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Analisi critica della comunicazione in rete

Quanto segue è un articolo scritto da Giulio Ripa e pubblicato nel suo archivio, con licenza Creative Commons. Viene esposta un'analisi della comunicazione in rete (e anche al di fuori della rete, nella vita di tutti i giorni), partendo da una lettera scritta ad un amico più di dieci anni fa, e poi proseguendo con un'analisi di psicologia cognitiva, con considerazioni di carattere sociale. Viene anche posta attenzione sul significato della "condivisione".

Buona lettura,
Francesco Galgani,
6 dicembre 2014


Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po'....

Ciao, ho voluto così cominciare la mia lettera ricordando una famosa canzone di Lucio Dalla, il perché presto lo saprai. Nelle nostre conversazioni ti avevo annunciato che ti avrei inviato una e-mail sul tema della comunicazione ed in particolare della chat. Spero ora di non deluderti.
Io so che a te piace inviare messaggi con la posta elettronica (ed a me di riceverli!) ma con la chat sono sicuro che sarebbe tutto diverso, perché sostituire un dialogo reale con un dialogo virtuale, verrebbe a mancare del tutto quella fisicità che secondo me è importante nei rapporti interpersonali.
Nelle chiacchiere tra amici non è tanto importante quello che si dice ma quello che supporta e contorna la parola. Tra amici si chiacchiera per distrarsi un po', per farsi compagnia, in ultima istanza per sentirsi vivi.

Tutto questo funziona tanto più sono coinvolti oltre all'udito per quanto riguarda la parola detta, altri sensi come il gusto (bere insieme un buon bicchiere di vino), la vista (il viso sorridente dell'amico), il tatto (una pacca sulle spalle).
Certo potrai dire ma la chat serve anche per scambiarsi informazioni, per confrontarsi sulle proprie idee. E' vero, ma credo che la chat sia il mezzo meno indicato per far questo, primo perché come ho chiarito manca quella comunicazione non verbale, necessaria come contesto alle parole usate, secondo perché è la parola scritta che sostiene male un dialogo da lontano in tempo reale, senza potere avere quella flessibilità, fluidità e feedback a livello della parola detta.

Ma poiché sono ormai caduto nella filosofia del linguaggio e della meta comunicazione, voglio dimostrare una mia convinzione sulla secondarietà della comunicazione verbale (nella quale cerchiamo di esprimere al meglio la nostra razionalità) rispetto alla comunicazione non verbale, dove si esprimono in modo non razionale soprattutto sentimenti e creatività, arrivando al punto di affermare che la parola, così importante in un discorso logico, a volte vale meno di un rutto:
quando parliamo, inspiriamo istintivamente aria che successivamente sale (spinta dal diaframma) attraverso i bronchi e la trachea fino alla laringe, dove l'aria sollecita le corde vocali, che si avvicinano, si tendono e vibrano, producendo il suono.
Poi entrano in funzione gli organi risonatori, che amplificano e rendono udibile il suono, il quale però è ancora un insieme di vibrazioni disordinate e prive di senso logico.
Per far sì che si possano formulare parole compiute, devono, infatti, intervenire la lingua e il velo palatino, membrana che si trova nella parte posteriore del palato, e che termina con l'ugola.
Lingua e velo palatino lavorano in sintonia con le mascelle e le labbra, originando la pronuncia di vocaboli, consonanti, sillabe, e - quindi - le parole.
Alla fine di questa catena - che dovrà agire in perfetta sincronia - troviamo l'orecchio, la cui funzione (di fondamentale importanza) è quella dell'udito, cioè ascoltare la parola detta, che altro non è aria. Allora se quest'aria invece di entrare nella laringe fosse entrata nell'esofago penso che alla fine il risultato sarebbe stato ben diverso.

Ecco perché affermo provocatoriamente che la parola è un rutto mancato.

La parola è aleatoria perché il suo significato dipende molto dal contesto in cui si esercita la comunicazione, perciò di solito il confronto delle idee resta solo nelle intenzioni, quello che resta invece è il fatto che due persone si sono incontrate e questo certamente ha condizionato i loro reciproci sentimenti positivi o negativi che siano.
Sarebbe meglio un bel silenzio che molte volte dice molto di più di mille parole.

Il fine ultimo della comunicazione è secondo me, anche se sembra paradossale, la riflessione su se stessi e non un mezzo efficace per capire l'altro con cui si sta parlando.

Certo devo ammettere che sono contraddittorio visto che sto usando la parola (scritta) per dimostrare che le parole valgono meno di quello che normalmente si pensi, ma la vita è fatta anche di contraddizioni, giacché siamo solo essere umani e non altro. E forse sono proprio le nostre contraddizioni che ci permettono di cambiare il nostro atteggiamento sulla vita e renderla più piacevole ed interessante.
Non è così?

Ciao, Giulio Ripa

P.S. Il problema della comunicazione

Comunicare significa “mettere i pensieri in comune”. Quando comunichiamo, infatti, mettiamo in comune con qualcuno: informazioni, impressioni, constatazioni, giudizi, modi di pensare, ordini, desideri e così via.

L'emittente invia un messaggio al destinatario. Il messaggio si riferisce ad un contesto, è espresso in un codice comune ad emittente e destinatario, e avviene mediante un contatto, un canale fisico, cioè, che consenta la comunicazione stessa.
Si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.

Non si può non comunicare, ma la comunicazione non sempre funziona bene.
C'è differenza tra la comprensione della comunicazione e la strumentazione con cui si attua; questo dato viene confermato innumerevoli volte dalla nostra esperienza quotidiana.
Vediamo in base agli elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo quali possono essere i problemi:

* emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un messaggio
- la psicologia dell'emittente e la relazione interpersonale con il ricevente condizionano fortemente la comunicazione.

* ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende
- la psicologia del ricevente e la relazione interpersonale con l'emittente condizionano fortemente la comunicazione.

* codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il messaggio
- Non sempre il codice tra emittente e ricevente è completamente riconosciuto da entrambi i soggetti della comunicazione.

* canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici)
- Il mezzo influenza la comunicazione, ciascuno in un modo diverso, e quindi si potranno individuare dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo argomento, ma inadatti ad un altro.

* contesto: l' "ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo
- Non è detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale avviene lo scambio comunicativo sia sempre identica o congruente.
Nell'aula di una scuola, il docente potrà pensare di avere uno stile partecipativo e "democratico", mentre lo studente potrà sentirsi parte di una relazione asimmetrica e autoritaria.
In più c'è il rumore, tutto ciò che ostacola la comunicazione od interferisce con essa, che si tratti di un ostacolo materiale oppure no.
Esso può essere costituito da un luogo rumoroso, ma anche da scariche durante la trasmissione, da un inchiostro troppo pallido o da una calligrafia non chiara, un'illuminazione non sufficiente, un apparecchio poco adatto alla lettura di un nastro magnetico, etc

* referente: l'oggetto della comunicazione, a cui si riferisce il messaggio.
- Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento, siano sempre congruenti tra loro.
Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad esempio dire al mio rivale in amore “lieto di conoscerti” con un'espressione del volto assai contrariata)

* messaggio: è il contenuto della comunicazione
- Appare fondamentale la distinzione fra messaggio e segnale (informazione sotto forma di messaggio codificato), distinzione che riesprime assai efficacemente il rapporto fra piano del contenuto e piano dell'espressione, fra significato e significante. Questa distinzione, con la sua duplice situazione a livello di emittente e a livello di ricevente rende conto fra l'altro della non necessaria coincidenza fra il messaggio codificato dall'emittente e il messaggio decodificato dal ricevente.

L'illusione di sapere la realtà

fig.1 MODELLO STIMOLO-RISPOSTA TRA UOMO E CONTESTO AMBIENTALE

La memoria è un processo psichico complesso che consente all’individuo di codificare, immagazzinare e recuperare le informazioni attraverso un’attiva rielaborazione dei contenuti (significati). Questo implica che il contenuto rievocato (recuperato) sia una ricostruzione dell’informazione originaria (vedi fig.1).

Dalla codifica fino alla rievocazione, ciascuno di noi è influenzato dalle conoscenze che già possiede sul mondo e dalla rappresentazione personale che utilizza per organizzare tali conoscenze: è uno schema, una visione che plasma il modo in cui un oggetto, un evento o una situazione verranno poi percepiti, codificati e rappresentati nella memoria a lungo termine (MLT).

La rappresentazione della conoscenza va poi ad innescare quel ragionamento deduttivo che, tramite inferenze, consente di colmare i vuoti del ricordo, consentendo alla persona di ricostruire il puzzle del ricordo per intero. Un ricordo che non è più la realtà vissuta ma una propria rappresentazione della realtà.

Quindi il processo cognitivo è duale. La mente comprende due modalità di funzionamento:

Il sistema non razionale S1 detto anche esperienziale, opera in maniera pre-conscia ed in accordo con le regole euristiche, è concreto, associativo, pragmatico, rapido, automatico, olistico, non verbale e strettamente connesso con le emozioni; inoltre, apprende direttamente dall’esperienza vissuta. La rappresentazione della conoscenza dipende direttamente da questo sistema 1.

Il sistema razionale S2 detto anche logico è inferenziale, opera in accordo con ciò che una persona ha appreso dalle regole di ragionamento trasmesse culturalmente, è conscio, relativamente lento, verbale, analitico, sequenziale, astratto, ipotetico.

La mente funziona con l'interazione tra il sistema 1 (che “se la cava bene” con la complessità) ed il sistema 2 (che risolve i problemi logico-matematici).

L’indagine - attraverso la filosofia, la psicologia, le neuroscienze - ha dimostrato che anche quando si sforzano di ragionare logicamente, gli esseri umani compiono spesso scelte irrazionali, dovute all'influenza del sistema 1 sul sistema 2 razionale, essendo quest'ultimo distribuito tra le componenti del sistema 1 irrazionale da cui emerge.

Il nostro sistema 1 esperienziale di ragionamento intuitivo e reattivo possiede il suo tipo di illusioni, retaggio, come quelle sensoriali, della nostra storia evolutiva, le quali ci portano, impulsivamente, a dare risposte irrazionali ai problemi di vario genere.

Considerazioni finali

Sigmund Freud

Abbiamo visto sopra che ci sono problemi legati alla comprensione della comunicazione ed anche alla capacità del processo cognitivo di fare scelte razionali.

Bisogna accettare che la ragione ha un limite dovuto al sistema esperenziale 1 che organizza le nostre conoscenze mediante una rappresentazione del mondo frutto della volontà incosciente, dove le emozioni interferiscono profondamente e sistematicamente con la razionalità.

Tutto ciò influenza profondamente ogni nostra scelta e decisione.

La saggezza definita come strategia meta-euristica che guida le conoscenze che l’individuo possiede degli aspetti pragmatici della vita e delle modalità che portano l’essere umano all’eccellenza diventa solo utopica, “fine ultimo”, meta ideale della vita di ogni essere umano e sua massima espressione, ma l'idea che l'evoluzione mentale sia un dato scontato viene meno.

Più informazioni, più conoscenza non significano automanticamente più saggezza nell'uomo, proprio perchè la saggezza oltre alla conoscenza si alimenta con l'esperienza ma l'esperienza è un'attività sensoriale direttamente intrecciata alla vita concreta, al linguaggio pragmatico delle cose e degli atti ad esse collegate.

E' difficile che la società dell'informazione determini maggiori capacità razionali negli esseri umani. Paradossalmente più che le informazioni veicolate dai dispositi elettronici è l'abitudine all'uso della tecnologia dell'informazione che nel tempo modifica i comportamenti delle persone.

Secondo Mc Luhan "il medium è il messaggio". Il mezzo tecnologico determina i caratteri strutturali della comunicazione che produce effetti pervasivi sull'immaginario colletivo indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata.

Ci si illude che piattaforme informatiche come facebook e twitter aumentino la consapevolezza delle persone favorendone la comunicazione e la condivisione.

Se due persone, due amici, una coppia, un padre ed un figlio vanno in vacanza condivideranno le emozioni, le sensazioni, gli eventi di questa esperienza fatta insieme.

Invece si pretende che due persone semplicemente comunicando tra loro attraverso il web possano condividere un viaggio fatto da uno solo.

Si dimentica che si stanno scambiando solo informazioni, ma non l'esperienza vissuta solo da uno dei due. Nel web si può solo comunicare ma non si possono condividere le esperienze, al massimo si condivide la stessa tecnologia. Abbiamo centinaia di amici on line ma non conosciamo nessuno con cui abbiamo condiviso esperienze importanti.

Piuttosto che le informazioni da comunicare virtualmente sono le esperienze fatte insieme ad altri quelle che contano di più nella vita delle persone.

Siamo tutti caduti nell'acquario di Facebook come tanti pesciolini presi nella rete? Forse.