Premessa
In questa pagina riporto una serie di articoli sull'Islam che, secondo me, sono meritevoli di diffusione per favorire una cultura di pace, di conoscenza reciproca e di rispetto. A me hanno chiarito tante idee errate. Purtroppo i mass media hanno ormai creato l'associazione di "musulmano = nemico", ma io sono assolutamente convinto che non esistono nemici, esiste piuttosto la nostra incapacità di vedere il buono che è negli altri, associata alla nostra ignorante arroganza che non vede oltre il nostro naso. Anche il linguaggio ha la sua importanza per non innescare l'islamofobia. Ad esempio, «l’utilizzo del termine ISIS è ritenuto offensivo per molti musulmani, che ritengono che in questo modo venga legittimata un’accezione negativa dell’aggettivo “islamico”, dato che in sostanza l’espressione stabilisce un collegamento mentale fra la fede islamica e le azioni di un gruppo estremista noto per la brutalità delle sue azioni. In passato ci sono state anche diverse campagne rivolte a media internazionali per chiedere di smettere di usare il termine ISIS.» (fonte: Il Post) «Invece DAESH (adattamento di DAIISH, acronimo dell'arabo Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wal Sham) è il termine usato nel mondo arabo, in realtà in senso dispregiativo (i miliziani di DAESH usano il termine arabo al-Dawla, ossia "lo stato", ndr). Parole arabe come Al Qaeda o Boko Haram non sono mai state tradotte. Perche DAESH invece sì? Titoli di giornale tipo "Le guerre islamiche" fanno pensare che tutti gli islamici siano lì pronti ad attaccarci. È terribile.» (fonte: "Pianeta Terra. Nessun essere umano è illegale")
Come ha dichiarato Martina Pignatti Morano, presidente dell'associazione pacifista "Un ponte per...": «Io credo che solo chi ha vissuto vicino a persone che provengono da culture differenti può sentire il fascino di stare, per esempio, su un autobus con gente di tutto il mondo. E invece c'è chi si sente minacciato. È un peccato, frutto dell'ignoranza e della povertà.» (fonte: "Pianeta Terra. Nessun essere umano è illegale")
Pubblicando questa pagina, voglio offrire un contributo volto a squarciare tanti dubbi in questi tempi incerti e bui, dove la conoscenza e l'amore lasciano troppo spesso il passo al pregiudizio, alla disumanità, alla disinformazione e alla paura. Proprio in questi giorni (febbraio 2017) il Ministero dell'Interno ha firmato il "Patto nazionale per un Islam italiano" (testo integrale). Secondo il ministro Marco Minniti, il presupposto che ha portato a questo "passaggio cruciale" è che "si possono avere religioni differenti, si possono professare credi diversi, tuttavia siamo tutti quanti italiani" (fonte: adnkronos.com)
Il 7 ottobre 2014 avevo pubblicato un'intervista al Sig. Hamza Roberto Piccardo, membro del direttivo di "UCOII - Unione delle Comunità Islamiche d'Italia", all'interno del progetto "Conosciamoci - Un incontro interreligioso", di cui invito ad una lettura.
Il Mahatma Gandhi disse che "un pianeta migliore è un sogno che inizia a realizzarsi quando ognuno di noi decide di migliorare se stesso". Per questa stessa ragione, sono convinto che il modo migliore per pacificare il mondo parta da uno sforzo attivo di demolire i nostri pregiudizi e migliorare la nostra conoscenza dell'altrui vita e cultura, in modo da scoprire la nostra comune umanità e stringere legami di amicizia. Come disse in un'intervista Augusto D'Angelo, uno dei responsabili dei senza fissa dimora presso la Comunità di Sant'Egidio a Roma: «[...] abbiamo diversi immigrati molto bravi che vanno nelle scuole a raccontare che giro hanno fatto, per dimostrare che non è vero che chi arriva così è un terrorista. Affinché i giovani abbiano chiaro che gli immigrati non sono nemici ma un'opportunità. L'idea è quella di costruire delle interconnessioni a livello cittadino che siano pacifiche piuttosto che violente. Perché quando arriverà il momento - ma speriamo che non arrivi - in cui vivremo stagioni come quelle di Parigi o di Bruxelles, la reazione non sia "sono tutti assassini". Perché sono quelli con cui hai vissuto... [...]» (tratto da un'intervista di Maria Lucia De Luca, pubblicata sulla rivista "Buddismo e Società" n.177, luglio-agosto 2016).
Gli articoli seguenti sull'Islam fanno parte dello speciale "Per conoscere l'Islam", pubblicato sulla rivista "Buddismo e Società" n.101, di novembre-dicembre 2003, edita dall'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. Ritengo che, dopo più di 13 anni, questa serie di articoli sia ancora più che mai valida. Ringrazio la redazione della rivista per il lavoro svolto e per avermi concesso l'autorizzazione alla ripubblicazione nel presente blog.
Francesco Galgani,
4 febbraio 2017
Indice "Per conoscere l'Islam"
fonte: "Buddismo e Società" n.101, rivista dell'IBISG
link originale: http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/InternaTesto.php?A=576&R=1&C=101
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Per conoscere l'Islam
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Sulle proprie verità
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Una comprensione autentica dell’Islam
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E adesso parliamo di Buddismo
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Incontro tra un buddista e un musulmano
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Spiritualità e religione
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Vasta come una galassia
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Il Sufismo
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In poesia
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Si guarda troppo al passato
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Nel DNA dell’occidente
Nota: negli articoli originali, tutte le fotografie hanno come didascalia "foto: Abbas/Magnum/Contrasto".
Per conoscere l’Islam
L’idea di utilizzare un numero di Buddismo e Società per conoscere l’Islam ci viene da Daisaku Ikeda, che prima del 2000 ha tenuto una serie di dialoghi con Majid Tehranian – musulmano, professore di comunicazione internazionale, esperto nello studio delle religioni – su Islam e Buddismo. Nelle pagine che seguono pubblichiamo parte dei primi capitoli del libro derivato da questi dialoghi (inedito in italiano ma di prossima pubblicazione), come quadro di riferimento iniziale: per avvicinarsi a questa religione attraverso i dubbi, le curiosità, le domande che scaturiscono dalla passione da cui sono animati questi due leader che, al di là del loro credo personale e della tradizione religiosa a cui appartengono, riescono a trasmetterci il desiderio di comprendere e far comprendere la realtà dell’Islam oltre le diffidenze e le idee precostituite, in una prospettiva futura verso un mondo senza guerre.
Seguono poi articolidi approfondimento, sulla storia e la configurazione attuale di questa religione, sul suo aspetto mistico (il Sufismo), e due interviste a importanti esponenti del mondo islamico in Italia da anni, uno studioso di filologia esperto di relazioni internazionali e uno scrittore giornalista. C’è infine un piccolo glossario e uno schema storico per orizzontarsi.Un numero monografico per conoscere, approfondire. Ma che si può leggere anche solo con pura curiosità.
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Sulle proprie verità
Dialogo tra un buddista e un musulmano di Daisaku Ikeda e Majid Tehranian è uscito originariamente nel 2000. Prima dunque del fatidico 11 settembre che ha portato con forza a interrogarsi su temi come equilibrio mondiale e ideologie religiose, scontro fra civiltà, guerra santa.
Ma ad ancora prima al 1996 risale l’idea di nominare Majid Tehranian primo direttore dell’Istituto Toda di studi sulla pace da parte di Daisaku Ikeda. Una scelta di notevole importanza simbolica, visto che Tehranian non solo non è membro della SGI (in realtà non segue nemmeno la religione buddista), ma soprattutto perché è un musulmano sufi proveniente dall’Iran, che Ikeda conobbe a Tokyo nel luglio del 1992 durante un viaggio versi l’Asia Centrale lungo l’antica Via della Seta.
«Questo soggiorno di Tehranian in Giappone racconta Ikeda nella prefazione del libro costituì l’occasione per conoscerci e dialogare. […] Da allora egli ha ampliato la rete delle sue ricerche a livello mondiale, concentrandosi in particolare sui problemi più urgenti della nostra epoca. Come esperto nello studio delle religioni considera della massima importanza nella mediazione fra le diverse civiltà possedere quell’apertura del cuore e della mente che nasce dalla religione».
Il dialogo è la chiave utilizzata dagli autori per portare alla luce esperienze, opinioni e punti di vista provenienti da sfere culturali diversissime, la stessa chiave scelta da Ikeda in occasioni precedenti, e indicata a più riprese dai suoi protagonisti come l’unica capace di risolvere conflitti di livelli diversi.
Che cosa contiene questo libro? Scrive ancora Ikeda: «Tehranian e io abbiamo individuato le fonti spirituali da cui nascono le tradizioni religiose alle quali appartengono Shakyamuni e Maometto quella buddista e quella islamica per cercare di scoprire come lo spirito che anima entrambe possa essere riscoperto e rivissuto nel presente. Nel far questo abbiamo notato non solo le somiglianze ma anche le differenze che esistono fra queste due tradizioni religiose, sviluppando tuttavia la convinzione che solo con un approccio diretto a trascendere sia le somiglianze che le differenze sarebbe stato possibile individuare una base di saggezza necessaria per il futuro dell’umanità».
«Il fascino che prima l’oriente esercitava sul mondo occidentale, alimentato nel XVIII e XIX secolo dall’amore per l’esotico, è stato ampiamente sostituito da sentimenti di inquietudine e di avversione ricorda poi Tehranian nell’introduzione. In ugual misura, l’attrazione del mondo orientale per le meraviglie scientifiche e tecnologiche dell’occidente ha lasciato il posto alla paura e alla repulsione per il materialismo, l’arroganza e il militarismo del mondo occidentale.E in certi momenti il terrorismo globale ha tragicamente preso il posto di un dialogo globale».
«Tuttavia, quasi per un paradosso, il materialismo occidentale ha lasciato i suoi effetti sul mondo orientale e lo spiritualismo orientale ha pervaso l’occidente spiega ancora Tehranian. Assistiamo, dunque, al processo di formazione di una civiltà a livello globale. Questo libro contiene la precisa testimonianza di quel tipo di processo, soffermandosi sulle caratteristiche e sui fondamenti etici e spirituali della civiltà che può nascere se e nel momento in cui si persegue lo scopo di un dialogo a livello globale».
«Ci sono voluti otto anni, incontri frequenti e un costante scambio di corrispondenza perché raggiungessimo questo risultato» dice Tehranian. E conclude: «Nel momento in cui due persone di buona volontà intraprendono una conversazione autentica sulle proprie verità emerge un’altra verità, ancora più universale. Questo è quello che è accaduto per migliaia di anni lungo l’antica Via della Seta, dove mercanti e studiosi provenienti dalle fedi più svariate sciamani, zoroastriani, indù, buddisti, confuciani, ebrei, cristiani e musulmani si scambiavano merci e idee».
(La traduzione dei brani qui proposti è di Marialuisa Cellerino, Fabio Massimo Orlando, Nicoletta Rambelli, espressamente realizzata per la presente pubblicazione).
Una comprensione autentica dell’Islam
Tehranian: Ho viaggiato lungo la Via della Seta. Fino a quando non venne distrutta dal colonialismo europeo, la Via della Seta era il cammino che univa l’Asia all’Europa, lo scenario in cui si formò la prima “economia globale” e la prima “cultura globale” del nostro pianeta.
Sebbene oggi si assista alla formazione di una “nuova economia globale”, tarda a emergere il suo corrispettivo intellettuale e culturale, e cioè una prospettiva e una cultura globali.
Lei signor Ikeda, da vero pioniere, si è impegnato attivamente nella creazione di una nuova cultura globale, paragonabile in qualche modo all’economia globale.
Ikeda: Sono pienamente d’accordo con lei sul bisogno urgente di creare una nuova cultura globale, anche se non mi considero un pioniere per aver compiuto sforzi in tale direzione.
Lei inoltre ha fatto riferimento all’incontro fra oriente e occidente benché in occidente, e anche in Giappone, si conosca ben poco dell’Islam e del modo di vivere dei musulmani. Per fare un esempio, pochissimi giapponesi sanno che alle banche operanti secondo la legge islamica è vietato corrispondere interessi sui risparmi.
Tehranian: Quella che lei cita è una pratica consuetudinaria basata sul principio secondo cui accumulare ricchezza senza lavorare è una cosa ingiusta e non desiderabile. Il Corano vieta espressamente il pagamento di interessi sui risparmi.
[…]
Naturalmente non tutti i musulmani facoltosi si comportano allo stesso modo, ma ne conosco diversi che rifiutano di ricevere gli interessi a cui avrebbero diritto. È anche vero che alcuni banchieri musulmani consentono ai propri clienti di diventare azionisti della banca e di partecipare alla distribuzione degli utili, cosa consentita dalla legge islamica.
Ikeda: Secondo un altro stereotipo ampiamente diffuso, all’interno della società islamica le donne sarebbero soggette a una severa discriminazione, anche se, per citare un esempio, la percentuale di donne presenti fra i leader politici, i rappresentanti di governo e nel mondo intellettuale è più alta nei paesi islamici che non in Giappone. […]
«Non esprimere giudizi finché non conosci i fatti», questa era la costante esortazione di Makiguchi […]: solo un’accurata conoscenza della realtà conduce a una valutazione corretta. Dobbiamo eliminare i pregiudizi basati su idee false o stereotipate dell’Islam e per far questo dovremmo innanzi tutto chiarire alcuni punti.
Tehranian: Sono pienamente d’accordo su questo punto. La conoscenza diretta diventa sempre più importante in quest’epoca di comunicazioni e informazioni elettroniche in cui le persone non possono scegliere altro se non diventare fruitrici passive di informazioni preconfezionate.
Ikeda: Alla fine del gennaio 1962 ho avuto modo di visitare, per circa due settimane, l’Iran, suo paese natale, e altre quattro nazioni musulmane, l’Iraq, la Turchia, l’Egitto e il Pakistan.
In quel periodo il Giappone si trovava nel mezzo di una rapida crescita economica a una velocità che non conosceva precedenti. Sono stati pochissimi i giapponesi a mettere in dubbio il valore supremo del “progresso” materiale.
Il passaggio da una società come la nostra, che presenta un forte grado di secolarizzazione, ai paesi islamici, in cui le tradizioni religiose hanno tuttora un peso piuttosto forte, ha costituito per me un’esperienza di importante rinnovamento. E poi, l’atmosfera nel suo insieme mi ha fatto percepire un certo sentimento di nostalgia. In occasione di quel viaggio ho imparato che i musulmani suddividono il tempo in tre categorie.
Tehranian: Lei sta parlando del salat, o tempo per la preghiera, del shoghl, il tempo dedicato al lavoro, e del raha, il tempo destinato al divertimento e al piacere.
Ikeda: Sembra che lavorare sodo per guadagnare denaro non rappresenti un valore così alto nella società islamica, mentre nei paesi altamente industrializzati le attività del tempo libero vengono concepite di solito come un ristoro fisico e mentale funzionale alla ripresa del lavoro nei giorni successivi.
[…]
Nell’Islam il tipo di tempo che riveste maggior valore è il salat, quello destinato all’offerta delle proprie preghiere ad Allah, e il raha che viene utilizzato per discutere di argomenti di vario interesse con i propri amici, per viaggiare, per comporre poesie e, soprattutto, per meditare sul significato della vita. In occasione del mio viaggio nel 1962 riuscii a percepire come questo tempo dedicato al proprio auto-miglioramento scorreva in modo lento ma profondo per le persone che ebbi modo di incontrare.
UNA NUOVA IDEA DI ORIENTALISMO
Ikeda: Questa esperienza mi ha insegnato quanto è importante conoscere un’altra cultura per ciò che realmente è, così come è importante mantenere un atteggiamento onesto che ci permetta di restare sorpresi, entusiasti o addirittura galvanizzati dall’incontro con una cultura diversa dalla nostra. Nella nostra epoca infatti si tende a stare in guardia ogniqualvolta incontriamo qualcosa di poco familiare, etichettandolo come “diverso”, “strano” o persino “malvagio”.
Ikeda: […] Quando ci troviamo davanti a una discriminazione dobbiamo ricercarne le ragioni non tanto in chi la subisce quanto in chi la pone in essere. Non si tratta infatti di vedere se chi subisce la discriminazione è o non è “inferiore” quanto piuttosto tenere presente che l’autore della discriminazione è vittima di un pregiudizio di ordine psicologico.
Tehranian: In ogni caso non sembra possibile dividere il mondo in categorie così semplici come “oriente” e “occidente”. Infatti molte delle grandi religioni – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – ebbero origine nell’Asia occidentale.
Ikeda: Le religioni che oggi formano l’ossatura spirituale della società occidentale nacquero nell’Asia occidentale. Tutte le culture si intrecciano e si mescolano fra di loro.
Il Giappone ha un debito nei confronti di altri paesi asiatici per la sua scrittura, che si basa sugli ideogrammi cinesi, per il Confucianesimo, per il Buddismo e per molti altri aspetti della sua cultura.
Tehranian: Non esiste una “razza pura”, una “nazione pura” e neanche una “religione pura”. Definizioni di questo tipo non sono null’altro che pericolose illusioni intrise di pregiudizi.
[…]
EBRAISMO, CRISTIANESIMO E ISLAM
Ikeda: Nel Corano viene chiaramente affermato il punto di vista dell’Islam sui rapporti fra questa religione, l’Ebraismo e il Cristianesimo. Per fare un esempio, il Corano afferma che queste tre religioni non sono altro che manifestazioni di un’unica religione in diversi contesti storici.
Tehranian: È proprio così. Ebraismo, Cristianesimo e Islam vengono talvolta definite religioni “abramiche” in virtù del profondo rispetto che tutte e tre esprimono per il fondatore del monoteismo nella loro tradizione. […]
Ikeda: Per fare un altro esempio, l’Islam afferma che il proprio fondatore, Maometto, è un profeta al pari di Mosè e di Gesù e che egli è l’ultimo dei numerosi profeti inviati da Dio, e cioè «il culmine e l’avverarsi delle profezie».
Tehranian: È vero.
LA VITA DI MAOMETTO E LE RIVELAZIONI DA LUI RICEVUTE
Ikeda: Diamo uno sguardo alla vita del profeta Maometto. Si dice che sia nato intorno al 570 d.C. dalla tribù dei Qureish che governavano alla Mecca. Perse il padre prima di venire al mondo mentre sua madre morì quando aveva solo sei anni. Venne quindi cresciuto dallo zio.
Tehranian: Esatto. Da orfano Maometto dovette affrontare una serie di difficoltà – il dolore e la sofferenza dovuti alla povertà, la perdita precoce dei genitori – che certamente incisero molto sulla sua infanzia.
Successivamente, all’età di venticinque anni, Maometto sposò una ricca vedova, più grande di lui, Khadija, la quale gli affidò il suo patrimonio.
Ikeda: Nonostante questo Maometto non perse la consapevolezza della povertà da lui stesso sperimentata, che rimaneva per lui come una spina nel cuore difficile da eliminare. Nel Corano si trovano molti brani in cui si ammoniscono le persone a prendersi cura degli orfani, dei poveri e della gente sola.
Tehranian: È così. In un capitolo intitolato “Del mattino” è scritto: «Non t’ha trovato orfano e t’ha dato riparo? Non t’ha trovato errante e t’ha dato la Via? Non t’ha trovato povero e t’ha dato dovizia di beni?» (sura XCIII, 6-8) [Corano, trad. Alessandro Bausani, Sansoni, Firenze 1978].
Ikeda: In un altro passo del Corano, dove viene chiaramente espressa la sensibilità di Maometto, si legge: «La vita presente è breve ed effimera, così come effimere sono ricchezze e progenie» (57, 20) [trad. cit.].
In effetti, anche Shakyamuni, il fondatore del Buddismo, in gioventù sentì una “spina” esistenziale nel cuore. Nato come principe, perse sua madre solo poche settimane dopo la nascita. Economicamente parlando, era in condizioni di condurre una vita fastosa ma percepì sempre un disagio di fronte all’enorme distanza che separava i poveri dai ricchi, allo sfarzo della vita di corte e alle altre contraddizioni della società.
Quando mi soffermo a considerare la vita dei fondatori delle grandi religioni mi accorgo che possedevano una straordinaria sensibilità per la sofferenza degli altri esseri umani e un’altrettanto straordinaria sensibilità per l’elemento dell’eternità.
Tehranian: In termini buddisti parliamo di “compassione” e di “saggezza”, giusto?
Ikeda: Giusto. Ma torniamo a Maometto. Iniziò molto giovane a concentrarsi spesso in meditazione. Come molti suoi contemporanei, si ritirava periodicamente nella grotta di una montagna. Si dice che una notte del 610 d.C. egli abbia sentito l’angelo Jibrail (Gabriele nel Vecchio Testamento) che gli avrebbe parlato in nome di Dio.
Tehranian: Da quel momento, per oltre vent’anni e fino alla sua morte, Maometto continuò a ricevere delle rivelazioni in modo intermittente. Il numero complessivo di queste rivelazioni viene a formare ciò che è conosciuto come Corano.
Alcuni possono ridere all’idea di una rivelazione “divina” in quanto la ritengono non scientifica. Ma a ben vedere, il fatto stesso di denigrareun’esperienza religiosa definendola “non scientifica” è frutto di un atteggiamento “non scientifico”. Quello delle rivelazioni è un linguaggio simbolico al pari del linguaggio utilizzato in poesia.
[…]
La cosa importante da riconoscere è che tutti i grandi leader religiosi esistiti nel corso della storia hanno dato prova di essere persone straordinarie in grado di diffondere messaggi pieni di ispirazione che hanno guidato l’umanità verso una vita più felice.
LA NASCITA DELL’ISLAM
Ikeda: Quando Maometto ricevette la sua prima rivelazione rimase scosso e sconcertato, incapace di credere a quello che stava succedendo. Sua moglie Khadija dovette incoraggiarlo a credere nella verità della rivelazione e a votarsi messaggero di Dio. Ella fu la prima persona a unirsi a questa nuova fede.
Tehranian: La gente della Mecca, tuttavia, non accettò subito l’insegnamento che Maometto stava cercando di diffondere.
Ikeda: Da quanto ho capito, a quell’epoca La Mecca viveva un periodo particolarmente fiorente in quanto costituiva il principale crocevia commerciale tra la Cina e l’India, da una parte, e le zone del Mediterraneo, dall’altra. Questo significa che in città esisteva un forte divario fra persone ricche e persone povere.
[…]
Era naturale che le persone ricche e conservatrici considerassero Maometto come un potenziale sovvertitore dell’ordine sociale mentre la gente povera e comune lo sosteneva. Si dice che avesse un grande seguito fra i giovani.
Le autorità al potere, che all’inizio lo avevano ignorato o persino deriso, ben presto lo ritennero una forza con cui confrontarsi e iniziarono così a perseguitare lui e i suoi seguaci.
Tehranian: Esatto. Si resero conto della natura rivoluzionaria del suo messaggio. Molti dei suoi seguaci dovettero trovare rifugio in Etiopia e in altri luoghi. La morte di Khadija, la sua più strenua sostenitrice, rese le cose ancor più difficili. Anche Abu Talib, lo zio che crebbe Maometto, morì poco tempo dopo.
Ikeda: Sia nella vita privata che in ambito religioso Maometto era assediato da enormi difficoltà.
Tehranian: Proprio così. A seguito delle persecuzioni che subì alla Mecca Maometto fece un passo importante con la fuga a Medina, dove non aveva virtualmente alcun seguito. La fuga a Medina è conosciuta come hegira. Il calendario islamico ha inizio con la hegira invece che con la nascita di Maometto. Ciò sta a significare l’inizio dell’era islamica.
Ikeda: Maometto ebbe un successo quasi miracoloso a Medina dove si fermò poco più di undici anni fino alla sua morte. Come spiegherebbe l’incredibile successo che ebbe Maometto in un luogo in cui virtualmente non aveva alcun contatto personale?
Tehranian: Prima dell’esodo di Maometto verso Medina in molte parti della penisola vi erano state delle lotte incessanti tra le tribù arabe in guerra fra loro e Medina non faceva certo eccezione. Proprio a Medina numerose e influenti tribù arabe ed ebraiche erano state rivali per molto tempo. E Maometto venne scelto come mediatore.
[…] Maometto godeva di un’ampia reputazione come uomo onesto. Veniva chiamato Amin, che significa degno di fiducia. Questo è il motivo per cui quelle tribù lo invitarono a essere loro mediatore.
[…]
CIVILTÀ ISLAMICA: FEDE, DIFFERENZA E RICERCA DELLA CONOSCENZA
Ikeda: A questo punto mi permetta di rivolgerle un’altra domanda. Qual è la caratteristica della civiltà islamica?
Tehranian: In sintesi, l’essenza della civiltà islamica è rappresentata dalla fede e dall’unità nella differenza.
[…] La civiltà islamica si fonda su quattro pilastri: la religione, la legge, la scienza e la cultura. Di questi quattro pilastri, l’aspetto religioso ha trovato una forte espressione nel verso del Corano che recita: «Non vi sia alcuna costrizione nella fede» (sura II, 256) [trad. cit.].
Questo verso, così come altri, ha ispirato la fede nell’unità della creazione senza che alla gente venisse imposta una religione particolare. Tale aspetto della religione ha dato inoltre vita a un sistema giuridico islamico che consentiva un notevole livello di diversità.
Ikeda: Il termine shari’a (legge divina) in origine significava “la strada verso il luogo in cui si poteva soddisfare la sete”, intendendo “la strada per la salvezza”. Per questo la legge islamica può essere considerata come il comportamento che le persone dovrebbero tenere in quanto esseri umani invece che un sistema di norme di uno stato-nazione.
Tehranian: La scienza divenne ben presto il terzo pilastro dell’Islam quando Maometto affermò che ogni uomo e ogni donna musulmana devono ricercare la conoscenza “fino in Cina”.
[…]
In quel periodo la Cina rappresentava forse il luogo più lontano che gli arabi potessero immaginare a livello geografico. Gli studiosi e gli scienziati musulmani fecero proprio il contributo scientifico della Persia, dell’Egitto, della Grecia, dell’India e della Cina, senza esitazione e senza scuse, e lo considerarono come parte dei meravigliosi misteri di Dio da scoprire e da utilizzare.
[…]
Ikeda: È noto che il mondo islamico dava un gran valore alla filosofia greca e romana così come ad altre branche del sapere.
Tehranian: L’Islam è stato artefice di un processo di arricchimento, non solo di se stesso ma del mondo intero, senza distruggere le altre culture ma ricomprendendole dentro di sé.
Ikeda: Questa è una delle lezioni importanti che dobbiamo imparare dalla storia della civiltà islamica. Assorbire altre culture è in effetti la maniera migliore per arricchire la propria.
E adesso parliamo di Buddismo
Tehranian: Dal mio punto di vista il Buddismo di Nichiren e l’Islam hanno caratteristiche comuni. Entrambi ad esempio attribuiscono importanza alla storia. Al contrario, alcune sette indù e cristiane non considerano la storia come elemento particolarmente importante per il loro insegnamento. Un altro tratto comune all’Islam e al Buddismo di Nichiren è l’enfasi che pongono sul mondo presente, sulla realtà secolare. Come lei sa, infatti, molte religioni pongono l’accento sul Paradiso o sull’aldilà piuttosto che sulla vita in questo mondo.
PERCHÉ SHAKYAMUNI PRESE I VOTI
Tehranian: Questa volta vorrei che lei mi insegnasse qualcosa di più sul Buddismo. E spero che nel corso della nostra discussione emergano le differenze e le somiglianze fra Islam e Buddismo. Naturalmente non considereremo negativamente le differenze che dovessero emergere fra queste due religioni. […]
Nel capitolo precedente lei ha affermato che, seppure nato come principe, Shakyamuni abbandonò il mondo secolare scegliendo di prendere i voti. Nel Sufismo (scuola mistica in seno all’Islam, ndr) c’è la leggenda di Ibrahim Adham, un re che rinunciò alla corona e ai possedimenti materiali per ricercare l’illuminazione spirituale. Mi sembra che questa storia proponga un parallelismo con la vita di Shakyamuni.
[…]
Ikeda: È interessante notare che Shakyamuni utilizza il termine “arroganza” con riferimento alla sofferenza [nel sutra Anguttara-Nikáya viene spiegato che, dopo una profonda riflessione sulle quattro sofferenze di nascita, vecchiaia, malattia e morte, “l’arroganza di essere giovane, sano e vivo” stava scomparendo dalla sua mente. ndr]. Ed è proprio l’atteggiamento arrogante con cui fingiamo di non vedere la vecchiaia e la malattia altrui a provocarci ogni genere di sofferenza.
La cosa da tenere a mente a questo riguardo è che Shakyamuni non abbandonò il mondo secolare per fuggire da questa sofferenza. Anzi, fu proprio la consapevolezza di tale sofferenza che lo portò a ricercarne le cause. In altre parole, la rinuncia di Shakyamuni alla vita secolare non costituì una “fuga” dalla sofferenza ma il tentativo di identificarne le cause e trovare un modo per superarla.
Ecco perché nei sutra buddisti Shakyamuni viene descritto come un vincitore. Non era un eremita ma una persona che lottava, un vincitore perenne.
Tehranian: Quindi la sua motivazione non era dettata dal pessimismo?
Ikeda: Poco prima di morire Shakyamuni disse ai propri discepoli che aveva lasciato il mondo secolare all’età di ventinove anni «alla ricerca della benevolenza» (Dîgha-Nikáya).
Credo che l’espressione “alla ricerca di” meriti la nostra attenzione. In essa non è infatti contenuta alcuna traccia di pessimismo.
Shakyamuni percepì la verità secondo cui l’egoismo che alberga nel profondo della mente umana – l’atteggiamento arrogante con cui tendiamo a creare separazioni fra giovani e vecchi, sani e malati, vivi e morti – costituiva la causa principale della sofferenza. La sua rinuncia alla vita secolare fu in realtà una dichiarazione di guerra alla sofferenza umana.
BUDDISMO E SUFISMO
Tehranian: Mi sono interessato a varie religioni diffuse in tutto il mondo studiandole per conto mio. Come ho avuto modo di dire all’inizio del nostro dialogo, riscontro numerose similitudini fra il Buddismo e il Sufismo, che è il misticismo islamico.
La sua interpretazione del Buddismo mahayana ha forti consonanze con la visione del mondo che troviamo nel Sufismo. Entrambe le religioni si concentrano sulla fragilità e sulla transitorietà della vita e degli obiettivi terreni. Entrambe pongono l’accento sulla responsabilità dell’essere umano e sulla vita interiore. Entrambe hanno visioni del mondo in cui i dogmi religiosi vengono messi da parte ed entrambe sono aperte al dialogo ecumenico fra tutte le fedi, le ideologie e le filosofie.
Ikeda: Capisco ciò che intende dire. In occasione di una conversazione, il professor Nur Yalman dell’Università di Harvard mi disse: «Credo che il Sufismo sia stato fortemente influenzato dall’incontro con il Buddismo, riportando nel proprio sistema di pensiero l’idea della meditazione e altri elementi tipici del Buddismo».
Tehranian: Tutto questo ha un suo significato. Nessuna delle due religioni nega il valore e il senso della vita secolare ed entrambe incoraggiano i propri fedeli a trovare il tempo per la ricerca spirituale e la contemplazione, anche se ciò non significa ritirarsi dagli affari mondani. Direi piuttosto che queste due religioni richiamano a un forte impegno morale che possa servire nei rapporti con gli altri esseri umani, credendo entrambe nel dovere di ciascun essere umano di “perseguire il bene”, come lei ha affermato in precedenza.
Direi invece che una notevole differenza si trova nella totale assenza di clero nel Sufismo anche se in entrambe le tradizioni ciascun individuo è in contatto diretto con la sorgente fondamentale di tutta l’esistenza.
Ikeda: Il Buddismo di Nichiren è conosciuto per la sua idea di “adottare la dottrina corretta per la pace nel paese”. In quanto buddista, una persona deve essere sempre inserita nella società e pronta a guidare le persone attraverso la nobiltà del proprio carattere. Anche Shakyamuni esortava i suoi discepoli dicendo «buttatevi fra la gente, fatelo per la loro felicità e perché ottengano benefici». Un Budda non se ne sta seduto in indolente meditazione ma cammina fra la gente indicando lastrada per la felicità.
Tehranian: Quello che lei dice mi ricorda un poema sufi scritto da Sa’adi, un grande poeta persiano del XIII secolo:
Pregare non vuol dire altro se non servire l’umanità.
Pregare su tappeti, con rosari e chiedere l’elemosina non è altro che vanità.
Sono completamente d’accordo con lei sul fatto che il Buddismo è una “religione di speranza” libera da ogni vincolo. Questo è anche vero per il Sufismo. Ecco perché sono entrambi così adatti a soddisfare le esigenze del mondo contemporaneo in cui nessun dogma è in grado di affrontare le grandi diversità del genere umano e di mantenere il passo con le sfide via via emergenti. […]
IL RUOLO CONTEMPORANEO DEL BUDDISMO E DELL’ISLAM
[…]
Tehranian: Abbiamo qualche speranza in questa epoca oscura? Io credo di sì. La speranza si trova in quei movimenti religiosi e laici che stanno cercando di mantenere quell’atteggiamento ecumenico verso “gli altri”, i movimenti, cioè, che tendono a includere piuttosto che escludere.
La globalizzazione ha bisogno di un nuovo tipo di universalismo, di una teoria e di una pratica che abbia come punto di partenza il riconoscimento delle similitudini prima ancora di negoziare sulle differenze per mezzo del dialogo. A differenza dell’Illuminismo europeo, che ebbe inizio con l’enunciazione di principi universali astratti, il nuovo universalismo dovrà essere in grado di riconoscere, rispettare e celebrare la diversità degli esseri umani.
Omogeneità è sinonimo di morte mentre eterogeneità è sinonimo di vita. E quindi, a simbolo di questa nuova epoca, propongo di adottare il famoso motto francese “Vive la différence”!
Ikeda: Nel corso di questo secolo [del secolo appena trascorso, ndr] abbiamo fatto esperienze sufficienti per renderci conto che il vecchio modello di universalismo era in realtà un modo per rendere uniformi.
Nella seconda parte del Sutra del Loto si assiste alla comparsa di diversi tipi di bodhisattva, persone intelligenti, persone devote, persone dotate di una splendida voce, persone che fondano la propria fede sul rispetto per gli altri, e via dicendo. Il Sutra predice l’avvento di un’epoca in cui trionferà la diversità invitandoci a rendere possibile quest’epoca.
Il messaggio del Sutra del Loto consiste nel riconoscimento della propria unicità da parte degli esseri umani, delle razze e delle nazioni e nel prosperare insieme in pace lasciando ampio spazio alla propria individualità.
Tehranian: Mi sembra che il Sutra del Loto sia una “ode alla diversità” nel vero senso della parola. Anche il Masnavi di Rumi è un tributo poetico alla diversità dei credo religiosi e delle differenze etniche.
Egli afferma:
Spesso capita che un turco e un indù parlino la stessa lingua
Ma spesso capita anche che due turchi siano estranei l’uno all’altro
La lingua del cuore è qualcosa di unico
La lingua dell’empatia è superiore alla lingua che parliamo.
Incontro tra un buddista e un musulmano
Ikeda: […] Quando questo dialogo è stato pubblicato a puntate sulla rivista Ushio, tra il 1998 e il 2000, […] molti hanno espresso il desiderio di saperne di più sui principali fondamenti dell’Islam e su come praticano i musulmani quotidianamente. Vorrebbe spiegare in modo più approfondito la dottrina islamica? I cristiani, per esempio, credono in Gesù, il Salvatore, e nella Trinità. A volte pregano la Vergine Maria.
Tehranian: In un capitolo del Corano troviamo il seguente brano: «O voi che credete! Credete in Dio e nel suo Messaggero e nel libro che Egli ha rivelato al suo Messaggero e nel libro che rivelò prima» (sura IV,136). Il credo dell’Islam è condensato in questo brano.
Ikeda: Dunque, oggetto della fede islamica sono Dio (Allah), il profeta Maometto, il Corano in cui viene narrata la rivelazione da lui ricevuta, equivalenti della Torah ebraica e del Nuovo Testamento dei cristiani. Molti dei nostri lettori saranno sorpresi nell’apprendere che i musulmani tengono in gran conto anche le Scritture cristiane ed ebraiche.
Tehranian: Secondo il punto di vista islamico l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam sono tutte considerate “religioni abramiche” perché la loro fede monoteistica risale allo stesso fondatore. Queste tre religioni postulano la fede in uno stesso Dio. La Torah, libro della Legge mosaica, è il messaggio che Dio inviò all’umanità attraverso Mosé [Musa in arabo] e il Nuovo Testamento cristiano, il libro dei Vangeli, è la parola di Dio attraverso Gesù [Issa in arabo]. Il libro dei Salmi è un dono di Dio che ebbe Davide come tramite.
Ikeda: La Legge, i Salmi e i Vangeli – tutti corrispondono fondamentalmente al Vecchio e al Nuovo Testamento, non è vero?
Tehranian: Il Corano, grazie a Maometto, continua la rivelazione da parte di Dio ai suoi profeti. Dio ha inviato molti di questi a guidare l’umanità da Adamo a Maometto. Gli ebrei e i cristiani, nei paesi islamici, sono chiamati “il popolo del Libro” [Ahl – kotab].
Ikeda: Maometto ha criticato l’Ebraismo e il Cristianesimo non perché i loro seguaci stessero pregando un falso Dio, ma perché la loro fede nell’Essere supremo si era indebolita.
Tehranian: È vero. Le scritture ebraiche e cristiane sono, nella loro essenza, simili al Corano. Quindi, sia gli ebrei sia i cristiani andranno in Paradiso se crederanno in Dio e nel giudizio universale. Ma, secondo una visione islamica, la loro interpretazione delle scritture è erronea e arbitraria. Dio ha rivelato il Corano al fine di correggere dei credo sbagliati.
Ikeda: In questo senso, la nascita dell’Islam non ha rappresentato l’avvento di una nuova religione quanto una sorta di riforma rivolta al “popolo del libro” per “tornare alla religione abramica” e a un rinnovamento della loro fede. Si trattò di una riforma che avveniva nel VII secolo, e precedette quella di Martin Lutero.
Tehranian: Capisco ciò che intende dire. Il profeta Maometto ha criticato il Cristianesimo di quei tempi in questo modo: «Si sono presi i loro dottori e i loro monaci e il Cristo figlio di Maria come “signori” in luogo di Dio, mentre erano stati esortati ad adorare un Dio solo: non c’è altro Dio che Lui, glorificato ed esaltato oltre a quelli che a Lui associano» (sura IX, 31).
Ikeda: […] È vero che nell’Islam non esiste un clero che si interpone tra Dio e le persone?
Tehranian: Sì, è vero. Non c’è una gerarchia ecclesiastica nell’Islam. Non abbiamo un responsabile del tempio o della cattedrale. Né abbiamo nulla che possa assomigliare al Concilio della Chiesa cattolica che decide sulle questioni della dottrina ufficiale.
Ikeda: Ci sono moschee in tutto il mondo. Chi è incaricato della loro gestione e come sono amministrate?
Tehranian: Le chiese cattoliche in tutto il mondo sono sotto il controllo del Vaticano, mentre le moschee sono pertinenza della comunità locale in cui si trovano. […]
Ikeda: A causa dell’orientamento regionale dell’Islam, i musulmani del mondo presentano diverse caratteristiche. L’antropologo americano Clifford Geertz ha dimostrato quanta differenza ci sia tra musulmani del Marocco da quelli dell’Indonesia. Qual è il filo comune che lega fra loro tutti questi musulmani?
Tehranian: Tutti i musulmani si trovano d’accordo su cinque punti, che costituiscono la dottrina fondamentale dell’Islam e vengono definiti i suoi cinque pilastri. Essi sono:
- shahada (la professione di fede): giurare fedeltà all’Islam con l’affermazione «Non vi è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta». I musulmani Shi’a aggiungono a questa frase: «E Ali è il suo sostituto». Ali era il cugino preferito e genero del profeta.
- salat (la preghiera): pregare cinque volte al giorno rivolti alla Mecca all’alba, a mezzogiorno, a metà pomeriggio, alla sera e di notte.
- zaqah (la carità): fare l’elemosina ai poveri.
- sawm (il digiuno): digiunare durante il mese lunare del ramadan ogni giorno, dall’alba al tramonto, astenendosi dal cibo, dalle bevande, dal fumo e dai rapporti sessuali.
- haj (il pellegrinaggio): se si hanno i mezzi, andare in pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.
Ikeda: Dunque queste sono le pratiche di base per i musulmani.
Se la religione oggi rimanesse nell’ambito del personale – per curare le ferite psicologiche dell’individuo – si tratterebbe di una pratica egoistica e niente altro che un mezzo per consolare o alleggerire la mente. Se la fede religiosa fosse utilizzata soltanto per superare le frustrazioni degli imprenditori rampanti perché possano dedicarsi al perseguimento del profitto, allora la nostra società non avrebbe alcuna possibilità di cambiare in meglio.
Per l’Islam, al contrario, la fede è qualcosa che il credente dovrebbe mettere in pratica nella vita quotidiana. Vi è dunque un aspetto anche sociale.
Tehranian: È vero. […] Questa è anche una caratteristica del Buddismo.
Ikeda: Dei cinque pilastri da lei menzionati, il mese del ramadan e il digiuno a esso associato ci sono noti. Dall’alba al tramonto non vi è consentito neppure bere un bicchiere d’acqua. Per quanto ricchi e potenti possiate essere non potete sottrarvi a questa regola. Tutti provano la fame allo stesso modo.
Tehranian: La regola si applica a prescindere dallo status sociale o dalla ricchezza. Vi è una perfetta uguaglianza quando si tratta di purificare il sistema digestivo e ricordare ai più abbienti la sofferenza della fame.
Ikeda: Certo, i malati o i feriti e lo donne incinte non sono costretti a seguire tale regola. In questo senso, essa non è imposta, ma viene osservata spontaneamente sulla base della fede di ciascuno. Anche il pellegrinaggio alla Mecca non è obbligatorio. Come lei ha detto, con l’espressione “se si hanno i mezzi” si rende il tutto più flessibile, mi sembra.
Tehranian: Sì, è vero. È stato mai in un paese islamico nel mese del ramadan?
Ikeda: Sì, mi è successo. La mia prima visita in Iran è avvenuta proprio durante il ramadan. Dal punto di vista dei compulsivi del lavoro, come lo sono i giapponesi e gli americani, questo periodo sembrerebbe un esempio di pura inefficienza nel lavorare a stomaco vuoto durante il giorno. Ma penso che sia molto significativo il fatto di avere un “tempo sacro” nella vita quotidiana e fare un’“iniezione di astinenza” in una società controllata dall’economia di mercato in cui si dà via libera a qualsiasi desiderio.
In occasione delle mie visite nei paesi musulmani nel mese del ramadan temevo che le persone camminassero per strada piene di rabbia o con sguardi poco amichevoli, invece l’atmosfera che ho respirato era molto rigenerante.
Tehranian: Si diventa più consapevoli della propria fede. Alcune persone affermano che acquisiscono un senso di completezza. Nella vita quotidiana, in cui facilmente cadiamo vittime dell’inerzia, il ramadan insegna un senso del ritmo di grande valore. Mi ricordo quanto desiderassi, dai quindici anni in poi, l’età in cui i ragazzi musulmani accedono all’età adulta, unirmi alla mia famiglia nel digiuno. Ci svegliavamo poco prima dell’alba e condividevamo un pasto seguito poi dalle preghiere mattutine. Il rituale era fonte di grande entusiasmo.
Ikeda: Un’altra scena a noi familiare circa l’Islam è il modo in cui i credenti offrono le proprie preghiere ovunque essi siano. In una moschea, in un ufficio moderno o all’università, i musulmani – giovani e anziani, uomini e donne – pregano, inginocchiati su un tappetino.
Tehranian: Essi pregano in direzione della Kaaba nella Mecca. Nel Cristianesimo o nel Buddismo vi sono cappelle o santuari in cui i credenti pregano verso l’oggetto, posto di fronte a loro, a cui si rivolgono. Nell’Islam, anche in una moschea, volgi la preghiera verso la Mecca al di là delle mura della costruzione. La ragione di questo si ritrova nel divieto da parte della religione di pregare al cospetto di icone, cosa che la differenzia dalle altre religioni. In qualsiasi moschea si troverà un foro nel muro in direzione della Mecca.
Ikeda: […] Desidero chiederle un’altra cosa e cioè cosa dite nelle vostre preghiere?
Tehranian: Diciamo: «Dio è grande» e poi: «Non vi è altro Dio all’infuori di Allah, e Maometto è il suo profeta», il tutto ripetuto in arabo.
Ikeda: Queste sono le stesse parole che dite quando professate la vostra fede. I canti azan e la professione di fede sono tutti pronunciati in arabo?
Tehranian: Sì, certo. L’arabo è utilizzato in tutto il mondo. Ci salutiamo anche dicendo: «Salem Alaikum! (La pace sia con te!)».
[…]
La preghiera offerta per lodare Dio e per la pace degli altri è chiamata salat. Non è una supplica o una richiesta dell’intercessione di Dio. La supplica non è del tutto vietata. Si chiama doa’a ed è considerata di grande aiuto per avvicinare gli esseri umani ad Allah. In ogni caso, la preghiera è, nella sua essenza, una lode a Dio e alla pace.
Ikeda: Capisco. Spesso, i giapponesi pregano una qualche divinità per superare gli esami di accesso all’università oppure per la felicità delle proprie famiglie. […] La visita a Capodanno ai templi è una cerimonia formale più che l’espressione di un desiderio sincero di pregare. In un simile ambiente sociale, chi prega quotidianamente è considerato come “un debole che cerca aiuto negli altri.”
In una società in cui sono diffusi simili pregiudizi, la Soka Gakkai ha portato avanti per anni un movimento in cui ciascun individuo offre delle preghiere ogni giorno, a dimostrazione della propria fede.
Tehranian: Capisco quello che sta dicendo. La consapevolezza, che si origina dalla preghiera, ci rende coscienti delle nostre benedizioni e delle altrui necessità.
VERSO UN MODELLO DI COESISTENZA MULTICULTURALE
[…]
Tehranian: Molti tendono a considerare l’Islamismo come una “religione del deserto” e una “fede araba”, ma per dimostrare quanto sia diffusa al di fuori del mondo arabo permettetemi di citare una sola cifra: su circa 1,4 miliardi di musulmani oggi, soltanto 290 milioni sono di origine araba. L’Islamismo si è diffuso molto rapidamente nei suoi primi cento anni dalla penisola araba verso l’Asia, l’Africa e l’Europa.
Ikeda: Queste cifre sono una prova che confuta le immagini stereotipate dell’Islamismo che derivano da un rigido orientalismo. Perfare un altro esempio, in Francia la popolazione cattolica è la più numerosa, ma al secondo posto vi sono i musulmani, non i protestanti. Si dovrebbero eliminare tutte quelle immagini precostituite che dipingono l’Islam come una religione del deserto o soltanto degli arabi.
Tehranian: Sono d’accordo. L’Islamismo avrebbe potuto facilmente incamminarsi sulla via presa da altre religioni nel corso della storia, diventando una religione “tribale” o “nazionale”. Avrebbe potuto trasformarsi in una religione tipicamente araba, ma ciò non è avvenuto.
Ikeda: Questo è proprio il punto. Come è riuscito ad andare oltre i confini della razza o della tribù?
Tehranian: L’Islamismo è diventato una religione universale per vari fattori. Innanzitutto, il Corano dice in modo chiaro: «Coloro che credono in Dio e nei suoi messaggeri e non fanno distinzione alcuna tra di loro, a quelli Dio darà la loro mercede, e Dio è indulgente clemente». (sura IV, 151)
Ikeda: Intende dire che il Corano stesso è la fonte da cui è scaturito l’universalismo, caratteristico dell’Islam. Poiché esso si basa sulla rivelazione divina, il messaggio coranico non è semplicemente una teoria o un principio astratto, ma un obiettivo verso cui tendere.
Tehranian: Giusto. Il secondo fattore riguarda il fatto che la rapida espansione dell’Islam negli imperi persiano e bizantino lo portò in contatto con un vasto numero di gruppi etnici e religiosi.
Ikeda: Un’altra immagine popolare associata all’Islam è che esso ampliò la sua sfera di influenza, costringendo gli altri gruppi etnici o religiosi a scegliere tra “la spada o il Corano”. Ma qualsiasi governo autoritario non dura, anche se sembra attecchire per un breve periodo. Da ciò che lei ha descritto è chiaro che l’interazione con un’ampia gamma di gruppi etnici e tradizioni ha reso possibile la dimensione multiculturale dell’Islam.
Tehranian: È vero. Gli abbasidi costruirono il loro impero sul principio della tolleranza verso la diversità culturale. […]
IL FATTORE UMANO
[…]
Tehranian: Possiamo affermare che l’Islamismo sia fiorito in modo particolare nel periodo abbaside perché esso ha espresso una particolare attenzione nei riguardi della vita e delle persone comuni. Zaqah, in origine, significava ripagare i debiti ad Allah, ma oggi i soldi sono utilizzati per aiutare gli orfani, le vedove e i poveri. Lo spirito celato dietro ciò è volto alla realizzazione di un mondo ideale pur nella continua ricerca del divino.
Ikeda: Sebbene il Buddismo non sia una religione monoteistica, c’è un’idea simile nei suoi insegnamenti: «I bodhisattva si elevano da una parte, ma dall’altra discendono al livello di coloro che non sono illuminati per salvarli». In altre parole i bodhisattva, mentre serbano lo scopo di raggiungere l’illuminazione, si sforzano per migliorare le condizioni della società odierna, luogo dove si manifesta la saggezza del Budda.
Tehranian: In una bella poesia dal titolo Conferenza degli Uccelli, il sufi Farid ad-Din Attar, scrittore del XII secolo, fornisce una suggestiva allegoria per raccontare la gioia e le difficoltà del viaggio spirituale dell’essere umano. Come ho accennato prima, il Sufismo è stato molto influenzato dal Buddismo.
Ikeda: Si dice che Attar abbia insegnato a Rumi, grande poeta sufi e pensatore. Sono molto interessato a questa storia. Può dirci qualcosa sulla poesia?
Tehranian: Tutti gli uccelli del mondo si riuniscono in una conferenza per discutere in quale luogo si trovi il loro mitico dio, simurgh (la fenice). Hudhud (l’upupa) conduce la discussione e rivela di sapere in quale luogo delle alte montagne viva la fenice. Per scovarla gli uccelli seguono l’upupa in un lungo viaggio, attraverso sette vallate denominate secondo gli stadi del cammino spirituale sufi.
Ikeda: La ricerca della verità si trasforma in un racconto di avventura, un aspetto importante della civiltà islamica, così centrata sullo scambio e il commercio. Quali sono queste sette vallate?
Tehranian: Sono la ricerca, l’amore, la conoscenza, lo stupore, l’appagamento, la ricchezza e la povertà. Lungo la strada, molti uccelli deviano dal corso per una ragione o per l’altra, con delle scuse, distraendosi o rimanendo indietro.
Ikeda: Una storia affascinante. Gli uccelli lasciano i compagni per varie ragioni. Questo mostra la conoscenza profonda da parte del poeta della diversità umana.
Tehranian: Solo trenta uccelli raggiungono il picco della montagna in cui si sostiene che viva la fenice. Essi si guardano intorno…
Ikeda: E non riescono a vedere la fenice…
Tehranian: Giusto. Gli uccelli si guardano intorno e scoprono che la fenice sono loro stessi. In persiano, simurgh significa anche trenta uccelli. Questo è un gioco di parole acuto, ma attraverso l’allegoria, Attar ci sta insegnando che la divinità risiede nell’interdipendenza e nella comunità di tutte le forme di vita. Noi siamo, dunque io sono.
Ikeda: Una simile allegoria può essere, con tutta probabilità, trovata in alcuni racconti buddisti. Un ideale non è qualcosa di fisso oltre la nostra portata, ma è il processo di ricerca di per se. Il Buddismo insegna che il mondo di saha è la terra della luce eternamente tranquilla. Questo mondo è pieno di sofferenze, ma il modo in cui le persone affrontano tali sofferenze è in sé la via del Budda. Il Buddismo contiene anche l’idea che i desideri terreni siano illuminazione. L’assenza di sofferenza non significa necessariamente felicità. La nobiltà dell’essere umano risiede nel confronto diretto con questa stessa sofferenza.
[…]
Invece di essere ostili e porci in conflitto con gli altri, dovremmo guardarci intorno con un senso di meraviglia e stupore. Allora percepiremo la “profondità della vita” e la serietà di questa. Per mantenere vivo questo atteggiamento si rivela necessaria una sensibilità religiosa verso l’eterno e tutto ciò che ci trascende.
Spiritualità e religione
Ikeda: […] Nella nostra epoca lo spirito religioso sta sempre più scemando, specialmente fra i giovani. Mi chiedo se accada lo stesso nei paesi islamici.
Tehranian: Direi a questo riguardo che i giovani sono più seriamente interessati a studiare la dottrina islamica e a osservare le tradizioni religiose rispetto alle generazioni più vecchie. Ma in Iran, dove la classe religiosa detiene il potere, la popolazione ha un atteggiamento sempre più critico nei confronti dell’abuso del potere religioso per fini politici.
Ikeda: Una volta mi hanno detto che diversi giovani musulmani che hanno studiato in Europa e negli Stati Uniti sono tornati a casa delusi dalla civiltà moderna e hanno fatto ritorno alle tradizioni islamiche. In Giappone e in occidente lo spirito religioso si è palesemente inaridito e, parallelamente, aumenta il numero di giovani attratti dall’occultismo e dalla superstizione.
Tehranian: È abbastanza vero. Per quanto possa sembrare assurdo, la credenza popolare nella magia e nella superstizione sembra crescere di pari passo con il progresso della scienza. Mi pare che, mentre la fiducia nelle istituzioni religiose è in declino, la fame di spiritualità stia crescendo.
[…]
Ikeda: In origine la tecnologia era uno strumento per creare cose di valore ma ha finito per produrre la bomba atomica e per consumare enormi quantità di dati […]. Attualmente la tecnologia viene usata per consumare invece che per produrre. Consumiamo persino la stessa tecnologia.
[…]
Consumare qualcosa significa ridurne il valore. […] Lo spirito religioso è diametralmente opposto. Potremmo chiamarlo uno “spirito di creazione di valore”. Per me è una condizione interiore in cui si prova un senso di solidarietà perfino con una comune pietra sul ciglio della strada. È uno spirito che aspira veramente al benessere delle persone che vivono all’altro capo della terra e che forse non si incontreranno mai.
Tehranian: Come lei ha evidenziato, lo spirito umano crea un valore crescente mentre il consumo degli oggetti ne diminuisce il valore. Lo stesso vale per l’amore e per la conoscenza: più ami più otterrai amore, più condividi con gli altri la conoscenza, più saggio diventerai.
Ikeda: […] Lo spirito religioso è la facoltà mentale di trasformare il nichilismo in un futuro luminoso e la disperazione in speranza. Per un cinico tutte le cose sono vuote e prive di valore e la sua anima non sarà in grado di creare valore alcuno. La scienza ha illuminato il mondo esteriore ma il nostro mondo interiore rimane al buio. Non è forse la filosofia, o quello che io chiamo “spirito religioso”, che illuminerà questo mondo interiore?
Tehranian: Credo di sì. Per “spirito religioso” lei non intende fede in una particolare religione e in un insieme di specifici riti o istituzioni, ma piuttosto una più generica condizione della mente, un atteggiamento verso la vita, non è vero?
Ikeda: Esatto. Sfortunatamente questo spirito religioso è decisamente in declino ai giorni nostri. Come dovremmo porci di fronte a questo fatto disastroso? Fortunatamente la storia ci fornisce qualche indicazione a riguardo.
Tehranian: Come abbiamo già detto, sia il Buddismo che l’Islam indicano dei precetti. Entrambi ebbero inizio come movimenti per la liberazione spirituale delle masse dalla superstizione.
Ikeda: Naturalmente non stiamo parlando di qualche dottrina religiosa in particolare. Per quanto ne so, la parola Islam significa “sottomissione attiva a Dio”.
[…] Chiedendo una “sottomissione attiva”, Maometto esprimeva la sua critica nei confronti delle religioni magico-tribali e il suo scetticismo nei confronti del Giudaismo e del Cristianesimo dei suoi giorni.
[…] Vorrei aggiungere anche che il monito di Maometto a “ritornare ai tempi di Abramo” non era un invito fondamentalista a ritornare alla sorgente originale della fede ma una ricerca del “religioso”, di qualcosa di più universale di una religione particolare.
[…]
CREARE UNA COMUNITÀ DELLO SPIRITO
Ikeda: […] Vorrei ora affrontare la questione di come le due religioni possano contribuire alla società contemporanea, vale a dire il significato dell’Islam e del Buddismo nella nostra epoca.
Tehranian: Facciamolo assolutamente.
Ikeda: Viviamo in un’epoca caratterizzata dalle divisioni e dagli scontri. Le ideologie, le opinioni, gli hobby e le preferenze personali differenziano le persone, ma queste differenze non sono necessariamente sinonimo di individualità. Anzi, nella maggior parte dei casi sembrano fabbricate ad arte per rafforzare nella gente il senso di appartenenza o identificazione a un gruppo rigidamente standardizzato.
[…]Quella che vorrei sollevare qui è la possibilità di una comunità nella quale le persone possono radunarsi insieme senza escludere nessuno. Il termine islamico per comunità è umma e il suo equivalente buddista è sangha.
Tehranian: È una grossa questione. La prima cosa che mi viene in mente è l’etimologia della parola “religione” che contiene l’idea di “legare, unire insieme, collegare”.
Ikeda: Nell’Ebraismo, nel Cristianesimo e nell’Islam ogni individuo è legato a Dio, non è vero?
Un passo del Corano afferma: «E si formi da voi una nazione d’uomini che invitano al bene, che promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia. Questi saranno i fortunati» (sura III, 104).
La formazione dell’umma a Medina potrebbe significare che era giunto il tempo in cui la relazione fra Dio e un piccolo numero di individui, stabilita alla Mecca, si sviluppasse in una relazione sociale dinamica fra la gente.
[…]
Ikeda: Con la formazione dell’umma l’Islam divenne un’organizzazione comunitaria basata sulla fede. Fino ad allora la comunità tribale era cementata dalle relazioni di sangue.
Tehranian: Uno dei suoi avversari accusa Maometto di voler recidere i legami di sangue. Le relazioni di sangue avevano una grande forza, non potevano essere messe in discussione. Per contro il principio che consolidava l’umma era la fede.
Ikeda: Una comunità basata sui legami di sangue può essere solida ma è per sua natura chiusa e, in quanto tale, può generare discriminazione e oppressione.
Tehranian: «Come i denti di un pettine nelle mani di un tessitore, tutti gli uomini sono uguali. Gli uomini bianchi non possono credersi superiori agli uomini neri». Questa è una espressione della tradizione orale attribuita a Maometto.
Una comunità islamica non era composta solo da musulmani. C’erano persone di altre religioni, chiamate dhimmis, che potevano rimanere all’interno della “casa dell’Islam”.
Ikeda: Anche la comunità buddista non è un gruppo chiuso ma serve da ponte fra i princìpi buddisti e le realtà sociali. Il sangha, la comunità dei primi buddisti, significa assemblea, congregazione e confraternita.
Tehranian: Il sangha era qualcosa che già esisteva nella società indiana o una creazione originale del Buddismo?
Ikeda: Shakyamuni applicò alla comunità buddista un modello già esistente nella società indiana.
A quell’epoca la coltivazione del riso aveva portato alla nascita della polis e l’attività economica era in aumento. Alcune delle città stato avevano adottato un sistema democratico repubblicano. La loro attività economica ruotava intorno a una comunità simile a una confraternita. Il sistema repubblicano e la confraternita erano chiamate sangha.
Tehranian: Il Budda quindi si era ispirato per la propria comunità religiosa a un modello già esistente nella società. È molto interessante.
Ikeda: Esatto, per Shakyamuni il sangha era la comunità umana ideale.
Tehranian: Ci sono alcune somiglianze di fondo con l’umma.
[…]
Ikeda: Il sangha era il luogo di attività per mettere in pratica gli insegnamenti buddisti nella società. In ogni caso, poiché ogni religione autentica deve preoccuparsi dell’autodisciplina e della salvezza degli altri, è naturale che offra un modello per la società attraverso la costituzione di una comunità ideale dei suoi fedeli.
[…]
Tehranian: Purtroppo l’individualismo si è spinto troppo oltre negli ultimi anni, recando con sé una crescente tendenza contraria all’affiliazione a una organizzazione. Fortunatamente i paesi islamici hanno occasioni periodiche d’incontro in un’organizzazione chiamata Conferenza degli stati islamici.
Ikeda: I gruppi basati sull’esclusione meritano di essere criticati. Occorre esaminare da vicino un’organizzazione, sia in termini degli ideali che professa sia del contributo che dà alla società.
Ci sono gruppi umani di tutti i tipi, e la famiglia è uno di questi. Se rifiutiamo completamente le organizzazioni, finiremo per avere soltanto l’apparato statale che cresce in maniera ipertrofica. Nel XX secolo ci sono stati molti esempi in cui lo stato era diventato troppo potente.
Dietro l’attuale avversione all’appartenenza a una organizzazione non vedo altro che la crescita eccessiva del narcisismo e dello statalismo. Ciò di cui abbiamo bisogno è la costruzione di una rete di solidarietà fra la gente che travalichi i confini nazionali.
Tehranian: Anch’io ne sono convinto. E il dialogo è il sistema per costruirla. Attualmente l’Istituto Toda ha un organo consultivo internazionale costituito da quattrocento eminenti personalità mondiali e che crescerà ancora.
Ikeda: Il dialogo è la linfa, il sangue di un’organizzazione, che porta gli elementi nutritivi e l’ossigeno in tutto il corpo mantenendolo in vita. La presenza o l’assenza di questa linfa determina la vita o la morte di un’organizzazione.
SULLE IDEE DI EGUAGLIANZA
[…]
Ikeda: L’unicità dell’idea buddista di eguaglianza sta nel vedere la natura di Budda in ogni persona. Non deriva dalla pietà per coloro che sono discriminati ma si basa sul rispetto per la natura di Budda che esiste egualmente in ogni essere umano per sua stessa natura.
Il XX capitolo del Sutra del Loto, Il Bodhisattva mai sprezzante descrive come questo bodhisattva riverisse tutte le persone che incontrava venerandole con rispetto per la loro natura di Budda. La parola sanscrita per “venerazione” è namas kara o namas te. Entrambe significano: «Io ti rispetto».
Tehranian: Ancora oggi in India e in Nepal la gente si saluta dicendo namas te. La forma di saluto indiana che consiste nel giungere le mani e inchinarsi è un simbolo di preghiera al divino che esiste nell’altro.
Ricapitolando, la base del concetto buddista di eguaglianza è il rispetto per le altre persone. Aiutare chi è in miseria perché ci si sente superiori e più fortunati è una gentilezza venata di egoismo.
Le azioni altruistiche devono avere radici in un profondo rispetto per la natura di Budda della persona che si sta aiutando. Bisogna pensare che si sta servendo la natura di Budda e ciò impedisce che l’altruismo degeneri in ipocrisia.
Tehranian: Sono parole veramente ammirevoli che voglio imprimere nel mio cuore.
Abbiamo già detto molto sulla visione islamica dell’eguaglianza ma, per completare il paragone con l’idea buddista, vorrei tornare a considerarla.
L’Islam apparve sulla scena storica in un periodo (622 d.C.) in cui sia l’Arabia sia la Persia (Sassanidi, 226-651 d. C.) sia gli imperi bizantini dell’Asia occidentale erano caratterizzati da un’estrema diseguaglianza sociale, simile al sistema delle caste.
Ikeda: La Mecca, situata alla periferia dei maggiori imperi dell’Asia occidentale e dell’Europa, era diventata un fiorente centro commerciale fra Asia meridionale e occidentale. Ma, allo stesso tempo, in mezzo all’abbondanza cresceva la povertà e aumentavano le disparità economiche.
Tehranian: Come al solito alla prosperità doveva corrispondere un inasprimento delle diseguaglianze. E, come abbiamo visto, il messaggio monoteista e di eguaglianza umana di Maometto, oltre a guadagnargli un seguito, suscitò le ire della sua tribù, i Quraysh. Così dovette fuggire dalla Mecca a Medina insieme ai suoi discepoli. Il primo stato islamico a Medina stabiliva norme di eguaglianza fra musulmani e non-musulmani.
Ikeda: Si riferisce alla Costituzione di Medina?
Tehranian: Sì, tutti i musulmani erano ritenuti uguali davanti a Dio eccetto che per il livello di fede che li caratterizzava.
Ikeda: Se pagavano le tasse, i non musulmani avevano diritto ad autogovernarsi come dhimmis, non è vero?
Tehranian: Sì, le loro comunità autonome erano sotto la protezione dello stato islamico. A quell’epoca la schiavitù e l’infanticidio femminile erano pratiche diffuse in Arabia. L’Islam proibì severamente l’infanticidio, e convertendosi all’Islam gli schiavi potevano ottenere la libertà. La liberazione degli schiavi diventò un atto di pietà musulmana.
Ikeda: Pochi sanno che l’Islam attuò la liberazione degli schiavi.
Tehranian: A quell’epoca le donne e gli orfani vivevano in condizioni notevolmente svantaggiate. L’Islam stabilì regole estremamente precise per tutelare i diritti dei bambini. Secondo i modelli contemporanei alcune leggi islamiche sul matrimonio, il divorzio e l’eredità mantengono diseguaglianze fra uomini e donne ma le società islamiche stanno cercando di cambiarle.
Ikeda: Maometto aveva perso i genitori da bambino e ciò lo indusse a stabilire una serie di regole per la protezione degli orfani e dei poveri. Nelle società tribali pre-islamiche il diritto all’eredità era limitato ai maschi dal lato paterno. Maometto estese questo diritto anche alle donne e agli orfani.
Tehranian: La famosa disposizione del Corano secondo la quale agli uomini è permesso sposare quattro mogli, purché siano in grado di comportarsi con giustizia, si potrebbe interpretare come un modo di proteggere le vedove e gli orfani che avevano perso mariti o padri in guerra.
Maometto stabilì anche regole di coesistenza fra musulmani e non musulmani che andavano ben oltre i livelli di tolleranza religiosa e politica del suo tempo. Perciò, per la sua epoca, l’Islam era un sistema progressista.
Ikeda: Lei si riferisce alla tutela della sicurezza dei non musulmani […] garantita dalla Costituzione di Medina. È lodevole che il sistema legislativo tenesse adeguatamente conto delle minoranze.
Tehranian: Alcuni storici europei e americani hanno sostenuto che le società islamiche tradizionali mostravano un livello di eguaglianza e tolleranza superiore a quello dell’occidente cristiano tradizionale.
Ikeda: Lo storico Mark Cohen, paragonando le società islamiche medievali e la persecuzione degli ebrei in Europa, conclude che i dhimmis erano protetti più che perseguitati, anche se sussisteva qualche disparità di trattamento nel sistema di tassazione.
Tehranian: Per esempio nell’impero ottomano le minoranze religiose avevano un grado di autonomia di cui alcune minoranze cristiane perseguitate certo non godevano all’interno del mondo cristiano. A seguito del conflitto arabo-israeliano tuttavia la posizione degli ebrei nei paesi islamici è diventata precaria. In qualche paese, come l’Iran e il Sudan, anche i baha’i e i cristiani vengono perseguitati.
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Giustizia ed eguaglianza necessitano dell’assunzione del principio della diversità umana e della celebrazione del suo valore.
Il tipo di società in grado di servire al meglio la causa dell’eguaglianza e della giustizia è quello che vede nella realizzazione dei diversi potenziali di ogni individuo la condizione per la realizzazione delle potenzialità collettive. Le differenze di sesso, gruppo etnico ed età devono essere valorizzate e rispettate e non usate con intento discriminatorio.
Ikeda: Le differenze dovrebbero essere la base del rispetto e non della discriminazione. È un magnifico ideale che sottoscrivo in pieno. La visione buddista simboleggiata dall’espressione «il ciliegio, il pesco e il susino» [si riferisce alla frase di Nichiren Daishonin: «I fiori del ciliegio, del pesco e del susino selvatico hanno ognuno le proprie qualità, e manifestano le tre proprietà della vita del Budda senza cambiare le loro caratteristiche», Ongi kuden, ndr], ribadisce l’importanza dell’individualità e della diversità. Ogni tipo di albero ha le sue qualità e il suo valore.
Permettendo a ogni persona di rivelare la propria individualità la società potrà beneficiare della ricchezza e dei frutti della diversità.
Tehranian: Proprio così.