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L'empatia è la chiave per i diritti umani (Daisaku Ikeda, Japan Times)


Empathy is deaf to facts and figures; it’s engaged by the "identifiable victim effect".
Illustration by Harry Campbell (New Yorker)

In occasione della Giornata mondiale per i diritti umani del 10 dicembre, il 6 dicembre 2016 è stata pubblicata sul Japan Times una lettera di Daisaku Ikeda, in lingua inglese, intitolata: "Empathy key to human rights", liberamente consultabile online.

Siamo tutti sullo stesso pianeta. Senza la consapevolezza che è in gioco il futuro di tutti noi, continueremo a far del male a noi stessi e agli altri, procurando distruzione, sofferenza e morte. Non hanno più senso quei muri con cui ci separiamo dagli altri, perché è solo insieme agli altri che possiamo cambiare in meglio le nostre sorti. «Siamo tutti, nessuno escluso, implicati in una rete di relazioni. Quando percepiamo questo nel profondo del nostro essere, possiamo vedere chiaramente che la felicità non riguarda solo noi e che la sofferenza non affligge solo gli altri». Noi possiamo fare la differenza. Ogni giorno è il giorno giusto per fare la scelta migliore della nostra vita, ovvero vivere con Compassione e Amore, credendo nel nostro naturale impulso a proteggere la vita e a offrire aiuto.

Pubblico qui di seguito la traduzione della lettera di Daisaku Ikeda "Empathy key to human rights", tratta dalla rivista "Il Nuovo Rinascimento" del 15 gennaio 2017 (rivista dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai).

Ascolta la lettura della lettera (mp3)

«Il cuore di ogni discussione sui diritti umani è la lotta contro la discriminazione. Tutti gli esseri umani sono uguali. Nessuna discriminazione è consentita. Assolutamente nessuna».
Celebrando la Giornata mondiale per i diritti umani - l'anniversario dell'adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani avvenuta il 10 dicembre 1948 - desidero ricordare queste parole del mio amico e filosofo brasiliano Austregésilo de Athayde, uno dei membri chiave del comitato di redazione dello storico documento.

Mentre siamo generalmente capaci di comprendere i sentimenti di coloro con i quali abbiamo un rapporto stretto, le distanze geografiche e culturali spesso si traducono in una analoga distanza psicologica. Le persone finiscono per evitare l'interazione con chi è diverso, guardando piuttosto individui e gruppi attraverso la lente dello stereotipo; inoltre i moderni mezzi di comunicazione possono essere utilizzati per amplificare e diffondere l'impulso allo stereotipo e all'odio.

Da un lato, il numero di persone che attraversano i confini nazionali sta crescendo a un livello senza precedenti. Dall'altro, in molti luoghi del mondo la xenofobia sta aumentando sempre più, spesso assumendo le forme di incitazione all'odio o di veri e propri crimini rivolti a persone di specifiche identità etniche o religiose. Tali atti, indipendentemente dal soggetto preso a bersaglio, sono inammissibili violazioni dei diritti umani.
Le persone che assistono a tali aggressioni - pur non appoggiandole direttamente - potrebbero superficialmente pensare che esista una qualche colpa da parte delle vittime che giustifica tale trattamento. Questo tipo di passività e indifferenza non fa che peggiorare la situazione.
Per contrastare queste tendenze, nel 2013 le Nazioni Unite hanno lanciato l'iniziativa intitolata "Human Rights Up Front Initiative" che mira a considerare i diritti umani e la protezione dei civili come una responsabilità fondamentale di tutto il sistema dell'ONU.

È sempre più urgente riconoscere che ogni singola violazione dei diritti umani è un segnale di allarme, e che occorre adottare misure di tutela prima che quegli abusi isolati si trasformino in gravi violazioni su larga scala.
Le attuali sfide rappresentate dall'estensione dei conflitti e dall'esasperazione dei sentimenti xenofobici convergono nella crisi dei rifugiati. È fondamentale considerare coloro che sono diventati rifugiati non in termini di etnia o religione, ma come nostri simili, esseri umani che portano carichi dolorosi e che hanno bisogno del nostro sostegno.
Anche se i profughi in cerca di salvezza spesso incontrano una serie di reazioni negative nei ­paesi che li accolgono, allo stesso tempo sono numerose le persone che seguono il naturale impulso dell'essere umano a offrire aiuto.
In questo sono mossi dal desiderio innato di empatia che esiste indipendentemente dalle norme codificate sui diritti umani. Tale empatia è quella luce di umanità che ciascuno di noi può far brillare, illuminando il percorso per coloro che lottano e soffrono.

Nell'antica India attraversata da conflitti tribali e lotte di potere tra gli stati, il Budda Shakyamuni affermò: «Tutti tremano davanti alla violenza; tutti hanno cara la vita. Se ci mettiamo al posto di un altro, non dovremmo uccidere né indurre qualcuno a farlo».
Il punto di partenza del Buddismo è l'universale impulso umano a evitare la sofferenza e il male: un sentimento comune a ogni persona che ci fa percepire il valore unico del nostro essere. In questo modo diventiamo naturalmente consapevoli che anche gli altri percepiscono la loro vita allo stesso modo. Shakyamuni ci ha esortato a vedere il mondo attraverso occhi empatici e a impegnarci per adottare uno stile di vita in grado di proteggere tutte le persone dalla violenza e dalla discriminazione.

Ognuno di noi vive con gran dolore le ferite della discriminazione e della violenza. Ma, attivando la capacità di metterci al posto degli altri, possiamo rafforzare la resilienza agli incitamenti all'odio anche in momenti in cui le tensioni sociali diventano sempre più grandi. In questa direzione l'educazione ai diritti umani può svolgere un ruolo cruciale. Nel 2011 è stata adottata la Dichiarazione dell'ONU sull'educazione e la formazione ai diritti umani nella quale gli Stati membri si sono accordati per la prima volta su alcuni criteri standard per l'educazione ai diritti umani. Al fine di costruire quel tipo di "società pluralista e inclusiva" richiesta dalla dichiarazione, bisogna sviluppare modi di pensare che resistano al pregiudizio e all'odio che portano alle violazioni dei diritti umani. Bisogna costruire una cultura resiliente dei diritti umani.
Naturalmente è fondamentale potenziare accordi giuridici internazionali per la prevenzione dei conflitti e la tutela dei diritti umani, ma in definitiva credo che il mezzo più efficace per rompere il ciclo di violenza e di odio sia promuovere uno spirito di empatia in tutta la società umana.

Siamo tutti, nessuno escluso, implicati in una rete di relazioni. Quando percepiamo questo nel profondo del nostro essere, possiamo vedere chiaramente che la felicità non riguarda solo noi e che la sofferenza non affligge solo gli altri. Ognuno ha la capacità di cambiare in meglio il suo ambiente più prossimo e diventare il punto di partenza per una reazione a catena di trasformazione positiva. Anche un gesto apparentemente piccolo può avere un impatto significativo, forse decisivo, sulla persona a cui viene rivolto.
Un dialogo e uno scambio che trascenda le differenze, una comprensione attiva della realtà e della ricchezza dell'esistenza di un'altra persona: questo oggi conta. Utilizzando l'amicizia e l'empatia per ridisegnare la carta geografica del mondo nel nostro cuore, dobbiamo lavorare insieme per costruire una società globale in cui la dignità di ogni individuo venga sempre rispettata e in cui la discriminazione non possa mai essere tollerata.