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Filosofia

Il piacevole potere della rinuncia in risposta alle guerre

La rinuncia, intesa come abbandono dei veleni interiori quali collera, avidità, bramosia, prepotenza, megalomania e stupidità, è una risposta potente e benefica alle guerre di ogni tipo: personali, di gruppo, tra popoli o tra alleanze di nazioni. Nel nostro mondo dove conflitti e tensioni crescono costantemente e drammaticamente, riscoprire e applicare la "voglia di rinunciare" può offrirci una soluzione interiore capace di trasformare le dinamiche interpersonali e internazionali.

La scrittura di queste riflessioni mi è stata ispirata dal Dhammapada, nel quale la parola "rinuncia" compare 14 volte, e "rinunciante" 23 volte:

110
Un solo giorno vissuto
con chiara intenzione e onestà
ha più valore di cento anni
privi di disciplina
e di saggia rinuncia.

La rinuncia non va intesa come un atteggiamento rinunciatario o passivo, ma come un atto consapevole di abbandono delle negatività che alimentano i conflitti. Questo concetto è radicato in diverse filosofie antiche, che ci offrono una guida per comprendere e applicare la rinuncia nel contesto moderno.

Nel Buddismo, la rinuncia è fondamentale per raggiungere la pace interiore e l'illuminazione. I monaci buddisti rinunciano non solo ai beni materiali ma anche ai desideri e alle avversioni, riconoscendo che questi sono le principali cause della sofferenza. Liberarsi da collera, avidità e stupidità permette di sperimentare una maggiore libertà e felicità, riducendo così la propensione al conflitto.

Similmente, nel Jainismo, la rinuncia è un mezzo per purificare l'anima e liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni. I monaci jainisti praticano una rigorosa disciplina che ha come fondamento la non-violenza e l'astensione dai beni materiali, favorendo una vita di pace e armonia. Questo approccio promuove una convivenza pacifica e rispettosa verso tutte le creature.

Il Taoismo, con il suo richiamo alla semplicità e all'armonia con la natura, insegna che rinunciare agli eccessi e alle ambizioni personali permette di vivere in equilibrio con il mondo circostante. L'obiettivo del Wu Wei è quello di mantenere gli esseri umani in armonia con la natura, affinché il mondo segua la sua naturale evoluzione. Per fare questo non si deve ambire ad azioni troppo grandi o complesse. Queste azioni, se irrealizzabili, saranno solamente causa di sofferenza e sentimenti negativi.

Nell'Induismo, la rinuncia è vista come uno stadio della vita, un passo necessario per raggiungere la moksha, la liberazione dal ciclo delle rinascite. Questo percorso di rinuncia alle illusioni materiali e alle ambizioni egoistiche può essere applicato anche per superare le rivalità e le dispute, favorendo una vita di armonia e comprensione reciproca. "Chi si reca in India per la prima volta, non può fare a meno di notare una moltitudine di uomini che seguono il cammino della rinuncia. [...] Nelle grandi festività religiose induiste [...], nudi, o coperti di pochi cenci, cosparsi di cenere e con le chiome lunghissime e incolte, i sādhu danno all’occidentale la sensazione di un salto indietro nel tempo, quasi si fosse proiettati nel terzo–quinto secolo della nostra era, davanti a certi penitenti cristiani, avvezzi a mortificazioni, astinenze, digiuni e flagellazioni, così ben descritti dal premio Nobel Anatole France nella sua Taide" (tratto da: "Rinuncia, ascesi e salvezza nell’India antica").

Fin qui ho parlato dell'Asia. Una doverosa citazione, prima di dare uno sguardo altrove, riguarda la vita di rinunce del Mahatma Gandhi. Egli abbracciò una vita di austerità, rinunciando a beni materiali, comfort e potere politico per aderire ai principi di semplicità e non-violenza. La sua filosofia, fondata sul concetto di Ahimsa, lo spinse a praticare il digiuno, la castità e a vestire un semplice dhoti filato a mano, in segno di solidarietà con i poveri e per promuovere l'autosufficienza del suo popolo. Ogni sua rinuncia era un passo verso l'armonia sociale, un modo per dimostrare che la vera forza risiede nella resistenza pacifica e nella capacità di sacrificarsi per il bene comune.

Diamo adesso uno sguardo ad Occidente.

Lo Stoicismo dell'antica Grecia, rappresentato da pensatori come Seneca e Marco Aurelio, enfatizzava le virtù cardinali di saggezza, giustizia, coraggio e temperanza come mezzo per raggiungere la felicità. Gli stoici insegnavano che la felicità deriva dal vivere in accordo con la natura e dalla libertà dagli attaccamenti e dalle emozioni distruttive, riducendo così i motivi di conflitto. Nella filosofia stoica, l’amor fati, o "amore per il destino", rappresenta un principio centrale e profondamente curativo. Questo concetto, lungi dall’essere una mera accettazione passiva degli eventi, è una forma di amore attivo e consapevole per tutto ciò che accade nella nostra vita. Gli stoici insegnavano che l’accettazione totale e incondizionata del nostro destino ci permette di vivere in armonia con la natura e con noi stessi, liberandoci dalle catene delle emozioni negative e delle aspettative irrealistiche.

Anche l'Epicureismo promuoveva la rinuncia agli eccessi e la ricerca di piaceri semplici e naturali. "Epicuro è contrario al piacere volgare [...]. Solo i desideri naturali necessari (mangiare) vanno soddisfatti, perché i desideri naturali non necessari (mangiare bene) ed i non naturali non necessari (ricchezze) non sono raggiungibili completamente e perciò provocano anche dolore. Così bisogna rinunciare ad un piacere se da ciò possa venire un dolore maggiore ed accettare il dolore se da ciò possa venire un maggiore piacere. Il frammento in cui sostiene come sia più bello e più piacevole fare il bene che riceverlo fuga qualsiasi dubbio di edonismo avanzato nei confronti della filosofia epicurea." (fonte)

Nel Cristianesimo, la rinuncia ai beni materiali è vista come un atto di fede e di dedizione a Dio. Molti santi e asceti cristiani hanno praticato la rinuncia per avvicinarsi alla spiritualità e all'amore divino. La rinuncia è vista come un mezzo per purificare l'anima e vivere una vita virtuosa, libera dai conflitti interiori e sociali. San Francesco d'Assisi è uno degli esempi più celebri: nato in una famiglia ricca, abbandonò tutti i suoi beni per vivere in povertà e servire i poveri e i malati. La sua vita di rinuncia e umiltà è diventata un modello di santità e devozione per molti cristiani.

Tra l'altro, nel Cristianesimo il digiuno riveste un ruolo cruciale come pratica spirituale e ascetica che ha radici profonde nella tradizione biblica e patristica. Voglio fare una breve parentesi su questo punto perché nella società odierna occidentale sembra qualcosa di ormai dimenticato, eppure è una forma di rinuncia che ha importanti effetti benefici nel corpo e nell'anima, placando le emozioni negative e suscitando positività. Nel Cristianesimo, è inteso come un mezzo di purificazione e di avvicinamento a Dio, simbolizzando la rinuncia ai piaceri mondani per favorire una maggiore attenzione alla dimensione spirituale. Nella Bibbia, il digiuno è spesso associato a momenti di penitenza, preghiera e preparazione per eventi significativi, come dimostrano gli esempi di Mosè, Elia e Gesù:

  • Così Mosè rimase là con l'Eterno quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane né bevve acqua. E l'Eterno scrisse sulle tavole le parole del patto, i dieci comandamenti. (Libro dell'Esodo, capitolo 34, versetto 28)
  • E l'angelo dell'Eterno tornò la seconda volta, lo toccò, e disse: "Alzati e mangia, poiché il cammino è troppo lungo per te". Elia si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli dette, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio. (Primo Libro dei Re, capitolo 19, versetti 7-8)
  • Quando digiunate non diventate malinconici come gli ipocriti che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. [...]. Lavati il volto e profumati la testa perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo. (Matteo 6, 16-18)
  • Gesù, ripieno di Spirito Santo, partì dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto, dove, per quaranta giorni fu tentato dal diavolo. In quei giorni non mangiò niente; ma al loro termine ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: "Se tu sei il Figlio di Dio, dì a queste pietre che diventino pane". E Gesù gli rispose: "Sta scritto: L'uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola di Dio". (Luca 4, 1-4)

Anche nell'Islam la rinuncia gioca un ruolo importante. Il concetto di Zuhd, che letteralmente significa "rinuncia" e si riferisce all'ascetismo, incoraggia i musulmani a vivere una vita semplice e a evitare l'attaccamento ai beni materiali. In questo caso, per rinuncia si intende l'allontanamento da un oggetto precedentemente desiderato che è, contemporaneamente, un volgersi verso qualcosa che viene riconosciuto come migliore. La rinuncia non è solo esteriore ma soprattutto interiore. Gli asceti musulmani chiamano "questo mondo" tutto ciò che distrae da Dio e separa l'uomo da Lui, intendendo non l'intero mondo di oggetti sensualmente percepibili come tali, ma la totalità di ciò che non è in relazione con Dio e non è colto e utilizzato per il suo bene.

Con questo ho concluso un breve sguardo a varie religioni e filosofie. A ciò vorrei aggiungere che praticare la rinuncia ai desideri materiali superflui e alle emozioni negative può avere benefici psicologici e fisici significativi. Ridurre l'attaccamento ai beni materiali può portarci a una maggiore pace interiore, riducendo lo stress e migliorando la nostra salute mentale e fisica. Le relazioni interpersonali possono diventare più genuine e significative, mentre l'ambiente beneficia di un consumo ridotto e di uno stile di vita più sostenibile.

Il Minimalismo, una moderna interpretazione della rinuncia, può portare a una maggiore soddisfazione e libertà, favorendo la concentrazione, la produttività e la creatività. Si tratta di una concezione di vita dove si tende a possedere, a volere e fare solo quello che davvero è necessario, pertanto essenziale.

In un'epoca dominata dal neoliberismo (cioè dalla guerra di tutti contro tutti) e dalla tecnologia, la pratica della rinuncia ci offre una via per ritrovare l'essenziale e vivere in modo più autentico e consapevole. Nel mondo digitale di oggi, la rinuncia può significare anche disconnettersi dai dispositivi e dai social media. Questo può regalarci maggiore concentrazione, produttività e salute mentale.

L'uso eccessivo di smartphone, computer e social media può portare a una serie di problemi, tra cui stress, ansia, emozioni negative, disturbi del sonno, irritabilità e deterioramento delle relazioni interpersonali. Rinunciare a un uso costante e pervasivo della tecnologia può contribuire a migliorare il nostro benessere generale, la concentrazione e la produttività. Quando si riducono le distrazioni digitali, è più facile focalizzarsi sulle attività importanti. Questo può portarci a una maggiore soddisfazione nel lavoro e nello studio.

La rinuncia alla tecnologia può anche promuovere relazioni più autentiche e significative. Passare meno tempo sui social media e più tempo con le persone care in interazioni faccia a faccia può rafforzarci i legami e migliorare la qualità delle relazioni. Questo favorisce una maggiore connessione e comprensione reciproca. Soprattutto, rinunciando a un po' di tecnologia a favore degli incontri di persona, ci guadagniamo in maggiore salute mentale, maggiore nutrimento affettivo, maggiore calore umano ed empatia, e minor voglia di fare le guerre.

«[...] quel “nutrimento affettivo” di cui ha un gran bisogno l’essere umano non può essere mediato da alcuna tecnologia e [...], anzi, al crescere della fiducia nella tecnologia decresce quella negli esseri umani, fino al punto di poter pensare di fare a meno della compagnia altrui» (tratto da "Solitudine e Contesti Virtuali").

In poche parole, rinunciando si guadagna assai di più di ciò che si perde.

(21 giugno 2024)

Dhammapada ➙ Testo completo

Il Dhammapada, a volte tradotto come "Cammino del Dharma", è un testo fondamentale del canone buddista. Conservato sia nel Canone pāli che in quelli cinese e tibetano, è composto da 423 strofe suddivise in 26 capitoli brevi. Queste strofe, che secondo la tradizione riportano le parole pronunciate da Siddhartha Gautama (Gautama Buddha Shakyamuni) in diverse occasioni, sono venerati non solo dalla scuola Theravāda ma anche da molte scuole Mahāyāna, rendendolo un testo di grande importanza in ogni ambito del buddismo.

Il testo offre insegnamenti morali e filosofici volti a guidare i praticanti verso il cammino della rettitudine, della saggezza e dell'illuminazione. Il Dhammapada rappresenta una sintesi accessibile dei principi fondamentali del Buddhismo, trattando temi come la virtù, la meditazione e la saggezza.

Libera traduzione in inglese di Ajahn Munindo
Traduzione in italiano di Chandra Candiani
La diffusione dei testi tradotti è consentita in qualsiasi modo tranne che a fini di lucro (fonte).


INDICE

  1. Versi in coppia
  2. La consapevolezza
  3. La mente
  4. Fiori
  5. Lo stolto
  6. Il saggio
  7. Il risvegliato
  8. Migliaia
  9. Il male
  10. La violenza
  11. La vecchiaia
  12. Se stessi
  13. Il mondo
  14. Il Buddha
  15. La felicità
  16. L’affetto
  17. La rabbia
  18. Gli inquinanti
  19. Il giusto
  20. Il sentiero
  21. Versi sparsi
  22. L’inferno
  23. L’elefante
  24. La brama
  25. Il rinunciante
  26. Grande Essere

Namo tassa
bhagavato arahato
samma sambuddhassa

Omaggio al Beato,
Nobile e Perfettamente Illuminato

La fragranza interna otterrà protezione esterna

Il buddismo insegna che le qualità virtuose che possiamo sviluppare nel relazionarci con le altre persone e anche con tutti gli esseri, come la gentilezza, la compassione e l’integrità, attirano naturalmente protezione e rispetto dall’ambiente esterno. Questo principio è ben sintetizzato dalla frase "La fragranza interna otterrà protezione esterna", una sintesi degli insegnamenti del Buddha fatta da Nichiren Daishonin. La frase non è una citazione diretta dei Sutra buddisti, ma riflette i loro principi fondamentali.

Il Dhammapada, a volte tradotto come "Cammino del Dharma", è un testo fondamentale del canone buddista. Conservato sia nel Canone pāli che in quelli cinese e tibetano, è composto da 423 strofe suddivise in 26 capitoli brevi. Questi versetti, che secondo la tradizione riportano le parole pronunciate da Siddhartha Gautama (Gautama Buddha Shakyamuni) in diverse occasioni, sono venerati non solo dalla scuola Theravāda ma anche da molte scuole Mahāyāna, rendendolo un testo di grande importanza in ogni ambito del buddismo.

Per illustrare come la virtù agisce come una fragranza che attira protezione, possiamo considerare questi versetti del Dhammapada:

52
Come un fiore
dal delizioso profumo
è la parola saggia e amorevole
accompagnata dalla retta azione.

53
Come con un mazzo di fiori
si possono intrecciare ghirlande
con questa nostra esistenza umana
possiamo fare ghirlande
di nobili azioni.

54
Il profumo di fiori o del legno di sandalo
si diffonde solo col vento a favore
ma la fragranza della virtù
pervade tutte le direzioni.

55
Impareggiabile è il profumo
della virtù
anche per i fiori
e per il legno di sandalo.

56
L’aroma del legno di sandalo
e il profumo dei fiori
sono un tenue piacere
rispetto alla fragranza della virtù
che raggiunge anche i regni celesti.

57
Mara non può catturare
chi vive in ricettiva consapevolezza
chi per impeccabile conoscenza è libero
e coltiva la virtù.

Māra, che è lo Spirito del Male e il dio della Morte, è il simbolo delle tentazioni e degli ostacoli spirituali, è la personificazione di tutte le forze antagoniste all'illuminazione. Questi versetti dimostrano come la virtù non solo diffonde una buona influenza, ma offre anche protezione dalle forze negative.

Nichiren Daishonin, un importante monaco buddista giapponese del XIII secolo, ha enfatizzato questo principio nei suoi insegnamenti, in particolare nel Gosho "I tre tipi di tesori". Il Gosho è una raccolta delle lettere e degli scritti di Nichiren, considerati testi fondamentali del suo insegnamento. In "I tre tipi di tesori", Nichiren spiega che "Il Buddismo insegna che la fragranza interna otterrà protezione esterna. Questo è uno dei suoi principi più importanti." Nel contesto del suo insegnamento, la fragranza interna è la natura di Budda, cioè Nam-myoho-renge-kyo.

Nichiren cita il Sutra del Loto e il Sutra del Nirvana per rafforzare questo concetto, sostenendo che tutte le creature possiedono la natura di Budda:

Il Sutra del Loto dice: «Nutro per voi un profondo rispetto» e il Sutra del Nirvana dice: «Tutte le creature viventi possiedono la natura di Budda». Il risveglio della fede nel Mahayana di Ashvaghosha afferma: «Poiché la Legge vera e costante permea continuamente la sua stessa vita esercitandovi la sua influenza, le illusioni spariscono istantaneamente e il corpo del Dharma si manifesta». Il Trattato sugli stadi della pratica dello Yogadel Bodhisattva Maitreya contiene un’affermazione simile. Ciò che è nascosto si trasforma in virtù manifesta.

In questa citazione, "natura di Budda" e "Legge vera e costante" sono Nam-myoho-renge-kyo.

La frase "La fragranza interna otterrà protezione esterna" è particolarmente significativa nella storia di Shijo Kingo, un discepolo di Nichiren. Kingo, affrontando calunnie e complotti, giurò al Daishonin che non avrebbe mai smesso di praticare. Durante un'epidemia, molti dei suoi persecutori caddero malati, e Kingo, grazie alle sue abilità mediche, riuscì a guarire il suo datore di lavoro, riguadagnandone la fiducia. Questo ribaltamento della situazione è spiegato da Nichiren come un effetto della "fragranza interna" di Kingo, cioè la sua fede e dedizione, che attrasse protezione e supporto esterni.

L'espressione "fragranza interna" indica come la natura di Budda, una volta risvegliata attraverso la pratica buddista, cioè tramite la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, diffonda una sorta di aura benefica che permea la vita del praticante. Questo processo è descritto chiaramente da Nichiren: "Così, quando con la bocca recitiamo la mistica Legge, la nostra natura di Budda viene richiamata e immancabilmente emergerà. La natura di Budda di Brahma e di Shakra, richiamata, ci proteggerà e la natura di Budda dei Budda e dei bodhisattva, richiamata, gioirà" (dal Gosho "Come coloro che inizialmente aspirano alla via possono conseguire la Buddità attraverso il Sutra del Loto").

La pratica della recitazione del daimoku, ossia la ripetizione della frase "Nam-myoho-renge-kyo", è fondamentale per risvegliare questa fragranza interna. Questa pratica non solo risveglia la nostra natura di Budda, ma richiama anche la natura illuminata di tutte le forme di vita, comprese le persone che ci circondano.

Il beneficio di questa pratica si manifesta in due modi: attraverso la protezione delle divinità benevole e la gioia dei Budda e dei bodhisattva. La protezione delle divinità benevole si genera risvegliando la natura di Budda propria e altrui, attivando una rete di protezione universale che può assumere molte forme, dalle azioni di persone vicine a noi ai fenomeni naturali.

In conclusione, le nostre azioni virtuose hanno un potere profondo e duraturo.

(19 giugno 2024)

Lamentarsi stanca

Lamentarsi stanca.
Pensare o parlare delle cose che non vanno stanca.
L’assenza di mezzi e risorse stanca.
Essere sfruttati stanca.
L’ingiustizia, reale o presunta, stanca.
Non essere visti, riconosciuti, apprezzati o remunerati per i propri sforzi stanca.

Non pensare né parlare di queste cose non è questione di ottimismo. E’ solo questione di non stancarsi inutilmente più del necessario, di non sprecare le poche energie rimaste che servono per altro.

(18 giugno 2024)

Essere una tranquilla presenza

Non c’è molto altro da dire o da pensare.
Lasciamo fluire la bellezza armoniosa della natura con ogni senso.
Ne siamo parte.

Tutto il resto, le guerre e le sofferenze che vengono da molto lontano, sono nulla in confronto.

Non rimane che la nostra tacita e tranquilla presenza in questo mondo misterioso e illusorio, temporaneo e forte, seppur precario come un sogno dentro un sogno.

In mezzo al nostro cammino nella foresta, sono cosciente della natura illusoria e desiderante sia di questo mondo che dell’altro. Fuori dai centri urbani, circondati solo dall’energia vitale degli alberi alti e della terra, senza che null’altro sia visibile, è tutto più chiaro. Un tempo gli antichi guru vivevano qui, e solo qui potevamo ascoltare la loro saggezza.

Quando siamo una tranquilla presenza in questo mondo, non ce ne importa più nulla di sostenere le ragioni dell’una o dell’altra parte. Coscienti che siamo qui per ragioni karmiche che si perdono nel tempo e nello spazio, ci curiamo soltanto di essere benevoli e amorevoli.

Le guerre sono finite.

(17 giugno 2024)

L’amor fati (piena accettazione) è una grande cura

Nella filosofia stoica, l’amor fati, o "amore per il destino", rappresenta un principio centrale e profondamente curativo. Questo concetto, lungi dall’essere una mera accettazione passiva degli eventi, è una forma di amore attivo e consapevole per tutto ciò che accade nella nostra vita. Gli stoici insegnavano che l’accettazione totale e incondizionata del nostro destino ci permette di vivere in armonia con la natura e con noi stessi, liberandoci dalle catene delle emozioni negative e delle aspettative irrealistiche.

È importante chiarire che l’amor fati non è sinonimo di accettazione passiva o di rassegnazione depressa. Gli stoici non ci invitano a subire la vita in modo apatico, ma a partecipare attivamente e con entusiasmo. L’accettazione stoica implica una volontà positiva di abbracciare tutto ciò che accade, riconoscendo che ogni evento, positivo o negativo, ha un ruolo nel nostro sviluppo personale. In questo senso, l’amor fati è una forma di amore per la vita stessa, con tutte le sue sfumature.

La piena accettazione della vita e dei suoi eventi ci libera dal dolore inutile. Molte delle nostre sofferenze derivano dalla resistenza a ciò che accade e dal desiderio che le cose siano diverse da come sono. Abbracciando l’amor fati, ci liberiamo da questa resistenza e accettiamo che ogni momento della nostra vita è esattamente come deve essere. Questa accettazione non elimina il dolore, ma ci permette di viverlo in modo più sano e costruttivo.

L’amor fati è un modo pratico di rapportarsi alla vita e ai propri limiti. La filosofia stoica ci invita a riconoscere e accettare i nostri limiti, non come segni di debolezza, ma come parti intrinseche della nostra umanità. Accettare ciò che non possiamo cambiare ci permette di concentrare le nostre energie su ciò che possiamo controllare: le nostre azioni, i nostri pensieri e le nostre reazioni. Questo approccio ci offre una prospettiva più serena e realistica della vita, riducendo lo stress e l’ansia che derivano dal desiderio di controllare l’incontrollabile.

Inoltre, l’amor fati ci aiuta a sviluppare una straordinaria capacità di adattamento. La vita è piena di imprevisti e sfide, e la capacità di accettare e adattarsi a queste situazioni è fondamentale per il nostro benessere. L’accettazione stoica ci insegna a vedere ogni difficoltà come un’opportunità di crescita e di apprendimento, trasformando le avversità in occasioni per rafforzare il nostro carattere.

La pratica dell’amor fati ha effetti benefici non solo sulla nostra salute mentale, ma anche sulle nostre relazioni. Quando accettiamo pienamente noi stessi e il nostro destino, diventiamo meno giudicanti e più compassionevoli verso gli altri. Questa accettazione ci permette di costruire relazioni più autentiche e profonde, basate sulla comprensione reciproca e sul rispetto delle differenze. Inoltre, ci libera dal risentimento e dalla rabbia che spesso sorgono quando gli altri non soddisfano le nostre aspettative.

La pratica dell’amor fati può anche migliorare la nostra capacità di vivere nel presente. Troppo spesso, ci preoccupiamo per il futuro o rimuginiamo sul passato, perdendo di vista il valore del momento presente. Accettando pienamente ogni istante della nostra vita, impariamo a vivere più consapevolmente e a godere delle piccole gioie quotidiane.

Per comprendere appieno l’amor fati, è essenziale chiarire cosa gli stoici intendessero per destino o fato. Nella visione stoica, il destino non è una forza arbitraria e capricciosa, ma una manifestazione dell’ordine naturale e razionale dell’universo. Gli stoici credevano in un cosmo governato dalla ragione (Logos), una forza divina e razionale che permea e dirige tutto ciò che accade. Il destino, quindi, è il risultato della razionalità cosmica, un tessuto di cause ed effetti che si dispiega secondo un ordine naturale e inevitabile.

Questa concezione del destino sembra in contrasto con l’idea contemporanea di libero arbitrio, che enfatizza la capacità dell’individuo di scegliere e modellare il proprio futuro. Tuttavia, per gli stoici, il libero arbitrio esiste in armonia con il destino. Il libero arbitrio risiede nella nostra capacità di accettare e rispondere alle circostanze che il destino ci pone di fronte. Possiamo non controllare gli eventi esterni, ma abbiamo il potere di controllare le nostre reazioni e di agire virtuosamente nonostante le avversità.

Essere parte di un disegno più grande, secondo la visione stoica, significa riconoscere che ogni individuo è un componente di un universo più vasto e interconnesso. Questo disegno è il Logos, la razionalità divina che ordina il mondo. Gli stoici ci invitano a vedere noi stessi come parti integrali di questo ordine, dove ogni evento, persona e cosa ha un ruolo specifico e necessario. Questa visione incoraggia un senso di appartenenza e di responsabilità verso il tutto, rendendo ogni nostra azione significativa nel contesto del grande schema universale.

La relazione tra la visione stoica del destino e le religioni è complessa e affascinante. Sebbene lo stoicismo non sia una religione in senso stretto, con dogmi e rituali specifici, condivide con molte religioni una fede nell’esistenza di un ordine superiore e di una forza divina che governa l’universo. Tuttavia, gli stoici si differenziano per l’approccio più razionale e filosofico a queste tematiche. Essi non postulano divinità antropomorfe o interventi miracolosi, ma vedono il divino come una razionalità immanente e onnipresente.

Questo approccio può essere integrato in varie visioni religiose, offrendo una prospettiva che unisce fede e ragione. Possiamo trovare nell’amor fati uno strumento per riconciliare il proprio credo religioso con una visione più filosofica e razionale della vita, accettando il destino come espressione della volontà divina o del piano cosmico.

Questo concetto è essenziale per seguire la virtù e andare verso l’eudaimonia, il termine greco che indica una vita piena e felice. Gli stoici credevano che la virtù fosse il bene supremo e che solo attraverso la virtù si potesse raggiungere l’eudaimonia. L’amor fati ci insegna ad accettare il nostro destino come parte del nostro cammino verso la virtù, permettendoci di affrontare le difficoltà con coraggio e serenità.

L’amor fati, quindi, non è solo un concetto filosofico astratto, ma una pratica quotidiana di accettazione e amore per la vita così com’è. Questa pratica ci invita a vivere con saggezza e serenità, a vedere la bellezza in ogni momento e a riconoscere la nostra connessione con l’universo. È una cura profonda che trasforma il nostro modo di vedere noi stessi, gli altri e il mondo, portandoci verso una vita più armoniosa e significativa.

(12 giugno 2024)

vedi anche: Lo stoicismo come guida per trasformare il caos in serenità

Lo stoicismo come guida per trasformare il caos in serenità

Il mondo è ostaggio di una piccola minoranza estremamente violenta, crudele, disumana e folle, attratta dal caos, dalla distruzione, dalla guerra, da culti osceni e da depravazioni morali e intellettuali di ogni genere. Questa élite malvagia è ben protetta e fortemente sostenuta dai grandi centri di potere. La popolazione, di fronte a questa realtà, si divide generalmente in una maggioranza collaborazionista o indifferente, e in una minoranza esigua che, pur opponendosi a parole, è del tutto impotente nei fatti e incapace di organizzarsi politicamente.

In un mondo così strutturato, le emozioni negative colpiscono violentemente corpo e mente delle moltitudini. In questa grande egregora di negatività e sopraffazione, come possiamo indirizzare le nostre vite verso qualcosa di positivo e significativo?

Partendo da questa domanda, vorrei riflettere su alcuni insegnamenti millenari dei filosofi stoici. Da un certo punto di vista, ci insegnano che il "diavolo" non è altro che la nostra emotività negativa, quella stessa emotività incessantemente alimentata dalle notizie che riceviamo e da ogni aspetto di una società globale sempre più indirizzata verso una "società gassosa", distopica involuzione di quella "società liquida" tanto familiare ai sociologi.

La "società liquida", concetto introdotto nel 1999 dal sociologo Zygmunt Bauman nel suo libro "Liquid Modernity", descrive una condizione sociale in cui le strutture e i legami tradizionali sono diventati fragili e instabili, proprio come i liquidi che non hanno una forma propria. In questa società, la rapidità dei cambiamenti e l'incertezza sono dominanti, portando le persone a sentirsi costantemente disorientate e in cerca di riferimenti stabili. La liquidità delle relazioni sociali si traduce in una continua ricerca di identità e significato, con conseguenze spesso negative sulla coesione sociale e sulla stabilità individuale.

La "società gassosa" rappresenta l'annientamento di quel poco che era rimasto nella "società liquida". Da quando Bauman ha parlato di società liquida, sono passati 25 anni, nei quali l'avvento dei social network, del nazismo sanitario e dell'intelligenza artificiale hanno ulteriormente sgretolato le basi esistenziali sia collettive che personali, con una classe politica dirigente sempre più demenziale e distanziata dai bisogni dei popoli.

L'annientamento di tutto e tutti in una sempre più paventata Terza Guerra Finale sembra l'unica prospettiva proposta, ma è solo un grave inganno. In questa fase, le strutture sociali e i legami sono evaporati, diventando invisibili e intangibili come un gas. Priva di qualsiasi riferimento e completamente senza etica, la "società gassosa" è caratterizzata dal completo disorientamento e mancanza di valori, o peggio inversione di valori, come nel pubblico sostegno istituzionale a chi sta compiendo gli stessi orrori di un secolo fa. Nella nostra epoca, lo smarrimento e l'attrazione verso il male regnano sovrani, aggravando la difficoltà degli individui a trovare un senso di appartenenza e di stabilità emotiva.

Questo scenario rende cruciale l'insegnamento stoico di controllare la propria emotività negativa, per non soccombere alle influenze destabilizzanti di una società che sembra dissolversi sempre di più.

Concentriamoci su ciò che possiamo controllare

Uno dei fondamenti dello stoicismo è la dicotomia del controllo, esposta da Epitteto. Possiamo controllare solo le nostre opinioni, avversioni e desideri, mentre tutto il resto, come la ricchezza e la reputazione, sfugge al nostro controllo. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi su ciò che possiamo influenzare direttamente e accettare serenamente ciò che non possiamo cambiare. Questo approccio ci permette di ridurre ansia e stress, focalizzando la nostra energia su azioni e pensieri produttivi.

Dovremmo concentrarci sul fare del nostro meglio, accettando che l'esito finale possa essere influenzato da fattori esterni. Focalizzarsi sul processo e impegnarsi al massimo ci consente di rimanere sereni, indipendentemente dal risultato. Stabilire obiettivi interni, come migliorare noi stessi, ci aiuta a rimanere motivati e soddisfatti dei nostri sforzi, anche se non raggiungiamo sempre i nostri obiettivi esterni. In questo modo, possiamo affrontare le sfide con determinazione e motivazione, trovando gratificazione nel nostro impegno e nel nostro miglioramento continuo.

Viviamo nel presente

Concentrarsi sul presente è essenziale per vivere una vita serena e appagante. Marco Aurelio ci ricorda che solo il presente è realmente nelle nostre mani, mentre il passato è immutabile e il futuro incerto. Accettare questa verità ci aiuta a focalizzarci su ciò che possiamo fare ora, senza rimpiangere il passato o preoccuparci eccessivamente del futuro.

Desiderare ciò che accade, invece di ciò che vorremmo accadesse, ci permette di apprezzare di più il momento presente e di affrontare la vita con maggiore serenità. Vivere nel qui e ora ci aiuta a essere più felici e grati per ciò che abbiamo, migliorando la nostra qualità della vita e il nostro benessere emotivo.

Miglioramento personale e autodisciplina

Cerchiamo di sviluppare e praticare le quattro virtù cardinali dello stoicismo: saggezza, giustizia, coraggio e temperanza. Solo colmando il divario tra ciò che siamo e ciò che possiamo diventare, possiamo raggiungere l'eudaimonia. La parola eudaimonia deriva da "eu" (bene) e "daimon" (spirito o entità divina), quindi letteralmente potrebbe essere interpretata come "avere un buon spirito". Aristotele considera l'eudaimonia come il fine ultimo e autosufficiente della vita, cioè un fine che è desiderato per se stesso e non per raggiungere qualcos'altro.

Per Aristotele, l'eudaimonia è raggiunta attraverso una vita vissuta in accordo con la virtù (aretè). La virtù è una disposizione acquisita che permette di eccellere nelle attività umane. La eudaimonia implica attività dell'anima in conformità con la ragione, che è considerata l'elemento distintivo dell'essere umano. Significa realizzare il proprio potenziale umano pienamente, sviluppando e utilizzando le proprie capacità e talenti in modo armonioso. Aristotele sottolinea che l'eudaimonia non è solo un fatto individuale, ma è strettamente legata alla comunità e alle relazioni sociali. Una vita eudaimonica implica anche il contributo al benessere degli altri.

A tale scopo, impariamo ad osservarci, a valutarci. Ad esempio, Epitteto ci invita a esaminare le nostre azioni quotidiane prima di andare a dormire, chiedendoci cosa abbiamo fatto bene, dove abbiamo sbagliato e come possiamo migliorare. Questa analisi ci permette di riconoscere i nostri errori e gioire dei nostri successi, promuovendo una crescita personale continua.

Anche Seneca adottava questa abitudine, scrutando ogni sua parola e azione giornaliera per valutare se avesse mancato ai suoi doveri o fatto qualcosa di disdicevole. Seguire questo esempio ci aiuta a mantenere un comportamento virtuoso, rimanendo sempre consapevoli delle nostre scelte e azioni. Tenere un diario personale può essere un metodo efficace per documentare queste riflessioni, permettendoci di monitorare i nostri progressi nel tempo.

Controlliamo le nostre emozioni

Gli stoici sostengono che le nostre emozioni derivano dai nostri giudizi su ciò che accade. Poiché i nostri giudizi sono sotto il nostro controllo, siamo responsabili delle nostre emozioni. Dobbiamo imparare a gestire le emozioni negative, come l'ira e il risentimento, controllando i nostri giudizi e percezioni. Questo ci permette di mantenere la calma e la razionalità anche di fronte alle avversità, evitando reazioni impulsive e dannose.

A tal proposito, evitare e dominare la rabbia è una delle lezioni chiave dello stoicismo. Seneca considera la rabbia una follia temporanea che porta solo sofferenza inutile. La nostra ira non cambia le situazioni, ma peggiora il nostro stato d'animo. Epitteto ci ricorda che non sono gli eventi a turbarci, ma il nostro giudizio su di essi. Pertanto, è essenziale riconoscere che è la nostra opinione a provocare l'irritazione.

Per controllare la rabbia, possiamo fermarci e respirare profondamente, cercando di calmare la mente. Analizzare la situazione per capire se la nostra reazione è giustificata ci aiuta a reagire in modo più equilibrato. Gestire la rabbia in questo modo ci permette di affrontare le difficoltà con maggiore serenità e lucidità.

Diventare impermeabili alle offese è un obiettivo importante nello stoicismo. Gli insulti possono ferirci solo se permettiamo loro di farlo. Utilizzare l'umorismo, disinnescare l'insulto o semplicemente ignorarlo sono strategie efficaci per affrontare le offese senza reagire con rabbia o risentimento.

Prepararsi mentalmente a ricevere insulti e considerare la fonte di queste critiche ci aiuta a mantenere la calma e a non prendere le offese sul personale. Questo approccio ci consente di rimanere centrati e di non permettere agli altri di influenzare negativamente il nostro stato d'animo. Applicare queste strategie ci rende più forti e sicuri di noi stessi, mantenendo la nostra tranquillità interiore.

Viviamo secondo natura

Gli esseri umani devono vivere secondo la loro natura razionale e sociale. Questo significa utilizzare la ragione e agire per il bene comune. Lo stoicismo ci spinge a coltivare l'altruismo, poiché agendo per il bene degli altri beneficiamo anche noi stessi. Vivere secondo natura ci aiuta a sviluppare le nostre capacità intellettuali e a contribuire positivamente alla società, rendendoci persone migliori e più equilibrate.

Dovremmo anche imparare a parlare poco e bene, ascoltando attentamente gli altri. Epitteto consiglia di mantenere il silenzio o di parlare solo quando necessario, evitando pettegolezzi e conversazioni frivole. Parlare meno ci permette di ascoltare meglio e di comprendere veramente il nostro interlocutore, migliorando così le nostre relazioni.

Quando ascoltiamo empaticamente gli altri, mostriamo rispetto e interesse genuino per le loro parole, il che rafforza il rapporto e rende le conversazioni più significative. Questa pratica non solo ci rende più saggi, ma ci aiuta anche a costruire legami più profondi e autentici con chi ci circonda. Seguire questi principi ci porta a una comunicazione più efficace e a una maggiore armonia nelle nostre interazioni quotidiane.

Assumiamoci la responsabilità

La vita è piena di sfide e difficoltà, e accettare questa realtà ci aiuta a affrontarle con maggiore forza interiore. Marco Aurelio ci ricorda che la vita è più simile a una lotta che a una danza, e le difficoltà ci permettono di mostrare il nostro vero valore. Le sfide sono occasioni per temprarci e sviluppare una maggiore forza d'animo.

Affrontare le difficoltà con uno spirito positivo e vedere ogni ostacolo come un'opportunità di crescita ci rende più saggi e capaci di superare le avversità. Le sfide ci aiutano a scoprire di cosa siamo veramente capaci, rafforzando la nostra determinazione e il nostro coraggio. Accettare le difficoltà della vita come parte del nostro percorso ci rende più forti e consapevoli del nostro potenziale.

Dobbiamo valorizzare ciò che abbiamo e siamo, impegnandoci a fare del nostro meglio per raggiungere i nostri obiettivi. Anche di fronte alle difficoltà, dobbiamo reagire con forza e determinazione, evitando il vittimismo e assumendoci la responsabilità delle nostre reazioni. Questo principio ci incoraggia a prendere il controllo della nostra vita e a lavorare costantemente per migliorare noi stessi e il nostro ambiente.

Scegliamo le nostre compagnie con cura

Le persone con cui ci circondiamo influenzano profondamente il nostro modo di pensare e di essere. Epitteto ci avverte che frequentare persone negative può contaminarci. È importante scegliere le nostre compagnie con attenzione, circondandoci di persone positive e costruttive che ci ispirano a migliorare.

Frequentare individui che ci stimolano e ci supportano nel nostro percorso di crescita personale ci aiuta a diventare la migliore versione di noi stessi. Le relazioni positive ci sostengono nei momenti difficili e ci spingono a raggiungere i nostri obiettivi con maggiore determinazione e fiducia. Fare scelte consapevoli riguardo alle nostre compagnie è essenziale per il nostro sviluppo e benessere.

Accettiamo disagi volontari

Il disagio volontario, come suggerito dai filosofi stoici, ci spinge a sperimentare situazioni scomode per rafforzare la nostra forza di volontà. Praticare la povertà temporanea, mettere alla prova la nostra resistenza fisica o rinunciare a piaceri quotidiani ci aiuta a prepararci meglio alle difficoltà della vita reale.

Questi esercizi non solo ci rendono più forti e resistenti, ma ci permettono anche di apprezzare di più ciò che abbiamo. Dimostrare a noi stessi di poter affrontare e superare piccoli disagi quotidiani ci rende più fiduciosi e capaci di gestire situazioni difficili. Il disagio volontario è un potente strumento per sviluppare una maggiore consapevolezza e forza interiore.

Visualizziamo il negativo

La visualizzazione negativa, o praemeditatio malorum, è una pratica stoica che ci prepara agli eventi avversi immaginando situazioni spiacevoli. Questo esercizio ci rende maggiormente pronti ad affrontare le difficoltà con calma e coraggio. Prepararsi mentalmente agli imprevisti ci rende più forti e meno vulnerabili agli shock emotivi.

Questa pratica ci aiuta anche a sviluppare una maggiore gratitudine per ciò che abbiamo, rendendoci consapevoli del valore delle nostre esperienze quotidiane. Immaginare la perdita di ciò che amiamo ci spinge ad apprezzarlo di più. Attraverso la visualizzazione negativa, possiamo affrontare la vita con maggiore equilibrio e serenità, accettando le difficoltà come parte integrante del nostro percorso.

Nota conclusiva

Non c'è bisogno di inventare nulla di nuovo, gli stoici hanno già detto l'essenziale. Nel nostro mondo sempre più caotico e disorientato, i loro insegnamenti ci offrono strumenti preziosi per mantenere la nostra serenità e forza interiore.

Concentrarci su ciò che possiamo controllare, vivere nel presente, migliorare noi stessi e coltivare relazioni positive sono principi che ci aiutano a navigare attraverso le avversità con maggiore saggezza e virtù. Abbracciando questi suggerimenti di vita, possiamo trasformare il caos esterno in una fonte di crescita personale, trovando significato e tranquillità anche nei nostri tempi bui e, per certi versi, apocalittici.

(10 giugno 2024)

Nella crociera della vita

C’è tanta malvagità in questo mondo. Inganni e tradimenti ovunque. Manipolazione come regola di vita e di lavoro.

Però… alla fine di tutto, quando sarà il momento della morte, avremo chiaro perché siamo venuti in questo schifo chiamato mondo. Questo “perché” sono gli affetti, e quei rari zampilli d’amore che in pochi attimi sfuggenti ci accarezzano.

A volte bastano poche gocce d’affetto e di calore per dare senso alla nostra crociera in questo mare putrido, maleodorante e velenoso chiamato vita.

(7 giugno 2024)

La rabbia è sempre sbagliata e distruttiva

Nella cultura contemporanea, la rabbia viene spesso giustificata e persino celebrata come una forza motivante e necessaria per affrontare le sfide della vita. Molti considerano la rabbia come un segnale di vitalità e determinazione, contrapposta alla passività e alla rassegnazione della depressione. Questa visione, che riconosce un valore positivo alla rabbia, trova le sue radici nel pensiero di Tommaso d'Aquino (1225-1274), uno dei più grandi teologi e filosofi del Medioevo.

Tommaso d'Aquino, nella sua "Summa Theologiae", argomentava che la rabbia non è intrinsecamente negativa. Egli distingue tra l'ira giusta, una risposta appropriata alle ingiustizie, e l'ira peccaminosa, eccessiva e irrazionale. Questa distinzione ha influenzato profondamente la teologia cattolica, portando a una rivalutazione della rabbia come possibile forza positiva, se moderata dalla ragione e dalla giustizia. Tuttavia, questa prospettiva, sebbene considerata valida dal sentire comune odierno, secondo me è pericolosa e fuorviante.

Oserei dire che, da un certo punto di vista, passare dalla depressione alla rabbia significa sostituire una psicopatologia con un'altra. Il risultato può essere pessimo in entrambi i casi.

Contrariamente alla visione di Tommaso d'Aquino, gli stoici, e in particolare Seneca (4 a.C. - 65 d.C.), hanno sempre sostenuto che la rabbia sia una passione irrazionale e distruttiva, da evitare in ogni circostanza. Secondo Seneca, la rabbia disturba la ragione e la tranquillità dell'animo, impedendo di vivere una vita virtuosa e in armonia con la natura. Nel suo trattato "De Ira", Seneca analizza le cause, gli effetti e i rimedi della rabbia, argomentando che essa è sempre dannosa e deve essere controllata.

Seneca descrive la rabbia come un'emozione che consuma l'animo e porta a comportamenti impulsivi e irrazionali. La rabbia, secondo lui, è una forma di follia temporanea che rende impossibile il giudizio equilibrato e la decisione razionale. La perdita di controllo che accompagna la rabbia può portare a conseguenze disastrose, sia per chi la prova che per chi la subisce. Per questo motivo, Seneca insiste sull'importanza dell'autocontrollo e della riflessione come strumenti per prevenire e gestire la rabbia.

Ecco alcune idee chiave di Seneca sulla rabbia, tratte dal "De Ira":

  1. La rabbia è irrazionale → Seneca sostiene che la rabbia è una passione che sfugge al controllo della ragione e porta a comportamenti irrazionali e impulsivi.
       
  2. La rabbia è autodistruttiva → Egli descrive la rabbia come un'emozione che causa danni non solo agli altri ma anche a chi la prova. La rabbia consuma l'animo e disturba la pace interiore.
     
  3. La rabbia può essere prevenuta → Secondo Seneca, è possibile prevenire la rabbia attraverso l'autocontrollo e la riflessione. Egli consiglia di anticipare e gestire le situazioni che possono scatenare la rabbia, mantenendo sempre la calma e la lucidità.
     
  4. La virtù della clemenza → Seneca promuove la clemenza e la compassione come alternative alla rabbia. Ritiene che un comportamento virtuoso e benevolo verso gli altri sia più efficace e conforme alla natura umana.

Mi trovo pienamente in sintonia con queste opinioni di Seneca. Aggiungo che per la prevenzione e il trattamento della rabbia possono essere particolarmente utili alcune pratiche meditative, in particolare quelle basate sul respiro.

Adesso vorrei soffermarmi sul fatto che la rabbia è sempre autodistruttiva. Seneca osserva che chi si lascia dominare dalla rabbia non solo danneggia gli altri, ma rovina anche se stesso, perdendo la propria pace interiore e serenità. La rabbia genera conflitti, inimicizie e sofferenze che avvelenano la propria mente, i rapporti umani e la vita sociale. La visione stoica sottolinea che la vera forza e il vero coraggio risiedono nella capacità di mantenere la calma e la lucidità anche di fronte alle provocazioni e alle difficoltà.

Gli stoici insegnano che la virtù risiede nella capacità di vivere in accordo con la ragione e la natura, evitando le passioni che disturbano l'equilibrio dell'animo. La clemenza e la compassione sono alternative virtuose alla rabbia. Rispondere con benevolenza e comprensione alle offese e alle ingiustizie non solo è possibile, ma è anche un segno di grandezza d'animo e di autentica saggezza.

Credere che la rabbia sia qualcosa di utile è profondamente sbagliato. Vivere nelle catene delle emozioni, e della rabbia in particolare, significa porsi al pari delle bestie. Anzi, molto al di sotto delle bestie, visto che la rabbia ci ha già portati a due guerre mondiali, e la terza è in preparazione. Non è follia questa?

(30 maggio 2024)

Tutto dipende da…?

Spesso ho sentito dire che “tutto dipende da noi” o, in maniera più diretta e responsabilizzante, per non dire colpevolizzante, che “tutto dipende da te” o “tu sei l’artefice del tuo destino”.

E’ una posizione filosofica che vuole sottolineare l’importanza del libero arbitrio e della propria volontà di potenza nel direzionare gli eventi. Chi assume questa posizione parla di fede più che di delirio di onnipotenza, ma la vita è maestra e sa chiarire le idee a chi vuol capire.

“Tutto dipende da me” non è molto diverso da “Io sono nato quando l’ho voluto e morirò quando sarò io a deciderlo”. Bello… vogliamo crederci? Funziona così la vita?

Noi di libertà in questo mondo ne abbiamo ben poca, a meno che non ci riferiamo ad una libertà idealizzata, teorica, interiore, non vincolata dalle necessità della quotidianità. Anche un carcerato può sentirsi libero o uno schiavo può sentirsi più libero del suo padrone, ma… se un senzatetto si autoconvincesse di essere milionario, cioè sarebbe abbastanza reale da affrancarlo dalla sua condizione di miseria disperata?

“Tutto dipende da me, da te, da lui, da noi, ecc.” è una verità molto parziale e bisognosa di interpretazioni, cioè è una bugia. Molto più dirette, immediate e dritte al punto senza bisogno di tanti ragionamenti sono le frasi “io dipendo da tutto”, “tu dipendi da tutto” o “noi dipendiamo da tutto”. Queste affermazioni sono evidenti di per sé e confermate in ogni istante delle nostre vite.

In poche parole, l’ambiente è più forte della volontà. Possiamo accettarlo e metterci l’anima in pace, oppure possiamo continuare a lottare per cambiare il mondo. Una delle due strategie è fallimentare.

(29 maggio 2024)

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