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Appunti sulla Vacuità (Introduzione alla Via di Mezzo, Nāgārjuna, Mūlamadhyamakārikā)

APPUNTI SULLA VACUITÀ
di Giulio Ripa

Questi appunti sono una rielaborazione personale basata sul corso on-line
Introduzione alla Via di Mezzo, di Ernesto Iannaccone
lezioni sul Mūlamadhyamakārikā, “Le Stanze Fondamentali della Via di Mezzo”, di Nāgārjuna
(Analisi delle nobili verità, Vacuità, Analisi del Nirvana, Analisi degli errori, Analisi del sé)

vedi anche: "Nagarjuna, il secondo Budda, il maestro del metodo scettico, la Via di Mezzo"


Vacuità tra Oggetto e Soggetto

Nagarjuna: "Poiché non si dà alcun fenomeno che non sorga per cause e condizioni ne consegue che tutti i fenomeni non possono che essere vuoti."

Nessun fenomeno è un fenomeno finché non è un fenomeno osservato, in quanto nessun fenomeno possiede una natura indipendente, una identità autonoma poiché i fenomeni dipendono uno dall'altro. L’essere originato dipendentemente implica necessariamente l’assenza in un dato oggetto di una sostanzialità indipendente, ma non nega la contingenza del suo apparire e della sua funzione qualora le condizioni siano presenti.
A ciò Nāgārjuna dà il nome di vacuità.

La vacuità è la via di mezzo tra un approccio nichilista (nulla esiste) e quello sostanzialista (tutto esiste da sempre) sul concetto di esistenza.

Per Nagarjuna, ogni ente è vacuo, vuoto di propria natura, qualsiasi entità è una cosa non specificata nelle sue caratteristiche particolari. L’oggetto ed il soggetto non esistono in modo indipendente, per questo sono privi di identità propria.

La stessa vacuità è priva di identità:

1. la vacuità esiste (le cose sono vuote di una identità propria)
2. la vacuità non esiste (senza le cose non ci sarebbe la vacuità)
3. la vacuità esiste e non esiste (le cose sono vuote di una identità propria e senza le cose non ci sarebbe la vacuità)
4. la vacuità né esiste e né non esiste (né le cose sono vuote di una identità propria e né senza le cose non ci sarebbe la vacuità)

Il tetralemma mostra il paradosso della logica formale, e quindi l’assurdità che il mondo dell’esperienza possa essere conosciuto e definito tramite il giudizio determinante.

La vacuità è il meccanismo dialettico, che procede negando costantemente ogni possibilità logica che possa sostenere un discorso, mostrando, in particolare, che di qualsivoglia
cosa non è possibile dire coerentemente che sia, che non sia, che sia e non sia, che né sia e né non sia, perché tutti questi sono nient'altro che diversi modi con cui il  soggetto tende a rappresentarsi e appropriarsi del mondo concettualmente, piuttosto che guardarlo direttamente così come esso è davvero. La vacuità è la rinuncia ad ogni opinione.
                              
L'oggetto, considerato come entità razionale distinta e logicamente contrapposta al soggetto, senza alcuna interrelazione (es. interazione tra il sistema fisico e il suo
osservatore) si riduce ad una  cosa non specificata nelle sue caratteristiche particolari, non manifesta proprietà assolute permanenti, è una cosa vuota, condizionata da altro.

La cosa in sé, senza nessuna relazione è vacua, manca di identità, é priva di qualità intrinseca. Le proprietà (aspetti, qualità o caratteristiche) delle cose sono sovrapposte,
coesistenti, indeterminate, impermanenti, relative, incerte, ambigue, vuote.

Non esistono determinate proprietà di una cosa indipendentemente da qualcosa d'altro, senza alcuna relazione ad altro. La vacuità è assenza di esistenza intrinseca.

Le cose fenomeniche (le cose che noi sperimentiamo) esistono per convenzione e non sono ‘cose’ in se-stesse, ma in relazione ad altro, dipendono da un nesso causale:
niente è dovuto al caso, ma ogni avvenimento, ogni fenomeno è legato insieme da una rete di interazioni di causa/effetto. Il mondo è un insieme di forze momentanee in relazione
causale reciproca, per cui lo stato presente di qualsiasi fenomeno non è mai completamente definibile o determinabile in modo permanente o assoluto, è incerto.

La dicotomia soggetto-oggetto inizia a dissolversi, quando possiamo verificare che le proprietà di una cosa dipendono dal modo con cui l'osservatore interagisce con la cosa
osservata. Le proprietà delle cose sono instabili, durante l'osservazione variano all’interno di un campo di probabilità di manifestarsi.

La realtà è fatta non di cose, ma di relazioni tra cose, è fatta di eventi probabili che accadono senza una logica temporale, non possono essere previsti in modo univoco ma solo in modo probabilistico.

Nel momento dell’osservazione, alla realtà è impossibile attribuirgli una natura propria, si possono definire solo proprietà relative complementari, escludendosi nel momento
dell'osservazione, per cui l'osservazione dell'una preclude quella dell'altra. Osservando la proprietà di una cosa, le altre proprietà della cosa appaiono indeterminate.
Di conseguenza non potendo cogliere contemporaneamente tutte le proprietà dell'oggetto osservato, l'oggetto risulta vacuo, vuoto di qualità intrinseca e di essenza propria.

Poiché le proprietà degli oggetti percepite dal soggetto sono indeterminate, anche il soggetto è vuoto, condizionato da tutto il resto, senza una propria identità.

Il soggetto (l'Io o il sé), non è altro che l'insieme interconnesso dei fenomeni che lo costituiscono, ciascuno dipendente da qualcosa d'altro. Il soggetto manca di realtà
autonoma, è mutevole, in continuo cambiamento, é vuoto, è condizionato e dipendente da tutto il resto.

Vacuità tra cambiamento ed interdipendenza

Nagarjuna: "Ciò che sorge in dipendenza di qualcosa, non essendo né uguale a quello, né diverso da quello, quindi non è né nulla, né permanente."

La realtà è una totalità indivisa. Il mondo non è fatto di parti separate perché non ci sono veri e propri confini tra le parti e il tutto.

L'armonia delle cose, sta proprio nel suo perenne mutamento: nel divenire il tutto si dà nelle parti e le parti a loro volta attestano il tutto.

Tutto si trasforma. Il tutto è un continuo divenire, un processo dinamico di interazione, produzione e distruzione. Il divenire è la manifestazione del mutamento tra parti
opposte, un gioco infinito di interazioni tra fattori contrari coesistenti e sovrapposti.

Il cambiamento è possibile perché una radicale indeterminazione, la vacuità, permea tutte le forme esistenti.

Il continuo divenire del mondo esiste come realtà fenomenica, cioè appare impermanente, relativa, vacua, indeterminata.

L'interdipendenza è la vacuità delle cose. L'interazione rende le cose suscettibili di continue fluttuazioni e mutamenti, per cui non si può con l'analisi razionale attuare una
tale 'presa' di coscienza onnicomprensiva di una sfuggevole realtà in continuo cambiamento.

In generale afferrare (com-prendere) una cosa vorrebbe dire afferrare tutto, in quanto è impossibile comprendere una cosa per se stessa dato che ogni cosa è interdipendente
con tutto il resto. Ma, il tutto non è afferrabile tramite il rigido ragionamento logico, dove ogni schema teorico precostituito si interpone tra sé ed il mondo.  

E' necessario lasciare la presa, cessare l'attaccamento al concetto di esistenza permanente del mondo in sé.

Essendo le cose incerte, indeterminate, vuote, la realtà (relativa o convenzionale) può essere descritta interamente come compresenza di aspetti contrapposti, complementari
e correlati tra loro; una descrizione in cui si manifesta la realtà intera non semplificata da schemi, ma colta nel suo contatto con il tutto, dalla vivente relazione di elementi
contrastanti, senza un tempo univoco, in un gioco di probabilità di eventi che possono accadere.

Sul piano esperienziale, al di là di ogni svolgimento teorico, concettuale e discorsivo, abbandonando ogni punto di vista, qualsiasi opinione o preconcetto, l'unica possibilità di avere uno sguardo immediato sulla realtà intera, potrebbe essere una visione diretta ed intuitiva senza costruzioni mentali predeterminate dall'Io condizionato dalle idee;
vedere dentro (in-tuito) i fenomeni, una contemplazione diretta che consente di cogliere nella sua totale nudità, l'interazione di ogni realtà così come è in quel dato momento.  

Vacuità tra meditazione ed azione

Nagarjuna: “Poiché tutti i fenomeni sono uguali nella loro mancanza del sé, la nostra mente priva di qualsiasi esistenza vera, completamente libera da soggetto ed oggetto rispetto agli aggregati, elementi e sorgenti di percezione, è dall’inizio non prodotta e vuota per propria natura”.

La mente dall'inizio è sempre vacua ed impermanente, perché è dipendente da altro.
Il sé è una entità originata in modo dipendente, è vacuo. Il sé ha un carattere mutevole, non ha una natura propria. Il sé è inafferrabile.
La vacuità libera la mente dalla concezione del sé, dall'Io egocentrico. La vacuità decostruisce la struttura di un Io condizionato dall’attaccamento al pensiero discorsivo.

La pratica che conduce alla liberazione dai condizionamenti dell'Io è la meditazione senza oggetto: una pratica capace di sospendere i processi automatici della mente giudicante
e di portare ad una visione profonda della realtà, dove quel che conta non sono gli oggetti in sè che sono vuoti, ma le relazioni reciproche tra le cose.

Liberare la mente dai concetti, che sono gli oggetti contenuti in essa, è come svuotare una stanza da tutti gli oggetti presenti che fanno ombra nella stanza quando essa si illumina. Oppure, si possono paragonare i pensieri con le nuvole e la mente con il cielo. Nel cielo le nuvole passano, si accumulano, si addensano, si diradano, appaiono e scompaiono.
Tutto scorre. Senza nuvole il cielo è sereno, le nuvole non fanno più ombra sulla terra, tutto si illumina.

Analogamente, con la serenità della mente, non ci identifichiamo più con quel centro di appropriazione del pensiero discorsivo dell'Io egoico, una proliferazione concettuale
caratterizzata da condizionamenti psichici come l'attaccamento ai propri pensieri e desideri. Il pensiero discorsivo cessa nella vacuità.
Nella meditazione c'è una liberazione interiore dagli automatismi mentali, si modifica lo stato di coscienza per vedere senza illusioni la realtà così come è nel momento presente.

La pratica della meditazione aiuta la mente al distacco dall'Io condizionato, compresa una falsa immagine di sé ossessionata dalla identità e dalla sua frammentazione.

Nell'autocoscienza la mente, abbandonando l'attaccamento al sé con le sue ombre, può trasformare il proprio Io egocentrico condizionato in un Io relazionale che si sente come uno spirito libero da condizionamenti psichici, tutt’uno con il mondo.

Nella pratica meditativa, facendo scorrere i pensieri senza attaccarsi a nessuno di essi, una volta svanita l’identificazione tra la mente e quel centro di appropriazione del
pensiero che è l'Io egoico, la mente è libera da ogni opinione e da ogni condizionamento psichico e concettuale.

Quale direzione prendere dipende poi dalle azioni che stabiliscono un legame con altro. Sono le relazioni che creano la possibilità  di dare un senso alla propria vita.

Per trasformare il pensiero in azione, accettando il concetto di interdipendenza tra le parti, dove tutte le cose sono mutevoli e collegate tra di loro, bisogna uscire fuori dall'idea dell'individuo che sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto del mondo. Nella vita niente ha senso, a prescindere da qualcos’altro.
Mettere in discussione la natura propria dell'Io egoico, libera l'uomo da una individualità separata da tutto il resto, riscoprendo la propria natura universale.

L'unica realtà assoluta possibile è quella non duale, dove tutto è uno e uno è tutto.
Noi dipendiamo da tutto e tutto dipende da noi. Noi siamo una forma vivente cosciente
nell'universo, siamo quindi la coscienza dell'universo che interroga se stesso.  

Comprendere che siamo privi di natura propria ci può liberare dall’attaccamento, dalla sofferenza, dalle illusioni. In modo paradossale, le illusioni (religiose, ideologiche,
tecnologiche, utopiche, etc) danno un senso alla nostra vita nel mondo, ma è il vivere nel mondo senza illusioni che ci fa conoscere la realtà così come è.

L'insegnamento fondamentale della vita a cui partecipiamo è comprendere la vita stessa, ovvero sentire realmente cosa significa essere vivi, che è realmente la presenza, la nuda
sensazione di esserci nel mondo: né un soggetto, né l’oggettivo mondo in sé, ma la logica dell’essere-nel-mondo.

Il problema è che l'individuo si autodetermina solo in base a criteri razionali. Invece, al di fuori da ogni automatismo psichico, gli individui sono fatti dalle relazioni che intrattengono, dal contesto da cui emergono, dalla tradizione in cui vivono e dalla spiritualità in cui credono.

Ognuno pensa se stesso come una goccia d'acqua. Si rifiuta di unirsi come acqua nell'oceano dell'immensità. Perdersi in questo oceano provoca dispiacere se si resta goccia. Ma la possibilità di liberarsi dall'Io egocentrico, può evitare quella tensione superficiale (desiderio individuale) di restare goccia, scoprendosi acqua della goccia in mezzo all'acqua dell'oceano.

Giulio Ripa
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