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La scienza non può indagare oltre il 50% dell’esistente?

Presumo che la scienza, intesa nella sua accezione contemporanea, non possa indagare, nella migliore delle ipotesi, oltre metà di ciò che esiste nella realtà delle nostre vite, ovvero oltre metà della dualità che si esprime in tutti i fenomeni. Tale invalicabile limite, per quanto ciò sia lontano dal senso comune, è posto dall’aver fatto della matematica la serva e la regina di tutte le scienze. La matematica, infatti, è fondata sul principio di non contraddizione, mentre il reale è fondato sul principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti (come precedentemente trattato in: “Collaborazionismo autolesivo umano nell’aderire a verità assolute”). Per tale ragione, una scienza che obbedisca soltanto alla matematica che si basa sulla logica classica aristotelica per dare fondamento alle proprie affermazioni è costretta a poter indagare soltanto una parte dell’esistente, nello specifico una parte che abbia la caratteristica di essere coerente con se stessa, ignorando o rigettando l’altra parte dell’esistente che la contraddice. Il problema sarebbe parzialmente risolvibile ammettendo che possano esistere tante scienze, tutte legittime, che possano contraddirsi tra di loro? Indubbiamente la scienza non è unitaria, come suggeriscono le contrapposizioni e i litigi anche molto accesi tra i ricercatori, ma il problema è molto più profondo e ha a che fare con il metodo scientifico e con il valore, spesso esagerato e fazioso, che gli si vuole attribuire in base alle convenienze del momento, che possono essere politiche, finanziarie, ideologiche o di altro genere. Sul concetto stesso di “dimostrazione scientifica” bisognerebbe essere molto cauti: quando tutti i media in tutto il mondo cantano con un pensiero unico che esiste una evidenza scientifica “senza dubbi”, allora è certamente una menzogna, perché non c’è scienza dove non c’è il dubbio. Premesso che in senso assoluto non esistono verità, ma che tutto deve essere relativizzato, per ogni tesi c’è sempre una controtesi, e nulla esclude che possano sembrare entrambe “vere” con dati scientifici alla mano. Ulteriore problema si pone nel distinguere ciò che è attendibile da ciò che non lo è: essendo umanamente impossibile verificare personalmente tutto quello che viene detto e scritto, non rimane che “fidarsi”, con la conseguenza che il metodo galileiano rimane sullo sfondo, mentre nella realtà della vita quotidiana di ciascuno di noi tutto si riconduce a un sistema personale di credenze. Andando ancora più in profondità, ci sarebbe da chiedersi perché in qualunque aspetto della vita noi esseri umani siamo particolarmente abili nel litigare, anche in modo violento, per sostenere la veridicità della propria rappresentazione interna della realtà (o, per dirla diversamente, la veridicità della propria costruzione della realtà): a chi giova?

Da tutte queste problematiche, dovrebbe seguirne che giustificare le proprie scelte soltanto in base alla “scienza” (soprattutto le scelte “imposte” ad altri o da altri), anche nell’ottimistica ma tremendamente irrealistica ipotesi che le ricerche pubblicate e i dati analizzati siano ottenuti in buona fede e senza alterazioni o errori (e non lo sono, suggerisco un’attenta lettura di “Alla ricerca della scienza...” e “La maggioranza delle ricerche scientifiche sono false”), è come pretendere che, guardando sempre e soltanto la faccia che la Luna ci offre, si possa affermare di conoscere tutta la Luna.

Francesco Galgani,
30 marzo 2021