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Pillole di Filosofia - La realtà è l’insieme delle nostre convinzioni?

La naturale tendenza dell’essere umano è quella di modellarsi ai punti di riferimento che gli vengono forniti dall’autorità e dalle consuetudini o, in alternativa e più raramente, di crearsi i propri. Senza punti di riferimento, tutti noi tendiamo a smarrirci nel nulla. Forse è stata un’osservazione del genere a motivare il detto “Chi prega si salva, chi non prega si danna”, attribuito a Sant’Alfonso Maria de Liguori e ripreso da papa Benedetto XVI. Presumo che formule equivalenti si ritrovino in qualsiasi angolo del pianeta, in tutte le tradizioni religiose storicamente fondate. In questo caso, la preghiera è considerata essa stessa un punto di riferimento in quanto fondata su un ente che, solitamente ma non necessariamente, si presume esterno all’umano, in sé perfetto e sostanzialmente insondabile.

Su questa stessa linea di pensiero orientata al mantenimento di un proprio punto di riferimento percepito come sano e auspicabile, può inserirsi un’osservazione che ho trovato tra gli scritti attribuiti a Gilbert Keith Chesterton, secondo cui: “Sta annegando tutto il vostro vecchio razionalismo e scetticismo, sta arrivando come un mare; e il suo nome è superstizione. Il primo effetto del non credere in Dio è quello di credere in qualsiasi cosa”. Nel senso che, dopo aver gettato via l’unico punto di riferimento che l’autore considera valido, in una generalizzata apostasia, alle persone del nostro tempo non rimane che brancolare nel buio di magia, occultismo, stregoneria, neopaganesimo, satanismo, chiromanzia, cartomanzia, negromanzia, scientismo, spiritismo, contattismo, e simili.

E’ quindi evidente che il rinnegare un punto di riferimento porta a cercarsene altri, magari per definizione antitetici, pur di rimanere aggrappati a qualche cosa. In questo contesto, può inserirsi il grande congresso satanista a Boston che, in questi giorni, sta avendo tanto risalto in alcuni canali di informazione.

I miei lettori potrebbero pensare che, a questo punto, possa cavarmela tirando fuori la cara “Via di Mezzo” di Nagarjuna, di cui già ho scritto e che, sostanzialmente, consiste nello scivolare tra le idee senza aggrapparsi a nessuna di esse. In realtà, stavolta, non è questo il mio intento. Quello che, casomai, può essermi utile del pensiero del grande filosofo buddista è che nulla ha natura propria, nulla esiste di per sé, da cui ne ricavo che nulla è conoscibile. Ma anche se una conoscenza fosse possibile, mi viene in mente il Panta Rei di Eraclito, che sostanzialmente nega la possibilità che le cose rimangano come sono; ne inferisco che qualunque conoscenza sulle cose sarebbe evanescente e impermanente come le cose stesse. Quindi, i nostri punti di riferimento, in che rapporto sono con la realtà?

Se da una parte nessuno schema interpretativo della realtà regge il confronto con la realtà stessa, in quanto governata dal principio di contraddizione, di interdipendenza e di compresenza degli opposti, dall’altra abbiamo bisogno di idee sulla realtà per poter vivere. Detto diversamente, abbiamo bisogno di conoscere la realtà, pur nel paradosso di dover ammettere che non è né conoscibile né descrivibile, in quanto ha contemporaneamente i caratteri dell’esistenza e della non esistenza.

Di fronte a tutto ciò, il problema non è più se sono migliori le arti divinatorie, la stregoneria o lo scientismo rispetto a una specifica fede religiosa. Anzi, fin dall’inizio di questo scritto, non è mai stato questo il problema. Il vero problema è in che rapporto stanno i nostri punti di riferimento, cioè le convinzioni, con la realtà. Sono le nostre convinzioni a creare la realtà o è l’osservazione della realtà a creare le nostre convinzioni?

Nessuna delle due ipotesi è scartabile a priori, perché l’osservatore fa parte della realtà osservata, che esiste soltanto perché esiste chi la osserva. In altri termini, noi facciamo parte della realtà, la creiamo costantemente con le nostre convinzioni e siamo a nostra volta plasmati da quella parte di realtà che noi stessi abbiamo creato, in un ingestibile loop di profezie auto-avverantesi. Ad ogni modo, assai di rado esperiamo la realtà in questo modo, solitamente invece la “subiamo”, ignorando, anzi rinnegando, di esserne attivi coautori.

Robert King Merton introdusse nelle scienze sociali il concetto di “profezia che si autoadempie”, definendola come “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l'avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”. Merton trasse ispirazione dalla formulazione che un altro celebre sociologo americano, William Thomas, aveva dato di quello che è passato alla storia come Teorema di Thomas, che recita: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.

Appunto, il problema non è più se i nostri punti di riferimento sono veri o falsi, giusti o sbagliati, socialmente condivisibili o alienanti, aderenti o non aderenti a un principio di realtà di freudiana memoria. Repetita iuvant: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Quindi, anche se crediamo in una cosa completamente falsa e lontana anni luce dal cosiddetto “buon senso” (qualunque cosa esso significhi), ciò in cui crediamo diventerà soggettivamente e spesso socialmente vero nelle sue conseguenze, anche se le premesse sono false.

Abbiamo tanti esempi di ciò, eppure difficilmente ce ne vogliamo accorgere, perché significherebbe responsabilizzarsi e ascoltare sul serio punti di vista diversi dal proprio, il che solitamente costa fatica in quanto mette in discussione i propri punti di riferimento, cioè il proprio ego.

Dovremmo stare molto attenti soprattutto ai punti di riferimento che sono frutto di indottrinamento esplicito o, assai più di frequente, mascherato in un modo fazioso e subdolo di dare informazioni a senso unico e in modo coordinato. Non mi riferisco solo al generalizzato collaborazionismo dei social, della cosiddetta “scienza” (?), della tv e carta stampata con il potere maligno del momento. E’ un modo di agire che accade a tutti i livelli della società e dei gruppi.

“Una persona che rifiuta di avere una propria filosofia e una propria etica, infatti, avrà solo gli scarti consumati della filosofia di qualcun altro” (Chesterton). Al contempo, però, una persona troppo attaccata alle proprie idee si scontrerà contro di esse e potrà esserne annientata.

(15 gennaio 2023)

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