Il potere occulto, tra sogni apocalittici e la manipolazione delle masse
In questo blog abbiamo recentemente analizzato l’attuale estremismo fascista e nazista e le conseguenze violente e il degrado che ne derivano. Abbiamo visto come nel 2024 i “lager” esistono ancora. E abbiamo anche ragionato con distacco e atteggiamento propositivo sulla deriva dissacrante e sfacciata delle Olimpiadi 2024, riflettendo sulla metacomunicazione del potere e su come superare le logiche divisive. Eppure, manca una chiave interpretativa di tutta questa follia.
Le ideologie che dominano l'operato di certi gruppi di potere sembrano essere guidate da una logica irrazionale, ben diversa dalla mera ricerca di profitto. Queste élite, infatti, non sono mosse da interessi economici tradizionali, poiché possiedono già la capacità di generare denaro a piacimento. Invece, ciò che le guida sono visioni e ideologie estremamente fanatiche e distopiche, che spesso sfuggono alla comprensione dei popoli, abituati a pensare in termini esclusivamente materiali. Si tratta di visioni del mondo che negano i fondamenti stessi della vita così come conosciuta da noi persone comuni e, forse, destinate a schiantarsi tragicamente con il contatto con la realtà. Le grandi potenze nucleari si fanno portatrici di ideologie tra loro irriducibili, che non accettano compromessi. Sono visioni del futuro dell'umanità che si escludono a vicenda.
Questi gruppi di potere sembrano essere animati da una visione messianica o transumanista, che li spinge a perseguire obiettivi che vanno ben oltre l'accumulazione di ricchezze. Si considerano quasi divinità in terra, determinate a plasmare il mondo secondo le loro utopie (o distopie, a seconda del punto di vista), anche a costo di sacrifici enormi e catastrofici. Questa visione del potere si distanzia dalle ideologie più razionali e lineari del passato, come il comunismo o il capitalismo, che avevano obiettivi chiari e comprensibili.
Oggi, il mondo è nelle mani di élite che sognano nuovi mondi, transumani e apocalittici, e che sono disposte a tutto pur di realizzare questi sogni, anche uno scontro totale e finale. Questi progetti, per quanto possano sembrare folli o insensati, sono presi molto sul serio da coloro che detengono il potere. In questo contesto, non c'è più spazio per il dialogo tra i vari blocchi di potere. Le azioni di queste élite, viste come una frenetica corsa verso una distopia, non sono solo dettate da necessità strategiche, ma anche da una volontà accelerata di realizzare il loro mondo ideale.
Questa accelerazione si manifesta non solo nel contesto geopolitico, ma in tutti gli aspetti della società, evidenziando una perdita della gradualità e della prudenza che caratterizzavano le manipolazioni del passato. La spinta verso un nuovo ordine mondiale è accompagnata da una volontà di imporre questo modello con forza, senza preoccuparsi delle reazioni negative, sia all'interno del mondo occidentale sia altrove.
Tuttavia, se consideriamo che i sogni e le ambizioni quasi mistiche di queste élite potrebbero non essere solo di origine umana, si apre una prospettiva inquietante. Ogni specie vivente ha processi cognitivi propri, che possono essere molto diversi da quelli tipicamente umani. Se immaginassimo queste élite al comando come preda di adduzioni, cioè influenzate da menti aliene, allora tutta questa follia apocalittica troverebbe un fondamento che va sensatamente oltre i normali canoni interpretativi della realtà. Questa interpretazione potrebbe spiegare l’apparente irrazionalità di un potere che sembra spinto verso un destino catastrofico, con una determinazione che sfida ogni logica umana.
Ciascuno di noi non può nulla contro tutto ciò se non domare la propria mente, vincere sull’innata tendenza a schierarsi e a entrare in logiche divisive di odio e di guerra. Quello che possiamo fare è rimanere con la nostra coscienza, senza seguire quella di qualcun altro. Uno sforzo importante è anche quello di cercare di comprendere senza polemiche. L’abitudine alla polemica è l’abitudine a voler distruggere le idee degli altri e le persone stesse che hanno tali idee. È meglio non provarci neanche, perché questo atteggiamento non c’entra nulla né con la conoscenza né con la ricerca della verità.
(12 agosto 2024)
(Russia vs USA, go to my art gallery)
Saranno le lacrime delle madri a salvare il mondo dal nazismo?
In un mondo segnato da conflitti incessanti e dal fragore delle bombe, emergono storie di sofferenza umana che scuotono le coscienze, richiamando l'attenzione su un'umanità che sembra aver smarrito la sua essenza più profonda. Nel contesto delle ostilità a Gaza tra ottobre 2023 e giugno 2024, il rapporto delle Nazioni Unite "Detention in the context of the escalation of hostilities in Gaza", pubblicato il 31 luglio 2024, getta luce su una realtà di inaudita crudeltà e violenza, una realtà che ci obbliga a guardare in faccia il dolore e la disperazione di coloro che sono stati privati di ogni dignità.
Il rapporto dell’ONU racconta di migliaia di palestinesi arrestati dalle forze di sicurezza israeliane, detenuti in condizioni inumane e sottoposti a torture che evocano i peggiori orrori del passato. Le testimonianze raccolte sono la voce di chi ha subito l'impensabile, di chi è sopravvissuto per raccontare una storia che altrimenti sarebbe stata sepolta sotto il peso dell'indifferenza.
Uno degli episodi più emblematici riguarda Ketziot, una prigione nel deserto del Negev, dove i detenuti palestinesi sono stati sistematicamente umiliati e torturati. Secondo il rapporto, la pratica quotidiana della violenza fisica era talmente diffusa che si era trasformata in una routine. Le guardie della Keter, un’unità antisommossa, obbligavano i prigionieri a restare in piedi contro un muro durante i controlli giornalieri, picchiandoli con bastoni fino a quando crollavano a terra. È in questo contesto che un detenuto ha perso la vita, un evento così tragico da costringere le autorità a sospendere temporaneamente queste pratiche, anche se solo per breve tempo.
Ma la brutalità non si è fermata qui. I racconti di ex prigionieri parlano di umiliazioni che vanno oltre la violenza fisica. Un uomo, detenuto insieme a suo figlio, ha raccontato di essere stato costretto a bere alcol puro quando ha chiesto dell'acqua per prendere le sue medicine. “Volevano distruggermi psicologicamente”, ha detto, ricordando il dolore di vedere suo figlio subire lo stesso trattamento. La crudeltà non conosce limiti quando si tratta di spezzare la volontà e il cuore di un uomo.
Le condizioni di detenzione, già di per sé disumane, erano ulteriormente aggravate dalla privazione di cibo, acqua e cure mediche. I palestinesi intervistati dall'ONU hanno perso dai 25 ai 55 kg durante la detenzione, e altri sono morti per denutrizione. I detenuti erano costretti a dormire su pavimenti freddi e sporchi, in celle sovraffollate dove la sofferenza era palpabile nell'aria. Un giovane detenuto, affetto dalla nascita da una grave malattia intestinale, è morto perché gli è stata negata la dieta speciale necessaria per la sua sopravvivenza. Il suo corpo è stato restituito alla sua famiglia, ma la sua anima era già stata spezzata molto prima dalla negligenza deliberata dei suoi carcerieri.
Il rapporto ONU rivela inoltre che almeno 53 detenuti palestinesi sono morti sotto custodia israeliana, spesso in circostanze che suggeriscono torture e abusi gravi. Tra questi c’è il caso del dottor Adnan Ahmad Ateya Al Bursh, un rispettato medico di Gaza, arrestato mentre svolgeva il suo lavoro all'interno di un ospedale. Al Bursh è morto in una prigione israeliana nell'aprile 2024, e le circostanze della sua morte sono tuttora avvolte nel mistero. Testimonianze raccolte dai suoi compagni di prigionia suggeriscono che sia stato sottoposto a torture, una fine ingiusta e crudele per un uomo che aveva dedicato la sua vita a salvare gli altri.
Questi non sono casi isolati, ma parte di un quadro più ampio di brutalità sistematica. Un altro detenuto, Thair Abu Assab, è morto nel novembre 2023 dopo essere stato brutalmente picchiato dalle guardie della prigione di Ketziot. Lasciato senza cure mediche per ore, il suo destino era già segnato. Questi atti di violenza gratuita, documentati anche da testimoni oculari e dalle stesse organizzazioni per i diritti umani israeliane, dimostrano quanto l’odio e la disumanizzazione abbiano preso il sopravvento.
L'uso della tortura non si è limitato al semplice infliggere dolore fisico. La violenza sessuale e la degradazione sono stati strumenti di umiliazione e controllo. Numerose testimonianze raccolte dall’ONU descrivono detenuti costretti a spogliarsi nudi e a subire percosse mentre erano legati e indifesi. Uomini e donne sono stati torturati con elettroshock sui genitali e l'ano, mentre altri sono stati costretti a restare nudi in celle gelide per giorni interi, sotto la minaccia costante di ulteriori violenze. Una delle testimonianze più sconvolgenti riguarda un uomo che è stato filmato mentre un pezzo di verdura veniva inserito nel suo ano, mentre era ammanettato nudo dietro la schiena con altri prigionieri nelle stesse condizioni, costretti ad ammassarsi l'uno sull'altro. E' stata una pratica di umiliazione che ha lasciato segni indelebili non solo sul corpo, ma anche nell'anima.
Le violenze, comprese quelle a sfondo sessuale, sono state perpetrate da soldati sia uomini che donne. Numerosi sono i casi di percosse severe, elettroshock, posizioni di stress prolungate e waterboarding. Quest'ultimo, che potremmo tradurlo come "annegamento simulato", è una forma di tortura con l'acqua che provoca una sensazione così intensa di soffocamento, annegamento e panico che la vittima crede di morire.
Le madri di questi uomini, donne e bambini versano lacrime che non conoscono conforto. Lacrime che, forse, possono ancora smuovere le coscienze del mondo. Sono lacrime che raccontano storie di sofferenza, di speranza spezzata, di vite strappate troppo presto. Ma sono anche lacrime che ci ricordano cosa significa essere umani.
Di fronte a tutto ciò, la polemica su chi abbia ragione o torto in una specifica guerra, o in un’altra, è un esercizio inutile, sterile, controproducente. Stesso discorso sulle elucubrazioni su quali siano le violenze "legittime" e quali no. Il nazismo del secolo scorso non c’è più, ma quello odierno, sia in questa che in altre parti di mondo, è il tumore di tante anime smarrite e possedute. La cattiveria e la bontà non hanno nazionalità. Ogni ragionamento di superiorità o inferiorità tra gli esseri viventi tale da condurre alcuni a sentirsi "eletti" rispetto ad altri è lo schema del nazismo che si ripete di epoca in epoca, pur cambiando sembianza.
[...] se la mente degli esseri viventi è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra; non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente. [...]
tratto da: Il conseguimento della Buddità in questa esistenza
Mentre il mondo osserva, spesso in silenzio, queste atrocità, ci chiediamo se ci sia ancora spazio per la speranza. In un’epoca in cui la disumanità sembra prevalere, è possibile che proprio le lacrime delle madri possano essere la chiave per ritrovare la nostra umanità perduta? Forse, queste lacrime sono l'ultimo baluardo contro il cinismo e l'indifferenza. Sono il segno che, nonostante tutto, esiste ancora un filo sottile che ci lega gli uni agli altri, un filo fatto di empatia, di compassione, di dolore condiviso.
In un mondo che sembra aver dimenticato cosa significa essere umani, le lacrime delle madri potrebbero essere l’unico antidoto alla barbarie che ci circonda. Finché ci saranno madri che piangono, finché ci saranno occhi che vedono e cuori che sentono, ci sarà ancora speranza per il nostro mondo. Perché in quelle lacrime risiede la forza di cambiare, di guarire, di redimersi. Saranno le lacrime delle madri, e non le armi, a poter salvare il mondo. E finché piangeremo per questi orrori, ci sarà speranza. Perché in quel pianto si cela l’umanità che ancora può salvarci.
(11 agosto 2024)
Quando l’inclusività esclude, come superiamo le logiche divisive?
È ormai ampiamente noto il fervente dibattito che ha inondato il web e i social media riguardo alle Olimpiadi del 2024. Le critiche all’organizzazione e all’ideologia sottostante sono state numerose e spesso intrise di polemiche e tensioni. Potrei approfondire queste discussioni, talvolta avvelenate dall’odio, ma non lo farò. Tutto ciò che di negativo poteva essere detto è già stato espresso. Preferisco invece astenermi dalle polemiche specifiche e offrire una riflessione più ampia, guardando la questione da una prospettiva più metacomunicativa.
Invito i miei (pochi) lettori a rasserenarsi prima di proseguire. Mettiamo da parte tutto ciò che può averci turbato e di cui i social continuano a parlare. Mettiamo da parte le nostre idee, e andiamo oltre, altrimenti rimarremo impigliati in una ragnatela mortale. Ricordiamoci che i social alimentano le divisioni e le ideologie estreme, e che ci fanno vedere nemici anche dove non ci sono. Stesso discorso per i giornali e la televisione.
Ciò premesso, le Olimpiadi del 2024 ci offrono uno spunto per analizzare la complessità delle dinamiche sociali e psicologiche che possono derivare da una narrazione pubblica mal calibrata. Quando parliamo di inclusività, ci riferiamo all'idea di abbracciare e valorizzare la diversità, creando un ambiente in cui tutte le persone si sentano accettate e rappresentate. Tuttavia, se la comunicazione che accompagna questi sforzi è gestita male, il risultato può essere esattamente opposto, generando divisione e alienazione sociale.
Il paradosso dell'inclusività
Uno dei paradossi più significativi emersi da eventi come le Olimpiadi è la contraddizione tra il messaggio dichiarato di inclusività e gli effetti reali di tale messaggio. L’intento di creare un ambiente inclusivo e accogliente per tutti, attraverso simboli, rappresentazioni o dichiarazioni di principio, può involontariamente escludere o offendere segmenti della popolazione che non si riconoscono in quella narrazione. Questo fenomeno non è solo una questione di comunicazione fallita, ma rappresenta una sorta di “follia cognitiva” in cui dichiariamo di voler ottenere un certo effetto (inclusione), ma otteniamo l’effetto contrario (esclusione).
Questo paradosso è alimentato da una tensione tra l'intenzione dei comunicatori scelti dalle istituzioni o da società o enti di grande rilevanza e la percezione del pubblico. In un contesto sociale frammentato e diversificato, è inevitabile che non tutti condividano gli stessi valori, simboli e narrazioni. Quando un evento globale si propone di rappresentare valori universali, c’è il rischio che quei valori, per quanto ben intenzionati, non riescano a risuonare con tutti. In questi casi, coloro che si sentono esclusi dalla rappresentazione possono percepire il messaggio come imposto, provocando reazioni di resistenza, rabbia, offesa, sdegno o alienazione sociale.
La soggettività dell’offesa e l'incoerenza sociale
Il concetto di soggettività dell’offesa gioca un ruolo centrale in questo scenario. Nella società moderna, abbiamo sviluppato un crescente interesse verso il riconoscimento delle percezioni individuali. Secondo questa logica, ciò che conta non è l'intenzione di chi comunica, ma la percezione di chi riceve il messaggio. Se qualcuno si sente offeso o escluso, quella sensazione è legittima a prescindere dall’intenzione iniziale. Ciò è in linea con la saggezza dei principi della Programmazione Neuro Linguistica (PNL):
LA MAPPA NON È IL TERRITORIO
1. Le persone agiscono in funzione della propria percezione della realtà.
2. Ogni persona ha una propria mappa del mondo. Nessuna mappa del mondo è più ‘reale’ o ‘vera’ di altre.
3. Il significato della propria comunicazione è nella risposta che si riceve, indipendentemente dall’intenzione di chi comunica.
4. Le mappe più ‘sagge’ e più ‘compassionevoli’ non sono quelle più ‘reali’ o più ‘accurate’, ma quelle che mettono a disposizione il più ampio ed il più ricco numero di scelte.
5. Le persone possiedono (o hanno potenzialmente) tutte le risorse necessarie per agire in modo efficace.
6. Le persone operano le migliori scelte possibili fra le possibilità che vengono loro date e le capacità che percepiscono disponibili dal loro modello del mondo. Qualsiasi comportamento, non importa quanto malvagio, pazzo o bizzarro sia, è la scelta migliore a disposizione della persona in quel momento – se alla persona viene data la possibilità di una scelta più appropriata (nel contesto del suo modello del mondo) essa sarà propensa ad usarla.
7. Il cambiamento avviene quando si libera una risorsa appropriata per il contesto che si sta vivendo, o quando si attiva una potenziale risorsa, all’interno di un contesto particolare. In entrambi i casi la mappa del mondo di una persona si arricchisce.
tratto da: I presupposti della PNL
Ciò è in netto contrasto con l'idea diffusa che ciascuno sia responsabile di ciò che dice e che fa, e non di ciò che viene compreso dagli altri delle proprie parole o azioni. Lascio che ciascuno di noi rifletta su questo contrasto, usando gli accadimenti delle Olimpiadi 2024 come caso di studio.
Inoltre, c'è un ulteriore incoerenza o contrasto. L'approccio di legittimare completamente la soggettività e le esperienze individuali può portare a incoerenze quando applicato in modo selettivo. Se da un lato difendiamo la sensibilità di gruppi specifici, dall'altro possiamo ignorare o minimizzare la legittimità delle reazioni di coloro che si sentono esclusi o offesi dalle stesse manifestazioni che dichiarano di promuovere l'inclusività. Dovremmo quindi stare molto attenti.
Il ruolo della metacomunicazione
La metacomunicazione, ovvero il messaggio che va oltre il contenuto esplicito della comunicazione, gioca un ruolo cruciale in queste dinamiche. La metacomunicazione riguarda il “come” qualcosa viene comunicato e quale impatto sociale e psicologico questo ha su chi lo riceve. Nel caso delle Olimpiadi 2024, la metacomunicazione ha creato una significativa divisione a livello globale. Il modo in cui l’inclusività è stata rappresentata, invece di unire, ha finito per polarizzare l’opinione pubblica. Questo avviene perché la metacomunicazione spesso opera a un livello subconscio, attivando reazioni emotive che possono essere in conflitto con l’intenzione dichiarata del messaggio.
La polarizzazione è amplificata dalla natura moderna dei media e della comunicazione, dove le narrazioni vengono rapidamente amplificate e frammentate attraverso i social media e le piattaforme digitali. In questo ambiente, qualsiasi messaggio, anche quello più benigno, può essere interpretato e reinterpretato in mille modi diversi, a seconda delle esperienze e delle convinzioni personali degli individui.
Inclusività come strumento di esclusione
Questo processo ci porta a riflettere sul fatto che l’inclusività, quando applicata in modo non critico, può trasformarsi in uno strumento di esclusione. Un messaggio che si propone di includere tutti può diventare escludente se non tiene conto delle varie sfumature culturali, sociali e individuali delle persone a cui si rivolge. Questo fenomeno è indicativo di una più ampia tendenza nella società contemporanea: l’imposizione di un pensiero unico sotto il pretesto dell’inclusività. Tale imposizione può alienare socialmente coloro che non si riconoscono in essa, portando a un aumento della divisione sociale.
Suggerimenti per superare le logiche divisive nella comunicazione pubblica
Per affrontare e superare queste dinamiche divisive, dobbiamo agire su due livelli: promuovere politiche pubbliche più inclusive e critiche, e lavorare a livello individuale e psico-relazionale. Mentre il cambiamento nelle politiche mediatiche e pubbliche potrebbe richiedere tempo e, nel breve periodo, continuare a proseguire sul binario morto dell'inclusività escludente, ciascuno di noi può intraprendere azioni concrete per contribuire a un ambiente sociale più armonioso.
Cominciamo a tracciare il "possibile" cambiamento di direzione della comunicazione pubblica. Quando dico "possibile", intendo che è realmente possibile, perché tutto ciò che esiste è in continuo cambiamento. Se invece non lo riteniamo "possibile", allora non abbiamo comprenso la legge dell'impermanenza (anitya). La storia è fatta di continui cambiamenti, anche improvvisi e imprevedibili.
1. Riconoscere la complessità del pubblico
Riconosciamo che il pubblico non è un blocco monolitico, ma una moltitudine di individui con esperienze, valori e percezioni differenti. Ogni iniziativa che punta all'inclusività dovrebbe partire dall’ascolto delle diverse voci presenti nella società, senza presupporre che un solo messaggio possa andare bene per tutti. Dovremmo sempre ricordarci che le opinioni contrastanti sono comunque legittime, e che non esiste "una" verità, ma "tante" verità che si completano a vicenda nella loro interdipendenza e contrapposizione.
2. Promuovere una comunicazione autentica e aperta
Cerchiamo di promuovere un dialogo aperto e autentico, in cui tutte le voci possano essere ascoltate. Questo include il riconoscimento delle critiche e delle preoccupazioni di coloro che si sentono esclusi, cercando di integrare queste prospettive nella narrazione complessiva.
3. Valorizzare la pluralità di opinioni
Valorizziamo la pluralità di opinioni, vedendola come una risorsa e non una minaccia. Un ambiente davvero inclusivo è quello in cui tutte le opinioni possono coesistere, anche quelle che sono in disaccordo con la narrazione dominante. Questa pluralità dovrebbe essere coltivata e rispettata.
4. Evitare la polarizzazione mediatica
Contrastiamo attivamente la tendenza alla polarizzazione amplificata dai media. Le piattaforme digitali e i media tradizionali hanno il potere di amplificare le divisioni, quindi promuoviamo contenuti che incoraggino la comprensione reciproca piuttosto che la conflittualità.
5. Educare alla comprensione e alla riflessione critica
Promuoviamo un'educazione alla comprensione reciproca e alla riflessione critica, preparando le nuove generazioni a gestire la complessità delle dinamiche sociali. Dobbiamo incoraggiare le persone a comprendere non solo i propri sentimenti, ma anche quelli degli altri, sviluppando la capacità di vedere le cose da diverse prospettive.
Azioni a livello individuale e psico-relazionale
Mentre lavoriamo per un cambiamento nelle politiche pubbliche e nella comunicazione collettiva, possiamo anche agire a livello individuale per contrastare le logiche divisive e promuovere relazioni più sane e inclusive. Ecco alcuni suggerimenti pratici:
1. Coltivare la consapevolezza di sé
Iniziamo con la consapevolezza di sé, che è la base di qualsiasi cambiamento personale. Riflettiamo su come reagiamo ai messaggi di inclusività ed esclusività che riceviamo dai media e dalla società. Chiediamoci se le nostre reazioni sono basate su paure, pregiudizi o esperienze passate, e lavoriamo per comprendere le radici di queste emozioni. La pratica della riflessione su noi stessi può aiutarci a riconoscere le nostre tendenze e a rispondere in modo più equilibrato.
2. Praticare l'empatia attiva
L’empatia non è solo una qualità innata, ma è anche una competenza che possiamo coltivare attraverso la pratica attiva. Cerchiamo di metterci nei panni degli altri, soprattutto di coloro con cui non siamo d'accordo. Ascoltiamo attentamente le loro esperienze e opinioni, cercando di capire da dove provengono. Questa pratica ci aiuta a ridurre la polarizzazione nelle nostre interazioni quotidiane e a creare connessioni più profonde e significative.
3. Costruire la capacità di gestire le emozioni
Nel mondo moderno, siamo costantemente esposti a messaggi contrastanti e potenzialmente divisivi. Costruiamo la nostra capacità di gestire le emozioni imparando a non reagire impulsivamente a tutto ciò che vediamo o sentiamo. Possiamo sviluppare questa capacità attraverso attività come la meditazione, l'esercizio fisico regolare e il mantenimento di relazioni sane. Essere emotivamente stabili ci permette di mantenere la calma e la chiarezza di pensiero anche di fronte a situazioni polarizzanti.
4. Sviluppare una mentalità aperta
Una mentalità aperta ci permette di accogliere la diversità di pensiero senza sentirci minacciati. Invece di cercare conferme alle nostre convinzioni, pratichiamo l'apertura verso nuove idee e prospettive. Possiamo farlo leggendo libri e articoli di autori che hanno opinioni diverse dalle nostre, partecipando a discussioni con persone di diverso background e mantenendo una curiosità attiva verso il mondo che ci circonda.
5. Promuovere la comunicazione non violenta
La comunicazione non violenta (CNV) è un metodo che ci aiuta a esprimere le nostre esigenze e sentimenti senza accusare o ferire gli altri. Quando ci troviamo in disaccordo, cerchiamo di usare un linguaggio che sia rispettoso e aperto al dialogo. Invece di concentrarci su ciò che ci divide, poniamo l'accento su ciò che abbiamo in comune e lavoriamo insieme per trovare soluzioni.
6. Agire come modelli positivi
Una conseguenza indiretta e inevitabile della nostra presenza nel mondo è che le nostre azioni quotidiane possono avere un impatto significativo su chi ci circonda, sia in una direzione che nell'altra. Da questo punto di vista, il nostro miglioramento interiore è anche una responsabilità sociale.
Conclusione
Superare le logiche divisive richiede un impegno sia collettivo che individuale. A livello pubblico, possiamo promuovere politiche che incoraggino una comunicazione autentica e rispettosa della pluralità. A livello individuale, possiamo coltivare l'auto-consapevolezza, l'empatia e la stabilità emotiva, adottando comportamenti che favoriscono la comprensione e l'inclusione. Anche se il cambiamento a livello di politiche pubbliche potrebbe richiedere tempo, le nostre azioni quotidiane possono fare una differenza immediata nel creare un mondo più armonioso e coeso.
(9 agosto 2024)
(Olimpiadi 2024, go to my art gallery)
Il ruolo dei social nel fascismo moderno, dalla disinformazione alla divisione
La truffa, i ricatti, l'avvelenamento informativo, la distorsione della realtà e le ritorsioni mafiose sono l’anima del commercio neoliberista e della politica, che nel complesso sono un tutt’uno. Quando ciò non è sufficiente, arrivano gli omicidi mirati e le "stragi di stato" (nel senso di organizzate dagli organi dello stato eterodiretti dai padroni d'oltreoceano).
Tale pratica di governo pubblico di solito ha piani a lunghissimo termine, a prescindere dagli eletti. Essa prevede che le opinioni e i sentimenti di amicizia o di odio delle grandi masse siano indirizzati attraverso un addomesticamento lento, ma incessante e strutturalmente programmato in modo da essere praticamente inattaccabile e difeso con le unghie e con i denti dagli stessi cittadini vittime di tale manipolazione.
Fatta questa doverosa premessa, diamo uno sguardo a come si sta evolvendo l'informazione demenziale con cui i social media indottrinano le grandi masse:
Alcuni hanno detto che l'apprendimento automatico ha già causato disastri perché viene usato nei motori di raccomandazione dei social media antisociali, quelli che decidono cosa mostrare alle persone per massimizzare il tempo che trascorrono usando il sistema. Hanno scoperto che la disinformazione fascista è estremamente efficace per questo e sta promuovendo il fascismo in tutto il mondo, ignorando la verità. Se credi a tutto ciò che senti da un certo gruppo di persone, possono mentire continuamente e tu crederai a qualsiasi bugia dicano. Ci sono milioni di persone che fanno questo e, una volta che una persona ha perso la connessione con la verità, è molto difficile convincerla che sta credendo a bugie. Queste persone non hanno più un criterio di giudizio.
tratto da:
Ciò è tremendamente vero. La disinformazione alimentata dall'intelligenza artificiale contribuisce alla diffusione del fascismo e del nazismo a livello globale, sfruttando le vulnerabilità nelle percezioni pubbliche e amplificando i messaggi di odio e divisione. La combinazione di disinformazione e algoritmi dei social media che promuovono contenuti controversi crea un ambiente in cui le ideologie fasciste e naziste possono prosperare.
Sia ben chiaro che il web è pieno di contenuti generati da persone che si autodefiniscono "fascisti" o "nazisti" e che ne vanno fieri, quindi l'etichetta di "fascista" o "nazista" è appropriata. Altri gruppi, pur non definendosi esplicitamente per quel che sono, o addirittura dichiarandosi anti-fascisti o anti-nazisti, promuovono nei social ideologie, violenze e crimini del tutto sovrapponibili a quelli del fascismo o del nazismo. Altri ancora commettono azioni gravissime e penalmente rilevanti, fino al pestaggio o all'omicidio, senza alcuna ideologia, ma solo per "apparire" sui social.
A tal proposito, è interessante l'inizio dell'articolo "Weaponized Social Media Is Driving the Explosion of Fascism" (tradotto: "I social media armati guidano l'esplosione del fascismo"), che racconta il video del massacro in una moschea in Nuova Zelanda apparso su Facebook. Il filmato, creato da un autodefinitosi “fascista”, immortalava le immagini di terrore sui volti delle vittime. Questo video, trasformato in un meme armato, ha diffuso l'odio tra milioni di persone, e ciò è assattamente ciò che vogliono i proprietari di tali piattaforme.
Questo accade perché i social media sono strutturati per favorire contenuti che provocano reazioni viscerali. Nonostante le critiche per la diffusione di odio e fascismo, i dirigenti dei social media sono riluttanti a cambiare il modello di business basato sui clic.
I social sono una guerra contro la realtà empirica. Le falsità sono la valuta del fascismo e per i regimi autoritari, tra i quali possiamo considerare le cosidette "democrazie", nelle quali il voto è un teatrino truccato per confermare un potere inamovibile (cfr. "L'illusione della democrazia: il vero volto delle elezioni italiane"). La verità è il nemico da distruggere. Le fake news sui social abilmente indirizzate tramite algoritmi, e quelle propagandate da tutto il resto del main stream, televisione in primis, superano milioni di volte le visualizzazioni di quelle delle rare fonti giornalistiche alternative che con grande fatica fanno un lavoro serio e ben documentato, solitamente su canali frequentemente censurati e osteggiati in mille modi.
Senza una realtà condivisa, il dialogo democratico cede il posto alla rabbia e al linguaggio del fascismo. L'abbiamo già sperimentato tante volte, e continuiamo a viverlo. Proprio per questa ragione, i "padroni universali" che controllano i grandi canali di informazione sono abilissimi nel dividere le persone in buoni e cattivi, dove i sedicenti "buoni" sono incoraggiati a odiare e a far del male ai presunti "cattivi", ovvero coloro che mettono in dubbio la narrativa ufficiale. Chiunque abbia un po' di senno farà molta fatica a capire cosa significhi "buono" o "cattivo" in questo caso, oppure "bene" e "male", etichette sovente strumentalizzate a scopo politico e di manipolazione.
L'intelligenza artificiale aumenta la velocità, la scala e la personalizzazione delle campagne di disinformazione, grazie alla creazione di contenuti falsi altamente persuasivi e realistici, oppure rendendo assai più visibili contenuti di odio o crimini reali. Queste capacità consentono di automatizzare la diffusione di informazioni di odio, false o autentiche che siano, rendendo queste campagne pervasive e praticamente impossibili da contrastare. La televisione e i giornali rilanciano poi questi contenuti, spostando ciò di cui discutono le persone nella direzione voluta dai "padroni" (cfr. "AGENDA SETTING - Usare la tv per mettere fratello contro fratello: combattere gli uni contro gli altri per motivi che le lobby decidono).
(7 agosto 2024)