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Il linguaggio della scienza e la barbarie delle verità scientifiche

«Di fronte a un’ipotesi scientifica sperimentata, approvata, e infine spacciata dalla maggior parte degli scienziati come verità incontrovertibile, ci sono due sane reazioni che si devono avere: ridere a crepapelle dell’imbecillità di tali scienziati e inorridirsi per la loro arroganza»
Richard Feynman, Premio Nobel per la Fisica (1965),
fonte: ”The Feynman Lectures on Physics”, vol. 6, “Electrical and Magnetic Behavior”, Los Angeles, California Institute of Technology, 2006 (audiobook, minuto 55)

In passato mi sono già ampiamente espresso sui possibili limiti della cosiddetta "scienza", e sui drammi che qualsiasi potere dispotico e oppressivo legittima con parole del tipo «Ce lo dice la scienza...». La propria visione delle cose è la propria realtà (nel senso di costruita da noi stessi), la propria verità, il proprio punto di riferimento, che entra necessariamente in conflitto con ciò che è opposto a sé, e quindi con le altre persone, se ritenessimo assoluta la nostra creazione (nel senso di unica verità ammissibile). La soluzione per progredire in un’esistenza non-violenta e armoniosa, ovvero bella da vivere, inizia con il rinunciare all’amore, o attaccamento, alla propria visione delle cose, alla propria realtà, giacché attaccarsi con le unghie e con i denti ad essa è come aggrapparsi ad un sogno dentro a un sogno.

Come disse Pasolini (fonte), «L’amore per la verità finisce col distruggere tutto, perché non c’è niente di vero». A ciò mi par sensato accostare la contrapposizione tra Socrate, che è passato alla storia perché sapeva di non sapere, e una parte della scienza attuale, che sta dimostrando di sapere di mentire, soprattutto quando va a braccetto con il "Potere". Del resto, basta notare che circa il 70% delle ricerche scientifiche sono presumibilmente false perché non riproducibili, cioè sono costruite sul nulla (fonte).

Circa tre anni fa scrissi che: «Secondo la mia opinione, qualsiasi verità è autoreferenziale (o riconducibile ad altre verità autoreferenziali), nel senso che, in ultima analisi, è vero ciò che riteniamo tale... né più, né meno. La verità non è una proprietà intrinseca di un pensiero, di un fatto o di una serie di eventi, è piuttosto un’attribuzione “esterna” operata dalla mente umana su ciò che essa è in grado di concepire, allo scopo di agevolare se stessa. La mente umana, infatti, “ha bisogno” di “possedere” alcune verità per il proprio funzionamento, ma tale attribuzione di verità è e rimane arbitraria». Oggi posso dire che tale visione, per quanto contraria al senso comune, trova piena corrispondenza nella fisica di Bohm, il quale ha spiegato che l’universo è non-locale, ovvero tempo e spazio, così come li percepiamo, non esistono (fonte), quindi tutto è diverso da come sembra.

Contrapporre il "vero" al "falso" può condurci sugli oscuri sentieri del dogmatismo e della violenza istituzionale. Come scrisse Giulio Ripa (fonte):

[...] Pensiamo che tutto dipende da cosa sentiamo dentro di noi. Questa è la verità? Ma nel momento in cui noi crediamo di dire la verità, appena la nominiamo non c'è più. La verità è inafferrabile.
La realtà può essere descritta interamente solo come compresenza di enti contrapposti, complementari e correlati tra loro; una descrizione in cui si manifesta la realtà intera non semplificata da schemi, ma colta nel suo contatto con il tutto, dalla vivente relazione di elementi contrastanti, senza un tempo univoco, in un gioco di probabilità di eventi che possono accadere nello stesso momento. Nel non-dualismo non esiste la verità o la falsità assoluta ed univoca. E non può essere altrimenti, perché la realtà stessa è contraddittoria, ambivalente ed incerta, dotata di una complessità ed interdipendenza difficile da analizzare nella sua totalità che resta un mistero.

La ricerca in questo contesto filosofico si muove lungo una polarità dove il ricercatore deve essere consapevole che nel momento in cui studia con la sua teoria e strumenti un fenomeno, ha già condizionato il risultato finale della ricerca. Allora lo stesso ricercatore non si deve identificare con i risultati della ricerca fatta.
Meglio osservare da più punti di vista un fenomeno da studiare, con i pro e i contro e con diversi quadri di riferimento che si presentano ogni volta, dove il risultato finale non è una verità accertata ma possibile. Non c'è determinismo ma un processo probabilistico dove le cose accadono in una miriade di possibilità.
Nel mistero dell’esistenza le cose sono incerte.

Un'altra interessante riflessione è stata proposta da Marcello Pamio (fonte):

[...] La cecità dell’essere umano e l’incapacità della “scienza” da lui stesso creata ci hanno impedito di osservare la Natura e la sua perfezione. Ed oggi rimaniamo ciechi di fronte ad evidenze impossibili da non vedere. Interveniamo, senza alcun rispetto, attraverso la chimica in un sistema che usa la chimica come secondo messaggero, senza neppure conoscerne meccanismi, funzionamento e regole. E’ lecito, o forse no qualora vi siano dei sintomi, ma in assenza di un problema alcuno, introdurre sostanze chimiche nel corpo è, se non altro, privo di ogni razionalità. [...]

Propongo alcuni spunti di riflessione:

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(5 dicembre 2021)

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