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Conosci te stesso?

Questi sono esemplari di homo sapiens, o qualcos'altro?
E tu sei uguale a loro o sei diverso?
Conosci te stesso?
Homo Sapiens

Più importante della risposta, è la domanda. Forse, più che chiederci se conosciamo noi stessi, sarebbe appropriato interrogarci sulla fattibilità della conoscenza di sé. Quindi, da questo punto di vista, la domanda più appropriata sarebbe: “E’ possibile, per ciascuno di noi, conoscere se stesso?”.

Partendo dal presupposto che la realtà ultima del tutto, cioè la Coscienza, non è né conoscibile, né indagabile, né in alcun modo descrivibile con le parole, temo che la risposta sia semplicemente “no”. Nessuno può conoscere se stesso, se per conoscenza intendiamo qualcosa di statico e ontologicamente fondato su una realtà che prescinda dagli umori e dalle interpretazioni del momento.

Ad ogni modo, un semplice “no” è fin troppo elusivo di una delle principali domande esistenziali che comunque pretende una risposta un po' più argomentata, quantomeno per dare un senso alle nostre attività quotidiane. Anche nel caso infatti che si voglia glissare su qualsiasi domanda di ordine filosofico e morale, riconducendo la propria esistenza a un mero sopravvivere o, al più, al ripetere le consuetudini sociali, un’idea di noi stessi siamo costretti a farcela.

E quest’idea, di solito, non è mai né scontata né banale.

Ad esempio, siamo sicuri di appartenere a una specie vivente di tipo animale, e nello specifico di essere membri della grande famiglia dell’homo sapiens? Se la risposta fosse sì, cosa significherebbe l’appartenere a tale specie? Che cosa distinguerebbe il fatto di essere umani dal non esserlo? E se invece la risposta fosse no, cos’altro saremmo?

La seconda ipotesi, cioè il fatto di non essere umani, può apparire peregrina, inconsistente o un mero esercizio intellettuale, ma tale non è. Consideriamo infatti alcuni esempi. Prahalad Jani, mistico indiano vissuto senza cibo né acqua dal 1940 al 2020, è stato un essere umano? Potrei porre la stessa domanda per i cosiddetti “respiriani”, ammettendone per implicito l’esistenza. Oppure, volendo fare un altro esempio estremo, cosa potremmo ipotizzare di Thái Ngọc, vietnamita tuttora vivo, che dal 1973 non ha più dormito neanche un'ora?

Questi sono casi estremi e rari, diranno alcuni. E, in effetti, così pare. Però, includendo nella nostra analisi anche le persone che dormono, mangiano, bevono e in generale fanno una vita socialmente normale, quante di queste si sentono figlie della terra e parte di questo mondo tanto quanto lo sono le piante e gli altri animali? Quante invece si sentono figlie del cielo e percepiscono che questo pianeta non è il loro posto, se non temporaneamente o, al peggio, per costrizione? Queste ultime sentono se stesse come pienamente umane? O sentono che la loro natura è un’altra? O addirittura hanno ricordi di altri mondi?

Cos'altro dire poi del recente fenomeno di chi considera se stesso un animale appartenente ad una specie diversa dall'homo sapiens? Mi riferisco a quella che, secondo la neocultura dell'interscambiabilità dei generi, si chiama "subcultura furries", adottata per lo più da bambini e adolescenti. Sia dall'Australia che dagli Stati Uniti, infatti, ci sono sempre più segnalazioni di studenti di scuole primarie e secondarie che da un giorno all'altro hanno iniziato a camminare a quattro zampe, hanno smesso di parlare e hanno iniziato ad esprimersi come gatti, conigli, cani, rettili e quant'altro. All'inizio del 2022, nel Michigan (Stati Uniti), una scuola è stata persino accusata di aver messo a disposizione una lettiera per i bambini che si identificano come gatti (fonte).

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E’ quindi evidente che il considerare se stessi come “umani” non è così scontato. E, ammesso anche di riconoscersi in tale categoria, il confine tra ciò che è umano e ciò che non lo è appare molto sfumato e, talvolta, indecidibile. Non è chiaro in quale rapporto sia la categoria dell’umano con altre categorie che, per definizione, non sono umane. Non mi sto riferendo solo agli alberi, al cielo, al mare o ai gatti, ma anche agli alieni (UFO, UAP, o extraterrestri), agli angeli o lux o altri esseri incorporei, compresi i fantasmi, gli spiriti dei defunti, ecc. Come si rapporta l’umano rispetto al diavolo o al divino, o a categorie ibride tra umano e non-umano, come maghi, streghe, medium e fattucchiere varie? Forse tra le categorie ibride rientrano anche esemplari di cui non è facile decidere se sono umani o non, come Draghi e tanti altri esponenti della finanza predatoria.

Ma andiamo avanti, e ammettiamo pure d’avere un’idea soggettiva e temporaneamente soddisfacente di cosa significhi essere umani. Questo è solo il primo passo. Il secondo passo è il genere. Una volta gli umani potevano essere o maschi o femmine. Senza allargarmi su questo tema, voglio ricordare che quest'estate sono entrato nei bagni pubblici vicino a una spiaggia. C'erano tre porte: una per i maschi, una per le femmine, e una per chi non sa quale delle altre due porte scegliere (giusto per essere in tema sulla problematica del sapere chi siamo). Ma andiamo oltre...

Sulla strada della conoscenza di sé, che a ragion veduta assomiglia sempre di più a un percorso tortuoso, ramificato e pericoloso su disagevoli vie di montagna, ci sono molti altri impedimenti e implicazioni. Tra questi, interrogarsi su se stessi significa anche domandarsi cosa siano la vita, la morte e il mondo in cui viviamo. E qui le cose si complicano terribilmente, soprattutto se prendiamo come verosimile la natura olografica e frattalica del nostro universo, in cui il tempo e lo spazio sono non-locali o, detto diversamente per esser più chiari, non esistono se non come finzione. I fisici quantistici mi scuseranno per l’estrema semplificazione, non potendo far di meglio in questa circostanza.

Dove possono portarci tutte queste riflessioni? Lontano dall’esperienza quotidiana o a un possibile cambiamento radicale di essa? Io propendo per la seconda. Se la maggior parte delle persone considerasse infatti la nascita e la morte come un'illusione, giacché in questo universo non nasce e non muore nessuno, allora non ci sarebbero state né la dichiarata ma inesistente pandemia, né i morti causati dall’aver dato credito al potere dominante (rendendo quindi vera, con i nostri pensieri e comportamenti, la pandemia nelle sue conseguenze ma non nelle sue premesse), né i lockdown, né le mascherine, né i vaccini, né il green pass, né Draghi. Non saremmo neanche arrivati al punto di distruggere l’ecosistema, cioè la nostra e l’altrui casa, perché la consapevolezza di chi siamo ci avrebbe indirizzati altrove.

Ed eccoci arrivati al paradosso. Non possiamo sapere chi o cosa siamo (questa è la mia premessa), ma per vivere bene e rendere il mondo un posto più vivibile dobbiamo essere ben consapevoli di chi e cosa siamo (questa è la mia conclusione).

Stando così le cose, ci conviene abbandonare ogni altra speculazione e stare, soprattutto, nell’esperienza quotidiana con gli altri. Non è possibile infatti conoscere se stessi senza prima conoscere l’altro diverso da sé, e non è possibile conoscere l’altro diverso da sé senza prima conoscere se stessi. Archetipicamente, la verità su di sé è mostrata dallo specchio. Le altre persone e le varie situazioni piacevoli e spiacevoli della vita sono il nostro specchio.

Di contro, però, i social network sono strumenti asociali di alienazione dalla conoscenza di sé e degli altri. L’affidamento alla tecnologia e all’intelligenza artificiale sono infatti sintomo di una scarsa e inadeguata conoscenza di sé. In poche parole, maggiore è la fiducia nella tecnologia, e minore è la fiducia in se stessi, e viceversa.

Comunque, al di là della disumanizzazione dei social, progettati e costruiti appositamente per tirar fuori il peggio di noi stessi, perché mai il mondo dovrebbe farci da specchio? E’ esperienza comune, infatti, quella di sentirci ingabbiati in situazioni ingiuste e punitive di cui non ci sentiamo parte.

Una possibile risposta è che noi siamo coscienze, o meglio, parti dell'unica Coscienza universale, che entrano ed escono da corpi materiali per fare esperienza e acquisire consapevolezza. Da questo punto di vista, il male non viene mai per nuocere, ma è uno strumento per progredire nel percorso di consapevolezza. Noi creiamo il mondo a nostra immagine e somiglianza, esternalizzando quello che ancora non abbiamo capito. Quando finalmente, come Coscienza universale, avremo capito tutto, non avremo più bisogno di farci guerre, né di vivere di egoismi, narcisismi e cattiverie varie.

(18 settembre 2022)

sullo stesso argomento: "Conosci te stesso?", di Giulio Ripa

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