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Filosofia

Proteggersi dalle follie della società contemporanea

Nulla è a caso. Il fatto che la nostra società sia costruita in un certo modo, e che la maggior parte delle persone abbia per lo più certi comportamenti, corrisponde a un preciso progetto di vita eterodiretto, cioè risultante dal completo o quasi completo soggiacere agli stimoli e ai condizionamenti imposti soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa. Anzi, più che di un progetto di vita, mi parrebbe più appropriato parlare di un progetto di distruzione della vita. Questa è la via più comoda, cioè adeguarsi alla maggioranza e ubbidire al potere. Da questo punto di vista, non soltanto la democrazia è completamente delegittimata in partenza, ma il primo dovere di ogni cittadino è soltanto quello di ubbidire alle leggi, al potere costituito, alle consuetudini: l’opinione personale rispetto al potere diventa priva di significato, depotenziata e persino additata come arrogante, in quanto sono soltanto gli “esperti” cooptati dal potere nel diritto di decidere tutto per tutti. In questa visione distopica e tremendamente attuale, con situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi perché contrari alla vita, l’opposizione non soltanto è fortemente punita, ma trattata come una follia da ospedalizzare, o equiparata ad un misantropico disadattamento da curare con la peggiore delle pedagogie.

L’alternativa è quella di non conformarsi, costruendo un proprio progetto di vita che nasca da una visione diversa da quella dominante. Cambiando i presupposti, cambia tutto il resto. Il primo dovere del cittadino diventa quello di costruirsi una propria etica e di studiare, studiare e ancora studiare per non farsi prendere in giro dalle malate follie di chi è al potere e dall’informazione per lo più menzognera a reti unificate. In questa visione, molte cose sono capovolte rispetto al sentire comune. Al centro non c’è più il rispetto delle leggi, ma il rispetto della vita.

La posizione di chi non si conforma è molto difficile, perché è come quella di un funambolo che, senza protezioni, cammina su una fune tesa sopra una fossa piena di coccodrilli affamati. Come proteggersi, quindi?

Sarebbe bello se ci fosse una risposta. Purtroppo in una società che incoraggia e premia lo spegnimento del cuore e dell’intelletto, ovvero l’incapacità appresa di amare e di pensare, in un contesto che normalizza il patologico e medicalizza il fisiologico, è molto facile rischiare la lapidazione se invece teniamo vivi e nutriamo continuamente sentimenti e pensieri orientati alla protezione e all’amore per la vita.

Forse, nel nostro esercitarci da funamboli, la cosa migliore che possiamo fare è prestare attenzione alla nostra asta che fa da bilanciere: questa asta è il simbolo delle nostre emozioni prevalenti e della qualità prevalente delle nostre relazioni. L’asta ci aiuta a mantenere l’equilibrio se le emozioni e le relazioni sono di buona qualità, qualità che fa da cartina di tornasole sulla bontà del nostro progetto di vita e sulle nostre pratiche alimentari, spirituali, sportive, sociali, familiari, lavorative, ecc.

Follia (pittura, Francesco Galgani, 13 giugno 2021)

(13 giugno 2021)

Brevi appunti di viaggio

Appunti di viaggio di un viaggiatore tra infiniti viaggiatori diretti alla stessa meta, ma ognuno con un percorso diverso…

1. Serena attenzione nelle relazioni

Non è mai una questione di chi ha ragione o di chi ha torto, ma è solo una questione di qualità delle relazioni con le persone (compresi noi stessi), gli animali, le piante, l’ambiente.
La serenità è una conseguenza della fede nella vita, grazie alla quale la voglia di vivere prevale sulla paura di morire.
La malattia, l’invecchiamento e la morte non sono più fonte di inquietudine, uno scandalo o un problema da risolvere con qualche stregoneria tecnico-medico-scientifica o altri tipi di magie, sono soltanto una naturale conseguenza della nascita, e quindi un dono. Le pratiche di mantenimento della buona salute psico-fisico-relazionale diventano quindi un’espressione della gratitudine per tale dono, ma senza eccessivo attaccamento e senza ricercare l’immortalità, che è sinonimo di non-vita.
La serena attenzione nelle relazioni implica il riconoscimento che la propria anima fa parte di una comunità di anime.

2. Disidentificazione dai pensieri

I pensieri, al pari dei sogni, non hanno proprietari, sono entità che si muovono nello spazio e nel tempo, che attraversano noi esseri umani e che ci usano per rendersi manifesti, ma non ci appartengono: ogni pensiero è frutto di infinite relazioni.
Non attaccarsi ai pensieri percepiti come “propri”, ovvero non sentire alcun bisogno di guerreggiare per difendere un’ideologia, una credenza, un principio, un piccolo pensiero o quant’altro possa collocarsi in un ipotetico continuum duale del giusto e dello sbagliato, non significa soltanto “darsi pace”, ma anche predisporsi all’amore e a poter imparare qualcosa di nuovo da qualsiasi esperienza.

3. Comprensione mistica della vita

Se da una parte il principio di contraddizione e di compresenza degli opposti spianano la strada ad un relativismo assoluto senza punti di riferimento a priori, ovvero ad una visione dell’esistenza in cui ogni pensiero e atto umano è intrinsecamente legittimo, dall’altra il principio di interdipendenza ci ammonisce che tutto quello che facciamo agli altri lo stiamo facendo anche a noi stessi, e viceversa. La visione aperta, critica, tollerante, discutibile, amorevole e senza giudizi della vita e delle persone, in cui ogni sistema di pensiero è considerato portatore di contraddizioni interne, ovvero una visione relativistica, è al contempo accompagnata da un sentimento di sacralità e di rispetto per tutto ciò che esiste, in quanto parte di un tutto di cui tutti facciamo parte e che, al contempo, è parte di noi. Non ci sono persone in buona o cattiva fede, ci sono soltanto persone che hanno consapevolezze qualitativamente diverse.

Scritto da un’anima,
14 aprile 2021

Vaccini, mascherine, lockdown: costi e benefici nella partita della vita

Partita a scacchi "creativa"In una partita a scacchi, un bravo giocatore riflette bene prima di ogni mossa, per calcolarne i possibili costi e benefici. Un abile giocatore potrebbe persino sacrificare la propria regina, se nei suoi calcoli ciò gli convenisse per vincere la partita.

Allo stesso modo, nel caso del torneo di scacchi “covid”, ognuno valuta bene la propria strategia di gioco: se vincesse chi meglio riuscirebbe a distruggere le fondamenta della società, ridurre in grave indigenza quasi tutta la classe media, affliggere nelle pene del panico quasi tutta la popolazione e a mettere fratello contro fratello, causando la maggior sofferenza possibile alle persone, allora le attuali mosse sarebbero già ottime, comunque migliorabili. Una volta l’istigazione all’odio e il procurato allarme erano reati penalmente rilevanti, ma, come è ben noto, la legge non è e non è mai stata uguale per tutti.

Fuor di metafora: è mai possibile che nel calcolo dei costi/benefici di cui tanti si stanno riempendo la bocca per giustificare la legittimità di certe scelte (o più propriamente l’imposizione di certi obblighi decisi unilateralmente), nessuno si metta a considerare veramente tutto ciò che è in ballo, a cominciare dalla felicità e dal benessere psico-fisico-relazionale delle persone? Un calcolo del genere va oltre l’aritmetica e la statistica, la matematica è solo di parziale aiuto e nel complesso insufficiente.

Secondo me, non contano le opinioni né quanto siano giuste o sbagliate (chi può dirlo?), né tanto meno ho opinioni da difendere. Forse l’unica cosa importante, che trascende le opinioni, sono le relazioni tra le persone e più in generale tra tutti i viventi: se questa non è una partita fatta con pezzi di legno (come può essere una partita a scacchi), ma fatta con le persone e con i loro sentimenti, allora non ha senso parlare soltanto di “calcoli”, perché i calcoli si possono fare in un gioco da tavolo, ma non si possono fare con la “vita”, di cui noi facciamo parte e che è infinitamente più intelligente dell’intelligenza di ciascuno di noi.

Stesso discorso ovunque si guerreggi in una dialettica di vero/falso, giusto/sbagliato, buono/cattivo. La paura attenua la capacità di ascoltare la propria intelligenza, il panico quasi la silenzia. Soltanto quando il cuore è limpido e compassionevole può collaborare con l’intelletto: questa magica collaborazione non punta il dito contro nessuno, ma è capace di rimettere tutto in discussione, suggerendo percorsi alternativi e creativi rispetto a quelli già praticati.

Buona partita,
Francesco Galgani,
10 aprile 2021

Sull’esistenza e non-esistenza di Dio

Per quanto il problema dell’esistenza e non-esistenza di Dio, inteso nell’archetipo di padre creatore, sia già stato sufficientemente affrontato nel corso dei secoli, stamani la mia Anima mi ha suggerito che il problema, nell’ottica semplicistica e riduttiva in cui sovente viene posto (del tipo: “Sei un credente?”), non sussiste.

Il motivo fondamentale è che il mio comportamento di essere umano trascende i concetti di esistenza e di non esistenza di Dio, perché sarebbe lo stesso in entrambi i casi: l’amore, la gratitudine e il rispetto per la vita non hanno bisogno di giustificazioni ulteriori; stesso discorso per le necessità imposte dal viver quotidiano e dai bisogni psico-fisici-relazionali. Quando una persona vive pienamente nel "qui ed ora" ed è in pace con se stessa e con la vita, probabilmente non ha bisogno di farsi troppe domande. Allo stesso modo, quando una persona è serena, il suo stato mentale è come un sole in mezzo a un cielo terso e il proprio agire è già ripulito dai tanti veleni che spesso affliggono noi esseri umani. La vita sorride a chi le sorride, tutto qua.

Il motivo accessorio, non essenziale ma al contempo meritorio di essere esplicitato, è che, in base al principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti (come trattato in: “Collaborazionismo autolesivo umano nell’aderire a verità assolute”), è vera l’esistenza di Dio ed è vera la sua non-esistenza (o, se lo si preferisce, a libera scelta, sono false entrambe). Al contempo, se ammettessimo che il problema della esistenza e non-esistenza di Dio esista, allora probabilmente rientreremmo nella terza casistica proposta dal principio di igiene mentale (come trattato in: “Principio di igiene mentale, trasposizione del rasoio di Occam”) e, forse, come suggerito dal principio in questione, potremmo concludere che il problema non esiste. Entrambi i principi filosofici qui citati ci indirizzano a guardare il problema da una prospettiva diversa da quella usuale, che potrebbe essere sintetizzata in: “Non ti preoccupare di Dio, non importa se Dio esiste oppure no. Metti da parte paure, pregiudizi e preconcetti. Ciò che importa è come è indirizzato il tuo cuore e quale consapevolezza hai del tuo agire”.

Ad ogni modo, so che quanto ho fin qui esposto potrebbe risultare inaccettabile. Chi ritiene che io abbia scritto cose insensate ha pienamente ragione; parimenti, chi ritiene che io abbia scritto cose ragionevoli e giuste ha altrettanto ragione. In entrambi i casi, il percorso di acquisizione di consapevolezza è personale. Spesso, per comodità, preferiamo seguire persone o cose che ci fanno credere di avere la soluzione dei nostri problemi a prescindere dal nostro stato di consapevolezza: ci conviene stare molto attenti, perché in questo modo possono accadere cose molto spiacevoli, se non veri e propri disastri.

Vorrei concludere con una storiella:

«C’era una volta un pesciolino che stava cercando l’oceano. Un giorno, incontra il vecchio pesce saggio e gli domanda: “Pesce saggio, sto cercando l’oceano, sai indicarmi la strada?”. Il pesce saggio rispose: “Dove pensi che stiamo nuotando? Nell’oceano, questo è l’oceano!”, subito il piccolo pesciolino ribatté: “Ma quale oceano, questa è solo acqua!” e se ne andò a cercare in un’altra direzione».

Francesco Galgani,
5 aprile 2021

Il massimo della stupidità è usare solo la razionalità?

La più pericolosa e distruttiva forma di ottusità, che può arrecare ingenti danni e atroci sofferenze al singolo e alla società, è l’uso esclusivo della razionalità. Tale patologica condizione della mente, che di fatto consiste in uno scollegamento tra cuore e intelletto (che sono i due occhi dell’anima), in molti contesti è innalzata a virtù, a dimostrazione che le genti spesso sono attratte più dalla stupidità che dall’intelligenza. Questo dramma di uso esclusivo di un pensiero calcolante, separativo e logico-matematico è proprio di una parte degli esseri umani e di tutte le forme di “intelligenza artificiale”. Il fatto che una macchina non viva, non cosciente e senza anima possa essere definita “intelligente” non esprime una reale caratteristica della macchina, piuttosto dice qualcosa su chi entusiasticamente la definisce tale.

Francesco Galgani,
2 aprile 2021

Collaborazionismo autolesivo umano nell’aderire a verità assolute

L’essere umano, a livello di specie, è fondamentalmente collaborazionista rispetto ai poteri “esterni”, cioè disumani o non umani, che lo opprimono. Si tratta di una forma di collaborazione solitamente percepita come funzionale alla propria sopravvivenza, persino giudicata come “giusta”, anche di fronte alle peggiori ostentazioni di prevaricazione, oppressione, gusto nell’infliggere patimenti atroci e fini a se stessi, distruzione della bellezza, della vita, dell’amore. In altre parole, l’essere umano è abituato ad obbedire, e non è escluso che questa attitudine non sia soltanto culturale, ma anche codificata nel DNA.

Le dittature e i genocidi del passato ne sono una delle più palesi dimostrazioni, così come lo è l’attuale situazione a livello mondiale. La specie umana si dimostra pronta a qualunque tipo di vessazione, con una pazienza pressoché senza limiti e senza dignità, senza neanche un accenno di anelo di libertà, quando incontra un potere violento percepito come superiore e legittimato tramite la paura, il senso di impotenza e la violenza (sentimenti particolarmente inculcati oggi tramite la televisione).

Per queste ragioni, la storia dell’umanità, in quanto specie facilmente addomesticabile e già da millenni addomesticata (da chi?), è stata fortemente turbata, e continua ad esserlo, da interferenze che hanno caratteristiche non umane o disumane. Le persone, tra di loro, costruiscono spesso modelli relazionali basati sulla violenza appresa, che è l’aspetto complementare dell’incapacità appresa di amare.
In base al principio che tutto è in collegamento con tutto, è però evidente che questa interferenza non può essere unilaterale e che essa durerà soltanto finché la maggioranza degli esseri umani sentirà il bisogno di padroni, di protettori, di esseri esterni a sé in cui riporre la propria fiducia. Nel momento in cui una persona comincia a rendersi conto di essere creatrice attiva e principale del proprio mondo, non si affida più a poteri esterni ma ricerca il proprio potere interno; la stessa cosa vale per l’umanità nel suo complesso.

La continua accettazione dell’inaccettabile, attraverso i millenni e fino ad oggi, avviene grazie a dogmi (di cui quello più recente è il “covid”, in passato quello dominante era “dio”), cioè verità assolute e sovente rivelate (e persino “dimostrate”), che servono a creare una rappresentazione della realtà funzionale agli scopi del potere, scopi solitamente alieni e alienanti rispetto alle reali necessità umane. Chi asserisce queste cose, anche laddove esista la formale libertà di pensiero e di espressione, solitamente non viene compreso e, laddove le sue affermazioni siano di disturbo, viene appeso in croce: questo vale soprattutto per i personaggi potenzialmente influenti. Eventi recenti hanno dimostrato che anche in Italia l’atto di pensare e di esternare qualcosa di diverso rispetto a quanto è comunemente noto è punito con varie forme di ricatto, che arrivano anche alla reclusione in ospedali psichiatrici, in cui vengono commessi indicibili abusi; nel resto del mondo, purtroppo va anche peggio. Gli esempi in tal senso e attuali sono continui, quelli del passato troppi per essere contati.

I dogmi, o verità assolute, tanto cari alle religioni, alle parti incancrenite della scienza e della politica, al pensiero popolare dominante, spesso espressione del pensiero “unico” inoculato tramite il “main stream” e dalle sue controparti (la cosiddetta “controinformazione”), rafforzato o direzionato dai “filter bubble” dei social, sono basati su una creazione di realtà in cui non è ammessa la compresenza degli opposti e la loro contemporanea verità e legittimità di esistere. Si tratta di una visione/costruzione della realtà che tiene conto solo di quegli aspetti che sono coerenti ai dogmi stessi e che trova fondamento nei tre principi aristotelici di non contraddizione, di identità e del terzo escluso, che hanno senso soltanto all’interno di un sistema isolato (che di per sé è un’astrazione utile, ma mai reale). Nel momento in cui passiamo da un sistema isolato a un sistema più verosimile, in cui tutto è connesso a tutto e in cui vige l’interdipendenza e la mutevolezza istante dopo istante di tutti i fenomeni, ovvero in cui non esista un sistema di riferimento ovunque valido, ne segue che i principi fondanti diventano il principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti. In altri termini, ogni cosa esiste perché esiste il suo opposto ed è in relazione con esso, inoltre ciò che è vero è al contempo anche falso, in quanto verità e falsità non sono mai caratteristiche stabili e indipendenti, almeno per due motivi: per prima cosa, non esiste qualcosa che non sia identificato e identificabile dalle relazioni con ciò che è diverso da sé (nulla esiste di per sé), secondariamente la verità o falsità di un concetto sono in relazione al sistema di riferimento. Così come cambiando gli assiomi cambia la matematica, così cambiando quella parte della dualità dell’esistente che è assunta come vera cambiano di conseguenza tutti i valori di verità e falsità. Poiché ciò che esiste è sempre duale, in quanto identificato quantomeno dal suo opposto, ed è in continuo cambiamento, in quanto interdipendente con tutto l’esistente, ne segue che la sua verità e falsità sono in funzione del sistema di riferimento in un dato istante, quindi mutevoli e compresenti.

In alternativa, potremmo tentare di non guardare soltanto una parte della dualità e cercare invece di comprenderla nella sua totalità, con tutte le sfumature. Millenni di logica aristotelica hanno reso questo compito particolarmente arduo, ma non impossibile.

La liberazione dalle briglie dell’addomesticamento al pensiero funzionale ad un potere esterno, e disfunzionale al nostro comune interesse di vivere in una società armoniosa, inizia dal rigettare l’assolutismo dei concetti di vero e di falso, mettendo in continua discussione i nostri stessi pensieri.

Quando accadono cose che non ci piacciono, esse possono metterci in evidenza qualcosa che ancora non abbiamo capito (se lo vogliamo). La stessa cosa può valere per l’incontro con ciò che contraddice le nostre presunte certezze.

Ciò che ho fin qui scritto è vero, è falso, è in parte vero e in parte falso, non è né vero né falso. Ha contemporaneamente tutte queste caratteristiche ed ha inoltre una grossa pecca: per osservare la realtà, sono costretto ad astrarmi da essa, come se io non ne facessi parte. Questo è un mio grosso limite che, probabilmente, condivido con te che hai avuto la pazienza di leggere fino a qui.

Francesco Galgani,
26 marzo 2021

Surrealtà della notizia: obbligo di tampone anale

Obbligo di tampone anale

A chi non ci crede, suggerisco di leggere qui:
https://www.iltempo.it/esteri/2021/03/04/news/cina-tamponi-anali-obbligatori-stranieri-covid-proteste-giappone-stati-uniti-26421406/

A chi invece ci crede, gli assicuro che è un mio fotomontaggio.

A chi crede alla notizia riportata su "Il Tempo" e anche alla prima pagina del "Corriere della Sera" qui riportata, gli assicuro che è vicino alla verità.

A chi non crede né alla notizia de "Il Tempo", né a questa qui riportata, faccio notare che entrambe si riferiscono ad una realtà immaginata, surreale, allucinatoria, in una sola parola falsa, quindi anche queste notizie sono false.

In sintesi, la notizia è contemporaneamente vera e falsa, difficilmente potrebbe essere "solo vera" o "solo falsa".

Francesco Galgani,
22 marzo 2021

Perché scrivere?

Scrittura creativa

Scrittura creativa, pittura digitale di Francesco Galgani, 28 gennaio 2021

Siamo in un’epoca in cui la produzione di testi (e altri tipi di contenuti) è esplosa. Forse, in questi ultimi anni, abbiamo prodotto più testi che in tutta la restante storia dell’umanità? Se l’ipotesi è verosimile, è altrettanto degna di nota l’essenziale superfluità di tale produzione. Forse tra un millennio saranno ancora studiati i testi dell’antichità, ma quelli dell’attuale contemporaneità lo saranno? Dati questi dubbi, perché scrivere ancora?

Posso parlare per me. La mia risposta più onesta è che quando produco qualcosa di creativo (un articolo, un disegno, una poesia, un pensiero, ecc.) lo faccio perché mi va di farlo e perché mi fa piacere farlo; oserei dire che una coscienza più grande di me si esprime tramite me. Quest’ultima asserzione è come io percepisco me stesso in rapporto all’arte, ma non solo. In almeno uno dei miei scritti esplicito chiaramente che io faccio da “tramite”, mi riferisco alla “Religione dell’ultima lotta”.

Scrivo, comunque, anche per altre ragioni. Una di queste è per conservare una memoria, una traccia, delle cose che studio e su cui rifletto in un certo periodo, pur non sapendo se in futuro potranno tornare utili a me o ad altre persone. Semplicemente evito che finisca presto nel dimenticatoio, o peggio nel nulla, ciò che può ancora continuare ad esistere, almeno finché io continuerò a pagare i miei siti e a manutenerli.

Un’altra mia motivazione primaria nello scrivere è che l’atto della scrittura serve a formare le idee in una modalità più precisa e profonda che senza la scrittura difficilmente sarebbe possibile. In questo senso, l’utilità della scrittura è nel “qui ed ora”.

Ulteriori motivazioni nello scrivere possono riguardare il mio senso di identità. Di sfondo, a volte, c’è l’auspicio che ciò che faccio sia utile per un mondo migliore, ma spesso questo auspicio lascia il posto alla consapevolezza che il mio agire è in conseguenza del mio essere o semplicemente che la creatività è l’unica forma espressiva che a volte ho per esprimere certi sentimenti o emozioni. In tutto questo, scavando, c’è l’incontro con la solitudine, che è il tema del mio quadretto "Senza una grande solitudine nessun lavoro serio è possibile".

E’ ovvio che in questo modo di pormi prevalgono motivazioni emotive. Per dirla più brevemente: la scrittura creativa, e ogni altra forma di arte, nascono da un bisogno interno, a prescindere dal rapporto che poi le altre persone avranno con tale produzione.

(testo e pittura digitale di Francesco Galgani, 28 gennaio 2021)

Cestinare le opinioni?

Amore per le opinioni

Amore per le opinioni, pittura digitale di Francesco Galgani, 28 gennaio 2021

Le idee sono i prodotti creativi della nostra mente individuale e collettiva, ma le opinioni... se diventano qualcosa da difendere, o per cui lottare e morire, allora sono una maledizione?

Rientrano tra le opinioni tutte le personali rappresentazioni della realtà (rappresentazioni però sempre parziali e faziose, perché siamo noi a creare la realtà duale in cui ci troviamo), che poi si trasformano in giudizi, pregiudizi, preconcetti, previsioni, classificazioni in buono e cattivo, giusto ed empio, corretto e sbagliato.

Le opinioni possono portarci persino a gioire della sofferenza di chi ha opinioni diverse, o contrapposte, alle nostre, facendoci perdere la nostra comune umanità.

Una santa benedizione può essere quella di cominciare a cestinare le proprie opinioni, lasciando soltanto le idee, che di per sé sono sempre mutevoli e vanno bene finché non diventano opinioni da difendere?

Anni di mie riflessioni e opinioni, scritte in questo blog, mi sono servite per capire che mi conviene non identificarmi nelle mie opinioni, anzi, è più salutare che io mi limiti soltanto a guardarle, lasciandole scorrere come l’acqua mutevole di un fiume e senza attaccarmi ad esse.

Credo che quel che conti veramente è come è indirizzato il nostro cuore e in cosa riponiamo la nostra fede.

(testo e pittura digitale di Francesco Galgani, 28 gennaio 2021)

Amore di coppia?

Amore di coppia, folliaL’amore di coppia è forse l’incontro tra due follie che, per ragioni misteriose e fuori da qualsiasi schema, scelgono di provare, in qualche modo, a stare insieme?

Tale incontro di follie è forse dominato da un vortice di energie creatrici e distruttrici che, a seconda della prevalenza delle une o delle altre, ne determinano l’esito?

Non lo so, forse tra tutti gli aspetti della vita questo è quello in cui regole e leggi meno si adattano.

O forse è tutto diverso da ciò che ho scritto. Gli antropologi ne sanno qualcosa, forse.

(Francesco Galgani, 28 gennaio 2021)

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