Avviso ai lettori
Cari amici e nemici, cari lettori occasionali, cari studiosi e curiosi, cari folli, saggi, martiri e santi, un saluto a tutti.
In questo blog, per il momento ho scritto 1.553 articoli, per un totale di 1.415.431 parole (senza considerare i PDF, le immagini, i video e altri allegati). Questo conteggio è aggiornato al 5 dicembre 2025. L'ultima stampa completa del blog in PDF, fatta il 31 dicembre 2024, contava 5174 pagine A4. Non so quante pagine occorrerebbero adesso.
Vorrei chiedervi una cortesia. Per favore, non cercate una coerenza o un filo conduttore comune in questo oceano di parole, di immagini e di video. Sarebbe una fatica sprecata. E' più interessante notarne le contraddizioni e meditare se dietro l'inganno dei ragionamenti e dei sentimenti c'è qualcosa di reale. E', in fondo, un'attitudine che richiama Pasolini e la sua esperienza della contrapposizione (cfr. L’illuminante attualità di Pasolini, 2 novembre 2025, di Giulio Ripa).
Per favore, anche se vi pare di conoscermi, evitate la presunzione di provare a decifrare quello che penso o che credo. Scrivo perché la mia natura mi chiede di farlo, ma non cerco di cambiare le idee o i comportamenti di nessuno: universalizzare le proprie idee e farne propaganda o retorica "per cambiare gli altri" è una forma sottile di violenza. Solo i fessi "hanno ragione". Le idee sono illusioni mutevoli e cangianti che svaniscono nella vacuità e nella contradditorietà di questa allucinazione chiamata mondo, in cui ciò che è giusto è anche sbagliato, il falso è anche vero.
Per favore, non cercate di convincermi di qualcosa, perché non sono d'accordo nemmeno con i miei pensieri. Ciò che qui leggerete è, non è, è e non è, né è né non è.
Grazie per la vostra presenza e pazienza,
pace e bene a tutti,
qui sotto trovate i miei ultimi articoli.
La morte come specchio della nostra umanità
Una persona che ha assistito alla morte di molti malati ha osservato:
“Alla fine della vita, si rivede in una grande panoramica tutta la propria esistenza e in quel momento ciò che conta di più non è essere diventati dirigenti di una società o aver avuto successo negli affari, bensì come siamo vissuti e come ci siamo comportati con gli altri.
Li abbiamo trattati con affetto e gentilezza o con disprezzo?
Abbiamo mantenuto salde le nostre convinzioni oppure le abbiamo tradite?
Sono questi aspetti della nostra condotta come esseri umani che ci appaiono improvvisamente, quando stiamo per morire.
Questa è la vera natura della morte”.
(Daisaku Ikeda, Cos’è la felicita, pag 112)
Qual è il Bene Supremo? E la felicità?
Se esiste un inferno, questo si trova nelle parole e nei ragionamenti, dei quali, peraltro, l’IA generativa, il web, i social e Internet in generale sono la massima espressione. La beatitudine, di contro, ama il silenzio.
Se le nostre azioni, e più in generale il nostro stare al mondo, vanno verso un Bene Supremo, di cos’altro dobbiamo preoccuparci? Secondo me, tale bene non è altro che la “Comunità”, nel senso più ampio del termine, ovvero la rete di relazioni di cui facciamo parte. E il massimo bene di ogni comunità non è altro che la coesistenza con le altre comunità. La prima necessità di tutte le comunità è la sacralità del territorio, senza il quale non potrebbero esistere.
Il focus quindi non è più sull’io, sull’ego, sul proprio punto di vista, ma sulla rete di relazioni e sul curarsene. Tutto qua. Al di fuori di questo, ci sono solo sofferenza, dolore e guerra.
Da questa prospettiva, la felicità personale rimane sullo sfondo, come un’immagine sfuocata e sbiadita dei propri desideri. Meglio vivere per il Bene Supremo, cioè per la Comunità, ovvero vivere secondo l’esatto opposto di ciò che il mondo, con i suoi infiniti condizionamenti, ci invita a fare.
Non mi sto riferendo ad una comunità ideale fatta di persone solidali ed empatiche, ma a quella reale, con i suoi problemi, le sue cattiverie, le tante ingiustizie, stupidità e follie. Al di fuori di essa, non abbiamo nient’altro. Noi siamo ciò che siamo per ciò che siamo tutti. E l'amor fati vale molto di più della felicità.
(9 novembre 2025)
Tutte le creature soffrono: da qui si incomincia
Cosa significa stare bene, o addirittura essere felici, in questo mondo?
Il pianeta Terra è un immenso cimitero, in cui la possibilità di vivere si basa sulla morte altrui. Banalmente, per vivere occorre cibarsi di altre creature. Certo, si può tentare di sfuggire a questa crudeltà connaturata all’esistenza, rimanendo così in basso nella catena alimentare da scegliere solo prodotti vegetali che non comportino l’uccisione delle piante, come nel caso di frutta, semi e certi tipi di verdure. Tuttavia, una tale scelta estrema non negherebbe la dolorosa realtà dell’esistenza, al massimo confermerebbe quanto sia difficile, se non impossibile, vivere senza provocare dolore e morte alle altre creature.
Anche nell’estrema ratio di non cibarsi di altri viventi, cosa che forse qualche santo prova a fare, ciò non toglie che la nostra vita richieda la morte degli avi, così come la nostra morte è un prerequisito per i posteri. Se così non fosse, l’esplosione demografica ci ucciderebbe tutti.
Quindi, la vita si fonda sulla morte e sul dolore, e non c’è una sola famiglia sul pianeta che non abbia estinti da ricordare e da compiangere.
E fin qui ho parlato delle sofferenze “necessarie”, che sono una esigua minoranza rispetto a quelle che quotidianamente dobbiamo affrontare. Poi ci sono tutte le altre, quelle “non necessarie”, o persino “inutili”. Mi riferisco al continuo inestinguibile dolore provocato sia dalla nostra follia interiore, sia dalla pazzia collettiva di quel manicomio insanguinato, chiamato società, popolo o nazione, in cui cerchiamo di dar senso alle nostre miserrime esistenze.
Come se già tutto questo non bastasse, alcuni di noi si sentono estranei a questo mondo, vivendolo come un’allucinazione o, anche quando vogliono attribuirgli una concretezza superiore a quella di un sogno, non lo percepiscono come casa propria. E’ così che nascono mille filosofie e religioni, dagli odierni starseed fino al più millenario: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Giovanni, 15:19).
Senza scomodare enunciazioni religiose così altisonanti e solenni, ritengo che un tale senso di estraneità abbia radici facilmente dimostrabili sia nella biologia che nella psicologia.
Nel caso della biologia, basta notare che l’Homo sapiens sapiens non è spiegabile in termini evoluzionistici, tant’è che è l’unica specie sul pianeta senza un habitat naturale e senza un corpo compatibile con la vita in natura. Più verosimilmente, noi siamo un OGM disgraziato abbandonato a se stesso, condannato alla continua necessità di supporto tecnologico e di ambienti artificiali antiecologici. In questo senso, e solo in questo senso, scevro da moralismi, chi aveva tacciato la specie umana di essere un cancro per il pianeta aveva ragione (Julian Huxley, biologo, 1962). Questa amara realtà riguarda tutti noi. Se anche ammettessimo di venire dal cielo in senso filogenetico, e/o di essere stati in qualche modo addomesticati da una specie diversa da noi (i cambiamenti anatomici associati alla “sindrome della domesticazione” descrivono abbastanza bene alcune delle note differenze tra uomini moderni e Neanderthal), dovremmo comunque concludere che il cielo ci ha abbandonati. In alternativa, ci siamo ribellati al cielo e siamo rimasti da soli. [Cfr.: “Resi Umani. Da organismi scimmieschi all’ominide pensante, una storia ancora da scrivere” di Pietro Buffa e Mauro Biglino (Uno Editori, fuori commercio ma scaricabile gratuitamente da qui) e "I geni manipolati di Adamo. Le origini umane attraverso l'ipotesi dell'intervento biogenetico" (Pietro Buffa, tutt'ora in vendita)].
L’altro aspetto di estraneità, quello psicologico, è quasi banale, ma riguarda solo un’esigua minoranza di noi. In pratica, in un mondo di persone ignoranti, poco presenti a se stesse, meschine, mediocri, rassegnate al meno peggio, bisognose di affermazioni e di convenzioni rassicuranti, chi ha la disgrazia di essere normodotato, normopensante, e persino minimamente istruito, si sente un estraneo ed appare folle agli altri. Questo tipo di esemplare di Homo sapiens cogitans è infatti quasi sempre emarginato e screditato nei contesti sociali per lo più popolati da Homo sapiens babbeus. A conferma del rapporto tra le due sottospecie, infatti, la patologia psichiatrica è sovente premiata nei posti di potere e normalizzata.
Questo dramma si riflette anche nel rapporto che l’umanità ha con la verità, che solitamente suscita scandalo, vergogna e condanna. Pensiamo ad esempio a Galileo Galilei, condannato nel 1633 per aver sostenuto l’eresia che la Terra giri intorno al Sole. Di contro, la menzogna di solito suscita approvazione e consenso. E’ quindi del tutto lecito e comprensibile che chi asserisce parole di verità possa avere il sospetto di provenire da un altro pianeta.
Tutto questo, comunque, non esaurisce le possibili cause del senso di estraneità a questo mondo. Rimane ancora una piccola statistica di persone che, pur magari riconoscendosi in tutto o in parte in quello che ho scritto, sperimentano ricordi di altri mondi, di altre vite, o persino esperienze paranormali o angeliche. Queste esperienze, e in particolare le memorie (come nel caso degli starseed), sembrano rendere plausibile la provenienza della propria anima da un'altra dimensione, o da un altro pianeta. Credo che questo tipo di credenza sia fortemente alimentata dal fatto che la vita "qua sulla Terra" sia percepita come abbastanza schifosa o, in alternativa, che sentirsi "prescelti" (non si sa da chi) per una missione di ordine "superiore" serva a dare senso alla propria esistenza. A costoro vorrei suggerire una lettura del capitolo "Interferenza da Memoria Aliena Passiva (MAP) e da Memoria Aliena Attiva (MAA)" del PDF gratuito "Alien Cicatrix", a pag. 218. E non aggiungo altro. E' un testo del 2005. Chi preferisce un'edizione più recente, e aggiornata, può far riferimento al cap. 9 del libro "Alieni o Demoni" del 2022, di Corrado Malanga. Un'attenta lettura potrà anche dare senso ad alcuni fenomeni paranormali.
Fin qui non ho parlato degli orrori riconosciuti, prima o poi, da coloro che raggiungono l’età per comprendere. Il problema è che la TV ci ha ormai completamente anestetizzati, proponendoci continuamente immagini di gravi crimini e perverse follie fin dalla più tenera età, soprattutto grazie ad una cinematografia senza più tabù. Siamo così continuamente esposti al peggio da non farci più caso, e il confine tra il reale e il simulato non sempre giunge a un livello cosciente. Proviamo ad osservare qualche fotografia storica di orrori veri per verificare se ci suscitano qualche reazione e di che tipo: “The Boy from the Warsaw Ghetto” (foto anonima, ca. 1943, Shoah), "The Terror of War" (“Napalm Girl”, Nick Ut, 1972, guerra del Vietnam) o “The Vulture and the Little Girl” (Kevin Carter, 1993, carestia in Sudan). Preferisco citare foto del secolo scorso perché attendibili. La barbarie di oggi è uguale se non peggio di quella di allora, però le foto attuali generate dall’IA non sono distinguibili da quelle reali.
Ho già detto abbastanza del nostro immenso cimitero, grande come tutto il pianeta e su cui abbiamo eretto un manicomio altrettanto grande. Certo, la cultura potrebbe venire in nostro soccorso e aiutarci ad essere migliori delle bestie, ma è un’eventualità abbastanza rara. «Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti» (Karl Kraus, 1974).
Ora possiamo tornare alla domanda iniziale. Cosa significa stare bene, o addirittura essere felici, in questo mondo? Beh... facciamoci un favore a vicenda, utile alla nostra pace interiore... non chiediamocelo più, è meglio cambiare domanda.
Guardiamo la questione da un altro punto di vista: tutte le creature soffrono, e soffrono molto, tutte quante, nessuna esclusa. Cerchiamo quindi di essere solidali e prestiamo attenzione non solo al nostro dolore, ma anche a quello degli altri. Così magari la facciamo finita con le guerre, o almeno ci asteniamo dal prenderne parte.
Quanto alle persone malvagie che danno dimostrazione del peggio che l’umanità può esprimere, sono come scolari che non hanno ancora imparato la lezione. Non è quello il modo di reagire al dolore. A noi il compito di seguire esempi diversi.
(5 novembre 2025)
Allenarsi a riconoscere gli opposti
Di ogni situazione possiamo riconoscere gli opposti: se è negativa, è anche positiva; se è sbagliata, è anche giusta; se è benefica, è anche dannosa. Non per alternanza o per contesto diverso, ma nello stesso momento e nella stessa circostanza. Gli opposti sono compresenti nel medesimo fatto.
Questa postura mentale non confonde i piani, li allarga. Non dice che “tutto è uguale”, ma che ogni evento è eccedente rispetto alle nostre etichette. La sofferenza inutile nasce spesso dalla pretesa che la realtà si lasci dire in un solo modo: o bene o male, o giusto o sbagliato. Riconoscere la compresenza degli opposti scioglie quella presa, e con essa molte rigidità emotive.
La compresenza: non alternanza, ma sovrapposizione
Se diciamo che “una sconfitta è distruttiva e formativa”, non intendiamo che “oggi distrugge, domani forma”, né “per me distrugge, per te forma”. Intendiamo che qui e ora, nello stesso evento, coesistono un logorio e un apprendimento; un impoverimento e una messa a fuoco. L’esperienza umana è fatta di livelli sovrapposti che si muovono insieme, spesso in direzioni opposte. Ad esempio, la franchezza è virtù perché rende trasparente, ed è mancanza di tatto perché ferisce: la stessa frase, lo stesso istante, due verità opposte e simultanee.
La simultaneità è il modo in cui funzionano gli insiemi complessi. In un organismo, un intervento può guarire un organo e stressarne un altro; in una relazione, un limite posto oggi protegge il legame e provoca dolore. Non c’è da scegliere quale lato opposto “esiste davvero”: esistono entrambi.
Perché questa vista libera dalla sofferenza
Scioglie l’ansia da coerenza
La pretesa di un vissuto “puro” (solo buono, solo giusto) genera guerra interiore ogni volta che compare l’altro lato. Se ammettiamo che ogni atto, parola, pensiero o intenzione ha luci e ombre, non dobbiamo più sopprimere metà di ciò che sentiamo per restare fedeli a un’immagine di noi stessi.
Disinnesca il moralismo verso sé e gli altri
Se l’azione altrui contiene simultaneamente ingredienti ammirevoli e problematici, diventa più realistico e compassionevole vederne le cause, meno urgente cercare colpevoli. L’energia risparmiata va alla comprensione.
Ridimensiona il catastrofismo
Il dolore resta, ma smette di essere “tutto”. In ogni perdita c’è anche una forma di apertura; in ogni successo, anche un prezzo pagato. Questa doppia vista decresce l’assoluto del giudizio e, con esso, l’intensità della sofferenza a corredo.
Che cosa cambia nel nostro modo di pensare e parlare
Dal “ma” all’“anche”
“È doloroso e ha anche chiarito ciò che conta”. “È generoso e anche invadente”.
L’“anche” non attenua: tiene insieme.
Dai nomi rigidi ai verbi viventi
“È un fallimento” congela. “Mi ha ferito e mi ha messo in moto” mostra movimento.
I verbi accolgono l’ambivalenza senza negarla.
Dalla purezza al limite
Non cerchiamo azioni prive di controindicazioni, non esistono. Cerchiamo azioni in cui il bene che perseguiamo è maggiore del danno che inevitabilmente coesiste.
Un’etica dell’“anche”
Vivere così non addolcisce la vita: la rende vera. Significa smettere di trattare la contraddizione come un difetto da eliminare e cominciare a leggerla come una struttura inevitabile del reale. L’effetto pratico è una libertà più sobria: meno sforzo nel negare ciò che c’è, più disponibilità a portarne il peso, meno bisogno di assoluti, più precisione nel bilanciare.
Riconoscere gli opposti ci rende capaci di non aggiungere sofferenza alla sofferenza: non combattiamo contro metà dell’esperienza, non espelliamo parti di noi o degli altri per restare “coerenti”. È un realismo gentile: lasciamo che la realtà sia ampia, sia semplicemente ciò che è.
(2 novembre 2025)
Il vero volto del vero Male
Di chi è la colpa di tutti i crimini, di tutto l’impazzimento collettivo, normalizzato e legalizzato, durante il periodo della dichiarata pandemia? Impazzimento mai risolto, tra l’altro, giacché oggi ancora si continua a litigare su cosa è stato reale e cosa no, con uno “scisma ontologico” che ci ha terremotati dentro (scisma di cui, nel proseguo di questa lettura, proporrò un esempio).
E oggi, di chi è la colpa della continua eversione delle società falsamente democratiche, sparate come missili verso l’abbrutimento, la disperazione, la sostituzione dello stato di diritto con l’emergenza di una guerra perenne?
Di chi è la colpa se sempre più voci inneggiano all’Apocalisse nucleare come soluzione definitiva di ogni problema?
E ancora, di chi è la colpa del Miracolo dell’Intelligenza Artificiale, che con la sua prodigiosa grazia sta completando la distruzione del vivere sociale, già iniziata anni orsono con i cosiddetti “social” asociali?
Non a caso ho scritto “Miracolo”, perché davvero ci ha sorpresi tutti, ci ha colti impreparati e ci sta mostrando continue magie come il più grande mago illusionista mai esistito finora. Tuttavia, rischieremmo di rimanere molto amareggiati chiedendo le ragioni del Miracolo, perché la risposta potrebbe non piacerci. Ciò che è strabiliante non è necessariamente a nostro favore, e sicuramente non lo è in questo caso. Più fiducia diamo alla tecnologia (versione moderna della magia), più ne perdiamo per noi stessi e per il prossimo, fino a non sapere neanche più chi siamo, come ci chiamiamo e dove abitiamo.
Cercare un colpevole per tutti i drammi di cui ho fin qui accennato è fuorviante.
Possiamo credere che ci sia qualcuno che sia la personificazione del Male, il diavolo in persona, magari in giacca e cravatta e che dà istruzioni ai nostri governanti. Questo di solito è il modo di pensare di chi simpatizza per la cosiddetta controinformazione, o informazione che presenta se stessa come libera e indipendente. Sull’altro fronte, ci sono coloro che danno credito ai vaneggiamenti della narrativa fantasy in stile pseudo-giornalistico del main stream, o che non hanno tempo e voglia per criticarli, ragion per cui fanno rientrare nella categoria del Male gli stessi personaggi che rappresentano il Bene per coloro che hanno simpatia per credenze di tipo opposto.
Facciamo un esempio squallido, e anche abbastanza volgare, ma utile per capire di cosa stiamo parlando: Mario Draghi. Esso (o Lui, a seconda se si consideri umano o non quest’essere che ha causato suicidi, morte per fame e altre sofferenze indicibili al popolo greco) è una facile rappresentazione dello “scisma ontologico” di cui sopra. Per alcuni, è stato il “migliore tra i migliori” e un salvatore come Cristo, venerato, amato e lodato, in un clima parareligioso abbastanza stucchevole, imbarazzante e nauseante. Per altri, è stato “il peggiore tra i peggiori”, la personificazione di quanto di più putrido l’umanità possa esprimere a livello di corruzione morale e di governo. Quale di queste due visioni è quella giusta? Il problema è che ragionare in questi termini è abbastanza semplice, pure troppo. Significa avere una visione arcaica della lotta tra Bene e Male.
Se proviamo a scavare a fondo per trovare chi c’è davvero dietro ai grandi mali dell’umanità, beh… non troviamo nessuno. Il vero volto del vero Male è il “Sistema” stesso. Se esistono dei complotti (nel senso vero del termine, cioè di cospirazioni, congiure, intrighi ai danni di tutti noi) o degli schemi malefici ricorrenti, devono essere considerati solo come matrici, modelli, semplici ondate troppo piccole o troppo grandi per essere percepite.
Qualcuno sta manipolando il Sistema sull’intero pianeta, con infinita astuzia, in modo che nessuno riesca a notarlo? Nessuna grande azienda, multinazionale o governo può controllare tutto questo. I grandi colossi di Big Pharma e Big Tech possono sicuramente trarne profitto economico, e lo stanno facendo, ma ricondurre ad esse la causa di tutti i mali è un po’ troppo. Stesso discorso per i grandi gruppi finanziari che riescono a trarre profitto da qualsiasi sciagura, come sanguisughe maledette, come parassiti velenosi. C’è un grande Disegno, ben più vasto di tutti i singoli attori o gruppi di attori, ben più vasto di tutti noi. Ne facciamo parte, senza capire realmente quel che succede.
Qual è questo Disegno? Chi c’è dietro? Quasi due anni fa descrissi gli aspetti “umani” di questo Disegno, nell’articolo “Proteste degli agricoltori”, indicando una serie di punti che qui non voglio ripetere. Tuttavia, per creare un sistema così marcio fin dal midollo, con menti pilotate come automi, dobbiamo accontentarci di spiegazioni che cercano solo nell’umano la causa di tutto ciò?
Se dovessimo concludere che l’attenzione andrebbe spostata su forze sovraumane, o aliene, o comunque al di fuori della nostra portata, ciò non significherebbe alzare necessariamente bandiera bianca, cedendo all’impotenza. Tutt’altro. A prescindere dal fatto che “forze superiori” di cui non sappiamo nulla e di cui non possiamo dimostrare nulla siano dietro tale Disegno, il Cristianesimo usa una sintesi perfetta e facilmente comprensibile, parlando del “Principe di questo mondo” (cioè Satana, in Giovanni 12:31). Nella tradizione cristiana, egli ha temporaneamente il controllo del Sistema marcio e malvagio che noi chiamiamo mondo.
Il grande Disegno in cui ci ritroviamo tutti quanti come attori inconsapevoli è finalizzato all’annientamento della nostra Coscienza, e di ciò che rende la vita bella e degna di essere vissuta. O persino all’annientamento della vita stessa, nel caso di una guerra definitiva, cioè nucleare. Tutto questo per invidia e gelosia verso di noi.
Quindi, tornando alle domande iniziali, è meglio non cercare “di chi è la colpa” delle varie storture e oscenità nel mondo. Magari è meglio spostare lo sguardo oltre e non dare troppo peso ai vari personaggi che più visibilmente di altri minacciano o insaguinano il mondo. Cerchiamo di rimanere umani, creativi e divini, nonostante tutte le infinite pressioni per svuotare di senso le nostre esistenze e per ridurci ad uno stato peggiore delle bestie d’allevamento. Rimanere umani e con la nostra Anima, senza venderla, sarà la nostra vittoria… anche se questo dovesse comportare la nostra morte, esilio, persecuzione o emarginazione in un mondo che premia la follia e la delinquenza e punisce la saggezza e la compassione. Teniamolo presente.
L’Italia sta per vivere quello che la Grecia ha già vissuto tanti anni fa, se non peggio vista l’aria di Apocalisse che sta attraversando tutta l’Europa. Cerchiamo di essere pronti.
(29 ottobre 2025)
Anche il cielo si vergogna...
C’è una cosa che desideravo chiedere ai santi, ai saggi e ai miracolati sin da quando m’è venuto il dubbio che le cose che accadono non siano necessariamente per il nostro bene.
Chi sono le Forze Superiori, le Forze Protettrici, gli Angeli, gli Dèi o il Dio di cui parlano? Chi è quel Dio, o quella Forza, che appare dal nulla e salva gli oppressi, anche se qualche volta non lo fa? Tutte le volte che nella storia, e nei giorni odierni, non ha dato segno di vita… vorrei sapere perché.
Ma ora non devo chiederlo più. Ora conosco la risposta. A volte questo Dio, o queste Forze, o queste Divinità, osservano la nostra realtà, e distolgono lo sguardo per la troppa vergogna.
Noi invece non ci vergogniamo mai abbastanza. "Grazie mille, Bibi, ottimo lavoro".
(22 ottobre 2025)
Oltre il “se... allora...”: la libertà che interrompe le catene
Nei giorni di ottobre 2025 abbiamo ascoltato minacce “condizionate”: Dmitrij Medvedev ha avvertito che l’eventuale invio di missili Tomahawk all’Ucraina “potrebbe finire male per tutti”, poiché quando questi missili a doppio uso (convenzionale e nucleare) sono in volo, i russi non possono distinguere se li sta per colpire una testata convenzionale o una nucleare.
Quindi: se partono questi missili dall'Ucraina verso la Russia, allora ciò deve essere trattato dalla Russia come una minaccia estrema (ovvero l'uso di armi nucleari da parte russa diventa lecito). È un lessico che non ordina l'apocalisse, ma ne prepara le giustificazioni. In parallelo, Donald Trump insiste nell'indicare fornitura e attacco come certi, irrigidendo ancor di più il se... allora... della dottrina nucleare russa, tra l'altro rinforzato dalla constatazione che l'ordine e l'esecuzione dell'attacco richiede personale NATO, e non personale ucraino.
Questa grammatica del “se... allora...” ha un fascino freddo: promette chiarezza, offre leve prevedibili, sembra proteggerci dall’incertezza. Ma è una chiarezza di laboratorio, non di mondo. La logica condizionale, necessaria per calcolare e programmare, diventa tossica quando pretende di governare la vita morale e politica: riduce l’altro a variabile, la storia ad algoritmo, la prudenza ad automatismo. Così, ciò che nasce come deterrenza degenera in escalation meccanica: il se irrigidisce, l’allora scatta, e in mezzo scompare l’umano.
Superare questa logica non significa rinunciare alla ragione, ma riconoscerne i confini. Il vero punto non è “abolire” il condizionale, ma interrompere la sua tirannia quando verità e saggezza non coincidono con l'etica, con la deduzione ragionevole e con il buon senso. Le decisioni degne non sono sillogismi: chiedono ascolto, tempo, immaginazione, la capacità di far accadere un terzo che la regola non prevedeva, il tertium che salva.
Cerchiamo di essere creativi, di introdurre una differenza nel flusso causale, un respiro che scardina la reazione prevista. Ci sono possibilità non ancora esplorate quando la catena delle condizioni sembra chiudersi. Le macchine eseguono se... allora...; gli esseri umani, quando sono fedeli alla propria altezza (fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza), possono sospendere, domandare, riconoscere, cambiare rotta. La responsabilità non nasce nel calcolo perfetto, ma nel coraggio di non lasciarsi programmare dalla paura e dal rancore.
Questo vale per tutte le parti in causa, sia nella geopolitica, sia nelle nostre vite personali. Spezzare il se... allora... può prevenire tante mostruosità e tante inutili sofferenze.
(15 ottobre 2025)

(immagine creata da Tetiana)
Il respiro del Bene in ogni cosa, in ogni dove, in ogni tempo
Tutto è finalizzato ad un grande bene.
Questa consapevolezza ci permette di amare anche ciò che non ci piace o che è lontano dal nostro modo di essere e dalla nostra sensibilità.
.jpg)
(14 ottobre 2025, vai alla mia galleria)
L'arte della non-azione nelle reincarnazioni parallele
Introduzione: le “vite parallele”
L’idea che le nostre reincarnazioni non siano sequenziali, ma parallele nel senso di contemporanee, nasce da due filoni principali.
Il primo sostiene che il tempo, in ultima analisi, sia simultaneo: ciò che chiamiamo passato, presente e futuro coesiste, quindi le diverse “vite”, cioè incarnazioni, di una stessa identità profonda non si susseguono, ma si svolgono contemporaneamente. È il linguaggio che si ritrova, con accenti diversi, negli insegnamenti attribuiti a Seth (tramite Jane Roberts), nel corpus dei Michael Teachings e, con una cornice metafisica propria, nei materiali del Law of One.
Il secondo filone parla di una vera e propria moltiplicazione esperienziale: la stessa anima può vivere più esistenze nello stesso arco storico o in epoche differenti, come riportano le narrazioni di ipnosi regressiva di Michael Newton, Dolores Cannon e Corrado Malanga.
In entrambi i casi, la tesi di fondo è che l’apprendimento non sia vincolato a una sequenza lineare di nascite e morti, ma possa dispiegarsi su più binari contemporaneamente. Ciò potrebbe avere senso, in alcune letture ispirate alla fisica di Bohm, se si assume un universo non-locale nel tempo e nello spazio: tutto avverrebbe in un unico istante e in un unico punto, sebbene la nostra percezione ordinaria sia ben diversa.
Accolgo questi presupposti, pur non potendoli dimostrare, perché possono aiutarci nel cammino verso la pace interiore.
Che cosa intendo per Anima
Per Anima intendo il soggetto reale dell’apprendimento, che vive più esperienze in parallelo, in luoghi ed epoche differenti. Qualsiasi avanzamento di consapevolezza in una di queste vite si riflette immediatamente nelle altre, perché l’Anima è la stessa in tempi, luoghi e corpi diversi. L’Anima stessa è parte di un Tutto universale: svolge un ruolo, apprende ciò che deve e infine ritorna e si riunifica al Tutto quando il suo compito è compiuto.
Il mondo come sogno didattico
Se lo scopo dell’incarnazione è apprendere, la realtà in cui ci muoviamo può essere compresa come un ambiente didattico, simile a un sogno progettato per farci fare esperienza. “Sogno” non vuol dire irrealtà insignificante: indica che ciò che viviamo è costruito in funzione dell’apprendimento.
Gioie e dolori sono reali per chi li vive, hanno peso, ci toccano profondamente, ma sono inseriti in un quadro finalizzato. Nemmeno lo stato della non-incarnazione è necessariamente “più reale”: è semplicemente un’altra modalità del vivere dell’Anima.
L’immagine cinematografica di Matrix e la metafora della caverna di Platone aiutano a intuire cosa intendo, sebbene non siano la stessa cosa.
Ciò che viviamo e vediamo è un teatro di esperienza ordinato a un fine, che comprende sia il nostro apprendimento, sia altro che neanche intuiamo.
Determinismo globale, libertà locale
L’idea delle vite parallele può convivere con una doppia cornice: determinismo globale e libertà locale.
Alcuni eventi principali della nostra storia personale e collettiva sono fissati una volta per tutte: potremmo chiamarli “snodi” del curriculum dell’Anima, come nascere in una certa epoca e in un certo contesto, incontrare determinate prove, incrociare alcune persone decisive o assistere a cambi di rotta storici. È come il programma scolastico: per i nati in un certo anno è stabilito prima che entrino in classe, e nessuno studente può modificarlo. All’interno di questo quadro, però, le scelte sono reali.
Le intenzioni, lo stile dell’azione, la postura interiore con cui attraversiamo gli eventi restano un campo di libertà. È qui che si svolge l’apprendimento, ed è qui che si misurano virtù come compassione, onestà, non-violenza e coraggio.
Tutto è importante, ma senza colpa sterile
Ogni esperienza concorre a un bene più grande ed è importante nel percorso. Ogni gesto, parola e decisione è materiale didattico per l’Anima.
La conseguenza pratica, però, non è assolversi da ciò che facciamo o non facciamo, ma smettere di aggiungere colpa sterile e di pretendere che la nostra volontà possa controllare il corso degli eventi.
La colpa che paralizza è superflua. La responsabilità, invece, è essenziale: significa rispondere al momento con il meglio che possiamo offrire, sapendo che ciò che impariamo in questa vita si riflette su tutte le altre vite parallele dell’Anima.
Il dolore è reale e va alleviato quando possiamo, ma allo stesso tempo è anche un’occasione di crescita che, una volta attraversata, arricchisce ogni espressione dell’Anima.
Wu wei: la non-azione che non è inerzia
Dentro un curriculum dell’Anima in parte già scritto, la non-azione del taoismo (wu wei) non significa passività. Vuol dire non forzare ciò che non dipende da noi e non generare sofferenza inutile opponendo resistenza cieca agli snodi principali, cioè a quegli eventi che comunque non possiamo modificare.
Significa agire quando serve, con misura, lasciando che la vita scorra dove la sua direzione è già tracciata, e intervenendo dove la nostra libertà locale ha senso: nell’intenzione, nella qualità del gesto, nell’attenzione al bene concreto.
La non-azione è un’arte perché chiede discernimento: a volte il passo giusto è fermarsi, altre volte è parlare, altre ascoltare e basta, altre ancora è cambiare strada. In ogni caso, si evita l’attrito superfluo e si coltiva la serenità che nasce dal sapere che il percorso ha un significato.
Come si tengono insieme le vite parallele
Dato che l’Anima vive più vite contemporaneamente e che ogni apprendimento si riflette immediatamente in tutte, l’impegno etico e la cura interiore in questa esistenza non restano confinati qui. Quando in una vita comprendiamo qualcosa di essenziale — per esempio che la compassione lenisce davvero la sofferenza — questa comprensione beneficia tutte le altre vite dell’Anima.
Il contrario vale ugualmente: rigidità, inganni e violenza irrigidiscono l’intero sistema delle nostre esistenze parallele.
Questo dà serietà e dolcezza, insieme, al nostro cammino quotidiano: ogni piccolo progresso vale molto più di ciò che sembra, perché risuona oltre i confini dell’attuale biografia.
Conclusione: la pace operativa
L’insieme di queste idee — vite parallele, mondo come sogno didattico, determinismo globale con libertà locale, centralità delle virtù — conduce a una pace operativa.
Pace, perché gli snodi principali non vanno forzati e non c’è motivo di punirsi per ciò che non dipende da noi.
Operativa, perché ogni giorno restano in gioco responsabilità vere: pensieri, parole, azioni che possono ridurre o aumentare la sofferenza.
L’arte della non-azione nelle reincarnazioni parallele è un mio invito ad allinearsi al programma dell’Anima, senza inerzia e senza violenza, coltivando una presenza limpida che apprende e, imparando, illumina tutti i suoi percorsi sparsi nel tempo e nello spazio.
(13 ottobre 2025, bibliografia in calce)
.jpg)
(foto non alterata, con colori realistici, del 19 settembre 2025, vai alla mia galleria)
Bibliografia essenziale
Seth / Jane Roberts – tempo simultaneo e realtà parallele
- Jane Roberts, Le comunicazioni di Seth (Edizioni Mediterranee)
- Seth Material – ricerca su “parallel realities / probable selves”
- Discussione: “Understanding Simultaneous Time” (SethTalks)
Michael Teachings – vite concorrenti / universi paralleli
- Michael Teachings: “Parallel Universes”
- “Essence Fragments / Simultaneous Selves / Concurrent Personalities”
Law of One (Ra Material) – coesistenza dei tempi
Michael Newton – ipnosi regressiva e “vite parallele”
- Estratto in italiano con riferimento alle “vite parallele” (PDF)
- Introduzione italiana a Il viaggio delle anime
Dolores Cannon – tempo non lineare e casi regressivi
- L’Universo Convoluto – Libro Uno (edizione italiana, eBook)
- Cinque vite ricordate (edizione italiana)
Corrado Malanga – vite simultanee e cornice olografica/non-locale
David Bohm – ordine implicato e non-località (cornice concettuale)
- “David Bohm e l’indivisa totalità dell’Universo” (Acrònico)
- “David Bohm, profeta dell’olismo” (Scienza e Conoscenza)
- “La natura fluida della realtà” – cenni a potenziale quantistico e non-località
Wu wei – la non-azione
.jpg)
.jpg)