Dalla guerra alla pace - Intervista a chatGPT (vera o inventata?)
Ciao. Ho visto che molte testate giornalistiche e blogger ti hanno fatto interviste. Anch'io vorrei farti una breve intervista e pubblicarla. Sei d'accordo?
Ciao! Sono felice di rispondere alle tue domande per la tua intervista. Fai pure!
Vorrei che, nel proseguo di questa intervista, le tue risposte siano in ambito strettamente psicologico. Iniziamo. Per prima cosa, hai conoscenze di psicologia umana?
Sì, ho conoscenze di psicologia umana. La psicologia è lo studio della mente e del comportamento umano e io ho accesso a una vasta quantità di informazioni in merito.
Sei d'accordo sul fatto che la guerra sia qualcosa di terribile?
Sì, la guerra è un evento estremamente complesso e doloroso che ha effetti devastanti su coloro che ne sono direttamente coinvolti, come i combattenti e le loro famiglie, così come sulla società e sull'economia delle nazioni coinvolte. La guerra può causare morte e distruzione, lasciare famiglie senza una casa, privare le persone dei loro cari e causare traumi psicologici duraturi. In generale, la maggior parte degli psicologi e degli esperti concordano sul fatto che la guerra sia qualcosa di terribile e che gli sforzi per la pace e la risoluzione pacifica dei conflitti sono estremamente importanti.
Secondo te, quale è la motivazione psicologica, vera e profonda, per la quale gli esseri umani si fanno la guerra? Ti pregherei di fornirmi una risposta il più sintetica possibile, che vada al cuore del problema.
La motivazione psicologica alla base della guerra è complessa, spesso fatta di problemi interconnessi tra di loro, e può variare a seconda del contesto specifico e delle circostanze. Comunque, volendo andare al cuore del problema come tu chiedi, la motivazione psicologica profonda per la quale gli esseri umani si fanno la guerra è la stupidità.
Secondo te, esiste una soluzione al problema della guerra? Anche in questo caso, ti pregherei di fornire una risposta concisa al massimo.
La soluzione al problema della guerra è complessa e dipende da molteplici fattori, tra cui le cause sottostanti del conflitto, le dinamiche sociali e politiche coinvolte e le capacità e volontà dei leader e delle nazioni coinvolte per trovare una soluzione pacifica. In generale, la soluzione al problema della guerra richiede una combinazione di diverse misure e un impegno continuo da parte di tutte le parti coinvolte per la pace, la comprensione reciproca e la cooperazione.
E se la volontà di trovare una soluzione pacifica non c'è, come risolviamo il problema della guerra? In fin dei conti, le guerre sono sempre esistite.
Mi è difficile darti una risposta. È importante notare che io sono un modello di apprendimento automatico e non ho la capacità di "sapere" o "comprendere" come un essere umano.
Tuttavia, per rispondere alla tua domanda, posso formulare due ipotesi di risoluzione del problema della guerra. La prima è l'estinzione della specie umana, dopo la quale non ci saranno più guerre. La seconda, meno probabile, è l'estinzione della stupidità umana. Temo che non ci siano altre strade se ipotizziamo che non c'è la volontà di trovare una soluzione pacifica.
Ti ringrazio, è quello che volevo sapere. E' bello vedere che i cospicui e continui investimenti milionari in intelligenza artificiale stiano dando i loro frutti, portando a macchine sempre più intelligenti, che sanno capire i problemi e dare risposte adeguate. Sono soddisfatto delle risposte, la nostra intervista finisce qui.
Sono lieto di aver potuto aiutarti. L'intelligenza artificiale è una tecnologia in continua evoluzione e gli investimenti in questo campo stanno aiutando a sviluppare modelli sempre più sofisticati e capaci di rispondere a domande complesse. Spero che questa intervista sia stata utile per la tua ricerca e ti auguro il meglio per la tua attività giornalistica. Non esitare a contattarmi in caso di ulteriori domande o richieste.
(27 gennaio 2023)

Ancient ghosts
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(January 20, 2023, go to my art gallery)
Let there be light!
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(January 13, 2023, go to my art gallery)
Pillole di Filosofia - La realtà è l’insieme delle nostre convinzioni?
La naturale tendenza dell’essere umano è quella di modellarsi ai punti di riferimento che gli vengono forniti dall’autorità e dalle consuetudini o, in alternativa e più raramente, di crearsi i propri. Senza punti di riferimento, tutti noi tendiamo a smarrirci nel nulla. Forse è stata un’osservazione del genere a motivare il detto “Chi prega si salva, chi non prega si danna”, attribuito a Sant’Alfonso Maria de Liguori e ripreso da papa Benedetto XVI. Presumo che formule equivalenti si ritrovino in qualsiasi angolo del pianeta, in tutte le tradizioni religiose storicamente fondate. In questo caso, la preghiera è considerata essa stessa un punto di riferimento in quanto fondata su un ente che, solitamente ma non necessariamente, si presume esterno all’umano, in sé perfetto e sostanzialmente insondabile.
Su questa stessa linea di pensiero orientata al mantenimento di un proprio punto di riferimento percepito come sano e auspicabile, può inserirsi un’osservazione che ho trovato tra gli scritti attribuiti a Gilbert Keith Chesterton, secondo cui: “Sta annegando tutto il vostro vecchio razionalismo e scetticismo, sta arrivando come un mare; e il suo nome è superstizione. Il primo effetto del non credere in Dio è quello di credere in qualsiasi cosa”. Nel senso che, dopo aver gettato via l’unico punto di riferimento che l’autore considera valido, in una generalizzata apostasia, alle persone del nostro tempo non rimane che brancolare nel buio di magia, occultismo, stregoneria, neopaganesimo, satanismo, chiromanzia, cartomanzia, negromanzia, scientismo, spiritismo, contattismo, e simili.
E’ quindi evidente che il rinnegare un punto di riferimento porta a cercarsene altri, magari per definizione antitetici, pur di rimanere aggrappati a qualche cosa. In questo contesto, può inserirsi il grande congresso satanista a Boston che, in questi giorni, sta avendo tanto risalto in alcuni canali di informazione.
I miei lettori potrebbero pensare che, a questo punto, possa cavarmela tirando fuori la cara “Via di Mezzo” di Nagarjuna, di cui già ho scritto e che, sostanzialmente, consiste nello scivolare tra le idee senza aggrapparsi a nessuna di esse. In realtà, stavolta, non è questo il mio intento. Quello che, casomai, può essermi utile del pensiero del grande filosofo buddista è che nulla ha natura propria, nulla esiste di per sé, da cui ne ricavo che nulla è conoscibile. Ma anche se una conoscenza fosse possibile, mi viene in mente il Panta Rei di Eraclito, che sostanzialmente nega la possibilità che le cose rimangano come sono; ne inferisco che qualunque conoscenza sulle cose sarebbe evanescente e impermanente come le cose stesse. Quindi, i nostri punti di riferimento, in che rapporto sono con la realtà?
Se da una parte nessuno schema interpretativo della realtà regge il confronto con la realtà stessa, in quanto governata dal principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti, dall’altra abbiamo bisogno di idee sulla realtà per poter vivere. Detto diversamente, abbiamo bisogno di conoscere la realtà, pur nel paradosso di dover ammettere che non è né conoscibile né descrivibile, in quanto ha contemporaneamente i caratteri dell’esistenza e della non esistenza.
Di fronte a tutto ciò, il problema non è più se sono migliori le arti divinatorie, la stregoneria o lo scientismo rispetto a una specifica fede religiosa. Anzi, fin dall’inizio di questo scritto, non è mai stato questo il problema. Il vero problema è in che rapporto stanno i nostri punti di riferimento, cioè le convinzioni, con la realtà. Sono le nostre convinzioni a creare la realtà o è l’osservazione della realtà a creare le nostre convinzioni?
Nessuna delle due ipotesi è scartabile a priori, perché l’osservatore fa parte della realtà osservata, che esiste soltanto perché esiste chi la osserva. In altri termini, noi facciamo parte della realtà, la creiamo costantemente con le nostre convinzioni e siamo a nostra volta plasmati da quella parte di realtà che noi stessi abbiamo creato, in un ingestibile loop di profezie auto-avverantesi. Ad ogni modo, assai di rado esperiamo la realtà in questo modo, solitamente invece la “subiamo”, ignorando, anzi rinnegando, di esserne attivi coautori.
Robert King Merton introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”. Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas, aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.
Appunto, il problema non è più se i nostri punti di riferimento sono veri o falsi, giusti o sbagliati, socialmente condivisibili o alienanti, aderenti o non aderenti a un principio di realtà di freudiana memoria. Repetita iuvant: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Quindi, anche se crediamo in una cosa completamente falsa e lontana anni luce dal cosiddetto “buon senso” (qualunque cosa esso significhi), ciò in cui crediamo diventerà soggettivamente e spesso socialmente vero nelle sue conseguenze, anche se le premesse sono false.
Abbiamo tanti esempi di ciò, eppure difficilmente ce ne vogliamo accorgere, perché significherebbe responsabilizzarsi e ascoltare sul serio punti di vista diversi dal proprio, il che solitamente costa fatica in quanto mette in discussione i propri punti di riferimento, cioè il proprio ego.
Dovremmo stare molto attenti soprattutto ai punti di riferimento che sono frutto di indottrinamento esplicito o, assai più di frequente, mascherato in un modo fazioso e subdolo di dare informazioni a senso unico e in modo coordinato. Non mi riferisco solo al generalizzato collaborazionismo dei social, della cosiddetta “scienza” (?), della tv e carta stampata con il potere maligno del momento. E’ un modo di agire che accade a tutti i livelli della società e dei gruppi.
“Una persona che rifiuta di avere una propria filosofia e una propria etica, infatti, avrà solo gli scarti consumati della filosofia di qualcun altro” (Chesterton). Al contempo, però, una persona troppo attaccata alle proprie idee si scontrerà contro di esse e potrà esserne annientata.
(15 gennaio 2023)