Tutto quello che solitamente facciamo nella quotidianità serve a rimandare, spostare o nascondere gli unici veri problemi esistenziali, ovvero il senso della vita e il senso della morte.
Una volta compreso che cos’è la morte (e di conseguenza che cos’è la vita), la paura di morire svanisce, lasciando il posto ad altri tipi di consapevolezze. Una volta compreso che la morte non esiste e che la realtà quotidiana è pura illusione, così come lo è il trascorrere del tempo, una miriade di altri problemi spariscono perché cessa il motivo della loro esistenza.
Ad es., tutto il teatrino del covid, dei vaccini, delle mascherine, dei tamponi, dei lockdown, ecc., è una messa in scena delle nostre paure più recondite, anzi, di un’unica paura, quella di morire. Stesso discorso nel rapporto con tante altre malattie. Ma soltanto chi è senza Anima, o non sa di averla, potrebbe (forse) aver paura di morire (e quindi di vivere); stesso discorso per chi vive nell’incapacità appresa di Amare, tanto diffusa nella nostra epoca.
Piuttosto che riempire le nostri menti di domande infinite, senza risposta e capziose nei presupposti, suggerirei di chiedere alla nostra Anima soltanto due cose, ovvero se siamo esseri eterni e qual è il senso dell’esistenza. Sul fatto di essere eterna, nel senso di esistere fuori dal tempo, Anima non dovrebbe aver dubbi… ma sulla seconda questione, potrebbe essere confusa, se non completamente smarrita, anche a causa della prigionia della solitudine e del distanziamento (sociale, per usare un termine di moda) in cui spesso si ritrova, o crede di ritrovarsi. Ma ognuno si costruisce il mondo e la realtà per come se li rappresenta, quindi anche la solitudine di Anima non è una circostanza di fatto, ma un inganno autoprodotto, che finisce quando Anima decide che deve finire. Senza un chiarimento sul senso dell’esistenza, ogni altra discussione perde di significato e porta a nulla.
Sarebbe anche interessante capire a cosa servono tutti i nostri attaccamenti a ciò con cui identifichiamo noi stessi. Non sto suggerendo che ci sia qualcosa di sbagliato, mi chiedo soltanto se troppo attaccamento alla nostra individualità non sia soltanto causa di inutile sofferenza. Supponiamo che una goccia d’acqua voglia sempre rimanere “goccia”: è evidente che essa non vorrà mai ritornare al grande oceano da cui proviene. Per noi tornare al grande oceano significa morire e voler rimanere goccia significa non voler morire? Ci serve realmente identificarci a spada tratta in quel che crediamo di essere e nei problemi che crediamo di avere?
Il mondo neoliberista, cioè turbo-capitalista, schiavista e predatorio, che abbiamo costruito e che continuiamo a costruire giorno dopo giorno, parte proprio dall’assunto di allontanare il più possibile ogni problema esistenziale profondo, sostituendolo con l’enfasi e il plauso dei nostri lati più deboli, ovvero glorificando le nostre bassezze come virtù, l’immoralità come nuova morale, l’anti-scienza come scienza, i peggiori demoni come angeli custodi, la vergogna per pensieri e atti abietti come motivo di vanto sui social. Il punto di forza dell’attuale sistema economico è proprio nelle nostre debolezze e nelle nostre viltà, che si concretizzano in avidità, desiderio narcisistico-ossessivo di prevalere sugli altri, stupidità autodistruttiva. Proprio quest’ultima sembra eletta a musa ispiratrice dei governi del pianeta e delle scelte dei singoli.
E’ evidente che un mondo così è destinato a finire. Non a caso ho scritto e detto più di una volta che siamo in un periodo terminale, apocalittico. Ma questo non deve essere inteso come un male: un mondo nuovo e migliore è possibile, esso inizia dove finiscono le nostre paure di vivere e di morire.
(Francesco Galgani, 14 marzo 2021)