche difficoltà, perché il carattere combina i caratteri separati di "persone" e "parola", e significa "persistere in ciò che si è detto" o "le proprie azioni corrispondono alle proprie parole". Il significato è meglio descritto come simile alle parole fedeltà, integrità, onestà, fiducia, fede o promessa, ma non corrisponde direttamente a nessuna di queste singole parole.
Le cinque virtù costanti erano importanti per determinare chi fosse un "vero gentiluomo" nell'antica società cinese. Indipendentemente dalla classe o dallo status sociale di una persona, ci si aspettava che esibisse le cinque virtù e che usasse una condotta corretta verso gli altri.
Questo si applicava anche al modo in cui ci si aspettava che i governanti governassero. Un leader, dal burocrate locale all'imperatore, doveva governare con una preoccupazione benevola per il benessere delle persone a lui sottoposte. Uno dei motivi per cui ci si aspettava che i governanti vivessero secondo le cinque virtù costanti è che il concetto confuciano di governo implicava la guida attraverso l'esempio. La convinzione era che se gli individui nel governo fossero stati virtuosi, anche i loro sudditi lo sarebbero stati.
Un altro presupposto confuciano è che quando le persone sono tenute in riga da misure governative o da minacce di punizione, l'obiettivo primario del popolo diventa quello di sfuggire alla prigione o alle altre punizioni. In tale ipotesi, le persone si comportano "bene" non a causa di un vero senso dell'onore nel buon comportamento o della vergogna nel cattivo comportamento, ma semplicemente a causa della minaccia della punizione. Invece, l'ideale confuciano è quello di guidare attraverso la virtù e il controllo, o di dare una regola alle persone sotto il proprio governo attraverso la correttezza. Tutto ciò, a sua volta, coltiverà un senso di onore e rispetto tra il popolo.
Parte dell'ideologia confuciana è che le persone nascono buone e possono migliorarsi attraverso l'apprendimento. Quando il governo si concentra sull'educazione dei suoi cittadini, specialmente esemplificando la moralità, gli individui ne prenderanno nota. Con sufficiente educazione ed esempi di buona leadership da seguire, i cittadini diventeranno cittadini modello.
Purtroppo, nella nostra epoca assai distante dall'ideale confuciano, non abbiamo governanti o altre persone al comando di cui emulare le virtù... ma c'è sempre l'Anima dei grandi maestri dell'umanità, per chi ne è alla ricerca, per cui mi auguro che ciascuno di noi possa diventare un buon leader, un buon governante di se stesso o se stessa.
(11 agosto 2021)
Per approfondimenti: Confucius - an overview | ScienceDirect Topics
