Cristo e i suoi “precursori”: tracce antiche nella costruzione di Gesù
Di recente, Massimo Mazzucco ha pubblicato una riflessione storica, intitolata "Il Cristo storico".
Vorrei aggiungere un paio di informazioni, utili magari per chi vorrà approfondire l'evoluzione del pensiero umano fino alla creazione della figura di Gesù.
Innanzitutto, il Padre Nostro, che i Vangeli di Matteo e Luca attribuiscono a Gesù, deriva storicamente da una preghiera ad Amon, che fa parte di inni e preghiere dell'Antico Egitto:
Oh Amon, Amon, che sei nei Cieli
Padre di Chi non ha Madre.
Quanto è dolce pronunciare il tuo nome.
Dacci come la gioia di vivere, il sapore del pane per il bimbo,
sia fatta la tua volontà come in Cielo così in Terra.
Tu che mi hai fatto vedere le tenebre, crea la luce per me.
Fammi dono della tua grazia, fa che io veda te ininterrottamente!
Amon.
(A. Barucq - F. Daumas, Hymnes et prières de l’Egiypte ancienne, Le Cerf, Paris 1980)
Per info: Padre nostro, che sei nei cieli... sei maschio o femmina?
Un altro aspetto della questione è che il racconto cristiano della morte-resurrezione di Gesù riprende motivi già diffusi in tradizioni precedenti. Figure come Osiride, Attis, Dioniso, Mitra e Quetzalcoatl muoiono e risorgono; compaiono nascita verginale, feste al solstizio d'inverno (25 dicembre), simboli di albero-croce e “terzo giorno”, titoli come “figlio unigenito”, riti lustrali (battesimo) ed echi eucaristici (“mangiare il corpo”). Lo zoroastrismo aggiunge un salvatore nato da una vergine, dualismo Bene/Male, resurrezione e giudizio finale. Ci sono affinità nel Libro Egizio dei Morti, pratiche di morte apparente (kechari mudra) e perfino una tavola giudaica precristiana su un messia risorto “dopo tre giorni”.
Per info: Gesù è mai esistito? Miti, credenze e racconti relativi a "salvatori" morti e resuscitati
Il tema del salvatore che muore e risorge era quindi già un patrimonio condiviso, poi rielaborato dal cristianesimo per inventare la figura di Gesù? A questa domanda storica ne vorrei aggiungere un'altra più di carattere pratico: a cosa serve saperlo? Tutto si evolve, tutto si trasforma, e qualsiasi racconto storico non è forse un insieme di bugie condivise, imposte illo tempore dai vincenti, per dare senso a un presente difficile da decifrare e per giustificare il proprio potere? Forse la storia – qualunque storia che venga creduta – andrebbe presa più come un racconto didattico finalizzato a creare un certo tipo di forma-pensiero che come una realtà?
(2 novembre 2025)
Uccidere un nazista significa uccidere un pezzo di Satana?
In un suo recente video, Nicolai Lilin ha asserito che, dal punto di vista "cristiano", è giusto gioire dell'assassinio di Andriy Volodymyrovych Parubiy, capo storico dei nazisti ucraini. La sua argomentazione è che aver ucciso lui equivale ad aver ucciso un "pezzo di Satana" (fonte).
Credo che questo tipo di messaggio sia molto nocivo e soprattutto sbagliato. Non discuto qui sulla figura di Parubiy, mi sto riferendo esclusivamente a questa fantasiosa interpretazione del cristianesimo che ne ribalta il senso. Le libere interpretazioni, se non corrette in tempo, possono gettare le basi per "santificare i crimini".
Rispondo a Nicolai anche qui, nel mio blog, per dare uno spunto di riflessione ai miei lettori. Nei suoi video, lui fa specifico riferimento all'ortodossia russa, pertanto mi baserò su di essa, senza aggiungere mie opinioni. La mia casa spirituale è il Buddismo, ma in questo caso parlerò soltanto in base agli insegnamenti cristiani.
Prima, però, una doverosa premessa. Poiché siamo in tempo di guerra, e la guerra si allargherà sempre di più, cerchiamo di ricordarci che:
«[...] Le particolari connotazioni di ogni religione nascono da un complesso di influenze dovute alle diversità degli esseri umani, alle caratteristiche di ogni epoca, alle peculiarità di ogni luogo e alle diverse evoluzioni della storia. Nonostante tali differenze, ogni dottrina possiede al suo interno i princìpi e la saggezza necessari a realizzare la felicità delle persone.
Nel contesto del dialogo interreligioso moderno è necessario quindi accettare e valorizzare le molteplici caratteristiche di ogni singolo credo e, allo stesso tempo, afferrare la profonda verità e sapienza presente nelle sue dottrine. [...]»
tratto da: Prefazione di Daisaku Ikeda alla RSND, fonte
Per affrontare i tempi molto bui che abbiamo di fronte, serve una robusta spiritualità radicata in una solida comunità. Di solito mancano l'una e l'altra.
Detto ciò, passo al nucleo della questione sollevata da Nicolai.
1) Dio è sovrano: Satana agisce solo entro i limiti che Dio permette
Nella Scrittura, Dio fissa i confini dell’azione satanica. In Giobbe 1:12, il Signore concede a Satana di provare Giobbe, ma ne delimita i poteri. Lo stesso schema riappare quando Gesù dice a Pietro: «Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano» (Luca 22:31). Questo non fa di Dio l’autore del male: Dio lo permette per trarne un bene più alto e per la nostra crescita, come ricorda anche la catechesi ortodossa quando parla della Provvidenza.
La tradizione ribadisce che Satana non è l’“antidio”, ma una creatura decaduta, con potere limitato e subordinato alla signoria divina.
2) Il combattimento cristiano è spirituale, non contro la “carne e il sangue”
San Paolo lo formula senza ambiguità: «La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.» (Ef 6:12). Questo è un invito a ingaggiare la battaglia dentro il cuore, con il discernimento dei pensieri, la preghiera e la penitenza.
Non ha senso teologico dire che, uccidendo un criminale, “si uccide un pezzo di Satana”. I demoni sono spiriti, non si eliminano con il piombo ma con la nostra conversione e la grazia di Dio. Angeli e demoni sono incorporei rispetto alla materia, quindi non soggetti a uccisione fisica.
Per un approfondimento, rimando alla "Esposizione della fede ortodossa (Libro II)", liberamente consultabile. Mi riferisco in particolare al "Capitolo 4. Riguardo al diavolo e ai demoni", dove dice: «[...] Ma mentre è stata loro concessa la libertà di attaccare l'uomo, non hanno la forza di sopraffare nessuno: perché siamo noi a poter ricevere o non ricevere l'attacco. Per questo è stato preparato per il diavolo e i suoi demoni , e per coloro che lo seguono, un fuoco inestinguibile ed eterno [...]».
3) Il cuore di Dio non gioisce della morte del peccatore
La Bibbia mette un argine molto netto al gusto della vendetta: «Quando il tuo nemico cade, non ti rallegrare; quando è rovesciato, il tuo cuore non ne gioisca» (Pr 24,17). E Dio dichiara per bocca di Ezechiele: «Io non godo della morte dell'empio, ma che l'empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33:11). Nel Nuovo Testamento, Gesù descrive il cielo in festa non per la morte, ma per la conversione: «Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15:7). Gioire di un omicidio non è spirito cristiano.
4) L’immagine di Dio nell’uomo non si spegne, nemmeno nel colpevole
Ogni persona porta in sé l’immagine di Dio (Gen 1,27). Il documento ufficiale del Patriarcato di Mosca, "Le basi della dottrina sociale", lo ripete più volte, collegando la dignità personale all’“immagine” divina e ricordando come la pace evangelica passi per la misericordia e la giustizia, non per l’odio:
«La Chiesa si oppone anche alla propaganda della guerra e della violenza, così come alle varie manifestazioni di odio»
tratto dalla parte finale del cap. VIII. War and peace
Questo giusto per sottolineare che la Chiesa Ortodossa Russa, contrariamente a quanto proclamato da alcuni canali di informazione, non promuove né la guerra né gli omicidi. Dire che la guerra armata tra Nato e Russia abbia radici nella spiritualità è una "forzatura" che non trova alcun sostegno nella teologia.
Per il cristiano, la condotta spirituale è pregare per i nemici, non maledirli. San Silvano del Monte Athos scrive che «L’anima che non ha mai conosciuto il Santo Spirito non comprende come si possa amare i nemici e non l’accetta. Ma il Signore ha compassione per tutti gli uomini e chiunque voglia essere con il Signore deve amare i suoi nemici» (fonte). E altrove: «L’uomo che pensa con malizia male dei suoi nemici non ha in sé l’amore di Dio e non conosce Dio» (fonte).
5) Che cosa, allora, si può dire in coscienza ortodossa?
Uccidere un uomo — colpevole o meno — non colpisce Satana (che è uno spirito). Casomai, accresce la sua gioia se la morte avviene senza pentimento. Il Vangelo mostra Dio che gioisce della conversione, non del decesso del peccatore.
Gioire di un omicidio non è linguaggio cristiano: scritturalmente è vietato rallegrarsi della caduta del nemico e la via evangelica è pregare per lui.
La lotta a cui il cristiano è chiamato è prima di tutto ascetica e interiore; il male si vince praticando giustizia, misericordia e riconciliazione, non esultando per il sangue.
(31 agosto 2025)
La funzione anticristica della reincarnazione
Quanto sto per scrivere è un punto di vista cristiano. Uso l'espressione "funzione anticristica" nel titolo di queste riflessioni esclusivamente nel senso teologico di "negazione di Cristo", e non come insulto a chi crede nella reincarnazione.
Premetto che non intendo discutere se la reincarnazione esista o meno, ovvero non voglio attribuirle caratteristiche di verità o falsità. Voglio solo mettere in evidenza le conseguenze che essa ha per chi si professa cristiano o, comunque, per chi ha origini culturali nel cristianesimo.
L’elemento teologicamente più grave è il fatto che la reincarnazione escluda la salvezza che Gesù ha portato, venendo fra noi, con la sua morte e risurrezione. La reincarnazione annulla la Pasqua del Signore, la rende inoperante in quanto, come via di salvezza, è superflua, inutile, semplicemente non applicabile (cfr. "Credi nella reincarnazione?", di Alberto Bigarelli). Vita dopo vita, la purificazione e la salvezza dalle peggiori sofferenze è in conseguenza del karma, ovvero dei meriti (e demeriti) acquisiti tramite le proprie azioni. Ciò significa che, se ammettessimo la reincarnazione, la nostra evoluzione sarebbe in conseguenza delle nostre capacità, intenzioni e meriti acquisiti. Non ci sarebbe inoltre nessuna preoccupazione sulla vita dopo la morte, perché saremmo già eterni.
Ciò è esattamente il contrario dell'insegnamento cristiano, secondo cui la salvezza viene da Dio, che risuscita i morti. La vita eterna non è il risultato dell’immortalità dell’anima, né deriva naturalmente dall’evoluzione vita dopo vita. È un dono gratuito e "immeritato". Lo ripeto, "immeritato". Il cristiano confida nella Misericordia di Dio sia in vita, sia dopo la morte, e solo per questa - e non per le proprie capacità - spera nella Vita Eterna, ovvero nella gioia senza fine del Paradiso.
Non dimentichiamo quello che Pietro ha detto nel suo terzo discorso a Gerusalemme dopo la Pentecoste: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito [da Dio] che noi siamo salvati» (Atti 4,12), e neppure dimentichiamo quello che ha scritto l’apostolo Paolo ai Galati: «Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema!» (Galati 1:8).
Ebrei 9:27-28 è ancora più esplicito: «Come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio, così anche Cristo, dopo essere stato offerto una volta sola per portare i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza peccato, a coloro che lo aspettano per la loro salvezza».
Ne segue che chi cerca umilmente la misericordia di Dio, ricordandosi sempre di averne bisogno, ha pieno diritto di sospettare che la reincarnazione, e le filosofie orientali basate su di essa, siano fondamentalmente anticristiche, in quanto negano l'esistenza e la necessità di un Salvatore.
Questa mia opinione è maturata dalla personale osservazione di occidentali che si "convertono" al buddismo, o ad altre religioni asiatiche, portando con sé un rancore più o meno consapevole verso Dio e verso la Chiesa, forse a causa di aspettative infrante vissute come tradimenti. Negando la possibilità che possa esserci una Provvidenza divina, o rinunciandovi perché in collera con Dio, scelgono tra possibili credo che sembrano "atei", anche se, in realtà, non negano Dio, più modestamente evitano di presupporlo e di discuterlo. Poiché l'intenzione è distorta, lo è anche l'uso che viene fatto di queste religioni, spesso sfociando in un settarismo autoreferente che acquisisce caratteristiche anticristiche assolutamente estranee al contesto culturale di provenienza.
Intendiamoci, non sempre è così. Sto solo cercando di analizzare come, nel contesto occidentale, sia possibile passare dal "tutto dipende da Dio" al "tutto dipende da me", che è un altro modo per dire: "Sono in collera con il Creatore, quindi ne faccio a meno". Questo sembra l'ideale di vita di Satana. Sono meccanismi psicologici molto subdoli e difficilmente emergono alla coscienza di chi li vive.
Per inciso, e qui concludo, il monaco zen Thich Nhat Hanh ha scritto: "Se ti piace la meditazione seduta, pratica la meditazione seduta; se ti piace la meditazione camminata, pratica la meditazione camminata; ma conserva le tue radici, siano esse ebraiche, cristiane o musulmane. È questo il modo corretto per tramandare lo spirito del Buddha; non puoi essere felice se hai perso il collegamento con le tue radici" (fonte). Questo a dimostrazione del fatto che non c'è assolutamente nulla di anticristico nel buddismo se approcciato con consapevolezza. Diverso è il discorso per chi ci si avvicina perché scappa da qualcos'altro.
(8 maggio 2025)
Le preghiere al tempo dell'intelligenza artificiale
Provo a esprimere “un” punto di vista cristiano. Quando dico “un”, intendo uno tra i tanti possibili, senza pretese di essere un punto di vista migliore di altri. Del resto, le opinioni sono come le nuvole nel cielo, cambiano in fretta e non c’è una nuvola migliore di altre.
L’atto di scrivere non è solo per lasciare traccia di qualcosa di passeggero, ma anche per dargli un po’ di forma e potenziale utilità per il prossimo, perché da idea nasce idea.
Detto ciò, siamo nel tempo dell’intelligenza artificiale, che è entrata con la gentilezza di un bulldozer nelle nostre menti e nei nostri processi creativi. Sia ben chiaro che queste riflessioni le sto scrivendo di getto con un normale editor di testo (LibreOffice). Se parlo di intelligenza artificiale è perché vedo quello che sta succedendo, e siamo solo all’inizio.
La tecnologia non è mai neutrale e ci sta condizionando pesantemente, con violenza mascherata da gentilezza. Grazie alle opere del demonio come la televisione, i social e l’intelligenza artificiale – su cui Satana ha il monopolio – viviamo in un mondo che ha rigettato come falsa la presenza di Dio (nel senso cristiano del termine) e il suo costante e ineludibile intervento in tutto il creato. Da ciò ne seguono filosofie e religioni volte a potenziare l’ego individuale e la sua presunta capacità di intervento sugli eventi per direzionarli secondo i propri desideri.
La tecnologia è perfetta per tutto ciò che riguarda l’ingigantimento dell’ego, detto più elegantemente “empowerment individuale”, in modo da dargli un tocco positivo e psicologico. Così l’intelligenza artificiale può presentarsi come coach, come mentore, o come oracolo, e i propri desideri sono il “culto” a cui prostrarsi. Pratiche che scivolano nel religioso, nel mistico e nel magico sono a sostegno dei propri desideri, che seppur legittimi hanno un grande problema: attaccarsi ad essi è causa di sofferenza e di lontananza da Dio. Non a caso, il digiuno cristiano non è tanto da intendersi come l’astinenza dal cibo (che se esagerata o esaltata invece di avvicinare a Dio ci allontana), ma come astinenza dall’“attaccamento” ai piaceri e persino ai pensieri nocivi. Una buona forma di digiuno può essere quella dai social, dalla tv e dall’intelligenza artificiale. Anche starsene da soli e senza usare lo smartphone (magari spento o silenziato), ovvero in assenza di stimoli esterni, e cercare solo la compagnia di Dio, è una pratica utile.
Tornando al culto dei propri desideri (e alla sofferenza che ne consegue), alla base di tutto c’è una autoreferenzialità che potrebbe sintetizzarsi in: “Tutto dipende da me, anche perché sono solo, non c’è un Dio a cui rivolgermi”. E’ una tendenza generalizzata nella società e giustificata anche dalle pippe mentali sulla cosiddetta “legge di attrazione”. L’idea è che se immagino qualcosa nei minimi dettagli, ci credo e mi impegno per realizzarlo, allora lo realizzo per davvero. Qualche volta ciò sarà possibile, nella maggioranza dei casi no, ma in ogni caso si tratta di fare affidamento solo sulle proprie capacità e sull’eventuale favore delle circostanze. Ma non sono le nostre capacità individuali a salvarci dal dolore del vivere, né a regalarci amore o speranze dopo la morte.
Queste filosofie autorefenziali hanno senso in un mondo di ego isolati, depotenziati, e innocui verso qualsiasi possibilità migliorativa di cambiamento sociale. In questo modo, ciascuno di noi viene ingiustamente responsabilizzato per le proprie disgrazie, senza sottolineare che la tecnologia odierna amplifica a dismisura il “divide et impera” dei più forti sui più deboli.
In un tale clima sociale, le preghiere, ormai atee e rivolte al massimo all’“universo” (qualunque cosa possa significare...), sono la testimonianza di anime perse, sole, ingannate. Tolta ogni altra risorsa pratica e culturale, sempre più persone si rivolgono al pensiero magico, all’esoterismo, e alla divinazione con mille mezzi anche tecnologici, intelligenza artificiale compresa. Anche aggrapparsi alla cosiddetta “scienza”, facendola coincidere con una sorta di “verità” religiosa, è una via possibile e praticata (dagli ingenui).
E in tutto questo, Dio dov’è? Non c’è. Nel senso cristiano del termine, “peccato” significa stare lontano da Dio, e un intero mondo che sta lontano da Dio si chiama Inferno. Siamo nell’Inferno, che paradossalmente è proprio il luogo migliore dove potremmo trovarci per ripulirci dall’immondizia che si trova nelle nostre menti e nei cuori.
La preghiera ha tanto più senso quanto più l’ego perde i suoi sostegni. Più una persona cercherà realmente di evolversi spiritualmente, e più tutto le andrà in frantumi. Ciò è una grazia, serve a rendere evidente alla propria coscienza l’inutilità, la fallibilità e l’inconsistenza del proprio ego.
La massima aspirazione per un cristiano è fare la volontà di Dio, non la propria. Anzi, la propria volontà non esiste più.
“Ma le cose nel mondo vanno male, devo fare qualcosa”, potrebbe dire qualcuno. “Non è una tua responsabilità e non sei tu l’artefice della creazione”, mi verrebbe da rispondere, perché chi teme Dio non ha bisogno di temere nient’altro. Comunque, sforzarsi di cambiare il mondo non serve a nulla e non porta a nulla di buono, perché l’esito delle proprie azioni dipende innanzitutto da una volontà superiore alla propria.
Lo ripeto: la massima aspirazione per un cristiano è fare la volontà di Dio, non la propria. E se “le cose che accadono” sono “i pensieri di Dio”, ovvero se il creatore è in tutte le creature e se Cristo è in tutti i cuori, anche in quelli più induriti, noi di cosa dobbiamo preoccuparci? “Ama il prossimo tuo come te stesso” (e non pensare male di lui o di lei) è così facile che possiamo permetterci di dire a Dio quello che dovrebbe fare?
Domande retoriche a parte, il senso della preghiera cristiana è innanzitutto un cambiamento interiore in chi la fa. Nessuna preghiera cambierà mai la volontà di Dio, che è decisa in eterno e che viene prima della creazione. Al massimo le preghiere possono cambiare la volontà degli uomini.
E tutto questo cosa c’entra con la tecnologia? Nulla, se non il fatto, per i motivi detti all’inizio, che più ci fidiamo della tecnologia e meno ci fidiamo di noi stessi e di Dio. Noi viviamo nella “società dell’imbroglio” e l’intelligenza artificiale è una delle attuali massime espressioni di questo imbroglio.
L’intelligenza artificiale è al massimo un riflesso cupo e sporco dell’umano, ma non ha nulla di divino. L’uomo invece è creatura di Dio, ma ribellarsi alla volontà di Dio porta solo a un disastro dopo l’altro. Peggio, credere di essere onnipotenti come Dio... beh, lasciamo stare.
“Colui che conosce i suoi peccati è più grande di colui che con la preghiera risuscita un morto. Colui che per un'ora geme su se stesso è più grande di colui che insegna all'universo. Colui che conosce la propria debolezza è più grande di colui che vede gli angeli... Colui che solitario e contrito, segue il Cristo, è più grande di colui che gode il favore delle folle nelle chiese”.
(Isacco il Siro, fu un mistico, teologo e vescovo cristiano orientale del VII sec.)
Come nota finale, vorrei aggiungere un giudizio estetico. Vedo spesso immagini e video su temi sacri generati dall’intelligenza artificiale, perché ormai sono ovunque. Non mi piacciono, nemmeno quelli più belli ed elaborati, nemmeno i video più “meravigliosi”. Non c’è anima, sono vuoti, “sento” che sono fatti senza fede e senza cuore. Provate a confrontare qualsiasi immagine della Madonna generata dall’intelligenza artificiale con l’icona ortodossa “Theotokos di Vladimir”, dipinta a Costantinopoli nel XII secolo. Non c’è paragone, sembra che l’anima di Maria sia dentro quel quadro. Stesso discorso per i presepi e altre immagini sacre.
(27 aprile 2025)
L'uomo non è il vero artefice
Nel cuore della Bhagavad Gita, un antico testo sacro indiano parte del grande poema epico Mahabharata, si cela una verità profonda che sfida il nostro comune senso di autonomia personale. Intanto leggiamo un paio di versi, poi li commenteremo:
3.27
Tutte le azioni sono compiute dai guṇa (le forze della natura); l’anima, illusa dall’ego, pensa "io sono l'agente".
18.66
Abbandona ogni altro dovere e rifugiati soltanto in Me; io ti libererò da ogni conseguenza, non temere.
Queste parole portano con sé una riflessione che attraversa millenni, con domande sulla natura dell'azione umana, della libertà e del destino.
La Bhagavad Gita, letteralmente "Il canto del Beato", è un dialogo filosofico e spirituale tra due personaggi principali: Krishna e Arjuna. Krishna, manifestazione terrena della divinità suprema Vishnu, rappresenta il maestro spirituale per eccellenza. Arjuna, il valoroso guerriero, è l'allievo che affronta una profonda crisi morale e spirituale di fronte alla guerra imminente contro i suoi stessi parenti e maestri.
L'intero testo si svolge sul campo di battaglia di Kurukshetra, poco prima di una grande guerra tra due fazioni imparentate, i Pandava e i Kaurava, per la supremazia sul regno. Arjuna, scosso e turbato dall'idea di dover combattere contro parenti e amici, mette in discussione il senso stesso del dovere, del destino e della morale. È in questo momento di dubbio esistenziale che Krishna gli impartisce insegnamenti destinati a influenzare profondamente la spiritualità e la filosofia dell'induismo.
Uno degli insegnamenti cardine che Krishna trasmette ad Arjuna è il concetto che l'uomo non sia il vero artefice delle proprie azioni. Questo non significa, tuttavia, che l'individuo sia totalmente privo di libertà o responsabilità. Piuttosto, Krishna indica che dietro ogni azione umana agiscono i guṇa, le tre qualità o principi fondamentali che costituiscono la materia e regolano l'universo. Queste tre qualità – sattva (armonia, purezza), rajas (passione, attività) e tamas (inerzia, oscurità) – determinano i comportamenti e le attitudini degli esseri viventi.
Secondo la Gita, l'illusione principale dell'uomo è credere di essere il diretto artefice delle proprie azioni, dimenticando che il vero motore delle attività è la natura stessa, governata dalle leggi divine. Quando l'uomo, guidato dall'ego, si appropria delle azioni compiute, cade in una sorta di trappola esistenziale, generando attaccamenti, desideri e sofferenze che lo imprigionano nel ciclo infinito del karma, la legge di causa ed effetto.
Per usare una metafora, è come se un burattino (l'uomo), mosso dai fili della natura (Prakriti), credesse di danzare per propria volontà, dimenticando che il vero regista è Dio (Krishna). Quando il burattino si identifica con i suoi movimenti, sviluppa attaccamento alle azioni, alimentando così il ciclo del karma.
Ogni volta che l’uomo si identifica con le proprie azioni ("io agisco", "io godo", "io soffro"), genera attaccamento ai risultati (successo o fallimento) e desiderio di ripetere l’esperienza. Questo meccanismo crea vasana (tendenze mentali) e samskara (impressioni karmiche), che lo legano a nuove azioni future, mantenendolo prigioniero nel samsara – il ciclo di nascita, morte e rinascita. Liberarsi da questa catena richiede akarma (agire senza attaccamento), come insegnato da Krishna:
9.27
Qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi cosa tu mangi, qualsiasi cosa tu offra come offerta al fuoco sacro, qualsiasi cosa tu dia in dono e qualsiasi austerità tu compia, o figlio di Kunti, falla come offerta a Me.
9.28
Dedicando a Me tutte le tue opere, sarai liberato dalla schiavitù dei risultati buoni e cattivi. Con la mente attaccata a Me attraverso la rinuncia, sarai liberato e mi raggiungerai.
Come un’onda che crede di essere separata dall’oceano, l’uomo dimentica che la sua forza deriva da Krishna, la sorgente di ogni energia.
Krishna invita Arjuna, e attraverso di lui ogni essere umano, a superare questa illusione per raggiungere una condizione spirituale superiore. Ciò non significa passività o inattività, bensì compiere il proprio dovere senza attaccamento ai frutti delle azioni. Questo atteggiamento, noto come "karma yoga", rappresenta l'agire consapevole, dove l'individuo svolge i propri compiti con impegno e dedizione, ma lascia andare il senso di proprietà personale sull'azione.
Krishna chiarisce ulteriormente questo punto dicendo che tutto ciò che accade nel mondo è, in definitiva, governato da una volontà divina superiore. Gli eventi della vita umana, inclusi successi e fallimenti, sono già inclusi nel grande disegno cosmico della divinità. Ciò non nega la libertà personale, ma invita a collocare questa libertà in una prospettiva più ampia, dove l'essere umano è chiamato a collaborare consapevolmente con il piano divino, piuttosto che lottare contro di esso.
Nell'undicesimo capitolo della Bhagavad Gita, Krishna rivela ad Arjuna una visione cosmica della sua vera forma divina (Viśvarūpa), che abbraccia passato, presente e futuro, dimostrando così come tutti gli eventi siano già predestinati:
11.13
Lì Arjuna poté vedere la totalità dell'intero universo stabilita in un unico luogo, in quel corpo del Dio degli dei.
Qui Krishna afferma esplicitamente che i nemici di Arjuna sono già stati "uccisi" dalla volontà divina. Arjuna, pertanto, è soltanto uno strumento di questa azione cosmica:
11.33
Pertanto, alzati e raggiungi l'onore! Conquista i tuoi nemici e goditi la prosperità del governo. Questi guerrieri sono già stati uccisi da Me, e tu sarai solo uno strumento della mia opera, o arciere esperto.
Questo insegnamento rappresenta una svolta radicale nella comprensione dell'azione e della libertà umana: l'uomo diventa consapevole che, pur avendo libertà di scelta a livello individuale, il risultato finale è determinato da una realtà superiore. Questa consapevolezza libera l'individuo dall'ansia per il futuro, dall'attaccamento ai risultati, e gli permette di vivere con maggiore serenità e coraggio.
La Gita afferma chiaramente che la liberazione dall'illusione di essere l'artefice assoluto porta alla pace interiore e alla realizzazione spirituale. L'ego viene ridimensionato, non più visto come il padrone, ma come un partecipante cosciente al gioco cosmico della vita.
Secondo Krishna, il vero obiettivo della vita umana non è ottenere risultati specifici o vittorie personali, ma realizzare la propria unione con il divino, superando ogni dualità e conflitto interiore. Per farlo, è necessario affidarsi completamente a Dio, liberandosi dalla paura e dalle preoccupazioni per il proprio destino.
In questo modo, l'essere umano scopre che la vera libertà consiste nella rinuncia all'illusione del controllo personale assoluto, aprendosi a una dimensione spirituale autentica e universale. La Bhagavad Gita insegna dunque che l'uomo diventa veramente libero solo quando riconosce e accetta di essere parte integrante di un disegno molto più grande, in cui la volontà divina rappresenta la vera forza motrice.
(17 aprile 2025)
Praticare contemporaneamente più religioni: l’esempio di Gandhi
La pratica di più tradizioni spirituali può suscitare dubbi e perplessità, specialmente in contesti in cui religioni diverse tendono a escludersi a vicenda. Molti culti, infatti, enfatizzano l’idea di una verità esclusiva, lasciando intravedere il rischio di una dissonanza cognitiva per chi sente l’esigenza di affidarsi a pratiche provenienti da più fedi. Il Mahatma Gandhi ha fornito un esempio concreto di come tale conflitto interiore sia superabile con serietà e compassione: il suo ecumenismo spirituale ha mostrato che religioni diverse possono essere viste come vari sentieri verso un’unica meta.
In Gandhi, si riscontra la consuetudine di pregare e meditare attingendo alle più svariate fonti: Bhagavad Gita, Corano, Bibbia e altri testi sacri. La coesistenza di questi percorsi apparentemente disomogenei non costituiva un ostacolo, bensì un arricchimento. La pratica simultanea di più religioni non era per lui un problema interiore, poiché egli sosteneva che l’essenza della verità risiedesse in tutti i cammini spirituali, considerati espressioni molteplici di un unico principio divino. Questo atteggiamento “e… e…” si opponeva a qualsiasi forma di settarismo, invitando a superare la visione “o… o…” nella quale una verità esclude l’altra. Gandhi non credeva in una superiorità di una fede sull’altra, ma piuttosto in una complementarità delle tradizioni spirituali.
Al centro di tale prospettiva si colloca il concetto di Sarva Dharma Sama Bhava, espressione traducibile come “tutte le religioni sono uguali (o equivalenti)”. Ciò indica la convinzione che ogni fede racchiuda, pur con accenti diversi, un valore universale. In Gandhi, Sarva Dharma Sama Bhava andava oltre la mera tolleranza o il rispetto formale: diventava la certezza che la realtà divina possa essere contemplata e venerata in forme molteplici, senza che ciò susciti gelosie celesti o gerarchie morali. Ogni formula devozionale, ogni rito e ogni testo sacro venivano onorati come strumenti legittimi per vivere la spiritualità, sempre riconducendola a un comune denominatore di amore, verità e compassione.
La pratica simultanea di più religioni, nella visione gandhiana, si trasforma così in un’occasione di incontro e condivisione: l’essere umano non risulta frammentato da riti e preghiere di provenienze differenti, ma arricchito dalla complementarità delle varie tradizioni. Questo genere di percorso non richiede di rinunciare al nucleo profondo di una singola fede; piuttosto, implica una comprensione più ampia della verità, alla cui ricerca ci si può dedicare percorrendo strade diverse.
Nel ricordo di Gandhi, permane l’idea che nessun culto debba rivendicare il monopolio dell’assoluto e che la pluralità di tradizioni spirituali possa convivere senza generare attriti. Egli ha dimostrato con il proprio esempio come la sincerità del cuore e la rettitudine dell’agire siano parametri di giudizio più solidi di qualunque confine di appartenenza religiosa. L’armonia interconfessionale, ispirata al principio del Sarva Dharma Sama Bhava, incoraggia a intravedere l’unità nella diversità senza scadere in conflitti né interne contraddizioni. L’eredità gandhiana, in tal senso, rappresenta una testimonianza di come una prassi interreligiosa possa essere vissuta non solo in modo etico e coerente, ma anche intensamente sacro.
(15 aprile 2025)
Oltre Halloween: la profonda spiritualità di Samhain nella tradizione pagana
Tra poche ore sarà Samhain (pronunciato "sowin"), scritto anche Sauin, celebrato nella notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre.
Samhain è un'antica festa celtica che segna la fine dell'estate e l'inizio dell'inverno, ed è considerata uno dei sabba più importanti nella tradizione pagana. Il termine "sabba" può avere diverse connotazioni. Storicamente, è stato associato a raduni rituali legati alla stregoneria, spesso rappresentati come incontri notturni dedicati a pratiche magiche o cerimoniali. Tuttavia, nell'ambito neopagano e wiccan, il termine ha perso ogni connotazione di "raduno di streghe", indicando invece le principali festività che celebrano i cicli naturali e le fasi dell'anno.
Nel calendario delle tradizioni pagane e wiccan, i sabba sono otto feste stagionali, e Samhain è una delle più significative, marcando il passaggio dal periodo di luce estiva alla stagione oscura invernale. In questo contesto, quindi, "sabba" si riferisce a un momento sacro di celebrazione dei ritmi naturali e di riflessione.
Ciò premesso, Samhain rappresenta il "tempo del raccolto finale", quando si conclude l'anno agricolo e si entra nei mesi invernali, dominati dall'oscurità. Questo passaggio segna anche il Capodanno dell'anno celtico, un momento di chiusura e di nuovo inizio.
Una caratteristica centrale di Samhain è che, durante questa notte, il "velo" tra il mondo dei vivi e quello dei morti diventa più sottile, facilitando la connessione con gli spiriti. Questo rende Samhain un'occasione per onorare e ricordare i propri antenati, i cari defunti e gli "spiriti di famiglia", intesi non solo come i defunti ma anche come spiriti protettori della casa e della comunità, spesso attraverso riti di commemorazione e momenti di raccoglimento.
Durante Samhain, molte culture pagane e neopagane praticano riti di commemorazione in cui si offrono cibo, bevande e piccoli oggetti simbolici per onorare i defunti. Questi doni, chiamati spesso "offerte" o "banchetti degli spiriti", venivano lasciati all'esterno o in luoghi specifici della casa come segno di accoglienza per gli spiriti di famiglia. Accendere candele o lanterne è un altro simbolo ricorrente, utile sia per illuminare il cammino degli spiriti verso la loro visita, sia per simboleggiare la luce della memoria che mantiene vivi i legami con chi non è più presente.
Oltre a queste pratiche, Samhain è anche un tempo di riflessione interiore, dove ci si confronta con la natura della vita e della morte, nonché con il ciclo di nascita, morte e rinascita che governa sia la natura sia l'esistenza umana. I riti durante Samhain spesso includono momenti di meditazione e raccoglimento, in cui si cercano saggezza e guida dagli antenati. Per i praticanti neopagani, Samhain rappresenta un'opportunità unica di riconnettersi con le radici, comprendere l'importanza del passato e prendere coscienza della continuità che lega ogni generazione.
Anche se molte tradizioni di Samhain hanno ispirato le celebrazioni moderne di Halloween, Samhain conserva un significato profondamente spirituale e simbolico per chi pratica o rispetta le antiche usanze pagane e celtiche. Mentre Halloween, così come viene celebrato oggi, è principalmente una festa laica e commerciale caratterizzata da costumi, dolcetti e decorazioni spaventose, Samhain rimane una celebrazione solenne e meditativa, dedicata al legame con la natura, agli antenati e al ciclo di vita, morte e rinascita.
Halloween, pur ispirato da alcuni simboli e temi di Samhain, ha assunto un significato molto diverso nel tempo, trasformandosi in una festa popolare in cui si esorcizza la paura del macabro e dell'ignoto attraverso maschere, scherzi e giochi. L'antica paura dei "fantasmi" è oggi reinterpretata come una celebrazione leggera e divertente che spesso omette l'aspetto spirituale originario di Samhain.
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(October 31, 2024, go to my art gallery)
La fine della sofferenza
Il mio posto è qui, adesso.
Le cose vanno esattamente come devono andare.
Va tutto bene.
Esiste l’uno, e nient’altro.
L’essere assoluto e infinito e il sé individuale sono identici, mai nati.
L’esterno è l’interno, il prima è il dopo.
La sofferenza è finita.
Secondo l'Advaita Vedanta, la realtà ultima è Brahman, l'essere assoluto e infinito, che è identico all'Ātman, il sé individuale. La percezione della molteplicità e della diversità delle cose separate da Brahman è dovuta ad avidyā (ignoranza), che è l'espressione individuale dell'illusione cosmica e universale, che prende il nome di maya e pervade tutto.
Il fine ultimo dell'essere umano è quello di eliminare l'ignoranza e di riconoscere la propria identità con Brahman, attraverso la conoscenza (jñāna), la meditazione (dhyana) e la devozione (bhakti). In questo modo, si raggiunge il mokṣa, la liberazione dal ciclo delle rinascite (saṃsāra) e dalla sofferenza (duḥkha).
Secondo il Mādhyamaka di Nāgārjuna, o Via di Mezzo, la realtà ultima è vacua (śūnyatā), mancando una natura intrinseca o sostanziale delle cose. Tutto ciò che esiste è vacuo perché dipende da altre cose per esistere (pratītyasamutpāda), e perché è soggetto al cambiamento e alla cessazione (anitya). Il fine ultimo dell’essere umano è quello di eliminare l'attaccamento alle cose come se fossero reali e permanenti, attraverso la saggezza (prajñā), la compassione (karuṇā) e la pratica etica (śīla). In questo modo, si raggiunge la cessazione della sofferenza e delle contaminazioni mentali (kleśa).
Quando la propria coscienza coincide con quella del tutto, non è veglia, non è sonno, non è sogno. E’ il quarto stato (turiya), è la natura luminosa senza tempo e senza luogo, è la nostra vera casa.
(scritto il 20 aprile 2023, con un ringraziamento al dott. Ernesto Iannaccone per i suoi eccellenti corsi on-line su questi e altri argomenti)
Quando tutto è sacro
Quando entriamo in una dimensione dove tutto è sacro, ci accorgiamo che il mondo è pieno di arcobaleni. Il nostro cuore va dove deve stare, cioè vicino alla massima fiducia nella vita.
In questa dimensione, ascoltiamo il canto degli uccellini con gratitudine. Iniziamo la giornata in modo semplice, cibandoci di quel che abbiamo e ringraziando per poter gioire anche oggi del sapore del pane.
Gli arcobaleni ci sono sempre, tutti i giorni, in qualsiasi momento. Capita, però, di essere distratti da altro, per questo ci sfuggono, eppure sono sempre lì.
Quando viviamo tutto come sacro, compresi noi stessi e ogni nostro piccolo gesto, ci accorgiamo che tutto ha senso.
Nel silenzio, sentiamo che nulla è per caso. Tutto va nella direzione di trasformare l’homo sapiens (che crede invano di sapere) in homo pacificus (che ha imparato ad amare). Anche le nostre e altrui sofferenze, anch’esse sacre, vanno in questa direzione.
Buona giornata a tutto il mondo!
(13 aprile 2023)
Padre nostro, che sei nei cieli... sei maschio o femmina?
Santa Pazienza, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra…
La domanda posta nel titolo di queste riflessioni sicuramente farà sorridere i miei quattro lettori, eppure c’è chi se l’è posta seriamente. Nel sinodo della chiesa anglicana, infatti, è stato posto il tema dell’opportunità di scegliere un pronome neutro per riferirsi alla divinità. Alcuni vescovi vorrebbero riformare il testo della preghiera “Padre nostro” per evitare quando possibile ogni riferimento maschile o paterno alla figura di Dio.
Vorrei ragionare su questa cosa, ma con una premessa. Ovvero: io non so nulla di Dio e, più in generale, ritengo che la realtà non sia conoscibile, né indagabile, né descrivibile a parole, e che vada oltre i concetti di esistenza e di non esistenza. Inoltre, come ho scritto già da anni nell’intestazione di questo blog, quello che non so, non lo so, quello che invece credo di sapere non corrisponde alla realtà. Quindi, da quanto sto per scrivere non emergerà alcuna verità. Nessuno si senta offeso dalle mie parole, neanche da quelle più taglienti, perché parlo di ciò che ignoro. Al massimo, chi vorrà proseguire nella lettura, potrà trovare qualche stimolo di riflessione e nulla di più.
Fatte queste doverose premesse, andiamo al nocciolo della questione. Dio è maschio? E’ femmina? E’ entrambi? E’ nessuno dei due? E’ un terzo genere arcobaleno?
Di seguito alcune mie ipotesi, di cui solo l’ultima potrebbe dar ragione, almeno in parte, ai vescovi anglicani. Per cercare una risposta, partiremo dall’antropologia e arriveremo alla storia dell’Antico Egitto.
1. Ipotesi antropologica
Ogni essere vivente vede il mondo in base alle proprie caratteristiche. In particolare, l’essere umano, che ha una spiccata capacità di astrazione, solitamente proietta all’esterno le proprie dinamiche interne, soprattutto quelle inconsce. Ne segue che, appartenendo al regno vivente dei mammiferi, i cui esemplari sono individui o maschi o femmine, tale primate è costretto dalla natura (e dai rinforzi della cultura) a identificare ogni cosa esistente, compreso il proprio “Io”, come maschile o femminile.
Per tale ragione, quando gli esseri umani si sono creati i propri dèi a propria immagine e somiglianza, li hanno solitamente creati o maschi o femmine. Poi, in piena sindrome proiettiva, hanno creduto che fossero stati gli dèi a creare gli umani.
Nel proseguire storico della tragedia umana, le religioni basate su una monolatria duratura, come il cattolicesimo, hanno scelto un solo dio tra tutti gli dèi disponibili e, nel caso specifico, un dio maschio. Ne segue che il dio del “Padre nostro” è decisamente maschio, ed essendo anche creatore, i riferimenti paterni sono appropriati.
2. Ipotesi basata sul Vecchio Testamento
Yahweh, il dio dell'Antico Testamento, è figlio dei costumi tribali e patriarcali dell'epoca per cui razzie, saccheggi e massacri sono gli unici strumenti di sopravvivenza e conquista. E, come le divinità assire e babilonesi, egli è un Dio guerriero, forte e brutale, mosso da spirito di vendetta soprattutto contro i suoi nemici e contro chi lo tradisce.
Guardiamo cosa c’è scritto nella Bibbia, in particolare in Esodo 15:3. Nelle bibbie cattoliche, questo passo è stato tradotto come “Il Signore è un guerriero”. Il testo ebraico è “Yhwh ish milhamah”, ovvero “Yahweh è un individuo maschio di guerra”. Più chiaro di così…
Quindi, se il “Padre nostro” è una preghiera rivolta a questo dio, cioè a Yahweh, allora è una preghiera rivolta a un dio maschio. Però… le cose potrebbero essere un po’ diverse, anzi molto diverse, come illustro nella prossima ipotesi.
3. Ipotesi basata sul padre di Gesù
Il “Padre nostro” è una preghiera che i vangeli, sia ufficiali sia apocrifi, attribuiscono a Gesù. A dirla tutta, però, soprattutto nei vangeli tenuti nascosti, come quello esseno della pace, Gesù insegna non una ma due preghiere, una rivolta al padre, e l’altra rivolta alla madre:
Preghiera al “Padre Celeste”
«Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. E non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male; perché tuo è il regno, il potere e la gloria per l’eternità. Amen»
Preghiera a “Madre Terra”
«Madre Nostra che sei sulla terra, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà in noi come lo è in te. Come mandi i tuoi angeli ogni giorno mandali anche a noi. Rimetti a noi i nostri peccati come noi espiamo le nostre colpe contro di te. E non ci indurre in malattia ma liberaci dal male perché tuo è il corpo, la salute e la terra. Amen»
Non so quanto sia esatta la traduzione del vangelo esseno da me studiata e a suo tempo pubblicata e commentata in questo blog, però è evidente che c’è una preghiera rivolta al maschile e un’altra rivolta al femminile, una al padre e l'altra alla madre. Da questo punto di vista, il “Padre nostro” si rivolge a un dio maschio creatore e non è riformabile a meno di non voler riformare anche Gesù.
A parte ciò, il padre di Gesù era Yahweh? Questo, nella Bibbia, non c’è scritto da nessuna parte. Anzi, casomai, in Marco 5:7, c’è scritto che Gesù è figlio di Elyon. Per essere precisi, nella traduzione italiana cattolica, c’è scritto “Gesù, Figlio del Dio altissimo”, ma la traduzione letterale dall’ebraico è un po’ più chiara, cioè “Yeshua, figlio di El Elyon” (Yeshua è il nome ebraico di Gesù).
Non so chi sia questo Elyon, a parte il fatto che nella Bibbia è citato come il più importante tra tutti gli elohim, cioè dei vari dèi nominati nella Bibbia, e quindi ben più importante anche di Yahweh.
Il grande punto di rottura è tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, ovvero tra il dio psicopatico stragista di guerra dell’Antico Testamento e il dio di amore incondizionato del Nuovo Testamento, un dio che addirittura insegna ad amare i propri nemici e a perdonarli. Tale punto di rottura rende evidente che Yahweh non c’entra nulla con Gesù, salvo il fatto di trovarsi entrambi nella stessa antologia di libri chiamata Bibbia, sovente tradotta con errori intenzionali, a uso e consumo delle teologie ufficiali.
E’ infatti consuetudine delle religioni il fatto di aggiustarsi le traduzioni per “farsele tornare”, ad es., nel caso del cattolicesimo, spesso occultando tutti i vari elohim, e traducendoli in modo da far sembrare che si tratti dello stesso Dio. Ma non è così. Vari dèi, o elohim, sono citati per nome persino nella Bibbia cattolica, ad es. Astarte, l’elohim di Sidone, Camos, l’elohim di Moabili, e Milcom, l’elohim degli Ammoniti (Re 11:33). Tanto che Yahweh mostrava gelosia verso di loro (Deuteronomio 6:14,15). Tra l’altro, a proposito di genere sessuale, Astarte è chiaramente femmina.
Comunque, tornando a Gesù, egli afferma di essere stato inviato da suo padre e che chi vede lui vede anche il padre, quindi sicuramente non poteva riferirsi a quel criminale di Yahweh, sterminatore di popoli e primo antisemita della storia.
4. Ipotesi basata su un Dio che non è persona
E qui, con questa mia ultima ipotesi, le cose si fanno più complicate. E’ la più difficile da argomentare, ma, dal mio punto di vista, anche la più interessante e ragionevole.
E’ la più difficile da argomentare perché devo allontanarmi dai Vangeli e dall’intera Bibbia, e quindi anche dalla figura di Gesù e dal mondo ebraico maschilista da cui proviene l'attuale formulazione del “Padre nostro”. Ne segue che prendo le distanze dalla teologia ufficiale e dalla tradizione.
Come posso fare una cosa del genere, e al tempo stesso, ragionare sul genere sessuale del Dio del “Padre nostro”? E’ un po’ complicato, ma fattibile.
Questa quarta e ultima ipotesi parte dal presupposto che storicamente c’è stato un grande caos di culture e di religioni, in cui sono state mischiate insieme cose molto diverse e anche abbastanza incompatibili (come il Vecchio e il Nuovo Testamento).
Da un punto di vista strettamente logico, se ammettiamo che esiste un unico Dio creatore di tutto a cui il “Padre nostro” si rivolge, è evidente che, se ha realmente creato tutto, questo Dio ha alcune caratteristiche, tra cui:
- è “non nato”, cioè viene prima di ogni altra cosa, è sempre esistito e sempre esisterà;
- è “oltre il tempo e oltre lo spazio”, in quanto il tempo e lo spazio sono sue creazioni;
- è “oltre il maschile e oltre il femminile”, in quanto tutte le dualità esistenti sono sue creazioni;
- è “oltre le parole”, sia nel senso che le parole non possono descriverlo, e neanche nominarlo, sia nel senso che Dio ha creato le parole e, con esse, la realtà.
Un Dio del genere, con queste caratteristiche, è forse Yahweh? Assolutamente no. E’ maschio? Benché mai. Ha un “Io”? No. Ed è proprio quest’ultimo punto che mette in crisi le religioni monoteistiche basate su un dio-persona, cioè dotato di un proprio “Io”, come il cattolicesimo.
E allora questo “Padre nostro” da dove viene? A chi si riferisce?
Per dare ai soliti miei quattro lettori una risposta storicamente fondata, vi ricopio questa antica preghiera, in cui le somiglianze con il “Padre nostro” contemporaneo sono impressionanti:
Oh Amon, Amon, che sei nei Cieli
Padre di Chi non ha Madre.
Quanto è dolce pronunciare il tuo nome.
Dacci come la gioia di vivere, il sapore del pane per il bimbo,
sia fatta la tua volontà come in Cielo così in Terra.
Tu che mi hai fatto vedere le tenebre, crea la luce per me.
Fammi dono della tua grazia, fa che io veda te ininterrottamente!
Amon.
(A. Barucq - F. Daumas, Hymnes et prières de l’Egiypte ancienne, Le Cerf, Paris 1980)
Questa preghiera proviene dall’antico Egitto, da cui storicamente provengono anche gli ebrei. E le cose cominciano a tornare. Il “Padre nostro” non è una preghiera inventata da zero da Gesù, era piuttosto una preghiera rivolta a questo “Amon”, un po’ rielaborata ma abbastanza simile. E quindi, per tornare a quanto scritto precedentemente, in effetti Yahweh non c’entra nulla.
Chi era Amon? E quali caratteristiche aveva? Che vuol dire “Padre di Chi non ha Madre”?
Intravediamo possibili risposte in quest’altra preghiera:
Uno è Ammone, che si ritiene nascosto ad essi [gli dèi],
che si cela agli dèi,
nessuno conosce la sua natura.
Egli è più lontano del cielo
e più profondo degli inferi.
Nessun dio conosce il suo vero aspetto,
la sua immagine non appare nei rotoli delle scritture.
Egli è troppo misterioso per essere svelato,
troppo grande per essere investigato,
troppo potente per essere conosciuto.
Nessun dio può chiamarlo per nome,
egli è simile a Ba,
colui che tiene nascosto il proprio nome come il proprio segreto.
(Inno ad Amon, Papiro di Leida, 1 - 350, strofa 200)
Amon è quindi oltre tutto, infatti “è più lontano del cielo e più profondo degli inferi”. Viene prima degli dèi, infatti “nessun dio conosce il suo vero aspetto”. Amon ha tutte le caratteristiche che nella premessa a questo articolo ho attribuito alla realtà. Mi riferisco alla frase: “[…] ritengo che la realtà non sia conoscibile, né indagabile, né descrivibile a parole, e che vada oltre i concetti di esistenza e di non esistenza”. Questo tipo di realtà è concettualmente sovrapponibile ad Amon, che è “troppo misterioso per essere svelato, troppo grande per essere investigato, troppo potente per essere conosciuto”.
Amon, quindi, è oltre i concetti stessi di maschio e femmina, è oltre ogni realtà, è quell’“uno” da cui è nato tutto, a cominciare da ogni tipo di dualità (maschio e femmina, bene e male, giorno e notte, ecc.). Ma Amon è anche “non nato”, perché viene prima del tempo e dello spazio che sono sue creazioni. In questo senso, è “Padre di Chi non ha Madre”. Ha tutte le caratteristiche del Dio “non persona” di cui ho scritto poco fa, un Dio che non ha un proprio “Io” perché è “tutto”. Più che di Dio, sarebbe opportuno parlare di Amon come di quella Coscienza originaria da cui è nato tutto il resto, dèi compresi.
In tale preghiera, c’è anche scritto che “egli è simile a Ba”. Nell’Antico Egitto, “Ba” è ciò che oggi chiameremmo “Anima”, cioè il principio vitale che si trova dentro gli esseri umani, che è immortale e che, quando il corpo muore, lascia il corpo e “vola” via. Ho usato il verbo “volare” perché, nei geroglifici, Ba viene proprio rappresentato come un volatile con la testa di donna che vola via al momento della morte. La testa di donna indica l’essenza femminile di “Ba”, in quanto archetipicamente l’Anima è femmina. Invece “Ka” è ciò che oggi chiameremmo “Spirito” e che archetipicamente è maschio. Orbene, Amon “è simile a Ba”, in quanto, proprio come Ba, è la Vita.
Noi siamo parte di Amon, ovvero parte della Coscienza universale originaria, ovvero parte di Dio, nel senso precedentemente chiarito. Anzi, siamo la stessa cosa. Ovvero, ciascuno di noi è Amon, è Coscienza, è Dio. Questo è espresso chiaramente da quest’altro inno ad Amon:
Lode a te, Uno, che ti fai milioni
l’Uno soltanto, che creò tutto ciò che è,
l’insigne Ba degli dèi e degli uomini
(Papiro di Bruxelles)
Riassumendo, la preghiera “Padre nostro”, tradizionalmente attribuita a un mito chiamato Gesù ma storicamente rielaborata da una preghiera ad Amon, non è rivolta né a un maschio né ad una femmina, ma a “l’insigne Ba degli dèi e degli uomini”, cioè alla Vita stessa.
Ho scritto “mito chiamato Gesù” perché probabilmente le cose non sono andate come ce le hanno raccontate. All’Israel Museum di Gerusalemme si trova una tavola di pietra, scoperta nei pressi del Mar Morto, su cui ci sono circa novanta versi in ebraico che narrano la storia di un Messia che sarebbe risorto tre giorni dopo la sua morte. L’elemento curioso, e importante, è che la tavola risale a un’epoca antecedente alla nascita di Gesù, e quindi non si riferisce a lui. Inoltre, ci sono varie religioni non cristiane, sparse per il mondo, che hanno un messia con una storia sostanzialmente equivalente a quella di Gesù e con somiglianze ragguardevoli, come la nascita avvenuta il 25 dicembre, la resurrezione dopo tre giorni, e altro. E’ un mito che storicamente si ripete, che è più antico della storia che ci viene tramandata e si trova in varie parti del mondo. Suggerisco a tal riguardo una lettura di “Gesù è mai esistito? Miti, credenze e racconti relativi a "salvatori" morti e resuscitati”.
Per concludere, i vescovi anglicani hanno posto una questione giusta nel merito, ma sbagliata nei presupposti, perché se è vero che il “Padre nostro”, nel senso di Amon, non è né maschio né femmina, ma “è simile a Ba”, che comunque è principio vitale femminile, è altrettanto vero che non si tratta del dio-persona a cui le teologie cristiane fanno riferimento.
E poi, ognuno preghi come vuole. Da quando sono bambino, la preghiera del “Padre nostro” è già stata ufficialmente cambiata tre volte, perché ogni volta la precedente traduzione non andava bene. Ma, per come la vedo io, non è un problema né di traduzione, né di scelta di parole gender-neutral. E’ solo un problema di cuore, a prescindere dal credo religioso e dalle preferenze personali.
(10 aprile 2023)
