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Per Commissione Europea e BCE la nostra piena occupazione sarebbe una catastrofe...

Qualunque notizia secondo cui il governo italiano (qualunque esso sia, non mi sto riferendo nello specifico a quello attuale, anche se è compreso in questo discorso) sta facendo qualcosa per diminuire la disoccupazione è tanto vero quanto che gli asini volano.

Rimando i miei lettori più attenti al video "Perché sei povero? (Byoblu)", nonché ai numerosi video di Mauro Scardovelli pubblicati su UniAleph in cui lui spiega come funziona la nostra economia.

Qui mi limito a riportare per intero un articolo di Guido Salerno Aletta, pubblicato su MilanoFinanza del 1 dicembre 2018 (fonte), che spiega chiaramente che «La Commissione europea sostiene che, per non avere pressioni inflazionistiche sul versante dei salari, e quindi per mantenere la stabilità monetaria, la disoccupazione italiana non deve scendere sotto il 9,1%».

Smettiamola di raccontarci balle. Ricordo che la Commissione Europea ha il potere di sanzionare gli stati membri inadempienti nell'attuazione delle sue decisioni e per i ritardi nell'approvazione di leggi in recepimento di direttive comunitarie... mentre il Parlamento Europeo (che sarebbe democratico nel senso di eletto dai cittadini) non conta nulla perché non ha il potere di iniziativa legislativa.

Quindi: viviamo in un’Unione Europea dove la priorità non è che i cittadini abbiano l'occorrente per vivere quantomeno dignitosamente (anzi, più siamo poveri e meglio è per l'oligarchia al comando), ma che l’inflazione non rischi di salire troppo. Non faccio ulteriori commenti: buona lettura e buoni approfondimenti.

NOTA: i grassetti, i corsivi e i sottolineati nell'articolo seguente li ho aggiunti io.

Francesco Galgani,
17 luglio 2019

Per strade diverse

Fed-Bce / Le due banche centrali mai così distanti. Quella Usa ha raggiunto gli obiettivi: la disoccupazione è ai minimi da mezzo secolo e l’inflazione è vicina al 2%. Per quella europea invece troppi occupati rappresentano un rischio perché fanno salire il caro-vita

di Guido Salerno Aletta
(link all'articolo originale)

Federal Reserve e Bce, Usa ed Eurozona, sono sempre più distanti, quasi universi paralleli: le rispettive costituzioni monetarie, così come le loro politiche economiche, hanno sempre meno punti in comune. Jerome Powell, il governatore della Fed, parlando lo scorso 28 novembre all’Economic Club di New York, ha usato un paragone assai efficace per rappresentare gli obiettivi che devono essere perseguiti per Statuto: alla collettività americana deve assicurare «bistecche e patate», ovvero il massimo dell’occupazione e la stabilità dei prezzi, sulla base del mandato democratico affidatole dal Congresso. Con la disoccupazione calata dal 9,6% del 2010 al 3,7% dell’ultima rilevazione, il livello più basso da 49 anni a questa parte, e l’inflazione vicina al target del 2%, questi obiettivi sono stati conseguiti.

Già da tre anni, ha aggiunto Powell, la Fed si è orientata a riportare la politica monetaria verso condizioni di neutralità, per non rallentare la crescita da una parte, né correre il rischio di una fiammata inflazionistica ovvero di una destabilizzazione finanziaria dall’altra. La funzione delle istituzioni finanziarie, bancarie e non, è quella di assicurare il fabbisogno di credito delle famiglie e delle imprese. Le crisi vanno prevenute con la regolamentazione, l’esame dei fattori di rischio e le correzioni preventive. Powell ha poi citato, e non per caso, l’intervento che fu svolto presso il medesimo Club nel marzo 1929 da William Harding, allora presidente della Fed di Chicago: metteva in guardia dall’inflazione che stava caratterizzando i prezzi degli asset, ma fu accusato di esorbitare dal mandato affidatogli. Pochi mesi dopo, come aveva temuto, si verificò il crollo di Wall Street. Per questo motivo, già da allora, ma dopo la crisi del 2008 in modo sistematico, la stabilità finanziaria è oggetto di analisi attenta. Nessuna considerazione, neppure indiretta, è stata fatta da Powell sulla politica di bilancio federale, se non per concordare sul fatto che gli sgravi fiscali in atto stanno sostenendo il ciclo economico: si è ben guardato invece dal muovere appunti sull’andamento del debito federale, che è salito dal 64,8% del pil del 2007 al 106,1% di quest’anno ed è proiettato al 117% nel 2023. Questo livello e la prospettata dinamica non sono mai state, neppure indirettamente, considerate fra i fattori di rischio della stabilità finanziaria. Parimenti, né del deficit federale di quest’anno pari al 4,7% del pil, in aumento rispetto al 3,8% del 2017, si è fatta alcuna menzione, e nemmeno del fatto che salirà ancora nel 2019, al 5% del pil. L’analisi di Powell, che si conclude negando l’esistenza di rischi di bolle sui mercati finanziari, è stata interpretata come uno stop all’aumento dei tassi di interesse: Wall Street ha ripreso subito slancio, mentre il cambio del dollaro è calato.

Di tutt’altro tenore, purtroppo, è il bilancio dell’Eurozona, che da anni assiste allo strabismo tra politiche di bilancio restrittive sulla base del Fiscal Compact e politiche monetarie ultra-accomodanti da parte della Bce, considerando i tassi addirittura negativi non solo sulle detenzioni ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria, ma su moltissime emissioni obbligazionarie. Il livello di disoccupazione in Europa, la cui riduzione non rappresenta un obiettivo prioritario della Bce, è ancora in media all’8,1%. In Italia, quest’anno sarà ancora del 10,6% e nel 2019 del 10,1%: un livello peggiore rispetto a quello registrato negli Stati Uniti nel 2010, quando fu appunto del 9,6%. La Commissione europea sostiene che, per non avere pressioni inflazionistiche sul versante dei salari, e quindi per mantenere la stabilità monetaria, la disoccupazione italiana non deve scendere sotto il 9,1%. Non c’è dunque spazio per misure espansive. In Europa, dunque, né la Bce né l’Ue hanno l’obiettivo americano di sostenere l’occupazione, le «bistecche» cui alludeva Powell. Hanno in testa solo le «patate», il controllo dell’inflazione, le amatissime kartoffel tedesche.

La crisi e le terapie adottate in Europa, identiche in tutti i Paesi, dal vincolo del Fiscal Compact all’acquisto di titoli di Stato attraverso il Qe sulla base della chiave di partecipazione al capitale della Bce, hanno ampliato le distanze, assolute e relative. Il rigore ha fatto esplodere il rapporto debito/pil, che in Italia supera il 131% per via del crollo mai recuperato del pil reale rispetto al 2007 (-5% ancora quest’anno) rispetto al +17% della Germania, e un andamento del nominale irrisorio per via della deflazione indotta anch’essa dalle manovre fiscali. Per quanto riguarda la Bce, il Qe si conclude come ampiamente previsto il prossimo dicembre: una decisione coerente unicamente con la situazione della Germania: disoccupazione al 3,4%, inflazione all’1,9%; rapporto debito/pil al 59,8%. Le difficoltà italiane sono notorie, endemiche, e abbracciano contestualmente i temi della crescita, della disoccupazione e del debito. Di quest’ultimo nodo si dà conto nello scenario relativo ai rischi per la stabilità finanziaria internazionale individuati da Powell. A suo avviso, ci sono quattro fattori da tenere sotto controllo, di cui sicuramente tre sono di carattere politico: la normalizzazione monetaria americana e, in altri contesti, le negoziazioni non concluse sulle relazioni commerciali internazionali; le condizioni della Brexit; le discussioni tra Italia e Ue sul bilancio; le potenziali catastrofi collegate a eventi cibernetici. Fed, Fmi e Bce concordano sulla delicatezza della controversia tra Italia e Ue.

Pecca di miopia chi ritiene che per l’Italia si tratti di una questione politica contingente e non invece istituzionale e geopolitica: si tratta di assicurare il rispetto dell’articolo 2, comma 3 del Trattato di Lisbona, secondo cui: «l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale». Tutte chiacchiere. Powell, nel suo intervento a New York, ha confermato che la Fed ha una legittimazione esclusivamente democratica e che la politica monetaria va esercitata sulla base del mandato stabilito dal Congresso, coordinandosi con la politica di bilancio decisa dall’amministrazione, per massimizzare l’occupazione mantenendo stabile la moneta. Del tutto opposta è la costruzione europea: non solo i governi nazionali devono piegare la politica di bilancio alle impostazioni decise dalla Commissione, ma sono tenuti a obbedire a regole astratte, secondo cui la piena occupazione è una catastrofe in quanto minaccia la stabilità della moneta. La Bce è un potere indipendente, anche dal Parlamento europeo e non solo dai governi: non ha né legittimazione né responsabilità democratica e sociale. La politica, la società, sono funzioni della stabilità monetaria. Siamo di fronte a conflitti politici imprevisti, dagli esiti imprevedibili: la Storia, come la natura, facit saltus.

 

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