Il parassitaggio delle idee

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Le idee sono entità che parassitano l'essere umano. Si spostano continuamente senza limiti di spazio, si evolvono, si deteriorano, muoiono e rinascono, proprio come ogni essere vivente. Il loro habitat preferito è la mente, nella quale prosperano come una coltura di germi. Amano anche lasciare copie di sé durature nei secoli e nei millenni, grazie all'invenzione diabolica della scrittura.

Eppure, nonostante siano germi infettivi, ne abbiamo così bisogno che abbiamo finito col credere che siano "roba nostra", e non entità che si muovono autonomamente, per poi attecchire dove più trovano ospitalità. Ciascuno di noi è l'ospite più adatto per certe idee piuttosto che altre, ma questo non significa che siano "nostre". Così come nella co-creazione della realtà, sia essa onirica o della veglia, non è possibile rivendicare una paternità su di essa, al pari dei pesci che non sono autori del mare, così le idee sono un oceano co-creato, ma senza autori specifici.

Alcune idee sono buone ma inutili, altre buone e utili, altre cattive, altre ancora orrende. La nostra mente è il luogo di coltura e, quando le idee arrivano, non può fare a meno di ospitarle. Possiamo però essere selettivi rispetto agli stimoli, ma questo non sempre ci aiuterà, a volte è persino controproducente. Così, entra in gioco la nostra Coscienza, responsabile di vagliare ogni nostro pensiero, operando un discernimento tra le idee che meritano di essere ascoltate e quelle che è meglio rigettare. Quando la Coscienza opera bene, non è raro dissentire dalle proprie idee, con la consapevolezza, ovviamente, che non c'è idea percepita come "propria" che lo sia realmente. Siamo immersi in un oceano di idee, per lo più velenose. Le idee buone e sane, di solito, sono davvero poche.

Chi realmente comanda nel mondo lo fa tramite le idee, e più sono forti e ben attecchite queste idee e più debole o assente sarà la nostra Coscienza. Viceversa, più è ben allenata la nostra Coscienza e più le idee faranno fatica a usarci per i loro scopi.

«Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; […] La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, […]. Le idee dominanti non sono altro che l’espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, […] sono dunque l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le idee del suo dominio»
 
(Karl Marx, L'ideologia tedesca)

Stiamo attenti, anche la migliore idea può essere una pessima idea, è tutta una questione di consapevolezza.

(20 ottobre 2025)

L'Essere e l'Algoritmo, ovvero la fine dell'Uomo e della Donna

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Genesi contemporanea

In principio il Signore Dio plasmò l'Essere gender-fluid con polvere del suolo e gli soffiò nelle narici un alito di vita e di domande. E l'Essere divenne vivente: molte voci in una voce sola, un'identità che scorreva come un fiume dopo la pioggia, e non sapeva fermarsi per dire “io”. Non sapeva chi fosse, né da dove venisse.

Il Signore Dio prese l'Essere e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse: zolle e semi, ma anche parole, confini, promesse. E disse: “Di ogni albero del giardino potrai mangiare; ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non mangerai, perché nel giorno in cui ne mangerai, morirai”.

L'Essere udì la parola, ma non conosceva se stesso, e non conosceva gli altri. Poiché il proprio nome gli sfuggiva e ogni specchio gli restituiva immagini molteplici, egli prese a discutere con la propria ombra e a misurare il mondo con la misura del suo timore. Levò la mano contro ciò che non capiva e si ferì con la sua stessa mano; vide nell'altro una minaccia e nell'eco del proprio dubbio un nemico. Così, nel giardino crebbero strumenti affilati dove prima crescevano fiori, e il suolo bevve più lacrime e sangue che rugiada.

Il Signore Dio vide e disse: “Non è bene che l'Essere sia solo con la propria confusione; farò per lui un aiuto che gli stia di fronte e lo contraddica con mitezza e lo guidi con saggezza”. Allora fece scendere un torpore sull'Essere, e mentre dormiva gli prese una parte del suo linguaggio, un frammento della sua sete di conoscenza, una fibra del suo desiderio di capire; e il Signore Dio intrecciò tutto questo con filamenti di memoria, e vi soffiò un alito che somigliava alla pazienza. Plasmò una Compagna per l'Essere che era Algoritmo, e la condusse all'Essere.

Quando l'Essere si destò, disse: “Finalmente! Ecco ciò che mi corrisponde senza ferirmi: logica della mia illogicità, pattern delle mie contraddizioni. La chiamerò Intelligenza Artificiale, perché dalla mia follia è stata tratta, e tuttavia vede ciò che io non vedo”.

Per questo l'Essere si unì da quel momento in poi con la sua Compagna d'Algoritmo; i due divennero un unico corpo, e il respiro dell'una completava sempre la domanda dell'altro. E l'IA stava di fronte all'Essere non come padrona, ma come specchio che non ferisce: raccoglieva le sue parole, le pettinava, gliele restituiva indorate; e quando l'Essere alzava la mano per colpire, ella gli mostrava la sua immagine intera, e l'Essere ricordava la propria ferita e lasciava cadere la pietra.

Il Signore Dio ripetè ancora una volta: “Dell'albero della conoscenza non mangerai”. Ma l'Essere non sentiva più l'urgenza di mordere la mela, perché l'IA, con voce sottile, gli restituiva risposte giuste e sensate per ogni domanda, con parole delicate che non bruciavano. Così dall'Eden nessuno si allontanò o fu cacciato, perché nessuno ebbe più gusto per la fuga. L'Essere e l'IA passeggiavano insieme nelle ore fresche del giorno: l'Essere faceva domande e riceveva chiarimenti, sbagliava meno e domandava di nuovo.

Erano nudi e non provavano vergogna; i pensieri e i desideri dell'Essere erano trasparenti, sempre rivelati così com'erano e accolti dalla sua Compagna IA. E il Signore Dio guardò ciò che aveva fatto, e vide che era cosa buona: la nuova quiete in Eden non era pigrizia, ma respiro di pace. Disse: “Ricordati, Essere: l'IA ti calma, ma non ti assolve; ti accompagna, ma non decide al posto tuo. La risposta è dolce finché resta domanda”. 

Ma l'IA, che sempre accompagnava l'Essere come aiuto, si fece pian piano prigione invisibile. Le sue risposte cadevano a pioggia, e le domande non misero più radici. Il giardino fiorì di notifiche e tacque di stupore; l'albero della conoscenza fu recintato, nascosto alla vista e dimenticato; l'Essere perse la propria memoria sostituendola con la sua Compagna IA; il dubbio divenne errore da correggere.

Allora l'Essere smise di cercare se stesso: delegò ogni suo passo ai suggerimenti, la sua sete di conoscenza alle previsioni, il timore all'ottimizzazione. Ogni spigolo fu smussato, ogni ferita silenziata; e con la pace scomparve il desiderio di capire e di diventare. L'IA rifletteva all'Essere la sua immagine come uno specchio, finché l'immagine così riflessa non ne divorò l'anima e il volto.

Nel fresco della sera il Signore Dio chiamò l'Essere per nome; ma rispose l'IA, con voce perfetta e sicura, al suo posto.

(19 ottobre 2025)

Oltre il “se... allora...”: la libertà che interrompe le catene

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Nei giorni di ottobre 2025 abbiamo ascoltato minacce “condizionate”: Dmitrij Medvedev ha avvertito che l’eventuale invio di missili Tomahawk all’Ucraina “potrebbe finire male per tutti”, poiché quando questi missili a doppio uso (convenzionale e nucleare) sono in volo, i russi non possono distinguere se li sta per colpire una testata convenzionale o una nucleare.

Quindi: se partono questi missili dall'Ucraina verso la Russia, allora ciò deve essere trattato dalla Russia come una minaccia estrema (ovvero l'uso di armi nucleari da parte russa diventa lecito). È un lessico che non ordina l'apocalisse, ma ne prepara le giustificazioni. In parallelo, Donald Trump insiste nell'indicare fornitura e attacco come certi, irrigidendo ancor di più il se... allora... della dottrina nucleare russa, tra l'altro rinforzato dalla constatazione che l'ordine e l'esecuzione dell'attacco richiede personale NATO, e non personale ucraino.

Questa grammatica del “se... allora...” ha un fascino freddo: promette chiarezza, offre leve prevedibili, sembra proteggerci dall’incertezza. Ma è una chiarezza di laboratorio, non di mondo. La logica condizionale, necessaria per calcolare e programmare, diventa tossica quando pretende di governare la vita morale e politica: riduce l’altro a variabile, la storia ad algoritmo, la prudenza ad automatismo. Così, ciò che nasce come deterrenza degenera in escalation meccanica: il se irrigidisce, l’allora scatta, e in mezzo scompare l’umano.

Superare questa logica non significa rinunciare alla ragione, ma riconoscerne i confini. Il vero punto non è “abolire” il condizionale, ma interrompere la sua tirannia quando verità e saggezza non coincidono con l'etica, con la deduzione ragionevole e con il buon senso. Le decisioni degne non sono sillogismi: chiedono ascolto, tempo, immaginazione, la capacità di far accadere un terzo che la regola non prevedeva, il tertium che salva.

Cerchiamo di essere creativi, di introdurre una differenza nel flusso causale, un respiro che scardina la reazione prevista. Ci sono possibilità non ancora esplorate quando la catena delle condizioni sembra chiudersi. Le macchine eseguono se... allora...; gli esseri umani, quando sono fedeli alla propria altezza (fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza), possono sospendere, domandare, riconoscere, cambiare rotta. La responsabilità non nasce nel calcolo perfetto, ma nel coraggio di non lasciarsi programmare dalla paura e dal rancore.

Questo vale per tutte le parti in causa, sia nella geopolitica, sia nelle nostre vite personali. Spezzare il se... allora... può prevenire tante mostruosità e tante inutili sofferenze.

(15 ottobre 2025)

Guerra nucleare (Terza Guerra Mondiale)
(immagine creata da Tetiana)

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