L'illusione della democrazia: il vero volto delle elezioni italiane
Nel capitolo 8 "La truffa elettorale" del libro "Il regime" (1991), il giornalista Giampaolo Pansa descrive il funzionamento reale del sistema elettorale italiano, soffermandosi in particolare sulla pratica del voto di scambio. Attraverso vari esempi e testimonianze, Pansa illustra come questa pratica sia diventata una componente essenziale delle elezioni in Italia, contribuendo a distorcere profondamente la democrazia.
Pansa inizia il capitolo descrivendo l'ambiente politico e sociale durante l'inaugurazione del Decimo Parlamento italiano nel 1987, mettendo in luce come personaggi mediatici come Cicciolina, deputata del Partito Radicale, riflettessero un sistema elettorale che era diventato una sorta di spettacolo mediatico e circense. Il cuore del sistema elettorale truccato risiedeva nel mercato delle preferenze. Politici come Usellini spiegavano come le preferenze venissero comprate e vendute come merce, con prezzi che potevano arrivare fino a sessantamila lire per voto. Questo sistema permetteva a candidati con risorse finanziarie significative di acquistare abbastanza voti per garantirsi l'elezione.
Usellini descrive come le elezioni fossero gestite attraverso complessi apparati elettorali. Questi apparati organizzavano raccolte di fondi e distribuivano preferenze in modo da massimizzare il numero di voti per i propri candidati. Questo includeva la gestione di stock elettorali, dove i voti venivano assegnati strategicamente per favorire determinati candidati all'interno delle circoscrizioni. Le cordate erano coalizioni di candidati che univano le forze per scambiarsi preferenze e garantire l'elezione reciproca. Questo sistema di scambio di voti creava un blocco elettorale quasi impenetrabile per chi non faceva parte di queste reti. Inoltre, Pansa sottolinea come i brogli elettorali fossero una pratica comune, con schede elettorali manipolate per favorire determinati candidati.
Le campagne elettorali divenivano sempre più costose, con spese che spesso superavano di gran lunga le capacità finanziarie dei candidati onesti. Questa situazione favoriva ulteriormente i candidati con maggiori risorse finanziarie, spesso provenienti da fonti poco trasparenti, come gli affari illeciti e la corruzione. Pansa descrive come la propaganda elettorale fosse diventata un elemento centrale delle campagne, con un uso massiccio di tutti i media disponibili, inclusi giornali, radio, televisione e persino volantini paracadutati dagli aerei. Questo bombardamento mediatico contribuiva a creare un'illusione di democraticità, mentre in realtà manipolava profondamente l'opinione pubblica.
Nel capitolo, si discute anche delle proposte di riforma elettorale, come l'introduzione della preferenza unica per combattere la corruzione e ridurre i costi delle campagne elettorali. Tuttavia, queste proposte incontravano forti resistenze politiche, poiché minacciavano il sistema consolidato del voto di scambio e dei brogli. Pansa riporta le testimonianze di politici come Enzo Trantino e Gianni Rivera, che avevano tentato di indagare sui brogli elettorali senza successo. Questi tentativi erano spesso ostacolati dall'omertà e dall'opportunismo politico, rendendo quasi impossibile qualsiasi cambiamento significativo del sistema.
Un punto cruciale trattato nel capitolo è il referendum del 1991 promosso da Mario Segni, che mirava a introdurre la preferenza unica. Questo referendum rappresentava una minaccia diretta al sistema del voto di scambio, suscitando reazioni violente da parte dei partiti politici che ne traevano vantaggio. Nonostante le critiche e gli attacchi, il referendum ottenne un notevole supporto popolare. Il capitolo si chiude con una riflessione amara sulla difficoltà di riformare un sistema profondamente corrotto e radicato. Pansa esprime un certo pessimismo riguardo alla possibilità di un cambiamento reale, sottolineando come il sistema politico italiano fosse intrinsecamente legato al voto di scambio e alla manipolazione elettorale.
In sintesi, da questa lettura comprendiamo che le elezioni sono una truffa finalizzata a mantenere al potere una classe politica corrotta e inamovibile. Dopo 33 anni dalla pubblicazione di questo libro, i mezzi di distorsione della democrazia sono diventati molto più evoluti e tecnologici e accentrati nelle mani di pochi padroni. Basta notare che le piattaforme social pretendono di comandare su tutti e su tutto, come se la Costituzione non esistesse e come se avessero più potere della Magistratura, del Parlamento e del Governo. In realtà, l'Unione Europea incoraggia la censura e la manipolazione dei social, rendendola addirittura un obbligo di legge, come nel caso del DSA (Digital Service Act).
Oggi chi vuole dirigere il voto dei cittadini si basa innanzitutto sulla disinformazione, sulle cosidette "fake news" e sulla polarizzazione, sfruttando a tale scopi i principali organi di stampa tradizionali, la televisione e i social. In poche parole, il "main stream" inquina continuamente le menti e il dibattito pubblico, con il veleno di falsità su falsità, oltre alla censura e al ridicolizzare le opinioni divergenti. Ciò si somma alla pratica del voto di scambio e dei brogli, oltre alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto politico italiano.
Ovviamente le dinamiche della corruzione e della manipolazione elettorale non sono un fenomeno esclusivo dell'Italia, ma riguardano molti altri paesi democratici, a cominciare dagli Stati Uniti. Il voto per posta unito al voto elettronico non supervisionato, e alla completa assenza di documentazione cartacea dei voti espressi in maniera elettronica, crea negli Stati Uniti una situazione per la quale dal voto popolare può uscire "qualsiasi esito" indipendentemente dalle preferenze realmente espresse.
Come nota aggiuntiva sul disastro della democrazia, possiamo notare che da quando è stato scritto il libro di Pansa, abbiamo avuto vari governi "non eletti da nessuno": Governo Dini (1995-1996), Governo Monti (2011-2013) e Governo Draghi (2021-2022). Questi "governi tecnici di unità nazionale" hanno bypassato completamente la necessità delle elezioni democratiche per esercitare il potere su cittadini sempre più umiliati, offesi, truffati, raggirati, manipolati come se fossero incapaci di intendere e di volere.
E' evidente l'abuso della fiducia degli elettori da parte di politici capaci di qualsiasi falsificazione e senza alcun senso di vergogna o di pentimento.
(3 agosto 2024)
Speranza e Voglia di Vivere
(August 2, 2024, go to my art gallery)
La Via di Mezzo (Nagarjuna) e il conseguimento della Buddità in questa esistenza (Nichiren Daishonin)
Nagarjuna è stato un importante filosofo e maestro buddista del II secolo d.C., la cui opera principale, il "Mūlamadhyamakakārikā" (Le stanze della Via di Mezzo), è il testo fondamentale della scuola Madhyamaka. La sua filosofia è incentrata sulla dottrina della vacuità (śūnyatā) ed è nota per la sua capacità di "smontare" qualsiasi idea sul piano logico.
La Logica Negativa
La logica negativa di Nagarjuna si basa sull'uso di argomentazioni dialettiche per mostrare che tutte le concezioni e le teorie sono intrinsecamente contraddittorie e insostenibili. Questo processo è noto come "prasaṅga". Questi sono i punti chiave della logica negativa:
1. Vacuità (Śūnyatā) → Secondo Nagarjuna, tutte le cose sono vuote di esistenza intrinseca o essenza indipendente. Non esistono in modo autonomo, ma solo in relazione ad altre cose. Questo principio è applicato a tutte le fenomeni, siano essi fisici o concettuali.
2. Dipendenza e Relatività → Nagarjuna argomenta che tutto ciò che esiste è dipendente da altre cose (dipendenza condizionata o pratītyasamutpāda). Poiché nulla esiste indipendentemente, ogni affermazione di esistenza intrinseca può essere decostruita mostrando come dipenda da altri fattori.
3. Quattro Proposizioni (Catuṣkoṭi) → La tecnica dialettica di Nagarjuna spesso utilizza le quattro proposizioni:
- Qualcosa esiste.
- Qualcosa non esiste.
- Qualcosa esiste e non esiste simultaneamente.
- Qualcosa né esiste né non esiste.
Nagarjuna dimostra che tutte queste proposizioni portano a contraddizioni quando si cerca di applicarle alla realtà assoluta. Ad esempio, egli esamina le quattro possibili relazioni di causa ed effetto e dimostra che nessuna di queste può essere logicamente sostenuta senza cadere in contraddizione. Vediamole nel dettaglio:
1. La causa esiste indipendentemente dall'effetto → Se una causa esistesse indipendentemente dall'effetto, allora l'effetto non sarebbe necessario per la causa. Questo implica che una causa potrebbe esistere senza mai produrre un effetto, il che contraddice la definizione stessa di causa. Se una causa esistesse senza produrre un effetto, allora non avrebbe senso considerarla una causa.
2. L'effetto esiste indipendentemente dalla causa → Se un effetto potesse esistere indipendentemente dalla causa, allora non ci sarebbe bisogno di una causa per spiegare l'effetto. Questo rende superfluo il concetto di causa, il che è logicamente incoerente poiché negherebbe l'intera idea di causalità. Un effetto che esiste senza causa non può essere considerato un effetto.
3. La causa e l'effetto esistono simultaneamente → Se causa ed effetto esistessero simultaneamente, non sarebbe possibile distinguere tra i due. Inoltre, se esistessero nello stesso tempo, non ci sarebbe una relazione di dipendenza temporale tra loro, eliminando così la sequenzialità necessaria per la causalità. Causa ed effetto perderebbero la loro identità distintiva.
4. La causa e l'effetto non esistono né simultaneamente né indipendentemente → Questa posizione suggerisce che causa ed effetto non possono essere definiti in nessuna relazione coerente, portando a una contraddizione interna nella concezione stessa della causalità. Se causa ed effetto non possono essere definiti in alcun modo, allora non possono esistere.
Attraverso queste argomentazioni, Nagarjuna mostra che il concetto di causalità, come tutte le altre idee, è intrinsecamente vacuo di esistenza indipendente e stabile.
Tale argomentazione mette in crisi concetto di dualità, che risulta intrinsecamente vacuo perché non possiamo sostenere logicamente né che le entità siano completamente separate né che siano completamente unite. Questa vacuità della dualità significa che ogni idea di separazione o distinzione fissa è fondamentalmente insostenibile.
Possiamo usare la stessa logica negativa per dimostrare che anche la mente, come concetto separato e indipendente, è vacua. Consideriamo le seguenti proposizioni applicate alla mente:
1. La mente esiste indipendentemente dai suoi pensieri → Se la mente esistesse senza i pensieri, cosa sarebbe? Non possiamo concepire una mente senza contenuti mentali. Questo mostra che la mente non può esistere indipendentemente dai pensieri.
2. I pensieri esistono indipendentemente dalla mente → Se i pensieri esistessero senza la mente, dove risiederebbero? I pensieri sono manifestazioni della mente, quindi non possono esistere indipendentemente da essa.
3. La mente e i pensieri esistono simultaneamente → Se la mente e i pensieri esistono simultaneamente e sono la stessa cosa, allora non c'è dualità tra mente e pensieri. Tuttavia, percepiamo una distinzione, il che crea una contraddizione.
4. La mente e i pensieri non esistono né simultaneamente né indipendentemente → Questa proposizione suggerisce che non possiamo definire chiaramente la relazione tra mente e pensieri, mettendo in crisi la dualità tra soggetto e oggetto, osservatore e osservato.
A tal riguardo, circa mille anni dopo Nagarjuna, il maestro buddista giapponese del XIII secolo Nichiren Daishonin, in uno dei testi fondamentali della sua dottrina dedicato al conseguimento della Buddità in questa esistenza, richiama esplicitamente la Via di Mezzo di Nagarjuna con queste parole:
[...]
Cosa significa myo (mistico)? È semplicemente la misteriosa natura della nostra vita di istante in istante, che la mente non riesce a comprendere e le parole non possono esprimere. Guardando la nostra mente in ogni singolo istante, non percepiamo né colore né forma per verificare che esiste. Eppure non possiamo nemmeno dire che non esiste, poiché molti pensieri differenti sorgono di continuo. Non possiamo né ritenere che la mente esista né che non esista. È una realtà inafferrabile che trascende sia le parole sia i concetti di esistenza e di non esistenza. Non è né esistenza né non esistenza, e tuttavia manifesta le proprietà di entrambe. È la mistica entità della Via di mezzo che è l’unica vera realtà.
[...]
(tratto da: Il conseguimento della Buddità in questa esistenza)
Qui Nichiren Daishonin dimostra una profonda comprensione degli insegnamenti di Nagarjuna, integrandoli nella sua visione unica del consegumento della buddità tramite la pratica di Nam-myoho-renge-kyo. Attraverso la sua spiegazione, Nichiren enfatizza la complessità e la profondità della Via di Mezzo, che egli definisce come "l'unica vera realtà".
La Via di Mezzo ci permette di comprendere che non solo le idee e le credenze, ma anche i desideri e le passioni sono vacui di un'esistenza propria e sostanziale. Ci conviene quindi non tentare di aggrapparci né agli uni né agli altri, perché sarebbe come tentare di afferrare a mani nude l'acqua o l'aria.
"Non aggrapparsi" ai desideri
Nella visione buddista, a partire fino dal primo sermone di Shakyamuni una volta raggiunta l'illuminazione, noto come "Dhammacakkappavattana Sutta" o "Discorso di Benares", il problema fondamentale che causa la sofferenza è l'attaccamento, che si manifesta non solo attraverso le credenze rigide ma anche attraverso i desideri e le aspettative. Attaccarsi ai desideri porta a una continua insoddisfazione e sofferenza perché i desideri sono, per loro natura, impermanenti e mutevoli.
La Via di Mezzo ci insegna a vedere la realtà senza gli estremi di esistenza assoluta o non esistenza, e quindi anche a non essere né troppo indulgenti né repressivi verso i nostri desideri, ma a riconoscerli nella loro natura transitoria.
In pratica, seguire la Via di Mezzo significa sviluppare una mente equanime che non si aggrappa né si lascia trascinare dai desideri. Questo non implica una rinuncia ascetica estrema, ma piuttosto una relazione sana e bilanciata con i propri desideri, riconoscendoli come fenomeni temporanei e non fondamentali per il proprio benessere ultimo. In questo modo, possiamo vivere con maggiore serenità e saggezza, riducendo la sofferenza legata all'attaccamento.
Una mente equanime è in grado di mantenere serenità e stabilità emotiva, senza farsi influenzare eccessivamente dalle emozioni positive o negative. In altre parole, una persona con una mente equanime non si lascia trascinare dall'euforia quando le cose vanno bene né si deprime troppo quando le cose vanno male.
A tal riguardo, in un altro dei testi fondamentali della sua dottrina dedicato ai desideri, Nichiren Daishonin ha scritto:
[...]
È l’illuminazione al fatto che realtà e saggezza sono due, ma allo stesso tempo non sono due.
Questi sono insegnamenti d’importanza primaria. Corrispondono ai princìpi per cui “le illusioni e i desideri sono illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. Recitare Nam-myoho-renge-kyo durante l’unione fisica di uomo e donna è veramente ciò che si chiama “le illusioni e i desideri sono illuminazione” e “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana”. Il principio secondo cui “le sofferenze di nascita e morte sono nirvana” esiste solo nella comprensione che l’entità della vita in tutto il suo ciclo di nascita e morte non viene né generata né distrutta. Il Sutra di Virtù Universale afferma che «senza eliminare le illusioni o separarsi dai cinque desideri, [essi potranno] purificare i loro sensi e spazzare via le loro offese». In Grande concentrazione e visione profonda si afferma che «l’ignoranza e la polvere dei desideri sono illuminazione e le sofferenze di nascita e morte sono nirvana».
[...]
(tratto da: "Le illusioni e i desideri sono illuminazione")
Ad una prima lettura, questo testo potrebbe essere frainteso e sembrare in contraddizione con i principi di base del buddismo. In realtà, Nichiren qui si sta basando completamente sull'insegnamento della Via di Mezzo di Nagarjuna che, ricordiamolo ancora una volta, egli definisce come "l'unica vera realtà". Confrontiamo ciò che ha scritto Nichiren con il terremoto prodotto da Nagarjuna nelle teorie delle scuole buddiste della sua epoca, notando le similitudini:
[...]
Le cause che portano al ciclo mondano delle rinascite (samsara) non possono essere le stesse che portano alla pace (nirvana). Questi stati dell'esistenza sono diversi come il fuoco e l'acqua: il samsara placherà la sete tanto quanto il nirvana porterà al fuoco della passione. Quindi, sono le parole del Buddha, per coloro che sostenevano la teoria dell'effetto come preesistente alla causa, ad avere il potenziale di purificare la coscienza, e non le parole di qualsiasi maestro non ortodosso; sono le pratiche dei buddisti, per coloro che sostenevano la nozione di efficacia causale esterna, che poteva liberare dalla rinascita, e non le pratiche di coloro che perpetuavano le ambizioni del mondo quotidiano e lavorativo. Queste scuole erano, ognuna nella sua unicità buddista, veri e propri esemplari dei presupposti secolari della visione del mondo del karma, in cui una persona è ciò che fa e ciò che fa deriva dal tipo di trucco fondamentale che ha ereditato da vite precedenti di azioni, una visione del mondo che è che sposa intimamente essenza, esistenza ed etica. Essere buddista significa proprio distinguere tra atti buddisti e non buddisti, tra ignoranza e illuminazione, tra il mondo sofferente del samsara e il raggiungimento purificato del nirvana.
Nel suo rivoluzionario trattato I versi fondamentali sulla Via di Mezzo, Nagarjuna getta alle ortiche questa distinzione elementare tra samsara e nirvana, e lo fa nel nome stesso del Buddha. "Non c'è la minima distinzione", dichiara nell'opera, "tra samsara e nirvana. Il limite dell'uno è il limite dell'altro". Ora, come si può affermare una cosa del genere, cioè l'identità tra samsara e nirvana, senza minare totalmente le basi teoriche e gli obiettivi pratici del buddismo in quanto tale? Infatti, se non c'è differenza tra il mondo della sofferenza e il raggiungimento della pace, allora che tipo di lavoro deve fare un buddista che cerca di porre fine alla sofferenza? Nagarjuna risponde ricordando ai filosofi buddisti che, come Gautama Sakyamuni aveva rifiutato il sostanzialismo metafisico ed empirico con l'insegnamento della "non anima" (anatman) e dell'interdipendenza causale (pratityasamputpada), il Buddhismo Scolastico doveva quindi rimanere fedele a questa posizione non sostanzialista attraverso il rifiuto delle teorie causali che richiedevano nozioni di natura fissa (svabhava), teorie che reificavano metafisicamente la differenza tra samsara e nirvana. Questo successivo rifiuto potrebbe basarsi sulla nozione, appena coniata da Nagarjuna, di "vuoto", "assenza" o "nullità" (sunyata) di tutte le cose.
[...]
Ma forse la cosa più rivoluzionaria è stata l'estensione da parte di Nagarjuna della dottrina della "vacuità" di tutti i fenomeni alla discussione del rapporto tra il Buddha e il mondo, tra il ciclo delle rinascite inflitte dal dolore (samsara) e la libertà soddisfatta e priva di desideri (nirvana). Il Buddha, conosciuto colloquialmente come "colui che è venuto e se n'è andato" (Tathagata), non può essere propriamente pensato per Nagarjuna nel modo in cui lo hanno fatto gli scolastici buddisti, cioè come il seme eternamente puro del vero insegnamento di pace che mette a tacere le illusioni del mondo altrimenti contaminato. Il nome e la persona di "Buddha" non devono servire come base teorica e giustificazione della distinzione tra il mondo ordinario, ignorante, e l'illuminazione perfetta. Dopo tutto, ricorda Nagarjuna ai suoi lettori, tutti i cambiamenti nel mondo, comprese le trasformazioni che portano all'illuminazione, sono possibili solo grazie alla causalità interdipendente (pratityasamutpada), e la causalità interdipendente, a sua volta, è possibile solo perché le cose, i fenomeni, non hanno una natura fissa e quindi sono aperti (sunya) alla trasformazione. Il Buddha stesso si è trasformato solo a causa dell'interdipendenza e della vacuità e quindi, come afferma Nagarjuna, "la natura del Tathagata è la natura stessa del mondo". È evidente che non si possono fare delimitazioni essenziali tra il mondo della sofferenza e le pratiche che possono portare alla pace, perché entrambi sono solo risultati alternativi nel nesso dell'interdipendenza del mondo.
[...]
tratto da: Nagarjuna, il secondo Budda, il maestro del metodo scettico, la Via di Mezzo
Ecco, su questa questione Nichiren Daishonin condivide totalmente la visione di Nagarjuna. A questo punto dovrebbe essere evidente che la Via di Mezzo di Nagarjuna e la frase di Nichiren Daishonin secondo cui "le illusioni e i desideri sono illuminazione" sono complementari e integrati in una visione coerente della pratica buddista. Riassumiamo alcuni punti principali:
Non-dualità → La visione di Nichiren che "le illusioni e i desideri sono illuminazione" si allinea con la comprensione della vacuità di Nagarjuna. Se tutto è vacuo di esistenza intrinseca, allora anche le illusioni, i desideri e l'illuminazione non hanno un'essenza indipendente.
Entrambi gli insegnamenti enfatizzano la trasformazione della mente. Nel contesto della Via di Mezzo, si tratta di comprendere la vacuità per evitare di aggrapparsi agli estremi (di esistenza assoluta o di non esistenza) e vivere in armonia con la vera natura della realtà. Nel contesto di Nichiren, si tratta di trasformare e purificare la propria mente, con le sue illusioni e desideri, attraverso la pratica del Daimoku, rimanendo nella realtà della vita quotidiana.
Recitazione del Daimoku → La pratica del Daimoku (Nam-myoho-renge-kyo) insegnata di Nichiren Daishonin può essere vista come un metodo per coltivare la comprensione della vacuità e realizzare la Via di Mezzo. Attraverso questa pratica, sviluppiamo una visione che integra le esperienze mondane con la saggezza ultima, riconosciamo realtà della vita e illuminazione come interconnesse e interdipendenti, e vediamo entrambe come manifestazioni della stessa realtà vacua.
A tal proposito, vale la pena di notare che Nichiren Daishonin abbraccia il principio del "mutuo possesso dei Dieci Mondi", secondo cui il "mondo di inferno" contiene anche il "mondo di Buddità" e il "mondo di Buddità" contiene anche il "mondo di inferno". Sofferenza estrema ed illuminazione del Budda si includono quindi a vicenda.
Nascita e morte come nirvana → L'insegnamento di Nichiren che "le sofferenze di nascita e morte sono nirvana" riflette l'idea di Nagarjuna che non c'è una separazione essenziale tra samsara (il ciclo delle rinascite) e nirvana (la liberazione dal ciclo delle rinascite). Entrambi sono vacui di esistenza intrinseca.
Inoltre, Nichiren Daishonin ci fa notare che la vita "non viene né generata né distrutta". Sebbene non esista un'anima stabile, c'è una continuità della vita. Questo può essere paragonato a una fiamma che passa da una candela all'altra. La fiamma non è la stessa, ma è un continuum. Allo stesso modo, la vita continua attraverso cicli di nascita e morte, ma senza un'entità immutabile che persista.
L'insegnamento che la vita non ha un inizio né una fine assoluti sottolinea la natura interconnessa, impermanente e in continua trasformazione della vita. Questo punto di vista enfatizza la pratica e la realizzazione della saggezza per comprendere e vivere in armonia con la vera natura della realtà.
Purificazione attraverso la comprensione → La citazione dal Sutra di Virtù Universale e altre affermazioni simili nei testi di Nichiren sottolineano che non è necessario eliminare le illusioni e i desideri, ma comprenderne la vera natura. Questo è in linea con l'insegnamento della vacuità di Nagarjuna, dove la comprensione della vera natura delle cose conduce alla liberazione.
Nichiren e Nagarjuna insegnano entrambi che non bisogna respingere le esperienze mondane, ma comprenderle e trasformarle. La Via di Mezzo evita l'estremo della negazione della realtà mondana, mentre gli insegnamenti di Nichiren enfatizzano l'uso delle esperienze quotidiane come mezzo per raggiungere l'illuminazione.
Il principio che "l'ignoranza e la polvere dei desideri sono illuminazione" indica che le stesse cause di sofferenza e desiderio possono essere trasformate in saggezza. La polvere dei desideri non è qualcosa da evitare, ma da purificare attraverso la pratica e la comprensione.
Vantaggi del "non aggrapparsi" alle idee
La Via di Mezzo ci insegna a mantenere una mente aperta e flessibile. In pratica, questo significa:
Accettare la fluidità delle idee → Le nostre convinzioni possono evolvere con nuove esperienze e informazioni. Riconoscere questo ci libera dal dogmatismo e ci permette di adattarci meglio alle circostanze mutevoli.
Essere aperti al dialogo → Ascoltare le opinioni degli altri senza pregiudizi arricchisce il nostro punto di vista e ci aiuta a trovare soluzioni più equilibrate nei conflitti.
Essere adattabili → Affrontando cambiamenti o situazioni inaspettate, possiamo reagire in modo più calmo e ponderato, senza sentirci minacciati o destabilizzati.
Evitare il conflitto → Molti conflitti nascono dall'attaccamento a idee fisse. Se impariamo a non identificarci troppo con le nostre opinioni, possiamo risolvere i conflitti in modo più pacifico.
Esaminare le idee → Abituarci a esaminare criticamente le nostre credenze e opinioni, con la disposizione a cambiare idea quando le prove ci mostrano che siamo in errore.
Sperimentare la libertà mentale → Liberarci dall'attaccamento alle idee ci offre una grande libertà mentale. Possiamo esplorare nuove possibilità e approcci senza sentirci limitati dalle vecchie credenze.
Il distacco dalle idee non significa distacco dall'umanità o dal benessere degli altri. Al contrario, liberarci dall'attaccamento alle idee favorisce la compassione (karuna) e la non violenza (ahimsa):
Coltivare la compassione → Liberarci dall'attaccamento alle nostre idee ci permette di vedere e comprendere meglio le sofferenze degli altri. Possiamo rispondere con maggiore empatia e gentilezza, promuovendo il benessere altrui senza essere limitati da pregiudizi o credenze rigide.
Praticare la non violenza → Senza l'attaccamento alle idee, siamo meno inclini a entrare in conflitto con gli altri. La non violenza diventa un modo naturale di interagire con il mondo, poiché comprendiamo la vacuità delle posizioni assolute e vediamo il valore dell'armonia e della pace.
La combinazione di consapevolezza, compassione e non violenza ci permette di vivere in modo più completo e autentico, contribuendo positivamente al mondo che ci circonda.
Differenza tra idee e fede
Sia nella tradizione di Nagarjuna che nel Buddismo di Nichiren Daishonin, la "fede" è vista come "fiducia" negli insegnamenti buddisti, che deve essere accompagnata dalla pratica e dalla comprensione. Non è un atto di sottomissione cieca, ma un processo attivo e consapevole di esplorazione e trasformazione personale.
Nagarjuna utilizza la critica delle costruzioni concettuali per dimostrare che tutte le teorie e le visioni del mondo sono, in ultima analisi, vuote di essenza. Questo approccio rifiuta qualsiasi forma di dogmatismo, poiché ogni concetto è soggetto a decostruzione e analisi critica.
Anche Nichiren Daishonin rifiuta un'accettazione passiva di dogmi. Nichiren incoraggia i suoi seguaci a studiare profondamente gli insegnamenti in modo critico. Questa enfasi sullo studio e sul fare domande contrasta con il dogmatismo, poiché i praticanti sono invitati a comprendere, a interiorizzare e a "vivere" gli insegnamenti piuttosto che ad accettarli ciecamente.
L'insegnamento sia di Nagarjuna che di Nichiren Daishonin implica un invito a non avere "risposte pronte" su nessuna questione, promuovendo invece un approccio dinamico e investigativo alla comprensione della realtà e degli insegnamenti buddisti. La fede (cioè la fiducia) e la comprensione crescono attraverso l'esperienza e la pratica, piuttosto che attraverso l'adozione di risposte preconfezionate.
(27 luglio 2024)
I principi del buon governo (secondo Confucio)
La tradizione confuciana stabilisce una serie di principi fondamentali per il buon governo. Questi principi sono stati elaborati nel contesto della Cina antica:
1. Ren (Benevolenza o Umanità)
Ren è il principio centrale della filosofia confuciana e rappresenta l'ideale di umanità e benevolenza. Confucio insegnava che il Ren si manifestava attraverso il rispetto, la compassione e la gentilezza verso gli altri. Un governante dotato di Ren deve trattare il popolo con empatia, riconoscendo i bisogni e sofferenze delle persone comuni, e agendo sempre per il loro benessere. Questo principio suggerisce che il potere deve essere esercitato con amore e cura per creare una società armoniosa.
Un leader che pratica Ren ispira fiducia e lealtà tra il popolo. La benevolenza crea un ambiente in cui le persone si sentono sicure e rispettate, promuovendo così la stabilità e la coesione sociale. Confucio credeva che il Ren dovesse essere alla base di ogni azione governativa, poiché solo attraverso l'amore e la compassione un governante può guadagnarsi il rispetto e la devozione dei suoi sudditi, garantendo un governo duraturo e giusto.
2. Li (Riti o Protocolli)
Li rappresenta l'importanza dei riti, delle tradizioni e delle norme sociali. Confucio riteneva che il rispetto per i riti fosse essenziale per mantenere l'ordine e la stabilità sociale. I riti non solo regolano le interazioni tra gli individui, ma rafforzano anche la struttura sociale, stabilendo ruoli e aspettative chiare. Un governante che rispetta i Li dimostra rispetto per la cultura e le tradizioni del suo popolo, consolidando così la sua autorità morale.
Il rispetto per i Li contribuisce a creare un senso di continuità e identità collettiva. In una società dove i riti sono rispettati, c'è una maggiore coesione e armonia, poiché le persone condividono valori e pratiche comuni. Questo principio suggerisce che il governo deve promuovere e preservare le tradizioni culturali per mantenere l'unità e la stabilità, dimostrando al contempo rispetto per il passato e impegno per il futuro.
3. Yi (Giustizia o Rettitudine)
Yi, che significa giustizia o rettitudine, è un altro principio cardine del pensiero confuciano. Confucio sosteneva che un buon governante dovesse agire sempre con rettitudine, prendendo decisioni basate su ciò che è moralmente giusto piuttosto che su interessi personali o vantaggi politici. Questo principio richiede che il governante abbia una forte bussola morale e sia impegnato nella ricerca della verità e dell'equità.
Agire con Yi significa anche opporsi alla corruzione e all'ingiustizia. Un governante giusto deve essere disposto a punire i malfattori e a premiare i meritevoli, mantenendo così un equilibrio nella società. La giustizia promuove la fiducia tra i cittadini e il governo, poiché le persone sanno che le loro preoccupazioni e i loro diritti saranno rispettati e protetti. Questo principio è fondamentale per mantenere l'ordine sociale e la pace, assicurando che tutti siano trattati equamente sotto la legge.
4. Zhi (Saggezza o Conoscenza)
Zhi rappresenta la saggezza e la conoscenza, qualità essenziali per un buon governante. Confucio credeva che solo attraverso la conoscenza e la comprensione un leader potesse prendere decisioni informate e ponderate. La saggezza implica non solo l'acquisizione di informazioni, ma anche la capacità di applicarle in modo giudizioso e morale. Un governante saggio è in grado di anticipare le conseguenze delle sue azioni e di guidare il suo popolo verso il benessere.
La saggezza richiede anche apertura mentale e volontà di apprendere continuamente. Un leader deve essere disposto a ricevere consigli e critiche, a riflettere sulle proprie decisioni e a correggere eventuali errori. Questo atteggiamento promuove un governo basato sulla ragione e sull'equità, piuttosto che sull'arbitrio e sull'ignoranza. La saggezza è quindi cruciale per il buon governo, poiché permette di affrontare le sfide con discernimento e competenza.
5. Xin (Fedeltà o Sincerità)
Xin, che significa fedeltà o sincerità, è fondamentale per stabilire la fiducia tra il governante e il popolo. Confucio insegnava che un leader deve essere onesto e mantenere le sue promesse, poiché la fiducia è la base di qualsiasi relazione solida. Un governante sincero agisce con integrità, evitando l'inganno e la manipolazione. La sincerità crea un clima di trasparenza e affidabilità, essenziale per un governo efficace.
La fedeltà implica anche lealtà verso i principi morali e verso il popolo. Un governante fedele non deve mai tradire la fiducia dei suoi sudditi, ma lavorare incessantemente per il loro bene. La sincerità e la fedeltà rafforzano il legame tra il governo e i cittadini, promuovendo un senso di comunità e cooperazione. In un governo dove prevale la sincerità, il popolo è più incline a sostenere e rispettare le autorità, sapendo che le loro intenzioni sono genuine e orientate al bene comune.
6. Xiao (Pietà Filiale)
Xiao, o pietà filiale, sottolinea l'importanza del rispetto per i genitori e gli antenati, che si estende anche alle autorità e agli anziani. Confucio riteneva che il rispetto per la famiglia fosse il fondamento di una società armoniosa. La pietà filiale implica onorare e prendersi cura dei propri genitori, mostrando gratitudine e obbedienza. Questo rispetto per la famiglia si riflette nel rispetto per i governanti, creando un parallelo tra l'ordine familiare e l'ordine sociale.
La pietà filiale promuove la lealtà e il senso del dovere, valori essenziali per una società stabile. Un governante che pratica Xiao dimostra rispetto per le tradizioni e gli anziani, guadagnandosi così la lealtà e il rispetto del popolo. Questo principio suggerisce che il buon governo inizia dalla famiglia e si estende alla società, promuovendo un comportamento etico e rispettoso a tutti i livelli. Xiao contribuisce quindi a creare un ambiente di fiducia e cooperazione, essenziale per un buon governo.
7. De (Virtù o Morale)
De rappresenta la virtù personale e la moralità del governante. Confucio credeva che la virtù fosse fondamentale per ispirare e guidare il popolo. Un leader virtuoso agisce come un modello di comportamento etico, promuovendo la giustizia e l'armonia attraverso il suo esempio. La virtù è vista come la base del potere legittimo: un governante deve guadagnarsi il rispetto e la lealtà del popolo attraverso le sue azioni morali.
Un governante virtuoso è capace di influenzare positivamente il comportamento dei suoi sudditi. Quando il leader agisce con integrità e compassione, il popolo è incoraggiato a seguire il suo esempio, creando una società più giusta e armoniosa. La virtù personale del governante è quindi essenziale per il buon governo, poiché promuove un ambiente di fiducia e rispetto reciproco. Confucio sosteneva che la virtù dovesse essere coltivata attraverso la riflessione e l'educazione, rendendola un elemento centrale del buon governo.
8. Zhengming (Rettificazione dei Nomi)
Zhengming, o la rettificazione dei nomi, è il principio secondo cui ogni individuo deve comportarsi in accordo con il proprio ruolo e titolo. Confucio sosteneva che l'ordine sociale dipendesse dal fatto che tutti svolgessero correttamente i propri compiti e rispettassero le proprie responsabilità. Un re deve comportarsi come un re, un suddito come un suddito, e così via. Questo principio sottolinea l'importanza di adempiere ai propri doveri e di mantenere la coerenza tra parola e azione.
La rettificazione dei nomi promuove la chiarezza e la stabilità sociale. Quando i ruoli e le responsabilità sono chiaramente definiti e rispettati, c'è meno spazio per l'ambiguità e il disordine. Zhengming richiede che i governanti e i cittadini rispettino le loro posizioni e agiscano con integrità, assicurando che la società funzioni in modo armonioso e giusto. Questo principio è essenziale per mantenere la coerenza e la legittimità all'interno del governo, creando un sistema dove l'autorità è esercitata in modo appropriato e responsabile.
Confucio credeva fermamente che un governo retto e morale fosse fondamentale per il benessere della società. La sua visione di buon governo si basa su un'etica personale e sociale che incoraggia i governanti a essere modelli di virtù per il popolo. Attraverso l'adozione di questi principi, i governanti possono creare una società giusta, stabile e armoniosa, dove il rispetto, la giustizia e la saggezza prevalgono.
Ad ogni modo, è evidente che una società così non è mai esistita e che la corruzione morale è insita in ogni livello delle società passate e presenti. Le nostre società si reggono su una legge spietata, inventata da uomini senza morale, senza cuore, senza anima. Anzi, sempre più spesso la legge è sostituita dal libero arbitrio di chi può permettersi di imporre la propria volontà.
I nostri "sovrani", cioè i gruppi di comando basati sulla finanza, sulle armi, sui colossi farmaceutici, sulle Big Tech e su altre organizzazioni criminali che detengono potere basato sulla forza del denaro, fanno ciò che vogliono con l'uso della violenza, legalizzata o non che sia. Nessun popolo è mai stato governato e moralmente guidato dalla virtù dei sovrani. Le democrazie si basano sulla corruzione, sui ricatti incrociati, sull'inganno e sulla perdizione.
Però tutto è impermanente, tutto è destinato a cambiare, il che ci dà la possibilità di cambiare direzione.
(22 luglio 2024)