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Esplorando il Dhammapada, libero commentario

Pubblico questo mio lavoro incompleto, così com'è, iniziato a luglio 2024 e finito il 2 aprile 2025. Avrei voluto esaminare tutte le strofe, ma ho preferito non andare oltre la 182 affinché il mio desiderio di completare questa opera, troppo imponente per le mie limitate risorse, non diventasse una forma di attaccamento. Le appendici e le conclusioni comunque ci sono.

Mentre il mondo si prepara alla guerra, noi prepariamoci alla pace.

(Francesco Galgani, 2 aprile 2025)

Indice

  1. Versi in coppia
  2. La consapevolezza
  3. La mente
  4. Fiori
  5. Lo stolto
  6. Il saggio
  7. Il risvegliato
  8. Migliaia
  9. Il male
  10. La violenza
  11. La vecchiaia
  12. Se stessi
  13. Il mondo
  14. Il Buddha
  15. La felicità
  16. L’affetto
  17. La rabbia
  18. Gli inquinanti
  19. Il giusto
  20. Il sentiero
  21. Versi sparsi
  22. L’inferno
  23. L’elefante
  24. La brama
  25. Il rinunciante
  26. Grande Essere

Prefazione

A qualunque tradizione del Dharma apparteniamo, siamo tutti discepoli dello stesso maestro Shakyamuni.

L'importanza dell'apertura mentale e dell'interconnessione tra le diverse scuole del Buddismo è un tema di grande rilievo per chiunque si avvicini agli insegnamenti del Budda con sincerità e devozione. Con il trascorrere degli anni, ho imparato che limitarsi esclusivamente agli insegnamenti di una scuola può portare a una visione ristretta e potenzialmente fuorviante. Esplorare i sacri insegnamenti del Budda senza pregiudizi, così come apprendere dagli insegnamenti e dai maestri di altre scuole buddiste, non solo arricchisce il proprio percorso spirituale ma contribuisce anche a una comprensione più profonda e completa del Dharma, cioè degli insegnamenti del Budda.

Che si tratti del Buddhismo Theravada, Mahayana o Vajrayana, l'insegnamento fondamentale è lo stesso:
la compassione e l'amore per tutti gli esseri senzienti.

Il Buddismo, con le sue numerose scuole e tradizioni, rappresenta un vasto e ricco patrimonio di insegnamenti e pratiche. Ogni scuola offre una prospettiva unica e preziosa sulla via del risveglio. Ad esempio, il Theravāda si concentra sugli insegnamenti più antichi del Budda, come riportati nel Canone pāli o Tipiṭaka, mentre il Mahāyāna espande questi insegnamenti con la figura del Bodhisattva e rendendosi più accessibile alle persone comuni. Il Vajrayāna, o Buddismo tantrico, introduce tecniche esoteriche per la trasformazione rapida della mente. Questi sono solo esempi. Non oso addentrarmi nell'evoluzione storica e geografica del Buddismo, quel che mi preme sottolineare è che esiste una varietà che va ben oltre quanto si possa comunemente immaginare.

Comprendere e rispettare questa diversità è fondamentale per evitare il pericolo del fanatismo. Quando ci si limita a una singola scuola, si rischia di perdere di vista l'insegnamento universale del Budda e di cadere nella trappola del settarismo. Al contrario, un approccio olistico che abbraccia la saggezza di tutte le tradizioni buddiste permette di vedere il filo conduttore che unisce tutti gli insegnamenti: la compassione e l'amore per tutti gli esseri viventi.

La compassione nel buddismo è un concetto centrale e viene considerata una delle virtù più importanti. In sanscrito, il termine utilizzato è "karuṇā" e rappresenta il desiderio di alleviare la sofferenza degli altri esseri senzienti. Questo sentimento è radicato nella capacità di comprendere e condividere le emozioni e le sofferenze degli altri, una forma profonda di empatia che consente di connettersi realmente con le esperienze altrui. Ciò richiede assenza di egoismo.

La compassione è anche strettamente collegata al concetto di interconnessione o interdipendenza, noto come pratītyasamutpāda. Secondo questa visione, la sofferenza di un individuo è parte della sofferenza collettiva, e alleviare il dolore di un altro contribuisce al benessere generale. Questa prospettiva enfatizza come ogni azione compassionevole abbia un impatto più ampio sulla comunità e sul mondo intero.

A proposito dell'ascolto e del dialogo inter-buddista, suggerisco una lettura di "Basic points unifying Theravāda and Mahāyāna". Il nono punto di tale documento asserisce che: «Ammettiamo che nei diversi Paesi ci sono differenze per quanto riguarda le credenze e le pratiche buddiste. Queste forme ed espressioni esterne non devono essere confuse con gli insegnamenti essenziali del Budda».

Nel corso degli anni, attraverso il mio blog, ho cercato di dare ampio spazio a filosofie, scuole e religioni diverse, dimostrando che da ogni tradizione c'è qualcosa di prezioso da imparare.


Introduzione al Dhammapada

Il Dhammapada è uno dei testi più venerati e influenti del canone buddista. Fa parte del Khuddaka Nikaya del Sutta Pitaka, che è una delle tre sezioni del Canone pāli o Tipiṭaka, il corpus principale delle scritture buddiste theravada. Composto da 423 strofe, il Dhammapada è un'antologia di insegnamenti attribuiti al Budda, suddivisa in 26 capitoli che trattano vari aspetti della dottrina buddista, inclusa la moralità, la meditazione e la saggezza. Questi versi sono stati ampiamente commentati e studiati nel corso dei secoli, e continuano a essere una fonte inesauribile di ispirazione e guida per i praticanti buddisti e per chiunque cerchi una comprensione più profonda della vita e della mente umana.

Il Dhammapada ha origini antiche, risalenti ai primi secoli successivi alla morte del Budda, avvenuta nel V secolo a.C. Il termine "Dhammapada" può essere tradotto come "il cammino della verità" o "i versi del Dharma" (cfr. etimologia). È importante comprendere il contesto in cui questi insegnamenti furono raccolti: l'India antica era un crogiolo di tradizioni spirituali e filosofiche, e il buddismo si sviluppò in un ambiente ricco di dibattiti e pratiche religiose diverse. Il Dhammapada riflette questa complessità culturale, offrendo saggezza pratica e profonda che poteva essere facilmente memorizzata e trasmessa oralmente, rendendo accessibili gli insegnamenti del Budda a un vasto pubblico.

Ogni capitolo contiene una serie di versi che esprimono concetti chiave della dottrina buddista in modo conciso e poetico. I versi non solo forniscono insegnamenti morali, ma anche indicazioni pratiche su come vivere una vita virtuosa e significativa.

Il Dhammapada ha avuto un impatto significativo non solo all'interno del buddismo theravada, ma anche in altre tradizioni buddiste e nelle culture asiatiche in generale. È stato tradotto in numerose lingue e studiato in tutto il mondo, diventando una delle opere più accessibili e popolari del buddismo. La sua influenza si estende oltre il campo religioso, toccando anche la filosofia, la letteratura e l'etica. Molti dei suoi versi sono diventati citazioni famose, utilizzate per ispirare e motivare persone di diverse fedi e background culturali.

Nel corso dei secoli, numerosi studiosi e praticanti hanno scritto commentari sul Dhammapada, esplorando e spiegando i suoi versi in profondità. Questi commentari aiutano a contestualizzare gli insegnamenti e a renderli applicabili alla vita quotidiana. Alcuni dei commentari disponibili gratuitamente per il download sono stati raccolti nell'archivio "Pali Commentaries Atthakatha - English Translations Collection".


Breve nota metodologica

L'obiettivo con cui scrivo questo commentario è solo quello di aiutare il lettore a prendere un po' di confidenza con il testo e con i principi del buddismo, rimandando ai commentari riconosciuti dalla tradizione buddista per eventuali approfondimenti.

Mi baserò sulla traduzione di Chandra Livia Candiani (cfr. testo integrale). Nei commenti, userò in modo intercambiale termini sanscriti o pali, linkandoli sempre all'Encyclopedia of Buddhism, o ad altre fonti se opportuno.

Farò in modo che il lettore possa leggere le strofe e i relativi commenti nell'ordine che preferisce, quindi ripeterò i concetti fondamentali per la comprensione di una strofa anche se già espressi nelle strofe precedenti.


VERSI IN COPPIA

1
Tutto ciò che siamo è generato dalla mente.
E’ la mente che traccia la strada.
Come la ruota del carro segue
l’impronta del bue che lo traina
così la sofferenza ci accompagna
quando sventatamente parliamo o agiamo
con mente impura.

La prima strofa sottolinea la centralità della mente nella creazione della nostra realtà. Secondo il Budda, ogni nostra esperienza è filtrata dalla mente, ed è questa che determina come percepiamo e reagiamo al mondo intorno a noi. La mente è paragonata a una strada tracciata, suggerendo che i nostri pensieri e atteggiamenti plasmano il nostro percorso di vita. Questo insegnamento si basa sulla convinzione che i nostri pensieri e intenzioni siano alla base delle nostre parole e azioni, che a loro volta determinano il nostro karma, o risultato delle azioni.

L'immagine della ruota del carro che segue l'impronta del bue è una metafora da tenere a mente. Proprio come il bue che traina il carro determina la strada che la ruota percorrerà, così i nostri pensieri impuri determinano il sentiero della sofferenza che seguirà le nostre azioni sventate. L'importanza di mantenere una mente pura è cruciale perché una mente impura porta inevitabilmente a parole e azioni che causano sofferenza, sia per noi stessi che per gli altri.

Nel contesto del Buddismo, il termine "mente impura" si riferisce a stati mentali negativi come l'avidità, l'odio, l'illusione e l'ignoranza. Questi stati mentali non solo contaminano la nostra percezione della realtà ma ci spingono anche a comportamenti che rafforzano ulteriormente il ciclo della sofferenza. Il Budda insegna che attraverso la pratica della consapevolezza (sati) e della meditazione (bhavana), possiamo purificare la nostra mente e, di conseguenza, trasformare il nostro karma.


2
Tutto ciò che siamo è generato dalla mente.
E’ la mente che traccia la strada.
Come la nostra ombra incessante ci segue
così ci segue il benessere
quando parliamo o agiamo
con purezza di mente.

La seconda strofa continua l'esplorazione del potere della mente, ma questa volta sottolinea il lato positivo di una mente pura. Il Budda afferma che, proprio come la sofferenza segue una mente impura, il benessere segue una mente pura. L'immagine dell'ombra che ci segue incessantemente è usata per illustrare come il benessere sia il naturale risultato di pensieri, parole e azioni puri.

La purezza di mente nel Buddismo si riferisce a uno stato di non-attaccamento, compassione, amorevolezza (metta), e saggezza. Questi stati mentali positivi generano karma positivo, che porta inevitabilmente a esperienze di benessere e felicità. La mente pura non è turbata dai desideri e dalle avversioni che spesso guidano le nostre azioni impulsive e dannose.

Il concetto di karma è centrale. Karma, nel Buddismo, non è solo una legge di causa ed effetto ma è anche una guida etica che ci mostra l'importanza di coltivare stati mentali salutari per migliorare la qualità della nostra vita e quella degli altri. Parlare e agire con una mente pura significa vivere in armonia con gli insegnamenti del Budda, il Dhamma, e contribuire a una vita di pace e felicità.

Questi insegnamenti ci invitano a riflettere sulla nostra vita interiore e a prendere consapevolezza del potere trasformativo della mente.


3
"Mi hanno insultato, maltrattato,
mi hanno offeso, derubato":
impigliati in tali pensieri
ravviviamo il fuoco dell’odio.

Questa strofa parla dell'importanza di come i nostri pensieri possono influenzare il nostro stato emotivo e la nostra sofferenza. Il Budda ci insegna che rimanere impigliati nei pensieri di offesa e di ingiustizia ricevuta non fa altro che alimentare il fuoco dell'odio dentro di noi. Questi pensieri diventano una trappola mentale che ci impedisce di trovare la pace interiore.

Nel buddismo, il concetto di "impigliarsi" nei pensieri negativi è visto come una forma di attaccamento. L'attaccamento, in questo caso alle offese ricevute, ci mantiene legati al ciclo della sofferenza (saṃsāra). Il Budda ha insegnato che l'odio non può essere sradicato con altro odio, ma solo con la gentilezza e la comprensione. Ravvivare il fuoco dell'odio significa alimentare un'emozione che non porta altro che dolore e conflitto sia interno che esterno.

Uno degli obiettivi principali del buddismo è raggiungere l'illuminazione, uno stato di totale liberazione dalla sofferenza. Per farlo, è necessario coltivare una mente che non si lascia trascinare dall'odio e dalle emozioni negative. Questo insegnamento ci invita a riflettere su come reagiamo alle ingiustizie e a cercare modi per liberarci da questi pensieri tossici, sviluppando compassione e perdono.


4
Se ci liberiamo del tutto
da pensieri che insinuano:
"Mi hanno insultato, maltrattato,
mi hanno offeso, derubato",
l’odio è spento.

Questa strofa prosegue il discorso iniziato nella strofa precedente, sottolineando la liberazione che deriva dal lasciar andare i pensieri di offesa e ingiustizia. Quando ci liberiamo completamente di questi pensieri, l'odio non trova più nutrimento e si estingue.

Nel buddismo, la pratica del lasciare andare è fondamentale per il cammino verso l'illuminazione. Lasciar andare non significa ignorare o giustificare le ingiustizie subite, ma piuttosto non permettere che queste ci definiscano o ci tengano prigionieri in uno stato di sofferenza. La pratica del non attaccamento ai pensieri negativi ci porta a uno stato di equilibrio e serenità.

Il Budda ha insegnato che la mente è la fonte di tutte le esperienze. Se permettiamo alla nostra mente di essere dominata da pensieri di odio, vivremo in uno stato costante di conflitto. Tuttavia, se pratichiamo la consapevolezza e impariamo a osservare i nostri pensieri senza giudizio, possiamo trasformare la nostra reazione alle situazioni difficili e scegliere di non alimentare l'odio.

La liberazione dai pensieri di offesa e odio è un processo che richiede pratica e pazienza. Può essere utile meditare sulla compassione, non solo per gli altri ma anche per noi stessi. La pratica della meditazione buddista, come il Metta Bhavana (Meditazione della Benevolenza Amorevole), può aiutare a sviluppare una mente più compassionevole e meno incline all'odio.


5
L’odio non può sconfiggere l’odio,
solo esser pronti all’amore lo può.
Questa è la legge eterna.

Il concetto di odio che non può essere sconfitto dall'odio ma solo dall'amore è profondamente radicato nella filosofia buddista. Questo principio non solo si riflette nel Dhammapada, ma permea anche altre scritture e insegnamenti buddisti.

Nel buddismo, l'odio (o dvesha) è uno dei tre veleni fondamentali, insieme all'ignoranza (avidya) e al desiderio (raga), che tengono gli esseri umani legati al ciclo di nascita, morte e rinascita (samsara). Questi veleni oscurano la nostra visione della realtà e ci impediscono di raggiungere l'illuminazione (nirvana).

L'odio genera sofferenza sia in chi lo prova che in chi ne è bersaglio. Rispondere all'odio con altro odio non fa che perpetuare un ciclo di sofferenza e ostilità. Invece, rispondere con amore (maitri) o compassione (karuna) può interrompere questo ciclo. L'amore, nel contesto buddista, è un amore disinteressato e universale, non condizionato dalle circostanze o dalle azioni degli altri.

Quando il Budda si riferisce alla "legge eterna", parla del Dharma, la legge universale e il cammino della verità. Il Dharma rappresenta l'ordine naturale delle cose e la via per la liberazione dalla sofferenza. Questa legge eterna implica che solo attraverso pratiche positive come l'amore e la compassione possiamo davvero superare le negatività come l'odio.

Nella vita quotidiana, questo insegnamento ci invita a coltivare un atteggiamento di pazienza, tolleranza e comprensione. Quando ci troviamo di fronte all'odio, sia che provenga da noi stessi sia che ci venga diretto dagli altri, la risposta suggerita è quella di sviluppare una mente compassionevole. Questo può essere particolarmente difficile in situazioni di conflitto o ingiustizia, ma è proprio in questi momenti che la pratica diventa essenziale.


6
Chi è litigioso dimentica
che moriremo tutti;
non ci sono litigi
per il saggio che riflette sulla morte.

Questa strofa ci offre un potente insegnamento sulla transitorietà della vita e l'inutilità dei conflitti. La consapevolezza della morte è un tema ricorrente nel buddismo e serve come monito per vivere in modo saggio e pacifico.

Il primo insegnamento di questa strofa è che coloro che sono inclini alla litigiosità dimenticano una verità fondamentale: tutti dobbiamo morire. Questo non è un invito a vivere con paura o disperazione, ma piuttosto a sviluppare una comprensione profonda della nostra mortalità. Riconoscere che la vita è fugace può aiutare a ridimensionare le nostre preoccupazioni quotidiane e a renderci conto che molte delle cose per cui ci arrabbiamo o litighiamo sono, in ultima analisi, insignificanti.

La seconda parte della strofa ci dice che per il saggio che riflette sulla morte non ci sono litigi. Questo ci suggerisce che la saggezza deriva dalla consapevolezza della nostra condizione mortale. Quando comprendiamo veramente che il nostro tempo è limitato, siamo più propensi a vivere in armonia con gli altri, evitando conflitti inutili. Questa consapevolezza ci aiuta a vedere il quadro più grande e a dare priorità alla pace e alla comprensione reciproca piuttosto che alla vittoria in un litigio.

Nel contesto del buddismo, la riflessione sulla morte è chiamata "maraṇasati" (la contemplazione della morte). Questa pratica non è intesa a indurre paura, ma a promuovere una vita di virtù e consapevolezza. I praticanti buddisti sono incoraggiati a riflettere sulla morte non solo come un evento inevitabile, ma come una realtà che può accadere in qualsiasi momento. Questo incoraggia una vita vissuta con intenzionalità e urgenza morale.

Inoltre, il concetto di "litigiosità" qui può essere esteso oltre i semplici conflitti verbali. Può includere anche l'attaccamento ai nostri punti di vista, la rigidità nei nostri atteggiamenti e l'incapacità di perdonare. Il saggio, riconoscendo la propria mortalità, lascia andare queste attitudini negative, favorendo invece la compassione e la comprensione.

Infine, questa strofa ci ricorda un principio fondamentale del buddismo: l'interconnessione di tutti gli esseri. Litigare con gli altri è come litigare con se stessi, poiché tutti condividiamo la stessa condizione umana di mortalità. La saggezza sta nel riconoscere questa interconnessione e vivere in modo che il nostro tempo sulla terra sia segnato da gentilezza, armonia e pace.


7
Come un vento burrascoso sradica un albero fragile
così chi incurante si aggrappa al piacere
indulge al cibo e alla pigrizia
può sradicarlo Mara.

Questa strofa utilizza una potente metafora per illustrare l'importanza della disciplina e della vigilanza nella pratica buddista. In questa strofa, il vento burrascoso rappresenta le forze destabilizzanti della vita, mentre l'albero fragile simboleggia una persona la cui mente è debole e non addestrata.

Nel buddismo, Mara è spesso personificato come una figura demoniaca che rappresenta le forze della tentazione e della distrazione. Qui, Mara viene descritto come colui che può sradicare coloro che si lasciano andare al piacere, al cibo e alla pigrizia. Questo non deve essere interpretato come una demonizzazione del piacere o del cibo in sé, ma piuttosto come un avvertimento contro l'eccesso e la mancanza di autocontrollo.

Un albero fragile è facilmente sradicato dal vento, proprio come una persona priva di autodisciplina è vulnerabile alle tentazioni e alle distrazioni. La pratica buddista enfatizza la necessità di una mente forte e disciplinata che non sia facilmente turbata dalle difficoltà della vita.

L'attaccamento ai piaceri sensoriali è visto come un ostacolo significativo nel percorso verso l'illuminazione. Il piacere in sé non è intrinsecamente negativo, ma l'attaccamento ad esso può portare a sofferenza e disillusione. La ricerca incessante di gratificazione sensoriale può portare a una spirale di desiderio e insoddisfazione, allontanando l'individuo dal cammino della consapevolezza e della liberazione.


8
Come un vento burrascoso
non scuote una montagna di roccia
così chi contempla
la realtà del corpo
chi coltiva la fede e l’entusiasmo
non è turbato da Mara.

Questa strofa illustra l'imperturbabilità del saggio che ha raggiunto una profonda consapevolezza e fede. La "montagna di roccia" rappresenta la solidità e la stabilità del praticante che ha coltivato una profonda comprensione della natura del corpo e della mente. Tale comprensione deriva dalla pratica meditativa e dalla contemplazione.

Contemplare la realtà del corpo è una pratica centrale nel buddismo. Si tratta di osservare il corpo non come un'entità solida e permanente, ma come un aggregato di fenomeni in continuo cambiamento. Questo include osservare la respirazione, le sensazioni, e la transitorietà delle condizioni fisiche. Tale pratica sviluppa la saggezza che permette di vedere il corpo per quello che è realmente: impermanente, insoddisfacente e privo di un sé intrinseco (cfr. Appunti sulla Vacuità, Introduzione alla Via di Mezzo, Nāgārjuna, Mūlamadhyamakārikā).

Coltivare la fede e l’entusiasmo è essenziale nel percorso spirituale buddista. La fede (saddhā) nel buddismo non è cieca, ma basata sulla comprensione e sull'esperienza diretta degli insegnamenti del Budda. L’entusiasmo (viriya) si riferisce allo sforzo energico e alla perseveranza nel praticare il Dhamma. Questi due fattori agiscono come ancore che stabilizzano il praticante, rendendolo imperturbabile di fronte alle difficoltà.

Come abbiamo visto nella strofa precedente, Mara rappresenta le forze dell'illusione e della tentazione che cercano di distogliere il praticante dal cammino spirituale. Non essere turbato da Mara significa avere una mente che rimane serena e stabile anche quando sorgono desideri, avversioni o dubbi. Il saggio che ha sviluppato la consapevolezza e la fede è come una roccia che non può essere smossa da un vento burrascoso.

La strofa sottolinea l'importanza dell'equilibrio mentale e della stabilità emotiva. Un praticante che ha sviluppato queste qualità attraverso la contemplazione e la fede non sarà scosso dalle vicissitudini della vita. Questo stato di imperturbabilità non è indifferenza, ma una profonda serenità che permette di affrontare le sfide con calma e saggezza.


9
Indossare l'abito del rinunciante
non conduce di per sé alla purezza.
Coloro che lo indossano e tuttavia mancano
di accuratezza sono infingardi.

Questa strofa mette in luce l'importanza della sincerità e dell'integrità nella pratica spirituale. Il termine "rinunciante" si riferisce a coloro che abbandonano la vita mondana per dedicarsi alla ricerca spirituale, spesso assumendo una veste simbolica, come l'abito monastico. Tuttavia, il Budda avverte che il semplice atto di indossare questo abito non garantisce la purezza interiore.

La "purezza" nel contesto buddista non riguarda solo la pulizia fisica o la ritualità, ma un profondo stato di integrità morale e mentale. Questo implica che per essere veramente puri è necessario coltivare la mente e il cuore, aderendo sinceramente agli insegnamenti del Budda e alle pratiche etiche. La "accuratezza" menzionata nella strofa si riferisce all'attenzione consapevole e alla dedizione nella pratica del Dhamma (gli insegnamenti del Budda). Senza questa attenzione, anche chi indossa l'abito del rinunciante può essere considerato un "infingardo", ovvero una persona ipocrita o ingannevole.

Questo concetto è strettamente legato alla visione buddista della moralità e della pratica spirituale, dove l'azione esterna deve essere un riflesso della trasformazione interna. La critica del Budda agli infingardi sottolinea che la pratica superficiale, senza una reale trasformazione interiore, è inutile. Questo insegnamento esorta i praticanti a cercare l'autenticità e la sincerità nel loro cammino spirituale.

Il Budda spesso enfatizzava che la via verso l'illuminazione richiede non solo l'adesione ai precetti esterni ma anche uno sforzo costante per purificare la mente dalle impurità come l'avidità, l'odio e l'ignoranza. In altre parole, la vera pratica del rinunciante non è solo nel mostrarsi come tale, ma nel vivere con coerenza secondo i principi del Dhamma, sviluppando qualità come la saggezza, la compassione e la rettitudine.


10
Totalmente padrone di sé
onesto e accurato nel comportamento:
ecco chi è degno
dell'abito di rinunciante.

Questa strofa mette in evidenza la vera essenza di chi può essere considerato degno dell'abito del rinunciante.

La frase "totalmente padrone di sé" implica che il rinunciante deve avere un controllo totale sui propri impulsi e desideri. Questo controllo non è una semplice repressione ma una profonda comprensione e trascesa dei desideri stessi. Il controllo di sé è fondamentale per mantenere la mente libera dalle distrazioni e dalle passioni che ostacolano la pratica meditativa e la contemplazione.

Essere "onesto e accurato nel comportamento" sottolinea l'importanza dell'integrità morale e della precisione nelle azioni. L'onestà non si limita alla verità nelle parole, ma si estende a ogni aspetto della vita del rinunciante. La precisione nel comportamento indica una consapevolezza costante e una disciplina rigorosa nel seguire il sentiero etico indicato dal Budda. Questo include la retta parola, la retta azione e il retto sostentamento, tre dei fattori del Nobile Ottuplice Sentiero.

Queste qualità fanno di un individuo una persona degna dell'abito di rinunciante, che non è semplicemente un simbolo esteriore, ma un riflesso della purezza interiore. Nel contesto buddista, il vero valore non risiede nei segni esteriori della religiosità, ma nella trasformazione interna. Questa trasformazione si manifesta attraverso il superamento delle impurità mentali e l'adozione di una condotta irreprensibile.


11
Scambiando la falsità per verità
la verità per falsità
si vive immersi nella menzogna.

Questa strofa evidenzia un tema centrale nel buddismo: la confusione tra verità e falsità e le conseguenze di tale confusione. Quando scambiamo la falsità per verità e la verità per falsità, viviamo in uno stato di illusione che ci impedisce di vedere la realtà per quella che è. Questo stato di confusione è paragonabile all'ignoranza, una delle tre radici del male (akusala-mula) nel buddismo, insieme a desiderio e avversione.

Nel contesto buddista, la verità non è solo un concetto intellettuale ma una visione diretta della realtà così com'è (yathābhūta). La verità è ciò che è in accordo con il Dharma, l'insegnamento del Budda. La falsità, al contrario, è tutto ciò che distorce o oscura questa visione. Vivere immersi nella menzogna significa essere prigionieri delle illusioni (maya) e delle afflizioni mentali (kleshas) che ci allontanano dalla liberazione (nirvana).

Questo stato di menzogna conduce a un ciclo continuo di sofferenza (dukkha), poiché le nostre azioni (karma) basate su false percezioni generano ulteriori illusioni e sofferenze. Per esempio, se crediamo che la felicità risieda nei beni materiali o nel piacere sensuale, continuiamo a cercare queste cose, sperimentando solo una soddisfazione temporanea seguita da ulteriore insoddisfazione.

La pratica buddista, attraverso la meditazione (bhavana) e la disciplina etica (sila), mira a sviluppare la consapevolezza (sati) e la saggezza (panna) necessarie per discernere la verità dalla falsità. Questo discernimento è fondamentale per rompere il ciclo dell'ignoranza e della sofferenza, conducendo alla liberazione.

Infine, questa strofa ci invita a riflettere profondamente sulle nostre convinzioni e percezioni, esaminandole alla luce dell'insegnamento del Budda per liberare la nostra mente dalle false idee e vivere in armonia con la verità.


12
Ma vedendo il falso come falso
e il vero come vero
si vive in impeccabile verità.

Questa strofa continua il discorso iniziato nella strofa precedente, sottolineando l'importanza del discernimento tra il falso e il vero. Nel buddismo, la capacità di vedere le cose come sono veramente è considerata una delle qualità più elevate che un praticante può sviluppare. Questa qualità è conosciuta come "visione corretta" (samma ditthi), che è la prima componente del Nobile Ottuplice Sentiero.

Vedendo il falso come falso e il vero come vero, si vive in impeccabile verità, che significa vivere in accordo con il Dharma. Questa visione chiara è possibile attraverso la pratica della consapevolezza e della meditazione, che aiutano a purificare la mente dalle illusioni e dalle distorsioni create dall'ignoranza, dal desiderio e dall'avversione.

L'illuminazione (bodhi) nel buddismo è spesso descritta come una realizzazione diretta e non concettuale della verità ultima (paramattha sacca). Quando si raggiunge questa realizzazione, si sperimenta una trasformazione profonda della propria visione del mondo e del sé. Le illusioni che causavano sofferenza vengono dissipate, e si sperimenta una pace e una gioia durature.

Questa strofa ci ricorda che la ricerca della verità richiede un impegno continuo per sviluppare la saggezza e la consapevolezza. Non si tratta solo di un'adesione intellettuale agli insegnamenti del Budda, ma di un'esperienza vivente che permea ogni aspetto della nostra vita. Vivere in impeccabile verità significa anche agire con integrità e compassione, riconoscendo l'interconnessione di tutti gli esseri e cercando il bene comune.


13
Come la pioggia penetra attraverso
un tetto male impagliato
così le tempestose passioni
si insinuano in un cuore non domato.

Questa strofa utilizza l’immagine di un tetto male impagliato per illustrare come le passioni possano penetrare e disturbare una mente non addestrata. Nel Buddismo, la mente è considerata il centro delle nostre esperienze e del nostro comportamento. Un tetto mal fatto non riesce a proteggere la casa dalla pioggia, analogamente una mente non addestrata non può proteggere il cuore dalle passioni distruttive come l'avidità, l'odio e l'ignoranza.

Le passioni tempestose menzionate nel verso si riferiscono ai kleshas, ovvero agli stati mentali afflittivi che oscurano la nostra visione della realtà e ci spingono a compiere azioni nocive. Questi stati mentali sono i principali ostacoli al raggiungimento dell'illuminazione. Senza un'adeguata pratica e disciplina, la mente rimane vulnerabile a queste influenze negative, proprio come un tetto mal costruito è vulnerabile alla pioggia.

Il cuore non domato è una metafora per la mente che non è stata allenata nella meditazione e nella consapevolezza. Nel Buddismo, pratiche come la meditazione di consapevolezza (vipassana) e la meditazione di concentrazione (samatha) sono essenziali per addestrare la mente. Queste pratiche aiutano a sviluppare una maggiore consapevolezza e controllo sui propri pensieri e emozioni, rendendo la mente più resistente alle tentazioni e agli stati mentali afflittivi.

Inoltre, un cuore non domato è spesso preda di impulsi e desideri inconsci che portano alla sofferenza. Secondo il Buddismo, la sofferenza nasce dal nostro attaccamento e dal desiderio insaziabile. Addestrare la mente significa riconoscere questi impulsi e imparare a non farsi dominare da essi. Questo processo di addestramento porta a una maggiore libertà e pace interiore, poiché la mente diventa più stabile e meno suscettibile alle perturbazioni esterne.


14
Come la pioggia non può penetrare
attraverso un tetto ben impagliato
così le passioni non invadono
un cuore ben addestrato.

Questa strofa completa l'analogia iniziata nella precedente, mostrando il contrasto tra una mente non addestrata e una ben addestrata. Un tetto ben impagliato, che non permette alla pioggia di entrare, rappresenta una mente ben allenata nella pratica della consapevolezza e della disciplina. Questo tipo di mente è resistente alle passioni e agli stati mentali afflittivi.

Nel Buddismo, un cuore ben addestrato è quello che ha coltivato le qualità della saggezza (prajna), della moralità (sila) e della concentrazione (samadhi). La saggezza permette di vedere la realtà così com’è, senza le distorsioni create dai nostri desideri e attaccamenti. La moralità ci guida nel compiere azioni che non causano sofferenza a noi stessi e agli altri. La concentrazione, sviluppata attraverso la meditazione, ci aiuta a mantenere la mente focalizzata e stabile.

Quando la mente è ben addestrata, le passioni come l'avidità, l'odio e l'ignoranza non possono invadere facilmente il nostro cuore. Questo stato di addestramento non è raggiunto in modo passivo ma attraverso una pratica costante e dedicata. La meditazione, la riflessione sui precetti etici e lo studio degli insegnamenti del Budda sono tutti strumenti che contribuiscono a questo processo.

Un cuore ben addestrato è anche sinonimo di equanimità (upekkha), una qualità che permette di rimanere sereni e stabili di fronte agli alti e bassi della vita. Questa serenità deriva dalla comprensione profonda della natura impermanente e insostanziale di tutte le cose (anicca e anatta). Con questa comprensione, non ci si lascia trascinare dalle passioni temporanee e si mantiene una mente chiara e pacifica.


15
Quando con chiarezza vediamo
la nostra mancanza di virtù
il rammarico ci assale;
sia ora che in futuro ci affliggiamo.

Questa strofa ci parla dell'importanza della consapevolezza morale e delle conseguenze della mancanza di virtù. Quando riconosciamo chiaramente i nostri errori e le nostre azioni non virtuose, proviamo un profondo senso di rammarico. Questo sentimento di rimpianto non è limitato al presente ma si estende anche al futuro, portando afflizione continua.

Nel buddismo, la consapevolezza e l'auto-riflessione sono fondamentali per il progresso spirituale. Vedendo chiaramente le nostre mancanze, possiamo iniziare il processo di pentimento e correzione. Tuttavia, questo processo può essere doloroso perché implica affrontare la realtà dei nostri difetti e delle nostre azioni passate.

Il rammarico, secondo gli insegnamenti del Budda, serve come catalizzatore per il cambiamento. È attraverso il riconoscimento delle nostre mancanze che possiamo motivarci a migliorare e a evitare di ripetere gli stessi errori. Questo processo di auto-riflessione e pentimento è essenziale per purificare la mente e avanzare sul sentiero della virtù.

Inoltre, il rammarico per le azioni non virtuose ci ricorda l'importanza del karma, il principio secondo cui ogni azione ha conseguenze. Le azioni non virtuose creano karma negativo che può portare a sofferenze future. Riconoscere questo ci sprona a vivere in modo più etico e consapevole, per creare un karma positivo che porterà a risultati benefici nel futuro.


16
Quando sinceramente apprezziamo
la benefica purezza delle nostre azioni
siamo ricolmi di gioia;
sia ora che in futuro
celebriamo la gioia.

Questa strofa enfatizza il contrasto tra la sofferenza causata dalla mancanza di virtù e la gioia che deriva dal vivere una vita virtuosa. Quando apprezziamo sinceramente la purezza e la bontà delle nostre azioni, siamo pervasi da una gioia profonda e duratura, che si manifesta sia nel presente che nel futuro.

Nel contesto del buddismo, la purezza delle azioni si riferisce a comportamenti che sono in linea con i principi etici e morali del Dharma, l'insegnamento del Budda. Questi includono l'astensione da azioni dannose, la pratica della compassione, la generosità, la verità e la non-violenza.

La gioia menzionata in questa strofa non è una gioia superficiale o temporanea, ma una felicità profonda e stabile che deriva dalla consapevolezza di vivere in armonia con i principi morali. Questa gioia è un segno di progresso spirituale e indica che stiamo coltivando un cuore e una mente puri.

Celebrare la gioia nel presente e nel futuro significa che le azioni virtuose hanno effetti positivi duraturi. Il buon karma generato da tali azioni porta a risultati benefici non solo nella vita attuale ma anche nelle vite future. Questa consapevolezza incoraggia la pratica continua della virtù e dell'integrità.


17
Chi fa del male
crea la propria sofferenza
nel presente e nel futuro.
Il pensiero assillante
del proprio torto
tiene schiava la mente
e precipita nel caos.

Questa strofa evidenzia una delle leggi fondamentali del karma nel buddismo: le azioni malvagie generano sofferenza sia nel presente che nel futuro. Il concetto di karma è centrale nella dottrina buddista e indica che ogni azione, parola o pensiero produce una conseguenza. Quando una persona compie azioni negative, queste inevitabilmente portano a risultati dolorosi, non solo nel momento attuale, ma anche nel futuro.

Il "pensiero assillante del proprio torto" si riferisce ai rimorsi e ai sensi di colpa che tormentano chi ha compiuto un'azione malvagia. La mente diventa prigioniera di questi pensieri, incapace di liberarsi dalle catene del rimorso. Questo stato mentale porta a un caos interiore, dove la pace e la serenità sono sostituite da agitazione e sofferenza continua. Il Budda insegna che per evitare questo stato di confusione e tormento, è essenziale mantenere una condotta etica e compassionevole.

Il Dhammapada, attraverso questa strofa, invita noi praticanti a riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni. La sofferenza non è qualcosa che ci accade per caso; è spesso il risultato diretto delle nostre azioni passate. Pertanto, vivere in armonia con i precetti buddisti - che includono non nuocere agli altri, parlare con verità e agire con bontà - è fondamentale per garantire una mente libera e serena.

Inoltre, il Budda sottolinea l'importanza della consapevolezza e dell'introspezione. Essere consapevoli dei propri pensieri e azioni permette di evitare di cadere in schemi negativi che portano alla sofferenza. La pratica della meditazione, per esempio, aiuta a sviluppare questa consapevolezza, permettendo alla mente di rimanere calma e centrata, lontano dal caos e dal tormento dei pensieri negativi.


18
Nel presente e nel futuro
chi vive con onestà la propria vita
è felice comunque.
Spontaneamente
apprezza la virtù
ed è di casa nella gioia.

Questa strofa enfatizza il potere della virtù e dell'onestà come fonti di felicità duratura. Chi vive una vita onesta e virtuosa sperimenta gioia e contentezza sia nel presente che nel futuro. La virtù non è solo un principio morale astratto; è una pratica quotidiana che porta a una vita di pace e felicità.

L'onestà e la virtù sono pilastri della pratica buddista. Vivere onestamente implica essere veri con se stessi e con gli altri, agire con integrità e seguire il proprio dharma (la propria via o dovere). Questo modo di vivere crea un senso di soddisfazione interiore che non dipende dalle circostanze esterne. Anche di fronte alle difficoltà, chi è radicato nella virtù trova pace e felicità.

Il concetto di essere "di casa nella gioia" indica una stabilità emotiva che non viene scossa dalle avversità della vita. La felicità che deriva dalla virtù è stabile e duratura, a differenza dei piaceri effimeri che spesso portano solo a desideri insaziabili e insoddisfazione. Questa felicità stabile è il risultato di una mente che apprezza naturalmente la virtù, che non è attratta dagli inganni dell'ego e delle passioni.

Il Budda insegna che la felicità genuina è un prodotto della mente illuminata e delle azioni rette. La pratica delle perfezioni (paramita) come la generosità, la moralità e la pazienza, conduce a uno stato di benessere che trascende le gioie temporanee e superficiali. La meditazione e la consapevolezza aiutano a coltivare queste virtù, permettendo di vivere in armonia con se stessi e con gli altri.


19
Chi è erudito nel Dhamma
ma non vive
in accordo con esso,
come un mandriano
che brami le bestie altrui
non gusta i benefici
del percorrere la Via.

Questa strofa mette in evidenza una delle verità fondamentali del buddismo: la conoscenza teorica del Dhamma (gli insegnamenti del Budda) non è sufficiente se non viene accompagnata dalla pratica. Il paragone con il mandriano che brama le bestie altrui è significativo: proprio come un pastore che desidera le mandrie di un altro senza possederle realmente, anche chi conosce il Dhamma ma non lo pratica non sperimenta i veri benefici di questo percorso spirituale.

Nel buddismo, la pratica è essenziale per la trasformazione personale. Non basta leggere o ascoltare gli insegnamenti; bisogna integrarli nella propria vita quotidiana. Questo significa adottare un comportamento etico, coltivare la consapevolezza e sviluppare la saggezza. Senza questi elementi, la conoscenza rimane superficiale e non conduce alla liberazione dalla sofferenza.

La strofa ci invita a riflettere sulla nostra coerenza. Se affermiamo di seguire il Dhamma, le nostre azioni devono rispecchiare i principi di compassione, non-violenza, e rispetto per tutti gli esseri. Solo così possiamo sperimentare i benefici profondi del percorso buddista, che includono la pace interiore e la liberazione dai cicli di nascita e morte (samsara).

Il termine "Dhamma" può essere tradotto come "legge naturale" o "verità" e rappresenta l'insieme degli insegnamenti del Budda. Questi insegnamenti non sono solo concetti filosofici, ma linee guida pratiche per vivere in armonia con la natura della realtà. La pratica del Dhamma richiede quindi un impegno costante e una riflessione critica su come i nostri pensieri e azioni si allineano con questi insegnamenti.


20
Sapendo pochissimo di Dhamma
ma vivendo in sincero accordo con esso
trasformando le passioni
l’avidità, l'odio, la confusione
liberandosi da ogni attaccamento
al presente e al futuro
si gustano i benefici
del percorrere la Via.

Questa strofa sottolinea che anche una conoscenza minima del Dhamma può essere estremamente fruttuosa se viene vissuta con sincerità e impegno. Il Budda ci insegna che non è necessario essere eruditi o studiosi per percorrere la Via; ciò che conta è l'applicazione pratica e la trasformazione interiore.

La trasformazione delle passioni, dell’avidità, dell’odio e della confusione è al cuore della pratica buddista. Questi elementi sono considerati le principali cause della sofferenza umana. Attraverso la pratica del Dhamma, si cerca di purificare la mente e il cuore, liberandosi dagli attaccamenti che legano l’individuo al ciclo di sofferenza. Questo processo porta alla calma, alla chiarezza e alla comprensione profonda della natura della realtà.

Liberarsi da ogni attaccamento al presente e al futuro è un altro aspetto cruciale. Nel buddismo, l'attaccamento è visto come una delle radici della sofferenza. Essere attaccati al desiderio per il futuro o rimuginare sul passato ci distoglie dalla realtà del momento presente, che è l’unico tempo in cui possiamo veramente vivere e agire. La pratica della consapevolezza (sati) ci aiuta a rimanere presenti e a osservare i nostri pensieri e emozioni senza giudizio, permettendoci di vivere in modo più libero e sereno.

Questa strofa ci ricorda che l'essenza del percorso buddista non risiede nella quantità di conoscenza accumulata, ma nella qualità della pratica. Anche una comprensione limitata del Dhamma può condurre alla liberazione se viene vissuta con autenticità e dedizione. In altre parole, è meglio sapere poco ma mettere in pratica, che sapere molto e non agire.


LA CONSAPEVOLEZZA

21
La consapevolezza ricettiva apre alla vita
la fuga nella distrazione è un sentiero di morte
chi è consapevole è totalmente vivo
chi è distratto
è come fosse già morto.

Questa strofa sottolinea l'importanza fondamentale della consapevolezza (sati) nel cammino spirituale buddista. La "consapevolezza ricettiva" è la capacità di essere presenti nel momento attuale, osservando i propri pensieri, emozioni e sensazioni senza giudizio. Questo stato mentale apre alla vera essenza della vita, permettendo di vivere pienamente ogni istante.

La "fuga nella distrazione" si riferisce all'incapacità di restare presenti, al lasciarsi trascinare dalle preoccupazioni, dai desideri mondani e dalle illusioni. Questa condizione è descritta come un "sentiero di morte" perché priva l'individuo della vitalità e della chiarezza mentale necessarie per vivere una vita significativa e piena. Chi vive distrattamente, senza consapevolezza, è paragonato a un morto vivente, poiché non sperimenta la vera essenza della vita.

Il Buddismo insegna che la consapevolezza è uno strumento essenziale per superare la sofferenza (dukkha). Essere consapevoli permette di riconoscere e affrontare le cause della sofferenza, come l'attaccamento, l'odio e l'ignoranza. Solo attraverso una mente vigile e presente si può percorrere il cammino verso l'illuminazione (Nirvana).

Essere "totalmente vivo" significa vivere in uno stato di presenza continua, dove ogni azione è compiuta con piena coscienza e intenzione. Questo stato di essere richiede un costante esercizio di meditazione e auto-osservazione, elementi fondamentali del sentiero buddista.

Al contrario, la distrazione porta a una vita superficiale e priva di significato, dove le azioni sono compiute meccanicamente e senza consapevolezza. Questo è uno dei messaggi centrali del Dhammapada: solo attraverso la consapevolezza si può vivere una vita veramente autentica e libera dalla sofferenza.


22
Il saggio, totalmente vivo, gioisce
della ricettività consapevole
e lieto dimora
in questa qualità.

Nella prima parte della strofa, si afferma che "Il saggio, totalmente vivo, gioisce della ricettività consapevole". Questo suggerisce che la vera vita, piena e significativa, è raggiunta attraverso la consapevolezza. Essere "totalmente vivo" significa non essere distratti o assenti, ma pienamente presenti e attenti a ciò che accade sia dentro che fuori di noi. La "gioia" derivante da questa consapevolezza non è una gioia superficiale, ma una profonda soddisfazione e serenità che nascono dall'essere in sintonia con la realtà del momento presente.

La seconda parte, "e lieto dimora in questa qualità", indica che il saggio non solo pratica la consapevolezza, ma trova anche conforto e stabilità in essa. La "dimora" nella consapevolezza è una condizione di stabilità mentale e emotiva che protegge dagli alti e bassi della vita quotidiana. Questo stato permette di affrontare le sfide con calma e lucidità, senza essere sopraffatti dalle emozioni negative.

Il concetto di consapevolezza nel buddismo è strettamente legato alla pratica della meditazione, che aiuta a sviluppare e rafforzare questa qualità. Attraverso la meditazione, impariamo a osservare senza giudizio, a lasciar andare l'attaccamento ai pensieri e alle emozioni e a vivere nel presente.


23
I risvegliati saldi nella propria risoluzione
si impegnano con tutti se stessi
e conoscono la libertà dalla schiavitù:
liberazione, unica vera sicurezza.

Questa strofa sottolinea l'importanza della determinazione e dell'impegno totale nel percorso verso l'illuminazione. Il termine "risvegliati" si riferisce a coloro che hanno raggiunto uno stato di consapevolezza profonda e hanno compreso la natura impermanente e interdipendente della realtà. Questo stato di risveglio è spesso associato ai Budda e agli arhat, individui che hanno superato l'ignoranza e la sofferenza.

Essere "saldi nella propria risoluzione" implica una forte determinazione e una chiara focalizzazione sul proprio obiettivo spirituale. Nel buddismo, questa risolutezza è cruciale per mantenere la pratica e la disciplina, essenziali per il progresso spirituale. Senza una determinazione ferma, è facile distrarsi e deviare dal percorso.

"Si impegnano con tutti se stessi" indica che i risvegliati dedicano ogni aspetto della loro vita alla pratica spirituale. Questo impegno totale è necessario per superare le varie sfide e ostacoli che sorgono lungo il cammino. La pratica buddista richiede non solo meditazione, ma anche un comportamento etico, saggezza e compassione.

La frase "conoscono la libertà dalla schiavitù" si riferisce alla liberazione dai legami del samsara, il ciclo di nascita, morte e rinascita che è governato dal karma e caratterizzato dalla sofferenza. Questa schiavitù è causata dall'attaccamento, dall'ignoranza e dal desiderio. Raggiungere la libertà significa ottenere il nirvana, uno stato di pace e cessazione della sofferenza.

Infine, "liberazione, unica vera sicurezza" sottolinea che la vera sicurezza non si trova nelle cose materiali o nelle circostanze esterne, ma nella liberazione interiore. Questo concetto sfida la percezione comune che la sicurezza derivi dalla ricchezza, dalla potenza o dalle relazioni. La vera sicurezza, secondo il buddismo, è una mente libera dalle illusioni e dalle sofferenze, raggiunta attraverso la pratica spirituale e la realizzazione della vera natura della realtà​.


24
Chi spende tutta la sua energia
nel percorrere la Via
chi è puro e sollecito nell’impegno
raccolto e onesto nel comportamento
vede accrescere in sé l'esultanza.

Questa strofa enfatizza l'importanza dell'impegno totale e della purezza nel perseguire la Via del Dharma. Il termine "Via" (che è una delle accezioni di "Dharma") si riferisce all'insegnamento del Budda e al percorso che porta alla liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara). La Via comprende l'Ottuplice Sentiero, che è la pratica di otto aspetti interconnessi della vita quotidiana, tra cui retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retto modo di vivere, retto sforzo, retta consapevolezza e retta concentrazione.

La frase "chi spende tutta la sua energia" suggerisce che il cammino spirituale richiede un impegno totale e costante. Nel buddismo, la dedizione e la disciplina sono essenziali per il progresso spirituale. La pratica diligente del Dharma non è qualcosa da fare a metà, ma richiede un coinvolgimento completo del corpo, della mente e dello spirito.

Essere "puro e sollecito nell’impegno" significa coltivare virtù come la rettitudine e la sincerità. La purezza non si riferisce solo alla condotta morale ma anche alla purezza di intenzione e pensiero. Essere sollecito implica una vigilanza continua, un'attenzione consapevole in ogni momento della vita. Questa qualità è cruciale per evitare le distrazioni e gli inganni del mondo che possono deviare dal cammino spirituale.

Infine, "raccolto e onesto nel comportamento" sottolinea l'importanza della coerenza tra le azioni e i principi del Dharma. Essere raccolto significa avere la mente focalizzata, libera da distrazioni e preoccupazioni mondane. L'onestà nel comportamento implica vivere in modo etico, seguendo i precetti del buddismo che includono la non violenza, la verità, la moderazione e il non attaccamento.

La ricompensa per chi pratica in questo modo è l'esultanza interiore. Questo stato di gioia e soddisfazione deriva dalla pace mentale e dalla consapevolezza di essere sulla strada giusta verso la liberazione. È una gioia che non dipende dalle circostanze esterne ma è radicata nella profonda comprensione e nell'armonia con il Dharma.


25
Con l’impegno, l’attenzione
la rinuncia e la padronanza di sé
il saggio fa di se stesso un’isola
che nessuna inondazione può sommergere.

Questa strofa ci invita a riflettere sull'importanza di alcune qualità fondamentali per raggiungere la saggezza e la stabilità interiore. Vediamo più nel dettaglio i concetti chiave menzionati.

Impegno e attenzione → Questi due elementi sono cruciali nel percorso del praticante. L’impegno (viriya) rappresenta la determinazione e la perseveranza nel seguire il sentiero del Dharma. Senza impegno, è facile deviare dal cammino spirituale. L’attenzione (sati) si riferisce alla consapevolezza e alla presenza mentale in ogni momento. Essere attenti significa osservare con chiarezza e discernimento i propri pensieri, parole e azioni.

Rinuncia → Questo termine può essere interpretato come il lasciare andare gli attaccamenti materiali e mentali. Rinunciare non implica necessariamente un abbandono fisico delle cose, ma piuttosto un distacco interiore dai desideri e dalle avversioni che turbano la mente. La rinuncia (nekkhamma) è vista come un passo verso la libertà dalla sofferenza.

Padronanza di sé → La padronanza di sé (dama) è la capacità di controllare e disciplinare la mente e i sensi. Questo controllo non è una repressione, ma una gestione saggia delle proprie inclinazioni, guidando la mente verso stati positivi e salutari.

Metafora dell'isola → Il Budda usa spesso metafore per illustrare i suoi insegnamenti. L’isola rappresenta un rifugio sicuro e stabile in mezzo alle acque tumultuose delle passioni, delle emozioni negative e delle difficoltà della vita. Essere un’isola che nessuna inondazione può sommergere significa aver raggiunto una stabilità interiore che non può essere scossa dalle circostanze esterne.


26
Chi è stolto e confuso
si smarrisce nella distrazione.
Il saggio fa tesoro della consapevolezza
che ha coltivato
come il più prezioso dei possessi.

Questa strofa mette in evidenza il contrasto tra la stoltezza e la saggezza attraverso l'uso della consapevolezza. Nel buddismo, la consapevolezza (sati) è uno degli elementi fondamentali del sentiero verso l'illuminazione. Chi è stolto, ovvero privo di saggezza e discernimento, si lascia facilmente distrarre dalle illusioni del mondo materiale. Questa distrazione porta a uno smarrimento interiore, dove l'individuo si perde nelle attività superficiali e negli inganni sensoriali, allontanandosi dalla via della liberazione.

Al contrario, il saggio riconosce l'importanza della consapevolezza come un tesoro prezioso. La consapevolezza è la capacità di essere pienamente presenti nel momento, osservando i pensieri e le emozioni senza attaccamento o avversione. Coltivare questa qualità porta a una maggiore comprensione di sé e del mondo, favorendo una vita di equilibrio e serenità.

Nel contesto buddista, il saggio è colui che pratica costantemente la meditazione e la riflessione, mantenendo la mente focalizzata e libera dalle distrazioni. Questo stato di consapevolezza continua è visto come una protezione contro le sofferenze della vita, poiché permette di vedere la realtà con chiarezza e di rispondere alle situazioni con saggezza e compassione.

La distinzione tra stoltezza e saggezza, quindi, si basa sulla capacità di coltivare e mantenere la consapevolezza. Questo insegnamento esorta a fare della consapevolezza una pratica quotidiana, riconoscendola come il più prezioso dei possessi, capace di guidarci verso la vera liberazione e la pace interiore.


27
"Non smarrirti nella trascuratezza,
non perderti nella sensualità".
Tenendo caro questo consiglio
il contemplativo gusta
un profondo sollievo.

Questa strofa ci esorta a non smarrirci nella trascuratezza e a non perderci nella sensualità. La trascuratezza, in questo contesto, si riferisce alla mancanza di consapevolezza e attenzione nella nostra vita quotidiana. È uno stato di disattenzione e di disconnessione da ciò che ci circonda e da noi stessi. Il termine "sensualità" riguarda l'attaccamento ai piaceri sensoriali, che possono distogliere la mente e il cuore dal cammino spirituale.

Il consiglio del Budda è di rimanere vigili e consapevoli, evitando di cadere preda delle distrazioni e dei piaceri effimeri che possono portare a una vita di insoddisfazione. Il "contemplativo" – colui che medita e riflette profondamente – trova sollievo nel seguire questo consiglio, perché la consapevolezza porta alla calma e alla chiarezza mentale.

La trascuratezza e la sensualità sono visti come ostacoli alla realizzazione spirituale. La consapevolezza, invece, è un elemento chiave nel buddismo per coltivare una mente stabile e libera dalle distrazioni. La pratica della consapevolezza (sati) permette di osservare i pensieri e le emozioni senza attaccamento, facilitando un'esistenza più equilibrata e pacifica.


28
I risvegliati
che hanno assaporato la libertà
da ogni distrazione
coltivando la consapevolezza
vedono tutti i sofferenti
alla luce della compassione,
come chi dalla cima di una montagna
osservi la pianura.

Questa strofa parla della visione e della compassione dei risvegliati, ovvero coloro che hanno raggiunto l'illuminazione o il risveglio spirituale. Questi individui hanno superato le distrazioni mondane grazie alla pratica costante della consapevolezza.

Il termine "risvegliati" si riferisce a coloro che hanno realizzato la vera natura della realtà, liberandosi dalle illusioni e dagli attaccamenti che causano sofferenza. La "consapevolezza" è una pratica centrale nel buddismo, che implica un'attenzione piena e continua al momento presente, senza giudizio. Questa consapevolezza permette ai risvegliati di vedere la sofferenza degli altri in modo chiaro e compassionevole.

La metafora dell’osservazione dalla cima di una montagna suggerisce una visione elevata e distaccata. Dalla cima, tutto è visibile in un solo sguardo, simile a come i risvegliati percepiscono la sofferenza universale. Non sono più coinvolti nei dettagli confusi e nelle passioni che travolgono coloro che sono ancora immersi nell'ignoranza.

La "compassione" (karuna) è un'altra qualità fondamentale del buddismo. Non è semplice pietà, ma un profondo desiderio di alleviare la sofferenza altrui, radicato nella comprensione della comune umanità e interconnessione di tutti gli esseri. I risvegliati, attraverso la loro pratica, sviluppano una compassione così vasta e profonda che abbraccia tutti gli esseri senzienti.


29
Consapevole in mezzo ai distratti
sveglio in mezzo a chi dorme
il saggio procede
come un giovane vivace cavallo
lasciandosi alle spalle gli altri, esausti.

Questa strofa ci invita a riflettere sull'importanza della consapevolezza e della vigilanza nel percorso spirituale. Il Budda spesso sottolineava come la maggior parte delle persone vive in uno stato di distrazione, inconsapevoli delle vere nature delle cose e delle loro stesse azioni. Essere "consapevole in mezzo ai distratti" significa mantenere la lucidità e la presenza mentale, anche quando si è circondati da coloro che vivono in modo superficiale e distratto.

Essere "sveglio in mezzo a chi dorme" è una metafora potente che descrive la condizione del saggio. Qui, "sveglio" non si riferisce solo al sonno fisico, ma rappresenta uno stato di illuminazione, di comprensione profonda della realtà così com'è, libero dalle illusioni e dalle ignoranze (avidyā). Questo stato di vigilanza e consapevolezza distingue il saggio dalle masse che ancora dormono nell'ignoranza.

L'immagine del "giovane vivace cavallo" sottolinea l'energia e la determinazione con cui il saggio procede nel suo cammino. Il cavallo giovane e vivace è pieno di vigore e capacità di resistenza, simbolizzando la forza interiore e la motivazione che spinge il praticante a superare le difficoltà e a progredire spiritualmente. Lasciarsi "alle spalle gli altri, esausti" suggerisce che, a differenza di chi è distratto e senza energia, il saggio continua a progredire incessantemente verso l'illuminazione, distanziandosi sempre più da chi rimane intrappolato nelle illusioni mondane.


30
Accurato nella consapevolezza
il dio Magha conquistò il suo regno.
L’accuratezza è sempre ricompensata,
la trascuratezza smascherata.

Questa strofa sottolinea l'importanza dell'accuratezza e della consapevolezza nel percorso spirituale. Il riferimento al dio Magha evidenzia come anche figure divine raggiungano il loro stato elevato attraverso la pratica della consapevolezza e della vigilanza.

Le virtù del dio Magha, che in una precedente esistenza era un principe umano, sono state descritte dal Budda come segue:

  • Magha si prese cura dei suoi genitori finché visse.
  • Magha onorò gli anziani durante tutta la sua vita.
  • Parlò sempre con parole gentili.
  • Non indulgeva mai nella maldicenza.
  • Visse la vita di un capofamiglia senza avarizia, con generosità, rinunciando a ciò che era suo, con mano aperta, godendo nella liberalità, attento alle richieste e distribuendo elemosine.
  • Disse sempre la verità.
  • Si mantenne libero dalla rabbia e, se la rabbia sorgeva dentro di lui, la sopprimeva rapidamente.

Grazie a queste virtù e al mantenimento di questi sette voti, Magha raggiunse lo status di Sakka, il re degli dei, detto anche Indra nella tradizione vedica (cfr. storia del dio Magha nel commentario del Ven. Weragoda Sarada Maha Thero).

Tornando alla strofa, il termine "consapevolezza" (sati) implica una piena presenza mentale e una continua attenzione a ciò che accade nel momento presente. Essere accurati nella consapevolezza significa non lasciarsi distrarre dalle tentazioni e dagli inganni del mondo, ma mantenere una mente chiara e focalizzata.

L'affermazione "l'accuratezza è sempre ricompensata" riflette il principio karmico che le azioni consapevoli e rette portano a risultati positivi. Nel contesto buddista, questa ricompensa non è necessariamente materiale, ma può manifestarsi come crescita spirituale, pace interiore e progressi lungo il sentiero della liberazione.

D'altra parte, "la trascuratezza smascherata" avverte che la mancanza di attenzione e disciplina porta inevitabilmente a conseguenze negative. La trascuratezza, nel contesto del Dhammapada, può significare indulgere in pensieri e azioni non salutari, che ostacolano il progresso spirituale e causano sofferenza.


31
Il rinunciante che ama vegliare
e rifugge la distrazione
avanza come un fuoco d’erba
consumando ostacoli grandi e piccoli.

Questa strofa sottolinea l'importanza della vigilanza e della consapevolezza costante nel percorso spirituale del rinunciante. Nel contesto buddista, il rinunciante è colui che abbandona i beni materiali e le distrazioni mondane per dedicarsi interamente alla ricerca della liberazione spirituale.

L'analogia del fuoco d'erba è particolarmente potente. Un fuoco d'erba si propaga rapidamente, consumando tutto ciò che trova sul suo cammino. Allo stesso modo, il rinunciante che pratica la vigilanza (sati) e rifugge la distrazione (vikkhepa) è in grado di superare gli ostacoli interiori ed esteriori, siano essi grandi o piccoli. Questi ostacoli possono includere desideri, attaccamenti, paure e dubbi che impediscono il progresso spirituale.

La vigilanza è una qualità fondamentale nel buddismo. Significa essere sempre presenti e consapevoli delle proprie azioni, parole e pensieri. È una forma di attenzione che permette di vedere le cose come sono realmente, senza essere travolti dalle emozioni o dalle illusioni. Rifuggere la distrazione implica evitare tutto ciò che può distogliere l'attenzione dalla pratica e dalla consapevolezza del momento presente.


32
Il rinunciante che ama vegliare
e rifugge la distrazione
è protetto, non può retrocedere:
va dritto verso la liberazione.

Come nella strofa precedente, il "rinunciante" è colui che ha scelto di abbandonare gli attaccamenti mondani per dedicarsi completamente alla pratica spirituale. "Amare vegliare" significa mantenere uno stato di attenzione costante, non solo durante la meditazione ma anche nelle attività quotidiane.

Rifuggire la distrazione è essenziale per mantenere la mente libera dalle influenze negative e dalle illusioni. La distrazione, nel contesto del buddismo, si riferisce a tutto ciò che distoglie la mente dalla sua naturale chiarezza e serenità, come i desideri sensoriali e le preoccupazioni mondane.

Essere "protetto" in questo contesto significa che il rinunciante è salvaguardato dagli ostacoli mentali e dalle deviazioni spirituali. Questo stato di protezione è una conseguenza naturale della pratica diligente e della consapevolezza costante. Il "non poter retrocedere" indica che il rinunciante, avendo raggiunto un certo livello di consapevolezza e distacco, non sarà più vittima delle vecchie abitudini e delle influenze mondane.

Infine, "va dritto verso la liberazione" sottolinea il risultato finale di tale pratica. La liberazione, o nirvana, è lo stato di completa liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara) e dalle sofferenze che ne derivano.


LA MENTE

33
Come il fabbro forgia una freccia
così il saggio trasforma la mente
di per sé irrequieta, instabile
e difficile da governare.

Questa strofa descrive il processo di addestramento della mente. Paragona il lavoro del saggio al fabbro che forgia una freccia, suggerendo che il controllo e la trasformazione della mente richiedono pazienza, abilità e dedizione.

Nel buddismo, la mente è vista come qualcosa di naturalmente irrequieto e instabile. Questo è in conseguenza della nostra natura umana, spesso soggetta a distrazioni e influenze esterne. La mente non addestrata tende a vagare, passando da un pensiero all'altro senza controllo, creando confusione e sofferenza.

Il Budda insegna che, attraverso la pratica costante e la consapevolezza, è possibile addestrare la mente. Proprio come il fabbro riscalda, modella e raffredda il metallo fino a ottenere una freccia precisa e funzionale, così il praticante deve lavorare sulla propria mente, purificandola dalle impurità e affinando la propria consapevolezza.

Questo processo di trasformazione della mente è centrale nel percorso buddista verso l'illuminazione. Attraverso la meditazione e la pratica etica, il saggio impara a governare la mente, riducendo l'influenza delle emozioni negative e aumentando la chiarezza e la pace interiore.


34
Come un pesce trascinato via
dalla sua casa sott’acqua
e scagliato sulla terraferma
si dibatte
così freme il cuore
quando viene rapito
dalla corrente di Mara.

Questa strofa descrive il tumulto interiore che si sperimenta quando si è preda di Mara. Mara, nel contesto buddista, è una personificazione delle forze che ostacolano la pratica spirituale e la crescita personale, spesso associato alla tentazione e all'illusione. La metafora del pesce, strappato dal suo ambiente naturale e gettato in un luogo ostile, rappresenta il cuore umano che perde il suo equilibrio quando viene travolto dalle passioni e dai desideri mondani.

Il pesce si dibatte freneticamente sulla terraferma, simbolo del cuore che lotta contro le influenze negative di Mara. Questo mostra quanto sia destabilizzante e doloroso essere distolti dal sentiero spirituale. Nel buddismo, il cuore o la mente devono essere coltivati con attenzione e saggezza per evitare di essere rapiti da queste forze distruttive.

Questo insegnamento invita alla vigilanza costante e alla disciplina mentale. La pratica della consapevolezza (sati) e della meditazione aiuta a mantenere la mente centrata e protetta dalle tentazioni. Come il pesce appartiene all'acqua, così la mente trova il suo vero habitat nella serenità e nella chiarezza interiore. Essere consapevoli delle proprie emozioni e pensieri permette di riconoscere le influenze di Mara e di non lasciarsi trascinare via.


35
E’ difficile da educare la mente attiva
capricciosa e vagabonda:
padroneggiarla è essenziale
perché porta gioia e benessere.

Questa strofa mette in evidenza una delle sfide principali nella pratica buddista: il controllo della mente. Nel contesto del Dhammapada, la mente è spesso paragonata a un'entità irrequieta e difficile da domare, simile a un cavallo selvaggio o a un elefante in calore. Questo rende chiaro come la natura della mente possa essere turbolenta e soggetta a capricci.

Padroneggiare la mente è essenziale perché, come insegna il Budda, una mente non controllata è fonte di sofferenza. Quando la mente è lasciata a sé stessa, è attratta da desideri e avversioni che generano insoddisfazione e dolore. Al contrario, una mente ben addestrata può portare a una vita di gioia e benessere. Questo concetto è fondamentale nel buddismo, dove la mente è vista come la chiave per liberarsi dal ciclo della sofferenza (samsara).

Il termine "Mara" menzionato nella strofa precedente rappresenta le forze del desiderio e dell'illusione che distraggono e incatenano l'individuo. Superare Mara attraverso la disciplina mentale è visto come un passo essenziale verso l'illuminazione. Per i praticanti buddisti, questo processo di educazione della mente include pratiche come la meditazione (bhavana), che aiuta a sviluppare la consapevolezza e la concentrazione.


36
La mente custodita e sorvegliata
fa sentire a casa.
Per quanto elusiva, sottile e difficile da afferrare
chi è all’erta
dovrebbe custodire e sorvegliare la mente.

Questa strofa sottolinea l'importanza di una mente ben sorvegliata nel cammino spirituale. La mente è descritta come elusiva e sottile, difficile da afferrare, richiamando l'attenzione sulla sua natura instabile e volubile. Nella pratica buddista, la mente può essere paragonata a una scimmia che salta continuamente da un pensiero all'altro, rendendo difficile la concentrazione e la pace interiore.

La metafora della mente "custodita e sorvegliata" che "fa sentire a casa" suggerisce che la disciplina mentale conduce a un senso di stabilità e sicurezza. In altre parole, quando la mente è sotto controllo, l'individuo sperimenta un senso di tranquillità e radicamento. Questa stabilità è essenziale per avanzare nel percorso spirituale verso l'illuminazione.

Essere "all'erta" implica un costante stato di consapevolezza e attenzione. Nel buddismo, questa consapevolezza è chiamata "sati", spesso tradotta come "mindfulness". Sati è una delle pratiche principali nel Nobile Ottuplice Sentiero, la guida del Budda per liberarsi dalla sofferenza. La consapevolezza costante permette di osservare i pensieri e le emozioni senza esserne sopraffatti, facilitando così il controllo sulla mente.

La sorveglianza della mente è anche collegata al concetto di "vipassana", la meditazione che sviluppa l'insight e la visione profonda nella vera natura della realtà. Questo tipo di meditazione aiuta a vedere la mente in modo chiaro, riconoscendo i suoi schemi e le sue tendenze, permettendo così di intervenire in modo saggio e compassionevole.


37
Libera vagabonda
senza forma
la mente dimora nell'intima caverna del cuore.
Dominandola
si è liberi
dalle catene dell’ignoranza.

Questa strofa enfatizza la natura insidiosa e sfuggente della mente. La mente viene descritta come "libera vagabonda senza forma," suggerendo la sua tendenza a muoversi senza controllo, non vincolata da limiti fisici. La sua residenza nell'"intima caverna del cuore" indica che la mente è profondamente radicata nel nostro essere interiore, influenzando le nostre emozioni e percezioni.

Nel contesto del buddismo, la mente è il fulcro dell'esperienza umana. La dominazione della mente è fondamentale per liberarsi dall'ignoranza (avijjā). L'ignoranza, nella filosofia buddista, è la mancata comprensione della vera natura della realtà, inclusa l'impermanenza (anicca) e l'assenza di un sé permanente (anatta).

Dominare la mente significa sviluppare consapevolezza (sati) e comprensione profonda (vipassanā) attraverso pratiche come la meditazione. Questa padronanza porta alla liberazione (nirvana), uno stato in cui le illusioni e le sofferenze create dalla mente sono superate.


38
In chi ha la mente instabile
il cuore non lavorato
dai veri insegnamenti
e una fede immatura
non è ancora cresciuta
appieno la saggezza.

Questa strofa si concentra su tre elementi chiave del percorso spirituale.

Innanzitutto, la "mente instabile" rappresenta la difficoltà di mantenere la concentrazione e la calma interiore. Nel buddismo, la mente è spesso paragonata a una scimmia, sempre in movimento e difficile da controllare. Una mente stabile è essenziale per la meditazione e la pratica spirituale, poiché permette di vedere la realtà con chiarezza e senza distorsioni.

Il "cuore non lavorato dai veri insegnamenti" si riferisce alla necessità di interiorizzare e praticare gli insegnamenti del Budda, cioè il Dharma. Senza l'applicazione pratica di questi insegnamenti, il cuore rimane grezzo e incapace di sviluppare le qualità superiori come la compassione e la saggezza.

Infine, la "fede immatura" indica una comprensione superficiale del Dharma. Nel buddismo, la fede (saddhā) non è cieca, ma basata sulla comprensione e sull'esperienza diretta. Una fede matura è il risultato di una pratica costante e di una profonda riflessione sugli insegnamenti.


39
Non esiste paura
per un cuore incontaminato
dalle passioni
e una mente libera dall'astio.
Chi vede al di là del bene e del male
è sveglio.

Il "cuore incontaminato dalle passioni" si riferisce a uno stato di purezza interiore, libero dagli attaccamenti e dai desideri che spesso causano sofferenza. Nella pratica buddista, la coltivazione della virtù (sila) e della meditazione (samadhi) sono strumenti essenziali per raggiungere questa purezza.

La "mente libera dall'astio" implica l'eliminazione di sentimenti negativi come l'odio, la rabbia e il risentimento. Questi sentimenti oscurano la chiarezza mentale e impediscono di vedere la realtà così com'è. Attraverso la pratica della gentilezza amorevole (metta) e della compassione (karuna), il praticante buddista impara a coltivare uno stato mentale sereno e benevolo.

Infine, il vedere "al di là del bene e del male" indica il raggiungimento della saggezza (panna). Questa saggezza trascende le dualità del mondo fenomenico e riconosce l'impermanenza (anicca), l'insoddisfazione (dukkha) e l'assenza di un sé permanente (anatta). È lo stato di chi ha raggiunto il risveglio (Bodhi) e vive in accordo con la verità ultima del Dhamma, libero da illusioni e paure.


40
Considerando questo corpo fragile
come un vaso di coccio
fortificando il cuore come le mura di una città
si può fronteggiare Mara
con l’arma della visione profonda.
Il vantaggio del non-attaccamento
protegge quanto è già stato conquistato.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura effimera e fragile del corpo umano, paragonandolo a un vaso di coccio che può facilmente rompersi. Nel buddismo, il corpo fisico è visto come un'entità temporanea e suscettibile a malattie e decadimento. Questo paragone sottolinea l'importanza di non identificarsi con il corpo e di sviluppare una consapevolezza della sua transitorietà.

Fortificare il cuore come le mura di una città suggerisce la necessità di rafforzare la mente e il cuore contro le influenze negative e le tentazioni. Nel contesto buddista, "fortificare il cuore" significa coltivare la consapevolezza, la compassione e la saggezza. Questo processo di fortificazione è essenziale per resistere alle seduzioni di Mara, il personaggio mitologico che rappresenta le illusioni e le distrazioni del mondo materiale.

La "visione profonda" (vipassanā) è un elemento chiave nell'insegnamento buddista. Si riferisce alla capacità di vedere la realtà così com'è, al di là delle apparenze superficiali. Questo tipo di visione permette di riconoscere l'impermanenza, la sofferenza e l'assenza di un sé permanente in tutte le cose. Attraverso la visione profonda, si sviluppa il non-attaccamento, che è l'arma principale contro le illusioni di Mara.

Infine, "il vantaggio del non-attaccamento protegge quanto è già stato conquistato". Nel buddismo, il non-attaccamento non significa indifferenza, ma piuttosto un distacco dalle cose mondane e dai desideri egoistici. Questo distacco è ciò che consente di mantenere la pace interiore e di proteggere i progressi spirituali raggiunti. Abbandonando l'attaccamento, si raggiunge uno stato di serenità e stabilità che non può essere facilmente perturbato.

Questa strofa, quindi, offre un insegnamento completo su come affrontare le sfide della vita attraverso la consapevolezza della fragilità del corpo, la fortificazione del cuore, l'uso della visione profonda e il potere del non-attaccamento.


41
Ben presto questo corpo giacerà senza vita:
per terra abbandonato
privo di coscienza
inutile come un ceppo bruciato.

Il Budda insegna che il nostro corpo, che tanto curiamo e a cui spesso ci attacchiamo, è destinato a deteriorarsi e infine a diventare privo di vita, come un ceppo bruciato, inutile e abbandonato per terra.

Il corpo viene paragonato a un ceppo bruciato per enfatizzare l'inutilità e la transitorietà della forma fisica dopo la morte. Questa immagine forte serve a distogliere l'attenzione dall'attaccamento al corpo e a sottolineare l'importanza della consapevolezza spirituale e della coltivazione della mente. Nel buddismo, il corpo è visto come un veicolo temporaneo che ci aiuta nel percorso spirituale, ma non è l'essenza del nostro essere.

Il concetto di impermanenza (anicca) è uno dei tre segni dell'esistenza nel buddismo, insieme alla sofferenza (dukkha) e alla non-sostanzialità (anatta). Riconoscere l'impermanenza del corpo ci aiuta a ridurre l'attaccamento materiale e a concentrarsi sulla pratica spirituale, mirando alla liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara).


42
Peggio di un ladro
peggio di un nemico
un cuore mal indirizzato
invoglia a nuocere.

Questa strofa ci avverte delle conseguenze di un cuore mal indirizzato, paragonandolo a un ladro o a un nemico, ma considerandolo ancora peggiore. Questo verso evidenzia l'importanza del controllo della mente e delle emozioni nel percorso spirituale buddista.

In questa strofa, il "cuore mal indirizzato" può essere inteso come una mente priva di saggezza e compassione, dominata da desideri egoistici, odio e ignoranza. Secondo gli insegnamenti del Budda, la mente è il fulcro delle nostre azioni e delle nostre esperienze. Un cuore non disciplinato e non purificato dalle passioni e dalle impurità può spingerci a compiere azioni nocive non solo per noi stessi, ma anche per gli altri.

Il confronto con un ladro o un nemico sottolinea che, mentre questi possono causare danni esterni e materiali, un cuore mal indirizzato nuoce dall'interno, corrompendo la nostra integrità e la nostra capacità di vivere in armonia con gli altri e con noi stessi. Nel buddismo, il percorso verso l'illuminazione implica la trasformazione della mente attraverso la pratica della meditazione, della consapevolezza e della moralità.

La pratica della consapevolezza (vipassana) ci aiuta a osservare i nostri pensieri ed emozioni senza giudizio, permettendoci di comprendere la loro natura transitoria e di non essere dominati da essi. La disciplina etica (sila) è essenziale per mantenere un cuore ben diretto, favorendo azioni basate sulla compassione e sulla saggezza.


43
Non tua madre non tuo padre
né chiunque della famiglia
può darti dono più prezioso
di un cuore ben diretto.

Questa strofa sottolinea l'importanza della direzione del cuore e della mente. Nel buddismo, il "cuore ben diretto" si riferisce alla mente che è guidata saggiamente, orientata verso il bene e la verità. Un cuore ben diretto è uno stato di consapevolezza e virtù che supera qualsiasi dono materiale che i nostri genitori o la famiglia possano offrire.

La strofa enfatizza che, nonostante l'affetto e il supporto della famiglia, il vero valore risiede nella nostra capacità di coltivare una mente disciplinata e un cuore compassionevole. Questo insegnamento richiama il concetto centrale del buddismo di auto-responsabilità: ognuno è responsabile del proprio sviluppo spirituale e della propria liberazione. Non si può dipendere da altri, neanche dai genitori, per raggiungere l'illuminazione.

Inoltre, un cuore ben diretto è libero da odio, avidità e delusione, e questo stato interiore porta pace e felicità durature. Coltivare una mente retta implica praticare la consapevolezza, la meditazione e seguire il Nobile Ottuplice Sentiero, che sono i principi guida per vivere in accordo con il Dharma, gli insegnamenti del Budda.


FIORI

44
Chi vede secondo verità
così come sono
la terra, il corpo
i mondi infernali e celesti?
Chi sa discernere
la Via di saggezza ben esposta
con l’occhio esperto del fioraio
che sceglie i fiori senza difetti?

Questa strofa sottolinea l'importanza di vedere la realtà nella sua vera essenza, senza le distorsioni dell'ignoranza e dell'illusione. Nella filosofia buddista, vedere secondo verità significa comprendere la natura impermanente e insostanziale di tutti i fenomeni. La terra, il corpo, e i mondi infernali e celesti rappresentano le diverse dimensioni dell'esistenza, tutte soggette a cambiamento e privi di un sé permanente.

Il riferimento al fioraio esperto implica la necessità di sviluppare una saggezza acuta e discernente. Un fioraio sceglie i fiori migliori, evitando quelli con difetti; similmente, il praticante del buddismo deve sviluppare la capacità di discernere ciò che è salutare (kusala) da ciò che è non salutare (akusala), scegliendo sempre la via della saggezza e della virtù.

In questo contesto, la "Via di saggezza ben esposta" si riferisce agli insegnamenti del Budda (Dharma), che guidano i praticanti verso la liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara). Questo implica non solo la comprensione intellettuale del Dharma, ma anche la sua realizzazione pratica attraverso la meditazione e l'osservanza etica.


45
Chi consapevole percorre la Via:
ecco chi vede la terra, il corpo
i mondi infernali e celesti
così come sono.
Ecco chi sa discernere
la Via della saggezza ben esposta.

Questa strofa prosegue il tema della consapevolezza e del discernimento, enfatizzando l'importanza di percorrere la Via con consapevolezza. La consapevolezza (sati) è una delle pratiche fondamentali del buddismo, centrale nel percorso del Nobile Ottuplice Sentiero, che è la via delineata dal Budda per raggiungere la liberazione.

Percorrere la Via consapevolmente significa mantenere una presenza mentale costante e una vigilanza su pensieri, parole e azioni. Questo stato di consapevolezza permette al praticante di vedere chiaramente la natura delle cose, riconoscendo l'impermanenza, la sofferenza e l'assenza di un sé permanente (anatta) in tutti i fenomeni.

Chi è consapevole vede "la terra, il corpo, i mondi infernali e celesti così come sono". Questo implica una visione non offuscata dalle illusioni e dalle passioni (kleshas) che normalmente distorcono la percezione. Tale visione conduce alla saggezza (prajna), che è la comprensione profonda e intuitiva della realtà così com'è.


46
Ricorda che il corpo è fugace
come la schiuma del mare, un miraggio.
Il fiore della passione sensuale
nasconde un artiglio.
Ricordalo, e passa oltre la morte.

Questa strofa ci invita alla riflessione sulla natura impermanente del corpo e delle passioni sensuali. Paragonare il corpo alla schiuma del mare o a un miraggio evidenzia la sua natura transitoria e illusoria. La schiuma del mare, pur esistendo per un momento, si dissolve rapidamente, così come il nostro corpo è destinato a deteriorarsi e scomparire. Questo paragone sottolinea l'importanza di non attaccarsi eccessivamente al corpo fisico e alle sue apparenze.

A tal proposito, nel "Sutra del Diamante" (Vajracchedikā Prajñāpāramitā Sūtra), il Budda dice:

"Così dovresti vedere questo mondo fugace:
una stella al mattino,
una bolla in un torrente,
un lampo in una nuvola d'estate,
una lampada tremolante,
un fantasma e un sogno."

La bolla d'acqua rappresenta la natura effimera, insostanziale e illusoria dei fenomeni. Questa immagine serve a ricordarci che tutto ciò che percepiamo come solido e duraturo è in realtà transitorio e destinato a dissolversi, proprio come le bolle sulla superficie dell'acqua. Da un certo punto di vista, tutto è illusione (cfr. Appendice - Le due realtà). L'intera realtà percepita nella vita ordinaria non è nulla di più che un sogno.

Tornando alla strofa, il "fiore della passione sensuale" che "nasconde un artiglio" è un potente simbolo del piacere sensuale che, sebbene inizialmente attraente e piacevole, porta inevitabilmente alla sofferenza. Questo "artiglio" rappresenta le conseguenze negative e dolorose che derivano dall'inseguimento incessante dei piaceri dei sensi. Il piacere sensuale, simile a un fiore attraente, può celare pericoli e sofferenze profonde.

L'invito a "passare oltre la morte" implica un trascendere la paura della morte attraverso la comprensione e la pratica spirituale. Significa anche sviluppare consapevolezza della nostra anima eterna, mentre il corpo è solo temporaneo. Possiamo intuire che la realtà ultima è oltre il tempo e oltre lo spazio, come è sperimentabile in alcune forme di meditazione.

Superare la paura della morte dissolve l'attaccamento al sé e alle passioni mondane, in un percorso di vera liberazione. Quando il desiderio principale diventa quello di tornare all'Uno da cui tutto proviene, non c'è più alcun ego da difendere o a cui attaccarsi.


47
Come un’improvvisa alluvione
può spazzar via un villaggio addormentato
così può la morte distruggere
quelli che cercano solo i fiori casuali
dei piaceri dei sensi.

Questa strofa usa la metafora di un'improvvisa alluvione per descrivere la natura imprevedibile e devastante della morte. Come un villaggio addormentato può essere spazzato via da un’alluvione improvvisa, così la morte può colpire inaspettatamente coloro che vivono solo per il piacere dei sensi, rappresentati dai "fiori casuali".

Nel buddismo, i "piaceri dei sensi" si riferiscono ai desideri materiali e alle soddisfazioni temporanee che distolgono l'individuo dalla pratica spirituale e dalla ricerca della vera felicità. Questi piaceri sono spesso considerati ingannevoli e illusori, poiché non conducono alla pace interiore né alla liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara).

Il villaggio addormentato simboleggia lo stato di inconsapevolezza e ignoranza in cui molte persone vivono, non rendendosi conto della fragilità della vita e dell'importanza della pratica spirituale. L'invito del Budda è a svegliarsi da questo sonno dell'ignoranza e a vivere con consapevolezza, coltivando la saggezza e la virtù.

Questa strofa quindi sottolinea l'importanza di non farsi trascinare dai piaceri effimeri, ma di focalizzarsi su una vita di rettitudine e consapevolezza. Solo così si può preparare la mente ad affrontare la morte senza paura e senza rimpianti, raggiungendo uno stato di pace e illuminazione​.


48
Essere insoddisfatti e inappagati
e tuttavia cercare ancora solo
i fiori casuali dei piaceri dei sensi
sottomette al dominio del distruttore.

Questa strofa del Dhammapada invita a riflettere sul pericolo di cercare soddisfazione nei piaceri sensoriali effimeri. Il termine "fiori casuali" è metaforico e rappresenta le gratificazioni momentanee e superficiali che derivano dai sensi, come i piaceri fisici, le esperienze edonistiche e i beni materiali.

Nel buddismo, uno degli insegnamenti fondamentali è la consapevolezza dell'impermanenza (anicca). Tutte le cose condizionate sono destinate a cambiare e non possono offrire una soddisfazione duratura. La ricerca continua di piaceri sensoriali porta a una vita di insoddisfazione perché questi piaceri sono fugaci e non possono riempire il vuoto esistenziale che molti di noi cercano di colmare.

Il "distruttore" menzionato nella strofa si riferisce a Mara, la personificazione buddista delle tentazioni e degli ostacoli che impediscono il progresso spirituale. Mara rappresenta tutto ciò che distrae dalla via verso l'illuminazione, inclusi desideri, paura e dubbio. Cercare costantemente i piaceri dei sensi sottomette l'individuo al dominio di Mara, mantenendolo intrappolato nel ciclo del samsara, il ciclo delle nascite e morti ripetute, caratterizzato dalla sofferenza (dukkha).

Il Budda insegna che la vera felicità e la liberazione si ottengono attraverso il distacco dai piaceri sensoriali e la pratica del Nobile Ottuplice Sentiero, che comprende la retta comprensione, il retto pensiero, la retta parola, la retta azione, il retto mezzo di sussistenza, il retto sforzo, la retta consapevolezza e la retta concentrazione.


49
Come un’ape raccogliendo il nettare
non nuoce né danneggia
il colore e il profumo del fiore
così il saggio si muove
nel mondo.

Questa strofa utilizza la metafora dell'ape per illustrare il comportamento ideale del saggio. L'ape, mentre raccoglie il nettare, non causa danno né altera l'aspetto o l'essenza del fiore. Allo stesso modo, il saggio vive nel mondo senza arrecare danno o disturbo agli altri.

Nel buddismo, il saggio è colui che ha raggiunto un livello elevato di comprensione e consapevolezza. Questo stato è raggiunto attraverso la pratica della meditazione, l'osservanza degli insegnamenti del Budda e la coltivazione di virtù come la compassione, la saggezza e l'autocontrollo. La capacità del saggio di muoversi nel mondo senza causare danni riflette la sua realizzazione interiore e la sua padronanza delle passioni e degli impulsi.

Questo insegnamento sottolinea l'importanza di vivere in armonia con gli altri esseri viventi. Nel buddismo, si enfatizza spesso l'interconnessione di tutte le cose e la necessità di agire con gentilezza e considerazione. Il saggio, attraverso il suo comportamento non violento e rispettoso, diventa un esempio per gli altri, mostrando che è possibile vivere una vita piena e significativa senza causare sofferenza.

Inoltre, questa strofa richiama l'attenzione sull'impatto delle nostre azioni. Anche i piccoli gesti, come quelli dell'ape che raccoglie il nettare, possono avere conseguenze. Il saggio è consapevole di queste ripercussioni e agisce con deliberata attenzione per minimizzare il danno e promuovere l'armonia. Questo approccio non solo beneficia gli altri, ma contribuisce anche alla pace interiore e alla felicità del saggio stesso, poiché vivere in modo non dannoso e consapevole porta ad una vita più serena e appagante.


50
Non soffermarti sugli errori
e i difetti degli altri;
cerca invece di esaminare
con chiarezza i tuoi.

Questa strofa ci invita a rivolgere l'attenzione dall'esterno verso l'interno, un insegnamento centrale nel buddismo. Esaminare i propri errori e difetti è un passo fondamentale verso l'auto-miglioramento e la realizzazione spirituale. Il Budda sottolinea che è facile notare e criticare le mancanze degli altri, ma molto più difficile e, allo stesso tempo, molto più utile, riconoscere e lavorare sui propri difetti.

La pratica dell'auto-esame aiuta a sviluppare l'umiltà e la comprensione. Quando riconosciamo i nostri errori, siamo meno inclini a giudicare gli altri e più propensi a sviluppare la compassione e l'empatia. Questa prospettiva non solo migliora le nostre relazioni interpersonali, ma contribuisce anche a un ambiente più armonioso e comprensivo.

Inoltre, esaminare con chiarezza i nostri difetti ci permette di avanzare sul cammino della liberazione. Il buddismo insegna che la consapevolezza e la comprensione profonda delle proprie azioni, parole e pensieri conducono alla purificazione della mente e alla fine della sofferenza. Solo riconoscendo e affrontando le nostre imperfezioni possiamo sperare di superarle e raggiungere uno stato di pace interiore.


51
Deludenti come un fiore bello
ma senza profumo
sono le parole sagge
senza retta azione.

Questa strofa sottolinea l'importanza dell'integrazione tra saggezza e azione nel cammino spirituale buddista. Le parole sagge, se non accompagnate da azioni corrette e moralmente allineate, sono paragonate a un fiore bello ma senza profumo, cioè esteticamente piacevole ma privo di sostanza e significato reale. Questo paragone mette in evidenza che la saggezza deve essere manifestata attraverso il comportamento e le azioni quotidiane per avere un impatto autentico.

Nel buddismo, la retta azione è uno degli elementi del Nobile Ottuplice Sentiero, che è la via per la cessazione della sofferenza e per il raggiungimento dell'illuminazione. La retta azione implica evitare azioni dannose, promuovere comportamenti benefici e vivere in modo etico. Pertanto, la strofa ci ricorda che la vera saggezza non è semplicemente intellettuale o teorica, ma si traduce in pratiche concrete che rispecchiano i valori buddisti di compassione, non-violenza e altruismo.

Le parole sagge senza azioni appropriate rischiano di essere vuote e inefficaci. La saggezza deve essere incarnata e vissuta, non solo discussa. Questo insegnamento invita a una riflessione profonda su come le nostre parole e le nostre azioni siano allineate e su come possiamo migliorare la nostra coerenza tra ciò che diciamo di credere e ciò che realmente facciamo nella vita quotidiana.


52
Come un fiore
dal delizioso profumo
è la parola saggia e amorevole
accompagnata dalla retta azione.

Questa strofa, in contrasto con la precedente, celebra l'armonia tra parola e azione. Qui, la parola saggia e amorevole, quando accompagnata dalla retta azione, è paragonata a un fiore dal delizioso profumo. Questo paragone enfatizza la bellezza e l'efficacia di una saggezza che si manifesta attraverso azioni concrete e positive.

Nel buddismo, la parola saggia e amorevole fa parte della retta parola, un altro elemento del Nobile Ottuplice Sentiero. La retta parola implica l'uso della comunicazione per promuovere l'armonia, la verità e la benevolenza, evitando menzogne, parole dure, calunnie e discorsi frivoli. Quando queste parole sagge sono sostenute da azioni rette, esse creano un impatto positivo sia su chi le pratica sia su chi ne è influenzato.

La strofa sottolinea che la vera essenza della saggezza risiede non solo nel pensiero e nella parola, ma soprattutto nelle azioni che ne derivano. È un invito a praticare la consapevolezza e la coerenza, dove ogni parola e azione diventa un'espressione di amore e saggezza. Questo approccio integrato non solo migliora la vita individuale ma contribuisce anche al benessere collettivo, creando un ambiente di fiducia, rispetto e armonia.


53
Come con un mazzo di fiori
si possono intrecciare ghirlande
con questa nostra esistenza umana
possiamo fare ghirlande
di nobili azioni.

Questa strofa utilizza la metafora dei fiori per illustrare un concetto fondamentale del buddismo: la costruzione di una vita virtuosa attraverso azioni nobili. Proprio come un mazzo di fiori può essere usato per creare belle ghirlande, così ogni momento della nostra vita offre l'opportunità di compiere azioni virtuose che contribuiscono alla nostra crescita spirituale e alla felicità degli altri.

Il paragone con le ghirlande non è casuale. Nei tempi antichi, le ghirlande erano spesso usate come offerte religiose e simboli di rispetto e onore. Così, ogni azione buona e giusta che compiamo può essere vista come un'offerta di bellezza e bontà al mondo. Questo concetto si allinea strettamente con il principio del karma, dove le nostre azioni determinano le nostre esperienze future.

Il Budda insegna che la nostra esistenza umana è preziosa e piena di potenziale. Ogni giorno, attraverso le nostre scelte e azioni, possiamo intrecciare una vita di saggezza, compassione e virtù. Queste azioni nobili non solo ci avvicinano alla liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara), ma anche ispirano e beneficiano coloro che ci circondano.

Infine, è importante ricordare che queste "ghirlande di nobili azioni" sono costruite un passo alla volta. Ogni piccolo gesto di gentilezza, ogni atto di pazienza e ogni decisione di agire con integrità contribuiscono alla creazione di una vita virtuosa. Questa strofa ci invita a riflettere su come utilizziamo il nostro tempo e le nostre energie, esortandoci a scegliere consapevolmente di fare il bene in ogni situazione.


54
Il profumo di fiori o del legno di sandalo
si diffonde solo col vento a favore
ma la fragranza della virtù
pervade tutte le direzioni.

Il Dhammapada qui usa la metafora del profumo per rappresentare la virtù. Il profumo dei fiori o del legno di sandalo è limitato dal vento, quindi può diffondersi solo in una direzione. Questo paragone illustra come i piaceri sensoriali e i beni materiali abbiano una portata limitata e condizionata dalle circostanze esterne. Al contrario, la virtù, rappresentata dalla "fragranza della virtù", è descritta come qualcosa che pervade tutte le direzioni, suggerendo che le buone azioni e la rettitudine hanno un impatto universale e illimitato.

Nella filosofia buddista, la virtù è una delle componenti fondamentali del Nobile Ottuplice Sentiero, che include retta visione, retta intenzione, retta parola, retta azione, retta sussistenza, retto sforzo, retta consapevolezza e retta concentrazione. La virtù, quindi, non è solo un comportamento etico, ma una pratica integrata che trasforma l'individuo e la società. Le azioni virtuose creano un ambiente armonioso e portano benefici sia a chi le compie sia a chi ne è influenzato.

Inoltre, il concetto di "pervadere tutte le direzioni" sottolinea l'importanza della diffusione della bontà e della compassione senza limiti, riflettendo l'ideale buddista di karuna (compassione) e metta (amore benevolo), che non conoscono confini e abbracciano tutti gli esseri senzienti.


55
Impareggiabile è il profumo
della virtù
anche per i fiori
e per il legno di sandalo.

Questa strofa prosegue l'analogia della virtù come un profumo, affermando che la fragranza della virtù è superiore a qualsiasi altro profumo, anche quelli pregiati come i fiori e il legno di sandalo. Il termine "impareggiabile" mette in evidenza l'inestimabile valore della virtù rispetto ai beni materiali.

Nel contesto buddista, la virtù è considerata una qualità che eleva l'essere umano e lo avvicina alla liberazione dal ciclo di nascita, morte e rinascita (samsara). La pratica delle cinque precetti (pancasila) – astensione dall'uccidere, rubare, comportamenti sessuali scorretti, mentire e intossicarsi – è un modo di coltivare la virtù. Questi precetti non solo proteggono l'individuo dal karma negativo, ma promuovono anche una società armoniosa e pacifica.

La virtù non è solo un atto esterno, ma una manifestazione interna di purezza d'intenti e di cuore. La vera fragranza della virtù emerge dalla sincerità e dall'autenticità delle azioni, che sono guidate dalla consapevolezza e dalla saggezza. Questo concetto si allinea con la dottrina buddista che enfatizza l'importanza della mente e delle intenzioni come determinanti principali del karma.


56
L’aroma del legno di sandalo
e il profumo dei fiori
sono un tenue piacere
rispetto alla fragranza della virtù
che raggiunge anche i regni celesti.

Qui il Dhammapada enfatizza ulteriormente la superiorità della virtù rispetto ai piaceri sensoriali. Il piacere derivato dall'aroma del legno di sandalo e dei fiori è descritto come "tenue", suggerendo che è effimero e limitato. Al contrario, la fragranza della virtù è così potente da raggiungere anche i regni celesti, simbolizzando un impatto che trascende il mondo terreno e le sue limitazioni.

Nel buddismo, i regni celesti (devaloka) sono considerati livelli di esistenza superiori, dove risiedono gli esseri con grande merito e virtù. Raggiungere questi regni non è solo una questione di piacere sensoriale, ma di elevazione spirituale. La virtù, quindi, non solo migliora la vita terrena ma prepara anche l'anima per un'esistenza superiore.

La menzione dei regni celesti riflette l'insegnamento buddista sulla legge del karma, dove le buone azioni e la virtù portano a rinascite favorevoli. Tuttavia, il Budda ha anche insegnato che l'obiettivo finale non è solo una buona rinascita, ma la liberazione completa dal ciclo del samsara, raggiungibile attraverso la pratica del Nobile Ottuplice Sentiero e l'ottenimento del nirvana.


57
Mara non può catturare
chi vive in ricettiva consapevolezza
chi per impeccabile conoscenza è libero
e coltiva la virtù.

Questa strofa sottolinea l'importanza della consapevolezza e della virtù nel percorso verso la liberazione. Mara, nella tradizione buddista, rappresenta le forze della tentazione e dell'ignoranza che ostacolano il cammino spirituale. È spesso personificato come un demone che tenta di distogliere il praticante dal sentiero della verità e della liberazione.

Il concetto di "ricettiva consapevolezza" fa riferimento a una mente attenta e presente, capace di osservare senza giudizio le proprie esperienze e pensieri. Questa pratica di consapevolezza (sati) è essenziale nel buddismo perché permette di vedere la realtà così com'è, senza essere ingannati dalle illusioni o dai desideri mondani.

L'espressione "impeccabile conoscenza" implica una comprensione profonda e accurata della natura delle cose, ottenuta attraverso la pratica meditativa e lo studio degli insegnamenti del Budda. Questa conoscenza (paññā) è fondamentale per superare l'ignoranza, che è considerata la radice della sofferenza nel buddismo.

Infine, coltivare la virtù significa vivere una vita etica, in armonia con i precetti buddisti che includono il non nuocere agli altri, dire la verità, e astenersi da comportamenti dannosi. Questa pratica (sīla) forma la base per la stabilità mentale necessaria per la consapevolezza e la saggezza.


58-59
Come il loto cresce
in grazia e profumo
da un mucchio di rifiuti
abbandonati
la luce del vero discepolo
del Buddha
rischiara le buie ombre
sparse dall’ignoranza.

Queste strofe utilizzano l'immagine del loto che fiorisce tra i rifiuti per simboleggiare la purezza e la bellezza che emergono dalle condizioni più impure e difficili. Nel contesto buddista, il loto è un simbolo potente della purezza del corpo, della parola e della mente. Cresce nel fango, ma emerge incontaminato e bello, rappresentando l’illuminazione raggiunta nonostante le impurità del mondo.

Il loto che cresce dai rifiuti può essere visto come un'allegoria della trasformazione spirituale che un discepolo del Budda può raggiungere. Anche in un mondo pieno di ignoranza e sofferenza (i "rifiuti"), un vero praticante del Dharma può sviluppare saggezza e compassione (la "grazia e profumo" del loto). Questo processo di crescita spirituale non solo purifica l’individuo, ma illumina anche coloro che lo circondano, proprio come la luce del discepolo del Budda dissipa le tenebre dell'ignoranza.

L'ignoranza, nel buddismo, è considerata la radice della sofferenza. È l'incomprensione della vera natura della realtà, delle Quattro Nobili Verità e della via che porta alla cessazione della sofferenza. Il Dhammapada suggerisce che attraverso la pratica del Dharma e il seguire gli insegnamenti del Budda, si può ottenere una comprensione profonda e liberatrice che porta alla luce la vera natura delle cose, liberandosi così dall'ignoranza.


LO STOLTO

60
Lunga è la notte
per chi non può dormire.
Lungo il viaggio per chi è stanco.
Immersa nell’ignoranza, lunga e tediosa la vita
per chi ignora la verità.

Questa strofa evidenzia il tema dell'ignoranza e della sofferenza. La "notte lunga" simboleggia le difficoltà e le inquietudini di chi è preda delle preoccupazioni e dei pensieri incessanti, impedendo un sonno ristoratore. Questo è un chiaro richiamo alla sofferenza mentale ed emotiva causata dall'ignoranza.

Il "viaggio lungo per chi è stanco" rappresenta la fatica della vita quotidiana per chi è affaticato dalle proprie illusioni e desideri insoddisfatti. In questo contesto, il viaggio è metafora della vita stessa, che diventa un peso insostenibile per chi è stanco, sia fisicamente che spiritualmente.

L'ignoranza, nel buddismo, è considerata una delle radici della sofferenza (dukkha). Non conoscere o non comprendere le Quattro Nobili Verità, ovvero la natura della sofferenza, la sua origine, la sua cessazione e il percorso verso la cessazione, prolunga la vita in una continua ricerca di soddisfazioni illusorie.

Infine, il riferimento alla vita "lunga e tediosa" per chi ignora la verità sottolinea l'importanza della conoscenza e della saggezza. Secondo gli insegnamenti del Budda, solo attraverso la comprensione profonda e il percorso del Nobile Ottuplice Sentiero possiamo raggiungere la liberazione dall'ignoranza e, di conseguenza, dalla sofferenza.


61
Se non trovi compagni
che abbiano viaggiato
almeno quanto te
è meglio camminare solo
che accompagnarsi a chi
è esitante.

Questa strofa affronta il tema della compagnia nel percorso spirituale. Il consiglio del Budda è chiaro: è meglio camminare da soli piuttosto che in compagnia di chi non condivide la stessa profondità di esperienza e dedizione.

Nel contesto del buddismo, la "Via" rappresenta il cammino verso l'illuminazione, che richiede disciplina, saggezza e consapevolezza. Viaggiare con compagni esitanti o non completamente dedicati può rappresentare un ostacolo, portando a distrazioni o incoraggiando dubbi e incertezze. La scelta dei compagni di viaggio è quindi cruciale.

Camminare da soli, in questo senso, non significa isolamento sociale, ma piuttosto un atteggiamento di indipendenza spirituale e auto-affidamento. Il Budda stesso, dopo aver lasciato la vita mondana, cercò la solitudine per meditare e raggiungere l'illuminazione (cfr. storia tradizionale di Gautama Buddha). Questo sottolinea l'importanza di una mente concentrata e determinata, libera da influenze negative o incerte.

La compagnia, quando scelta saggiamente, può essere di grande aiuto nel sostenere e rafforzare la pratica. Tuttavia, in assenza di tali compagni, la solitudine è preferibile perché permette di mantenere una chiara direzione e un forte impegno verso gli obiettivi spirituali.


62
"Penso a mio figlio, penso ai miei beni":
ecco le preoccupazioni
degli stolti.
Se nemmeno noi ci apparteniamo
a che queste pretese?

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura delle nostre preoccupazioni e dei nostri attaccamenti. Il verso si apre con la frase "Penso a mio figlio, penso ai miei beni", mettendo in luce le due fonti principali di preoccupazione per molte persone: la famiglia e i beni materiali. Questi pensieri sono definiti come "le preoccupazioni degli stolti", suggerendo che focalizzarsi esclusivamente su questi aspetti della vita può essere visto come un segno di mancanza di saggezza.

Il Budda insegna che l'attaccamento è una delle cause principali della sofferenza. Quando ci identifichiamo fortemente con i nostri possedimenti o relazioni, diventiamo vulnerabili alla sofferenza quando queste cose inevitabilmente cambiano o scompaiono. Il concetto chiave qui è l'impermanenza: tutto ciò che esiste è soggetto a cambiamento e dissoluzione. Anche il nostro stesso corpo e la nostra vita sono impermanenti.

La strofa conclude con una domanda retorica: "Se nemmeno noi ci apparteniamo, a che queste pretese?" Questo ci ricorda che non possiamo possedere veramente nulla, nemmeno noi stessi. I nostri corpi, le nostre menti, le nostre vite sono tutti in continuo cambiamento e non sono sotto il nostro controllo totale. Riconoscere questa verità può aiutarci a ridurre l'attaccamento e la sofferenza ad esso associata.

Nel buddismo, la saggezza consiste nel vedere la realtà così com'è, senza illusioni. Capire l'impermanenza e l'assenza di un sé permanente sono aspetti fondamentali della visione buddista del mondo. Coltivare questa comprensione ci conduce verso una maggiore pace interiore e libertà dalla sofferenza. Quindi, anziché essere intrappolati dalle preoccupazioni mondane, siamo incoraggiati a sviluppare la consapevolezza e la saggezza per vivere una vita più libera e serena .


63
Lo stolto che sa di essere stolto
ha un pizzico di saggezza;
lo stolto che pensa di esser saggio
è impudentemente stolto.

Questa strofa evidenzia un aspetto centrale dell'insegnamento buddista riguardo la consapevolezza e l'umiltà. Nel buddismo, la saggezza (prajna) è considerata una virtù essenziale, necessaria per il cammino verso l'illuminazione. Questa saggezza non è semplicemente conoscenza intellettuale, ma una profonda comprensione della realtà, delle Quattro Nobili Verità e della natura impermanente e interdipendente di tutti i fenomeni.

Il verso iniziale, "Lo stolto che sa di essere stolto ha un pizzico di saggezza," suggerisce che il riconoscimento della propria ignoranza è già un passo verso la saggezza. Questo riconoscimento implica umiltà e apertura mentale, qualità che permettono l'apprendimento e la crescita spirituale. Nel buddismo, la consapevolezza dei propri limiti è il punto di partenza per la trasformazione interiore. È il riconoscimento della propria sofferenza e ignoranza che motiva la ricerca del Dharma, l'insegnamento del Budda.

D'altro canto, la seconda parte della strofa, "lo stolto che pensa di esser saggio è impudentemente stolto", mette in guardia contro l'arroganza e l'illusione di conoscenza. Questo tipo di stoltezza è pericoloso perché chi ne è affetto crede di non avere nulla da imparare, chiudendosi così alle possibilità di crescita e miglioramento. Questa chiusura mentale è vista come un ostacolo significativo sul cammino spirituale, poiché blocca la capacità di vedere la realtà così com'è, senza le distorsioni dell'ego e dell'attaccamento.


64
Come il cucchiaio non può
gustare il sapore della minestra
così è lo stolto, che non intende la verità
pur vivendo per una vita
in mezzo ai saggi.

Questa strofa utilizza l'immagine del cucchiaio per illustrare un importante insegnamento buddista. Il cucchiaio, nonostante sia immerso nella minestra, non ne percepisce il sapore. Allo stesso modo, una persona stolta, anche se circondata da saggi e insegnamenti profondi, non riesce a comprendere la verità.

Il termine "stolto" in questo contesto non si riferisce alla mancanza di intelligenza, ma piuttosto a una mancanza di consapevolezza e discernimento spirituale. Nella filosofia buddista, essere "stolto" significa essere attaccato alle illusioni e agli inganni della vita materiale, incapace di vedere la realtà per quello che è. La verità, in senso buddista, si riferisce alla comprensione profonda della natura impermanente della vita e del non-sé (anatta).

Questo insegnamento sottolinea l'importanza della pratica attiva e del risveglio personale. Solo essere in compagnia di persone sagge non è sufficiente; è necessario anche impegnarsi nella pratica della meditazione, della riflessione e dell'applicazione degli insegnamenti nella propria vita quotidiana. Il vero apprendimento avviene attraverso l'esperienza diretta e la trasformazione interiore, non semplicemente attraverso la vicinanza fisica o l'ascolto passivo.


65
Come la lingua che gusta
il sapore della minestra
è chi vede distintamente
la verità, essendo stato un poco
in compagnia di chi è saggio.

In contrasto con la strofa precedente, questa offre un'immagine positiva di apprendimento e comprensione. Qui, la lingua che assapora la minestra rappresenta una persona che, anche con un breve contatto con i saggi, è in grado di percepire e comprendere la verità. Questa metafora sottolinea che non è necessario un lungo periodo per beneficiare della compagnia dei saggi; anche una breve esposizione può avere un profondo impatto se l'individuo è ricettivo e aperto.

Questa strofa evidenzia la potenza dell'influenza spirituale e l'importanza della qualità dell'attenzione e della recettività. Nella tradizione buddista, la "verità" riguarda la comprensione delle Quattro Nobili Verità e del Nobile Ottuplice Sentiero, che conducono alla cessazione della sofferenza. Un cuore aperto e una mente pronta a imparare sono cruciali per assaporare gli insegnamenti e trasformare la propria vita.

L'insegnamento qui è che l'apertura mentale e il desiderio genuino di comprendere possono portare a un rapido progresso spirituale. L'interazione con individui saggi e illuminati può catalizzare una profonda comprensione, purché si sia disposti ad ascoltare e interiorizzare gli insegnamenti. Questo incoraggia a cercare attivamente la saggezza e a mantenere un atteggiamento di umiltà e desiderio di crescita interiore.


66
Sventatamente agendo male
l’incauto stolto
genera per se amari frutti.
Si comporta come fosse il peggiore nemico di se stesso.

Questa strofa mette in luce una verità fondamentale insegnata dal Budda: le azioni sconsiderate e malvagie portano inevitabilmente a conseguenze negative. Lo stolto, agendo senza riflettere sulle ripercussioni delle sue azioni, finisce per creare sofferenza per sé stesso. Il termine "stolto" in questo contesto si riferisce a chi manca di saggezza e discernimento, agendo in modo avventato e ignorando la legge del karma, secondo la quale ogni azione ha una conseguenza.

L'analogia usata nella strofa, paragonando lo stolto al suo peggior nemico, evidenzia come le azioni negative non solo danneggiano gli altri, ma tornano indietro come un boomerang, arrecando danno anche a chi le compie. Questo concetto è radicato nella dottrina buddista del karma, che insegna che le azioni volitive – sia buone che cattive – creano delle impronte che determinano le future esperienze di vita.

Per chi cerca di seguire il sentiero buddista, questa strofa serve da monito per coltivare la consapevolezza (sati) e la saggezza (prajna). La pratica della retta azione (samma kammanta), uno degli otto elementi del Nobile Ottuplice Sentiero, è cruciale per evitare di cadere nella trappola dell'ignoranza e del male. Agire con saggezza e compassione non solo evita la sofferenza futura, ma contribuisce anche al benessere e alla pace interiore.


67
Un'azione è scorretta quando
a ripensarci proviamo rimorso:
piangendo di rammarico
si colgono i suoi frutti.

Ancora una volta, anche questa strofa evidenzia un principio etico fondamentale del buddismo, cioè il karma e le conseguenze delle azioni scorrette. In termini semplici, un'azione è scorretta quando, riflettendoci sopra, proviamo rimorso. Questo senso di rimorso indica che la nostra azione non era in armonia con i principi di rettitudine e saggezza.

Nel buddismo, il karma è la legge di causa ed effetto che regola le azioni umane. Le azioni scorrette, che generano rimorso, portano inevitabilmente a conseguenze negative. Questo processo di causa ed effetto è ineludibile e si manifesta attraverso il dolore e la sofferenza, come suggerito dalla frase "piangendo di rammarico si colgono i suoi frutti". Il rimorso è un segnale della mente che ci indica che l'azione non era in linea con il Dharma, l'insegnamento del Budda che guida verso la liberazione e la felicità.

Possiamo quindi vedere il rimorso come un'opportunità di crescita spirituale. È un invito a riflettere sulle nostre azioni e a correggere il nostro comportamento per evitare di ripetere gli stessi errori in futuro. Il riconoscimento del proprio errore e il desiderio di cambiare sono i primi passi verso un percorso di purificazione e di miglioramento etico.

Questa strofa ci insegna anche l'importanza della consapevolezza e della riflessione. Essere consapevoli delle nostre azioni e delle loro conseguenze ci permette di vivere in modo più armonioso e di evitare il dolore causato dal rimorso. In ultima analisi, il messaggio del Budda ci incoraggia a coltivare la rettitudine, la saggezza e la compassione, qualità che conducono alla vera pace e felicità interiore.


68
Un’azione è corretta quando
a ripensarci non proviamo rimorso:
nella gioia si colgono i suoi frutti.

Questa strofa ci offre una riflessione sull'etica delle nostre azioni. Quando il Budda parla di azioni corrette, si riferisce a quelle che, anche a distanza di tempo, non ci fanno provare rimorso. Questo significa che la correttezza delle nostre azioni non dipende solo dal risultato immediato, ma anche dal modo in cui queste azioni risuonano con la nostra coscienza nel tempo.

Riflettiamo sulla gioia che si coglie dai frutti di tali azioni. Non si tratta di una gioia effimera o superficiale, ma di una profonda soddisfazione interiore che nasce dal sapere di aver agito con rettitudine e integrità. Questa gioia è duratura perché non è minata dal pentimento o dal rimorso, sentimenti che derivano invece da azioni scorrette o ingiuste.

Nel buddismo, l'importanza delle intenzioni è cruciale. Le nostre azioni devono essere guidate da intenzioni pure e compassionevoli. Questo si riflette nella pratica del karma, dove ogni azione, parola e pensiero produce conseguenze. Azioni basate su intenzioni sane e giuste portano a risultati positivi e a una mente serena, mentre quelle basate su intenzioni dannose o egoistiche portano a sofferenza e turbamento.

Dovremmo fare attenzione non solo a ciò che facciamo, ma anche al modo in cui le nostre azioni influenzano il nostro stato d'animo nel lungo termine. Solo attraverso una condotta etica e meditata possiamo trovare la vera gioia e la pace interiore che il Budda ci insegna a perseguire.


69
Gli stolti si figurano le cattive azioni
dolci come il miele
finché non vedono le conseguenze.
Quando ne scorgono i frutti
certo gli stolti soffrono.

Questa strofa ci offre un insegnamento prezioso sull'illusione delle azioni dannose. Gli stolti, ossia coloro che mancano di saggezza e consapevolezza, spesso considerano le cattive azioni come piacevoli, dolci come il miele. Questo paragone sottolinea l'inganno dei sensi e del desiderio, che ci portano a vedere il male come qualcosa di attraente e gratificante nel breve termine.

Noi possiamo cadere nella trappola di perseguire piaceri immediati senza considerare le conseguenze delle nostre azioni. Tuttavia, il Dhammapada ci ricorda che queste azioni, apparentemente dolci, portano inevitabilmente a frutti amari. Quando le conseguenze delle cattive azioni si manifestano, la sofferenza diventa evidente, e coloro che sono stati ingannati dal loro desiderio si trovano a dover affrontare il dolore e il rimorso.

Questo insegnamento è profondamente radicato nel concetto di karma, la legge di causa ed effetto nel buddismo. Ogni azione ha una conseguenza, e le azioni basate sull'ignoranza e il desiderio porteranno sofferenza. Riconoscere questa verità ci aiuta a coltivare la saggezza e la consapevolezza, evitando le trappole dei piaceri temporanei.


70
Mesi di rigido ascetismo
vivendo di dieta frugale:
uno stolto non può paragonarsi
a chi semplicemente vede la verità.

Questa strofa mette in luce la differenza tra la pratica esteriore dell'ascetismo e la percezione interiore della verità. Il termine "semplicemente" è cruciale, poiché indica che vedere la verità non richiede necessariamente pratiche rigorose o estreme, ma può derivare da una naturale capacità di osservare e comprendere la realtà.

Il Budda suggerisce che anche dopo mesi di severa auto-mortificazione, uno stolto non può raggiungere lo stesso livello di comprensione di chi ha una chiara percezione della verità. La pratica ascetica, pur essendo una forma di disciplina, non garantisce la saggezza. La vera comprensione della realtà va oltre le apparenze e non dipende dalle sole pratiche fisiche o dalle privazioni.

Il "vedere la verità" in modo semplice può essere interpretato come una naturale predisposizione alla saggezza e alla bontà, una capacità innata di percepire la realtà e l'etica. Alcune persone, grazie alla loro indole, sensibilità e capacità di osservazione, riescono a comprendere profondamente la natura delle cose senza dover ricorrere a pratiche estreme. Questa visione implica una genuina comprensione delle Quattro Nobili Verità e del Nobile Ottuplice Sentiero, che guidano verso l'illuminazione.

La saggezza e la vera percezione della realtà sono qualità che si sviluppano attraverso l'osservazione attenta e la riflessione profonda, piuttosto che attraverso la sola disciplina fisica. Il Budda ci incoraggia a cercare la verità in modo semplice e genuino, coltivando la bontà e la sensibilità che permettono di vedere oltre le apparenze.


71
Il latte fresco
non caglia immediatamente
non immediatamente le azioni ingiuste
recano frutto;
tuttavia gli stolti soffrono
di certo le conseguenze
della loro stoltezza
come bruciassero posando
su braci ricoperte di cenere.

Nel buddismo, il karma è il principio secondo cui ogni azione ha delle conseguenze, positive o negative, che si manifestano in questa vita o in quelle future. Il paragone con il latte fresco che non caglia immediatamente serve a spiegare che, similmente, le azioni ingiuste non portano subito alle loro conseguenze.

Il Budda ci insegna che le cattive azioni, anche se non producono effetti immediati, prima o poi daranno i loro frutti. Questo avvertimento è particolarmente diretto agli stolti, cioè a coloro che agiscono senza considerare le conseguenze delle loro azioni. La sofferenza inevitabile che deriva dalle cattive azioni è paragonata al bruciarsi su braci ricoperte di cenere: un dolore inizialmente nascosto (dalla cenere), ma che è sempre presente e pronto a manifestarsi. Il dolore presente ma nascosto si chiama "effetto latente", la manifestazione del dolore si chiama "effetto manifesto" (cfr. I dieci fattori).

Questo insegnamento incoraggia la consapevolezza e la responsabilità. Agire con saggezza e compassione è essenziale per evitare le future sofferenze. Il Dhammapada ci ricorda l'importanza di vivere una vita virtuosa, poiché le nostre azioni, buone o cattive, plasmano il nostro destino.

La metafora delle braci ricoperte di cenere ci invita a non sottovalutare l'impatto delle nostre azioni e a ricordare che, anche se non vediamo subito le conseguenze, esse sono inevitabili e possono emergere quando meno ce lo aspettiamo. Il saggio, consapevole di questo, agisce con prudenza, evitando le azioni che portano sofferenza e coltivando quelle che portano gioia e liberazione.


72
Stolti sono coloro che abusano
di qualsiasi dono dispongano
distruggendo
la propria fortuna.

Questa strofa mette in luce la saggezza nell'uso delle risorse e delle capacità. Secondo gli insegnamenti del Budda, gli esseri umani hanno diverse qualità e risorse a loro disposizione, che possono includere talenti naturali, beni materiali, opportunità sociali e altro ancora. Tuttavia, l'abuso o l'uso improprio di questi doni può portare a conseguenze negative, sia a livello personale che collettivo.

Quando una risorsa è abbondante, spesso la diamo per scontata e possiamo persino trattarla con disprezzo, come una fetta di pane. Ma tale fetta vale più dell'oro per chi è denutrito e affamato in mezzo ai bombardamenti di una guerra, giusto per fare un esempio.

Il termine "stolti" qui si riferisce a coloro che mancano di consapevolezza e discernimento. In altre parole, queste persone non riescono a vedere le conseguenze delle loro azioni a lungo termine e sono guidate principalmente dai desideri immediati e dall'ignoranza. Questo tipo di comportamento in contrasto con la saggezza buddista, che enfatizza la comprensione della realtà (Dharma).

Quando si parla di "distruggere la propria fortuna", non si intende solo il danno materiale. Nel contesto buddista, la fortuna può includere anche il benessere mentale, spirituale e relazionale.

Un uomo o una donna potrebbero trattare con non curanza o disprezzo la propria famiglia, i propri cari o amici, causando a sé e agli altri grande sofferenza e scivolando giorno dopo giorno nella disgrazia.

Abusare dei propri doni può significare compromettere il proprio percorso verso l'illuminazione, generando sofferenza e ostacoli interiori ed esteriori. Questo è in linea con il concetto di karma, dove le azioni (buone o cattive) hanno conseguenze dirette sulle future esperienze.

Dovremmo utilizzare i nostri doni in modo che contribuiscano al nostro benessere e a quello degli altri, avvicinandoci così alla liberazione e all'illuminazione.


73-74
Cresce la presunzione e la brama degli stolti
con l’esigere immeritata autorità
riconoscimento e compenso;
la falsità colora la loro sete
vogliono esser visti
potenti e perspicaci.

Basta guardarsi attorno per riconoscere l'incontestabile verità di queste parole in ogni angolo della società, in ogni tempo e in ogni luogo. Non a caso le persone sagge, che sono in pace con se stesse e con la vita, assai di rado si trovano nei posti di potere. Chi segue la strada dell'amore e della compassione non cerca il potere, inteso come dominio e prevaricazione sugli altri, e viceversa. Chi pronuncia parole di verità sovente viene emerginato, deriso, umiliato e punito, chi vive nella menzogna viene spesso premiato e acclamato. Questa è la cruda realtà del vivere sociale.

Il Budda insegna che la vera saggezza proviene dalla comprensione della natura impermanente e interdipendente della realtà. Gli stolti, invece, sono accecati dal loro ego e cercano di ottenere riconoscimenti esteriori attraverso la falsità e l'inganno. Questo comportamento non solo danneggia gli altri, ma anche loro stessi, poiché li allontana dalla verità e dalla possibilità di raggiungere la liberazione.

La "sete" menzionata nella strofa rappresenta il "taṇhā", che significa desiderio o brama. Questa sete è una delle cause principali della sofferenza (dukkha) secondo il Budda. Gli stolti, desiderando essere visti come potenti e perspicaci, cadono vittime delle loro illusioni, alimentando un ciclo di sofferenza e insoddisfazione.

Per chi segue gli insegnamenti del Budda, è fondamentale riconoscere e superare questi desideri egoistici. La pratica della retta visione e della retta intenzione, parte del Nobile Ottuplice Sentiero, ci aiuta a sviluppare saggezza e compassione, liberandoci dalle catene dell'ignoranza e dell'egoismo. In questo modo, possiamo vivere una vita autentica e appagante, lontana dall'illusione e dalla falsità​.


75
Due sentieri distinti:
quello che porta al guadagno mondano
e quello che porta alla liberazione.
Accorto, il discepolo rinunciante
evita la distrazione
del gioco mondano di guadagni e successi
per dimorare in solitudine.

Il guadagno mondano rappresenta gli obiettivi materiali e le ambizioni che ci distolgono dalla ricerca interiore e dalla pratica spirituale. La liberazione, d'altra parte, è il nirvana, uno stato di pace e di liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara).

Il "discepolo rinunciante" è colui che ha deciso di seguire la via del Dharma, gli insegnamenti del Budda, abbandonando gli attaccamenti materiali. Questo richiede una grande disciplina e discernimento per evitare le "distrazioni del gioco mondano". Queste distrazioni possono essere intese come i desideri e le ambizioni che legano l'individuo alla sofferenza e all'insoddisfazione.

Dimorare in solitudine non significa necessariamente l'isolamento fisico, ma una condizione mentale di distacco dagli attaccamenti e dalle passioni terrene. Questa solitudine è uno stato di pace interiore e contemplazione, dove il praticante può meditare e approfondire la propria comprensione della verità.

Il concetto di "guadagno mondano" include il successo, la fama, e le ricchezze, che spesso sono considerati temporanei e insoddisfacenti nel lungo termine. Invece, il cammino verso la liberazione implica una rinuncia a questi piaceri effimeri a favore di una gioia duratura e profonda che deriva dalla pratica della saggezza, della moralità e della meditazione.

Questa strofa ci invita a riflettere su cosa sia veramente importante nella vita e a scegliere con saggezza il sentiero che porta alla vera pace e felicità.


IL SAGGIO

76
Spuntano doni del cielo
stando in compagnia
di chi è saggio e perspicace
di chi con accortezza offre
dissuasione e consiglio
come guidando a un tesoro nascosto.

Questa strofa sottolinea l'importanza della compagnia e dell'influenza dei saggi nella nostra vita. Secondo l'insegnamento del Budda, stare in compagnia di persone sagge e perspicaci è una benedizione che porta benefici significativi. La saggezza e la perspicacia sono qualità che ci aiutano a vedere la realtà con chiarezza e a prendere decisioni ponderate.

La frase "Spuntano doni del cielo" suggerisce che i benefici derivanti dalla compagnia dei saggi sono come regali divini, preziosi e inaspettati. Questi doni non sono materiali, ma piuttosto saggezza, comprensione e guida spirituale, che arricchiscono la nostra vita in modi profondi e duraturi.

Quando il testo parla di chi "con accortezza offre dissuasione e consiglio", si riferisce alla capacità dei saggi di guidarci lontano da scelte e comportamenti dannosi, e di indirizzarci verso azioni e pensieri salutari e benefici. Questa guida è paragonata a "guidare a un tesoro nascosto", nel senso che i saggi ci aiutano a scoprire e realizzare il nostro potenziale interiore, che altrimenti potrebbe rimanere nascosto.


77
Che il saggio guidi gli esseri
via dall’oscurità
che offra orientamento e consiglio;
ne farà tesoro l’onesto
li rifiuterà lo stolto.

Questa strofa ci offre un insegnamento fondamentale del buddismo riguardo alla saggezza e alla guida spirituale. Il Budda sottolinea l'importanza del saggio come guida per gli altri, suggerendo che solo chi è illuminato può veramente condurre gli esseri fuori dall'oscurità dell'ignoranza.

Il termine "oscurità" si riferisce all'ignoranza e alla mancanza di consapevolezza che caratterizzano la condizione umana non risvegliata. Il "saggio", dunque, è colui che ha raggiunto un livello di comprensione e realizzazione tale da poter offrire orientamento e consiglio valido.

L'importanza di questo insegnamento è duplice. Da una parte, ci invita a cercare la compagnia e i consigli dei saggi, riconoscendo il valore del loro orientamento. Dall'altra, ci spinge a coltivare la nostra saggezza, affinché possiamo anche noi, un giorno, essere una luce per gli altri.

La strofa evidenzia inoltre una distinzione tra l'onesto e lo stolto. L'onesto, che è aperto e ricettivo alla saggezza, farà tesoro dei consigli del saggio, integrandoli nella propria vita e utilizzandoli come guida per il proprio comportamento. Lo stolto, invece, respingerà tali consigli, rimanendo intrappolato nella sua ignoranza.


78
Non cercare la compagnia
di chi è sviato
guardati da chi si è guastato.
Cerca e gioisci della compagnia
di amici fidati sulla Via
di chi la visione profonda difende.

Questa strofa ci invita a riflettere sull'importanza delle compagnie che scegliamo di frequentare nel nostro percorso spirituale. Nel buddismo, la compagnia di persone con una visione distorta della realtà o con comportamenti moralmente compromessi può influenzare negativamente il nostro cammino verso l'illuminazione.

Siamo incoraggiati a stare lontani da chi è sviato, ossia da coloro che sono lontani dalla Via (il cammino spirituale) e che possono portarci fuori strada con i loro pensieri e azioni. La parola "guastato" si riferisce a chi ha perso la retta via, forse a causa di avidità, odio o illusione, i tre veleni che secondo il buddismo offuscano la nostra mente e il nostro cuore.

Invece, dovremmo cercare e trovare gioia nella compagnia di "amici fidati sulla Via". Questi amici sono coloro che condividono il nostro impegno per il Dharma (gli insegnamenti del Budda) e che possiedono una "visione profonda". La visione profonda si riferisce alla comprensione della realtà così come insegnata dal Budda: la consapevolezza dell'impermanenza, della sofferenza e dell'interdipendenza (cfr. Appendice - Le due realtà).

Essere in compagnia di persone che difendono questa visione significa essere supportati nel nostro percorso, trovare ispirazione e mantenere salda la nostra determinazione a seguire il sentiero della liberazione. Questi amici agiscono come specchi, riflettendo la nostra vera natura e aiutandoci a vedere con chiarezza le nostre inclinazioni e i nostri progressi.


79
Abbandonarsi al Dhamma
porta serenità.
Il saggio vive nella perenne gioia
della verità dal Risvegliato svelata.

Questa strofa ci invita a riflettere sull'importanza di abbracciare il Dhamma (o Dharma), l'insegnamento del Budda, per trovare serenità e pace interiore. Quando ci abbandoniamo al Dhamma, ci allineiamo con una verità universale che trascende le illusioni e le sofferenze della vita quotidiana.

Il termine Dhamma rappresenta l'insieme degli insegnamenti del Budda che guidano verso la comprensione della realtà ultima e la liberazione dalla sofferenza. Seguendo questi insegnamenti, possiamo sviluppare saggezza e compassione, qualità che conducono a una serenità duratura.

Il saggio, come descritto nella strofa, è colui che vive in armonia con questa verità svelata dal Risvegliato, ovvero il Budda. Il Risvegliato è colui che ha raggiunto l'illuminazione, liberandosi dai cicli di nascita e morte (samsara) e dalle sofferenze legate all'ignoranza e al desiderio.

Vivendo nella "perenne gioia della verità", il saggio sperimenta una gioia che non è temporanea né condizionata dalle circostanze esterne. Questa gioia è radicata nella comprensione profonda della natura della realtà, nell'accettazione dell'impermanenza (anicca) e nella pratica del non-attaccamento.

Per noi, seguire il Dhamma significa impegnarsi nella pratica della meditazione, nella coltivazione della virtù e nella ricerca della saggezza. Attraverso di questi, possiamo avvicinarci alla serenità e alla gioia descritte nella strofa, trasformando gradualmente la nostra vita e il nostro modo di percepire il mondo.


80
I costruttori di canali
convogliano il flusso dell’acqua.
Il fabbro forgia le frecce.
Il falegname lavora il legno.
Il saggio doma se stesso.

Questa strofa ci invita a riflettere sul controllo e la disciplina personale attraverso un paragone con diversi mestieri. I costruttori di canali, i fabbri e i falegnami rappresentano l'abilità di modellare e trasformare gli elementi. Allo stesso modo, il saggio deve saper domare e disciplinare se stesso.

I costruttori di canali dirigono l'acqua, simbolo delle nostre emozioni e pensieri. Come loro incanalano l'acqua verso una direzione utile, anche noi dobbiamo imparare a guidare le nostre emozioni e pensieri in modo costruttivo, evitando che ci travolgano.

Il fabbro forgia le frecce con cura e precisione, simboleggiando la necessità di affinare le nostre abilità e intenzioni. Proprio come una freccia deve essere dritta per raggiungere il bersaglio, così le nostre azioni devono essere rette per raggiungere la saggezza.

Il falegname che lavora il legno rappresenta la pazienza e la costanza. Il legno grezzo viene trasformato lentamente in un oggetto utile e bello. Allo stesso modo, il nostro carattere e la nostra mente necessitano di una lavorazione continua e attenta per migliorarsi.

Infine, il saggio doma se stesso. Questo è l'insegnamento centrale: attraverso la disciplina, la consapevolezza e la pratica costante, possiamo trasformarci interiormente. Domare se stessi significa padroneggiare i nostri desideri, emozioni e pensieri, raggiungendo uno stato di equilibrio e pace interiore.


81
Come una solida roccia
non è scossa dal vento
imperturbato è il saggio
dalla lode e dal biasimo.

Questa strofa sottolinea la stabilità e la forza interiore che caratterizzano il saggio. La metafora della solida roccia rappresenta la fermezza e la solidità di chi ha raggiunto una profonda comprensione e padronanza di sé. Proprio come una roccia rimane immobile nonostante la forza del vento, il saggio rimane saldo di fronte alle fluttuazioni delle opinioni altrui, siano esse positive o negative.

Nella pratica buddista, questo stato di imperturbabilità è raggiungibile attraverso la meditazione e la coltivazione della consapevolezza. Quando ci impegniamo nella pratica, impariamo a osservare i nostri pensieri e le nostre emozioni senza identificarci con essi. Questa distacco ci permette di non essere trascinati dalle critiche o dalle lodi, mantenendo la mente stabile e serena.

Inoltre, il concetto di equanimità (upekṣā) è centrale in questa strofa. L'equanimità è una delle Quattro Dimore Divine (Brahmavihara), che include anche la benevolenza, la compassione e la gioia compartecipe. Essere equanimi significa accettare tutte le esperienze, piacevoli o spiacevoli, con la stessa serenità. Questo equilibrio emotivo è fondamentale per il nostro benessere mentale e spirituale.

Seguendo l'insegnamento del Budda, possiamo coltivare questa stabilità interiore affrontando con serenità sia i momenti di gloria che quelli di difficoltà, sapendo che entrambe le situazioni sono transitorie e impermanenti. Questo ci aiuta a sviluppare una visione più profonda della realtà, liberandoci dall'attaccamento e dall'avversione, e avanzando così lungo il cammino della liberazione.


82
All’udire il vero insegnamento
il cuore ricettivo
si fa sereno
come un lago, profondo, limpido e silente.

Questa strofa ci invita a riflettere sul potere trasformativo del vero insegnamento (Dharma). Quando ascoltiamo il Dharma con un cuore aperto e ricettivo, sperimentiamo una profonda serenità e chiarezza interiore, simile a un lago tranquillo e limpido.

Il cuore ricettivo rappresenta la nostra disponibilità a lasciare andare preconcetti e resistenze, permettendo al vero insegnamento di penetrare profondamente nella nostra coscienza. Questo stato di apertura è essenziale per il nostro progresso spirituale, poiché ci permette di assorbire e integrare gli insegnamenti del Budda in modo autentico e significativo.

Il paragone con un lago profondo, limpido e silente è ricco di significato simbolico. La profondità del lago rappresenta la saggezza e la comprensione che si raggiungono attraverso la pratica del Dharma. La limpidezza indica la purezza della mente, libera da impurità come l'avidità, l'odio e l'illusione. La silenziosità del lago simboleggia la pace interiore che nasce dall'eliminazione delle distrazioni mentali e delle passioni che turbano la nostra mente.

Il "vero insegnamento" si riferisce alle Quattro Nobili Verità e al Nobile Ottuplice Sentiero, che costituiscono il cuore della dottrina del Budda. Le quattro nobili verità riguardano la natura della sofferenza (dukkha), la causa della sofferenza (samudaya), la cessazione della sofferenza (nirodha) e il sentiero che conduce alla cessazione della sofferenza (ariyāṭṭhaṅgikamagga), ovvero il Nobile Ottuplice Sentiero, che include la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta consapevolezza e la retta concentrazione.

Comprendere e praticare questi insegnamenti ci permette di purificare il nostro cuore e la nostra mente, avvicinandoci sempre di più alla liberazione (nirvana). La serenità che ne deriva non è solo un'esperienza temporanea, ma una trasformazione duratura che ci accompagna lungo tutto il cammino spirituale.


83
Chi è virtuoso è libero.
Non indulge a discorsi futili
sui piaceri dei sensi.
Prova sia gioia che dolore
ma nessuno dei due lo possiede.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla vera natura della virtù e della libertà. Secondo l'insegnamento del Budda, la virtù è una qualità fondamentale che libera l'individuo dalle catene del desiderio e dell'attaccamento. Essere virtuosi significa vivere in armonia con i principi del Dharma, il percorso di verità e giustizia insegnato dal Budda.

Il primo verso, "Chi è virtuoso è libero", ci ricorda che la vera libertà non è legata alle condizioni esterne, ma nasce dalla purezza interiore e dalla rettitudine morale. La virtù ci libera dalla sofferenza che deriva dalle azioni sbagliate e dai desideri incontrollati. Quando siamo virtuosi, non siamo più schiavi delle nostre passioni e paure.

Il secondo verso, "Non indulge a discorsi futili sui piaceri dei sensi", sottolinea l'importanza della moderazione e della consapevolezza. I piaceri dei sensi possono facilmente distrarci dal nostro cammino spirituale, portandoci a inseguire soddisfazioni temporanee che non conducono alla vera felicità. I discorsi futili rappresentano le distrazioni mentali che ci allontanano dalla pratica del Dharma.

Infine, il terzo verso, "Prova sia gioia che dolore ma nessuno dei due lo possiede", riflette l'equilibrio emotivo che il saggio dovrebbe mantenere. La vita è composta di momenti di gioia e di dolore, ma l'importante è non lasciarsi dominare da essi. Il praticante del Dharma accetta entrambi con equanimità, comprendendo che sono transitori e non definiscono la sua essenza.


84
Non per proprio interesse
né a favore di altri: mai
una persona saggia nuoce
nell’interesse della famiglia
del patrimonio o per guadagno.
A ragione costui viene chiamato
virtuoso e saggio.

Questa strofa ci invita a riflettere profondamente sull'altruismo e sulla virtù. Il Budda ci insegna che un saggio, ovvero colui che ha raggiunto una comprensione profonda della vita e dei suoi meccanismi, non dovrebbe mai agire per nuocere agli altri, neppure se si tratta di proteggere la propria famiglia, aumentare le proprie ricchezze o ottenere vantaggi personali.

Il principio alla base di questo insegnamento è che l'azione virtuosa non deve essere dettata da interessi egoistici. Anche le intenzioni che potrebbero sembrare giustificate – come il benessere della famiglia o la sicurezza finanziaria – non devono mai portare a danneggiare gli altri. Questa è una visione che trascende l'ordinaria morale comune, ponendo l'accento su una rettitudine più alta e universale.

Per noi, seguire questo insegnamento significa imparare a guardare oltre i nostri desideri immediati e personali, considerando l'impatto delle nostre azioni su tutte le persone coinvolte. Coltivare la saggezza comporta sviluppare la capacità di discernere il bene comune e agire di conseguenza, mantenendo una condotta che rispetti la dignità e il benessere di tutti gli esseri viventi.

Questo non è solo un ideale etico, ma una pratica quotidiana che richiede consapevolezza e impegno. Solo attraverso l'auto-disciplina e il costante esame delle nostre motivazioni possiamo avvicinarci alla saggezza e alla virtù di cui parla il Budda.


85
Quelli che raggiungono l’altra sponda sono pochi.
I più vagano avanti e indietro, senza fine, su questa sponda
non arrischiandosi al viaggio.

Questa strofa evidenzia una delle verità fondamentali del buddismo: il cammino verso l'illuminazione è arduo e solo pochi riescono a completarlo. L'"altra sponda" rappresenta il nirvana, uno stato di completa liberazione dal ciclo di nascita, morte e rinascita (samsara). Coloro che riescono a raggiungerla sono i saggi che hanno compreso e praticato gli insegnamenti del Budda, superando le illusioni e i desideri mondani.

La maggior parte delle persone, invece, "vagano avanti e indietro, senza fine", rimanendo intrappolate nelle loro abitudini e nei loro desideri. Questo vagare rappresenta la condizione dell'umanità che, senza la guida del Dharma (l'insegnamento del Budda), rimane immersa nella sofferenza e nell'ignoranza. La difficoltà del viaggio è data dalla necessità di una profonda trasformazione interiore, che richiede disciplina, meditazione e una comprensione profonda della natura della realtà.

Noi, come praticanti, siamo invitati a riflettere su questo messaggio e a impegnarci nel percorso verso l'altra sponda. Possiamo prendere esempio da coloro che ci hanno preceduto e che hanno dimostrato che, nonostante le difficoltà, il viaggio è possibile e porta alla pace e alla liberazione definitiva. Siamo chiamati a non temere le sfide, ma a vedere ogni ostacolo come un'opportunità per crescere e avvicinarci sempre di più alla comprensione del vero significato della vita.


86
Anche se è difficile attraversare
il burrascoso oceano della passione
chi vive in accordo
con il vero insegnamento della Via
raggiunge l’altra sponda.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla difficoltà di superare le passioni e le tentazioni della vita. Il "burrascoso oceano della passione" rappresenta le numerose sfide emotive e desideri che incontriamo nel nostro cammino. Questi ostacoli sono paragonati a onde tempestose che possono facilmente travolgerci, distogliendoci dalla pratica spirituale e dal nostro equilibrio interiore.

Il Budda ci insegna che vivere "in accordo con il vero insegnamento della Via" è la chiave per raggiungere "l’altra sponda", simbolo della liberazione e della pace interiore. Questo significa seguire il Nobile Ottuplice Sentiero, che include la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta consapevolezza e la retta concentrazione. Praticando questi principi, possiamo sviluppare la saggezza, la disciplina etica e la meditazione necessarie per superare le difficoltà.

Attraversare il "burrascoso oceano" richiede pazienza, determinazione e una fede incrollabile (saddhā) nel Dharma (insegnamento del Budda). Non dobbiamo scoraggiarci di fronte agli ostacoli, ma piuttosto vederli come opportunità per rafforzare la nostra pratica e approfondire la nostra comprensione. Il vero insegnamento ci guida a non attaccarci ai desideri e alle passioni, permettendoci di vivere con maggiore serenità e distacco, essenziali per il nostro progresso spirituale.


87-88
Mirando all'obiettivo della liberazione
il saggio abbandona l’oscurità
e ha cara la luce
si lascia alle spalle
la sicurezza meschina
e cerca la libertà dall’attaccamento.
Il desiderio di libertà
è cosa ardua e rara
ma il saggio continuerà a cercare
distaccandosi da tutto ciò che si frappone
purificando il cuore e la mente.

Queste strofe ci invitano a riflettere sul percorso di liberazione interiore che ogni saggio deve intraprendere. L'obiettivo principale è la liberazione, che implica il distacco dalle tenebre dell'ignoranza e l'aspirazione alla luce della saggezza. Questo cammino non è semplice e richiede un impegno costante.

Abbandonare la "sicurezza meschina" significa lasciare andare le comodità e gli attaccamenti che ci tengono legati al ciclo del samsara, il ciclo delle rinascite e delle sofferenze. Cercare la libertà dall’attaccamento ci guida verso la vera felicità e la pace interiore. L’attaccamento, nel contesto buddista, è visto come uno dei principali ostacoli alla liberazione, poiché genera desideri insaziabili e sofferenza.

Il desiderio di libertà è raro e difficile da mantenere, ma è essenziale per proseguire sulla via della purificazione del cuore e della mente. La purificazione mentale comporta l’eliminazione delle impurità come l'avidità, l'odio e l'illusione. Questi sono gli inquinanti che offuscano la nostra visione e ci impediscono di vedere la realtà così com'è.

Rivolgendoci al cammino insegnato dal Budda, possiamo trovare guida e ispirazione per affrontare le difficoltà e perseverare nella nostra pratica. Questo percorso ci porta alla consapevolezza e alla comprensione profonda, conducendoci verso l'illuminazione.


89
Liberati dal desiderio
non soggiogati dalla comune avidità
quelli che si accordano con la Via
conoscono la meraviglia del non-attaccamento
e pur dimorando nel mondo
luminosi risplendono.

Questa strofa ci invita a riflettere sul potere della liberazione dal desiderio e dall'avidità. Nel buddismo, il desiderio (tanha) e l'avidità (lobha) sono considerati le radici della sofferenza. Liberarsi da questi attaccamenti è essenziale per raggiungere uno stato di pace interiore e di illuminazione.

Quando siamo "liberati dal desiderio" e "non soggiogati dalla comune avidità", stiamo praticando la rinuncia e l'equanimità, elementi fondamentali del percorso buddista. La rinuncia non implica una vita di privazioni, ma piuttosto la capacità di vivere nel mondo senza essere dominati dai nostri attaccamenti. Questo stato di non-attaccamento, o nirvana, ci permette di sperimentare una profonda libertà interiore.

Accordarsi con la Via, ovvero seguire gli insegnamenti del Budda e praticare il Nobile Ottuplice Sentiero, ci porta a comprendere e vivere la "meraviglia del non-attaccamento". Questo concetto ci insegna che la vera felicità non dipende dalle cose esterne, ma dalla nostra capacità di lasciare andare i desideri e di vivere con saggezza e compassione.

Infine, coloro che riescono a dimorare nel mondo pur mantenendo questo stato di non-attaccamento "luminosi risplendono". Questo risplendere non è altro che la manifestazione della loro pace e saggezza interiore, che diventa evidente a chiunque li incontri. Essi sono come fari di luce nel mondo, mostrando con il loro esempio la via verso la liberazione.


IL RISVEGLIATO

90
Non c’è più tensione
per chi ha portato a compimento
il proprio viaggio
ed è libero
dal tormento della schiavitù.

Questa strofa descrive lo stato di completa liberazione raggiunto da chi ha concluso il cammino spirituale. Il "viaggio" rappresenta il percorso di pratica e realizzazione spirituale che porta all'illuminazione, un concetto centrale nel buddismo.

La "tensione" di cui si parla è l'ansia, lo stress e le preoccupazioni che affliggono la mente di chi è ancora intrappolato nei cicli del desiderio e dell'attaccamento. Nel buddismo, il desiderio (tanha) è visto come la radice della sofferenza, e liberarsene è essenziale per raggiungere la pace interiore.

La "schiavitù" indica la condizione di essere legati alle illusioni e alle impurità mentali che impediscono la vera libertà. Quando siamo dominati dai desideri, dall'ignoranza e dall'odio, siamo in uno stato di schiavitù mentale. Liberarsi da queste catene significa raggiungere il nirvana, lo stato di pace e liberazione finale.

Per noi, questa strofa può servire come guida e ispirazione nel nostro cammino. Ci invita a riflettere sulla natura delle nostre preoccupazioni e sul modo in cui le nostre menti sono spesso catturate da desideri insaziabili. Praticando la consapevolezza e la disciplina interiore, possiamo gradualmente allontanarci dalla schiavitù mentale e avvicinarci a uno stato di serenità e libertà.

La strofa sottolinea anche l'importanza della perseveranza e dell'impegno nel percorso spirituale. Solo coloro che completano questo "viaggio" raggiungono la vera libertà, dimostrando che la liberazione è possibile per chiunque si impegni con sincerità e dedizione nel cammino insegnato dal Budda.


91
Pronto alle necessità del viaggio
chi percorre il sentiero della consapevolezza
scivola via silenzioso come un cigno
abbandonando i vecchi luoghi di riposo.

Questa strofa ci invita a riflettere sul concetto del distacco e della consapevolezza nel percorso spirituale. Il "viaggio" qui rappresentato è quello interiore, il cammino verso l'illuminazione. La metafora del cigno, che scivola silenzioso, evoca un senso di grazia e serenità, caratteristiche essenziali per chi percorre il sentiero del Budda.

Percorrere il "sentiero della consapevolezza" significa sviluppare una presenza mentale costante, osservando i propri pensieri e azioni senza attaccamento e senza giudizio. Questa consapevolezza ci permette di abbandonare i "vecchi luoghi di riposo", ovvero le vecchie abitudini e attaccamenti che ci legano al ciclo della sofferenza.

Il distacco, rappresentato dall'abbandono dei vecchi luoghi di riposo, è fondamentale. Non si tratta di un rifiuto del mondo, ma di una trasformazione del nostro rapporto con esso. La consapevolezza ci insegna a vivere nel presente, accettando il cambiamento e la transitorietà delle cose senza aggrapparci a esse.

Seguendo questo sentiero, impariamo a "scivolare via silenziosi", lasciando andare il superfluo, le distrazioni e le illusioni che offuscano la nostra mente. Il vero praticante del buddismo, come il cigno, si muove con grazia e leggerezza, trovando pace nella consapevolezza e libertà nell'assenza di attaccamento.


92
Come gli uccelli non lasciano
orme nell’aria
la sua mente non si aggrappa
alle tentazioni che gli si offrono.
La sua rotta
è lo stato di liberazione senza tracce
invisibile agli altri.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura della mente di un essere illuminato, confrontandola con il volo degli uccelli nel cielo. Gli uccelli, volando, non lasciano segni del loro passaggio. Allo stesso modo, la mente di una persona che ha raggiunto l'illuminazione non si attacca alle tentazioni e ai desideri del mondo materiale.

Il concetto di "non aggrapparsi" è centrale nel buddismo. Si riferisce alla capacità di mantenere una mente libera dai desideri e dalle avversioni. I desideri sono le brame per le cose piacevoli, mentre le avversioni sono il rifiuto di ciò che consideriamo sgradevole. Entrambi rappresentano delle "tracce" che lasciano segni nella nostra mente, condizionandola e legandola al ciclo del samsara (il ciclo delle nascite e delle morti).

Raggiungere "lo stato di liberazione senza tracce" significa vivere in uno stato di nirvana. Il nirvana è la liberazione finale dalla sofferenza e dal ciclo delle rinascite. È uno stato in cui la mente è pura, non condizionata da nessuna forma di desiderio o attaccamento.

Quando la strofa dice che questo stato è "invisibile agli altri", ci ricorda che il cammino spirituale e la realizzazione interiore sono esperienze profondamente personali. La vera libertà e serenità interiore non possono essere viste o misurate dall'esterno, ma sono conosciute solo da chi le vive. Questo sottolinea anche l'importanza della pratica personale e della meditazione nel buddismo, come mezzi per sperimentare direttamente queste verità.


93
Libero
da ogni ostacolo
non assillato dal cibo
la sua rotta
la liberazione senza tracce.
Come un uccello che si libra nell’aria
senza orme percorre il sentiero.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura della vera libertà e sulla leggerezza dell'essere quando si è liberi da attaccamenti e desideri. Quando siamo liberi da ogni ostacolo, incluso l'attaccamento al piacere del cibo, possiamo raggiungere uno stato di liberazione che non lascia tracce, simile a un uccello che vola nel cielo senza lasciare segni del suo passaggio.

"Libero da ogni ostacolo" implica una mente che ha superato gli impedimenti mentali ed emotivi. Nel buddismo, questi ostacoli sono spesso identificati come attaccamento, avversione, ignoranza, orgoglio e dubbio. Superare questi ostacoli significa liberare la mente dalle catene che ci legano al ciclo della sofferenza (samsara).

"Non assillato dal cibo" implica un atteggiamento di distacco nei confronti del cibo, considerandolo come un sostegno necessario per la materialità del corpo, ma non come una dipendenza. Questo distacco è fondamentale per coltivare una mente libera e non vincolata dai desideri materiali. Questo atteggiamento non significa rifiutare il cibo o trascurare la cura del corpo, ma piuttosto utilizzarlo con saggezza e misura, senza permettere che diventi una preoccupazione dominante.

Il cibo è riconosciuto come necessario per il mantenimento del corpo, ma non deve diventare un'ossessione o una fonte di attaccamento. Il Budda stesso praticava e insegnava la moderazione nel consumo del cibo, enfatizzando l'importanza dell'equilibrio. Mangiare con consapevolezza, senza eccessi e senza indulgere nella golosità, permette di mantenere una mente lucida e disciplinata.

Più in generale, non essere assillati dal cibo significa anche non essere schiavi dei desideri fisici, che spesso possono distrarci dalla pratica spirituale.

"La sua rotta la liberazione senza tracce" suggerisce una via che porta alla liberazione completa, il nirvana. Questa liberazione è descritta come "senza tracce" perché non lascia residui di attaccamenti o desideri. È uno stato di pura libertà e pace interiore.

"Come un uccello che si libra nell’aria senza orme" è una metafora potente. Gli uccelli non lasciano orme nel cielo; il loro volo è leggero e senza peso. Allo stesso modo, un individuo che ha raggiunto la liberazione vive senza lasciare "orme" di karma negativo. Vive in modo tale che le sue azioni non causano ulteriori attaccamenti o sofferenze.

Questa strofa ci ispira a cercare la libertà interiore attraverso il distacco dai desideri materiali e dagli impedimenti mentali. Il cammino verso la liberazione è un percorso di leggerezza, simile al volo di un uccello nel cielo, libero e senza tracce.


94
Come un cavallo ben addestrato dal padrone
è chi abilmente
ha domato i propri sensi;
liberato il cuore
da orgoglio e impurità
desta una gioia che tutto pervade.

Questa strofa paragona una persona che ha domato i propri sensi a un cavallo ben addestrato. Nel buddismo, la metafora del cavallo addestrato rappresenta la mente disciplinata e controllata. Un cavallo indisciplinato può essere pericoloso e incontrollabile, proprio come una mente non addestrata può portare a comportamenti distruttivi e al soffrire.

Per domare i nostri sensi, dobbiamo praticare la consapevolezza (sati) e la disciplina morale (sila). La consapevolezza ci aiuta a essere presenti nel momento, osservando senza giudicare i nostri pensieri e le nostre emozioni. La disciplina morale, invece, ci guida nell'evitare azioni che possano danneggiare noi stessi e gli altri, promuovendo uno stile di vita etico e armonioso.

Liberare il cuore da orgoglio e impurità è un passo essenziale verso l'illuminazione (bodhi). L'orgoglio spesso ci rende ciechi alle nostre debolezze e difetti, mentre le impurità come la rabbia, l'avidità e l'illusione ci tengono intrappolati nel ciclo del samsara, il ciclo di nascita, morte e rinascita. Attraverso la pratica della meditazione (bhavana) e il seguire il Nobile Ottuplice Sentiero, possiamo purificare la nostra mente e il nostro cuore, permettendo alla vera gioia e alla pace interiore di emergere.

In questa strofa, il Budda ci insegna che la gioia autentica e pervasiva viene dalla padronanza di se stessi. Quando riusciamo a domare i nostri sensi e purificare il nostro cuore, non siamo più schiavi dei desideri e delle avversioni, e possiamo vivere in uno stato di equanimità e serenità, irraggiando gioia e compassione verso tutti gli esseri viventi.


95
Pazienti come la terra
non turbati da rabbia
saldi come pilastri
pacati come un limpido e quieto stagno
sono gli esseri che scoprono come non cadere
nelle reazioni nate dalla confusione.

Questa strofa ci invita a sviluppare una profonda stabilità e calma interiore, simili a quelle della terra, che accoglie tutto senza mai alterarsi. La pazienza è una virtù fondamentale nel buddismo, poiché ci permette di affrontare le sfide della vita con equilibrio e serenità. Essere "pazienti come la terra" significa accettare le difficoltà e le sofferenze senza lasciarsi travolgere dalla rabbia o dal risentimento.

La metafora dei pilastri suggerisce la necessità di avere una base solida e incrollabile. Questa stabilità si raggiunge attraverso la pratica costante della meditazione e dell'auto-disciplina, che rafforzano la nostra capacità di rimanere saldi di fronte alle avversità. Quando siamo saldi come pilastri, non ci lasciamo scuotere dalle tempeste emotive o dalle pressioni esterne.

Infine, essere "pacati come un limpido e quieto stagno" rappresenta uno stato di calma in cui la mente è libera da turbolenze e distrazioni. In questo stato, siamo in grado di vedere le cose chiaramente e di rispondere alle situazioni con saggezza piuttosto che con reazioni impulsive. Questo livello di tranquillità ci permette di non cadere nelle "reazioni nate dalla confusione", ovvero nelle risposte automatiche dettate dall'ignoranza, dalle emozioni negative, dalla mancanza di consapevolezza.

Il Budda ci insegna che la pratica della pazienza, della stabilità e della calma è essenziale per liberarci dalle sofferenze e raggiungere la vera saggezza. Coltivando queste qualità, possiamo vivere in armonia con noi stessi e con il mondo circostante, trovando una pace duratura anche nelle circostanze più difficili.


96
Chi attraverso la retta comprensione
arriva allo stato
di perfetta libertà
è sereno nel corpo
nella parola, nella mente.
Gli alti e bassi della vita
non lo scuotono.

Questa strofa sottolinea l'importanza della retta comprensione come via per raggiungere la libertà perfetta e la serenità. La "retta comprensione" (sammā-diṭṭhi) è il primo elemento del Nobile Ottuplice Sentiero, che rappresenta la via indicata dal Budda per superare la sofferenza. Questa comprensione implica la visione corretta della realtà, riconoscendo le Quattro Nobili Verità: la verità della sofferenza, la sua origine, la sua cessazione e la via che conduce alla sua cessazione.

Raggiungere la "perfetta libertà" significa liberarsi dalle catene dell'ignoranza, dell'avidità e dell'odio. Questa liberazione porta a una pace interiore stabile e duratura che si manifesta nel corpo, nella parola e nella mente. Quando siamo sereni nel corpo, non siamo turbati dalle malattie o dal dolore fisico. Quando siamo sereni nella parola, non siamo coinvolti in discorsi inutili o dannosi. Quando siamo sereni nella mente, non siamo preda di pensieri negativi o confusi. Ciò si accosta bene a questa frase tratta dal cap.15 del Sutra del Loto (Saddharmapuṇḍarīkasūtra):

Il Tathagata sta bene, ha poche malattie e poche preoccupazioni

Il termine "Tathagata" è uno degli epiteti usati per riferirsi al Budda. Le "poche malattie" non significano che il Budda sia immune alle malattie fisiche, ma piuttosto che la sua mente accetta serenamente i dolori fisici e le malattie senza turbarsi. La serenità mentale contribuisce a uno stato di salute generale.

Le "poche preoccupazioni" del Budda derivano dalla sua completa liberazione dall'ignoranza, dall'avidità e dall'odio. Avendo raggiunto l'illuminazione, il Budda ha trasceso le preoccupazioni mondane che affliggono gli esseri ordinari. Le sue preoccupazioni sono poche e riguardano principalmente il benessere degli altri esseri senzienti e la diffusione del Dharma per alleviare la sofferenza nel mondo.

La strofa del Dhammapada conclude con una riflessione sull'equanimità di fronte agli alti e bassi della vita. Gli eventi esterni, siano essi positivi o negativi, non scuotono chi ha raggiunto la retta comprensione. Questo stato di serenità imperturbabile è il risultato della pratica costante e della profonda comprensione della natura impermanente e insoddisfacente delle cose condizionate. Questo ci permette di vivere con una mente libera e aperta, capaci di accettare ogni situazione con equilibrio e saggezza.

Attraverso la pratica della retta comprensione, possiamo imparare a osservare i nostri pensieri e le nostre emozioni senza identificarci con essi, sviluppando così una maggiore consapevolezza e compassione verso noi stessi e gli altri. Questo è il cuore dell'insegnamento del Budda, che ci guida verso una vita di pace, gioia e liberazione.


97
Chi conosce ciò che non è nato
chi è libero e placato
chi ha abbandonato il desiderio
è il più nobile degli esseri.

Questa strofa sottolinea l’importanza della conoscenza della verità ultima e della libertà dai desideri terreni.

La frase "chi conosce ciò che non è nato" si riferisce alla comprensione profonda del concetto di "non nato" o "non creato", che fa riferimento alla Via di Mezzo. Nel libro "L'Insegnamento del Buddha" (Bukkyo Dendo Kyokai, Tokyo), nella sezione dedicata alla "Via di Mezzo", a pag. 60, leggiamo:

Il concetto dell'unità universale, ovvero dell'assenza di segni distintivi delle cose, nella loro natura essenziale, è ciò che si definisce "śūnyatā": la non sostanza, il non nato, l'assenza di una natura propria, la non dualità. In una parola: il "vuoto". E' proprio perché le cose, in sé, non hanno né forma né caratteristiche, che si può affermare che non nascono e non vengono distrutte. Nulla, nella natura essenziale delle cose, è descrivibile in termini di discriminazione: ecco perché diciamo che non esiste sostanza nelle cose.

"Non nato" può riferirsi anche a una dimensione dell'esistenza che non è soggetta alle leggi della nascita e della morte, del tempo e dello spazio. È una realtà eterna, immutabile, che esiste al di là del ciclo del samsara (la ruota delle nascite e delle morti) e delle limitazioni del mondo fenomenico. Possiamo trarre uno spunto di riflessione da questo testo che, all'interno di una discussione sulle origini storicamente fondate della preghiera cristiana Padre Nostro, elenca alcune caratteristiche necessarie di quell'Uno che ha creato la realtà in cui siamo immersi. Tra queste, c'è quella di essere "non nato":

[...] Da un punto di vista strettamente logico, se ammettiamo che esiste un unico Dio creatore di tutto a cui il “Padre nostro” si rivolge, è evidente che, se ha realmente creato tutto, questo Dio ha alcune caratteristiche, tra cui:

  • è “non nato”, cioè viene prima di ogni altra cosa, è sempre esistito e sempre esisterà;
  • è “oltre il tempo e oltre lo spazio”, in quanto il tempo e lo spazio sono sue creazioni;
  • è “oltre il maschile e oltre il femminile”, in quanto tutte le dualità esistenti sono sue creazioni;
  • è “oltre le parole”, sia nel senso che le parole non possono descriverlo, e neanche nominarlo, sia nel senso che Dio ha creato le parole e, con esse, la realtà.

[...]

Ma Amon è anche “non nato”, perché viene prima del tempo e dello spazio che sono sue creazioni

[...]

Noi siamo parte di Amon, ovvero parte della Coscienza universale originaria, ovvero parte di Dio, nel senso precedentemente chiarito. Anzi, siamo la stessa cosa. Ovvero, ciascuno di noi è Amon, è Coscienza, è Dio.

[...]

(tratto da: "Padre nostro, che sei nei cieli... sei maschio o femmina?")

Per quanto riguarda invece il contesto indiano antico, i testi delle Upanishad parlano di un principio unico e assoluto chiamato Brahman, che è la fonte e la sostanza di tutto l'universo. Secondo la Chandogya Upanishad, Brahman è l'unica realtà che esiste e da cui tutto è emerso:

[...]
Ciò che contiene tutte le opere, tutti i desideri, tutti gli odori, tutti i gusti, ciò che abbraccia tutto questo mondo, silenzioso, in stato di quiete, tutto ciò è questo mio Sé, situato nel cuore. Esso è il Brahman. In Esso entrerò lasciando questo mondo.
[...]

tratto da: Chandogya Upanishad 3.14

In questo senso, Brahman è "non nato", perché viene prima di ogni altra creazione, compresi il tempo e lo spazio.

Tornando al Dhammapada, "Chi è libero e placato" descrive un essere che ha raggiunto uno stato di pace interiore e tranquillità. Questo stato di calma è il risultato della pratica meditativa e della coltivazione della saggezza, che aiutano a eliminare le cause della sofferenza, come l’ignoranza, l’avidità e l’odio. La libertà qui menzionata è la libertà dai tre veleni (lobha, dosa, moha) che oscurano la mente e impediscono la visione chiara.

Infine, "chi ha abbandonato il desiderio" riguarda il lasciar andare tutti i tipi di desideri e attaccamenti. Nel buddismo, il desiderio è visto come la radice della sofferenza. Abbandonare il desiderio non significa rinunciare a tutte le aspirazioni, ma piuttosto liberarsi dagli attaccamenti che causano sofferenza e impediscono la realizzazione della verità.

Questa strofa ci guida verso la comprensione che la vera nobiltà non deriva da nascita, status sociale o potere, ma dalla saggezza, dalla libertà interiore e dalla capacità di vivere senza attaccamenti. È un invito a coltivare queste qualità attraverso la pratica della meditazione, l’osservanza degli insegnamenti del Budda e la ricerca costante della verità.


98
Nella foresta, in città
o in aperta campagna
regna la gioia nella dimora
di chi è pienamente libero.

Questa strofa ci invita a riflettere sul concetto di libertà interiore. Secondo gli insegnamenti del Budda, la vera gioia non dipende dal luogo in cui ci troviamo, ma dallo stato della nostra mente. Quando siamo "pienamente liberi", la gioia ci accompagna ovunque andiamo, sia nella foresta, in città, o in aperta campagna.

La libertà di cui parla il Budda è una libertà dai desideri, dalle illusioni e dalle sofferenze. Raggiungere questo stato significa aver superato gli attaccamenti materiali e le emozioni negative come l'odio, l'invidia e la rabbia. In altre parole, significa aver raggiunto una pace interiore che non può essere turbata dalle circostanze esterne.

Per noi, questo insegnamento è un invito a ripulire la nostra mente e il nostro cuore. Possiamo iniziare con la pratica della consapevolezza e della meditazione, strumenti fondamentali nel buddismo per sviluppare una visione chiara e distaccata della realtà. Attraverso queste pratiche, possiamo imparare a riconoscere e lasciar andare i nostri attaccamenti e le nostre illusioni, avvicinandoci sempre di più a quello stato di "piena libertà" descritto dal Budda.

Inoltre, questa strofa ci ricorda che la gioia e la serenità sono già dentro di noi. Non dobbiamo cercarle all'esterno, ma scoprirle coltivando le qualità interiori di saggezza, compassione e non attaccamento. In questo modo, ogni luogo in cui ci troviamo può diventare una "dimora di gioia".

L'insegnamento della libertà interiore del Budda è universale e senza tempo, e ci guida verso una vita di pace e soddisfazione duratura, indipendentemente dalle circostanze esterne.


99
Gli esseri liberi dall’ebbrezza
del piacere dei sensi
conoscono una gioia unica al mondo.
Cercano nei boschi la quiete
che il mondo rifugge.

Questa strofa sottolinea un concetto fondamentale del buddismo: la rinuncia ai piaceri sensoriali come via per raggiungere una gioia autentica e duratura. Nel nostro cammino spirituale, spesso siamo tentati dalle gratificazioni immediate offerte dai sensi. Questi piaceri, sebbene possano sembrare appaganti, sono transitori e spesso conducono a un ciclo di desiderio e insoddisfazione.

Le persone descritte nella strofa sono quelle che hanno superato l'attaccamento ai piaceri sensoriali. Questo non significa che rinunciano completamente al piacere dei sensi, ma che non ne sono dominati. Invece di cercare la felicità nei piaceri esterni, trovano una gioia più profonda e duratura dentro di sé.

La ricerca della quiete nei boschi rappresenta la ricerca di uno stato mentale di pace e tranquillità. I boschi, simbolo di isolamento dal tumulto del mondo, offrono un ambiente dove è più facile praticare la meditazione e la consapevolezza. Il mondo, con le sue distrazioni e rumori, spesso rifugge questa quiete, preferendo l'agitazione e la frenesia.

Noi, seguendo questo insegnamento, possiamo imparare a riconoscere la natura effimera dei piaceri sensoriali e cercare la vera gioia attraverso la disciplina, la meditazione e il distacco. In questo modo, possiamo trovare quella pace interiore che è unica e duratura, diversa da qualsiasi altra forma di felicità che il mondo materiale possa offrire.


MIGLIAIA

100
Una sola parola vera
che acquieta la mente
è meglio di mille
futili parole.

Questa strofa sottolinea l'importanza della verità e della calma mentale, concetti centrali nel buddismo. Secondo l'insegnamento del Budda, la ricerca della verità interiore e della saggezza è fondamentale per raggiungere l'illuminazione. Le "parole futili" rappresentano tutte quelle distrazioni e superficialità che spesso riempiono le nostre vite, ma che non contribuiscono alla nostra crescita spirituale.

Quando diciamo che "una sola parola vera" è meglio di mille futili parole, stiamo riconoscendo che la qualità delle nostre parole ha un impatto molto maggiore della quantità. Le parole vere, che derivano da una profonda comprensione e consapevolezza, hanno il potere di calmare la mente e portare pace interiore. In contrasto, le parole vuote e senza significato possono creare confusione e agitazione.

Questo insegnamento ci invita a riflettere sulla nostra comunicazione quotidiana. Siamo incoraggiati a parlare con sincerità e consapevolezza, evitando il pettegolezzo e le parole inutili, soprattutto le parole non compassionevoli, non gentili o non veritiere. In questo modo, possiamo sviluppare una mente più serena e una vita più armoniosa, contribuendo al nostro percorso verso la liberazione.

La mia religione è molto semplice, la mia religione è la gentilezza
(Dalai Lama)

La mia religione si basa sulla verità e sulla non violenza. La verità è il mio Dio. La non violenza è il mezzo per realizzarlo
(Mahatma Gandhi)

Prendiamoci il tempo per riflettere prima di parlare, chiedendoci se ciò che stiamo per dire è utile, vero e gentile. In questo modo, possiamo contribuire a creare un ambiente di pace e comprensione intorno a noi.

Questo principio è anche legato al Nobile Ottuplice Sentiero, una delle fondamenta del buddismo, che include la retta parola. Parlare in modo retto significa astenersi dalla menzogna, dal discorso divisivo, dalle parole offensive e dal pettegolezzo, promuovendo invece il discorso che è veritiero, unificante, gentile e significativo.


101
Un solo verso autentico
che calma la mente
è meglio di mille
inconsistenti poesie.

Quando il Budda parla di "un solo verso autentico", si riferisce a un'espressione di verità che ha il potere di portare pace e chiarezza alla mente. Questo tipo di verso è radicato nella saggezza e nella comprensione profonda della natura delle cose. La mente, calma e concentrata, è capace di percepire la realtà senza essere offuscata dalle distrazioni e dalle illusioni.

In contrasto, "mille inconsistenti poesie" rappresentano parole che, pur essendo numerose e forse esteticamente piacevoli, mancano di sostanza e non contribuiscono al nostro progresso spirituale. Queste parole possono distrarre e confondere, piuttosto che illuminare e guidare.

Riflettendo su questa strofa, possiamo imparare l'importanza di cercare la verità nelle nostre pratiche quotidiane. Le parole e le azioni che derivano da una mente calma e consapevole sono di gran lunga più preziose e benefiche rispetto a quelle che scaturiscono da un'intenzione superficiale o egoistica. Seguendo questo insegnamento, possiamo migliorare la nostra comunicazione e rendere ogni parola un'opportunità per diffondere pace e saggezza​.


102
Recitare un unico verso di verità
che tranquillizza la mente
è meglio che recitare
centinaia di versi insignificanti.

Un "verso di verità" rappresenta la saggezza autentica, che deriva dalla comprensione profonda della realtà. La verità nel buddismo è spesso associata alle Quattro Nobili Verità e al Nobile Ottuplice Sentiero, insegnamenti fondamentali che guidano verso la fine della sofferenza. Recitare o meditare su un singolo verso che ci riporta a queste verità può avere un impatto trasformativo sulla nostra mente, calmando i turbamenti e favorendo la pace interiore.

Invece, recitare "centinaia di versi insignificanti" può essere visto come un'azione superficiale che non penetra la nostra coscienza profonda. Questi versi possono rappresentare pensieri o parole che non hanno la capacità di trasformare il nostro stato mentale in modo positivo. Nel buddismo, è enfatizzato il principio del retto sforzo (Samma Vayama), che implica l’impegno a coltivare ciò che è benefico e a lasciar andare ciò che è dannoso.

Questa strofa ci insegna a cercare la qualità e la sostanza in ciò che facciamo. Ci invita a focalizzarci su pratiche che portano reale beneficio alla nostra mente e al nostro cuore, piuttosto che disperdere energie in attività che non contribuiscono al nostro percorso spirituale.


103
C’è chi da solo sa sconfiggere
centinaia e centinaia di avversari;
ma il più sublime degli eroi
è colui che sa
vincere se stesso.

La vera vittoria non è quella sugli altri, ma su se stessi. Nel contesto del buddismo, vincere se stessi significa superare i propri desideri, le proprie illusioni e le proprie inclinazioni negative.

Il Budda insegna che le battaglie esterne, per quanto eroiche possano sembrare, sono insignificanti rispetto alla battaglia interna che ogni individuo deve combattere contro le proprie impurità mentali. Queste impurità includono l'avidità, l'odio e l'ignoranza, noti come i tre veleni (tivisa). Solo superando queste tendenze interiori possiamo raggiungere la vera pace e la liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara).

Ero intelligente e volevo cambiare il mondo. Ora sono saggio e voglio cambiare me stesso.
(Dalai Lama)

In questa luce, il "sublime degli eroi" non è un guerriero che trionfa su nemici esterni, ma una persona che ha dominato la propria mente.

Se vogliamo costruire la pace nel mondo, costruiamola in primo luogo dentro ciascuno di noi.
(Dalai Lama)

Quando riflettiamo su questa strofa, siamo invitati a considerare le nostre lotte quotidiane. La vera forza non risiede nella capacità di prevalere sugli altri, ma nella capacità di coltivare la pazienza, la saggezza e la compassione dentro di noi. Vincere se stessi significa sviluppare una mente calma e disciplinata, capace di affrontare le sfide della vita con equanimità (tatramajjhattatā).


104-105
La vittoria su se stessi è la suprema vittoria,
ha molto più valore
che soggiogare gli altri.
Questa vittoria
nessuno la può contraffare
né carpire.

Nel buddismo, l'espressione "vittoria su se stessi" si riferisce alla capacità di controllare la propria mente e le proprie azioni. Significa superare i nostri desideri egoistici, le paure e l'ignoranza che offuscano la nostra visione della realtà. Questo è un passo essenziale verso l'illuminazione, uno stato di completa consapevolezza e libertà interiore.

Il Budda insegna che tutte le sofferenze umane nascono dal desiderio e dall'attaccamento. Superando questi, possiamo raggiungere uno stato di serenità e pace interiore che non può essere minacciato da fattori esterni. Nessuno può contraffare o sottrarre questa vittoria perché è un trionfo interiore, una trasformazione profonda che avviene dentro di noi.

Inoltre, questa vittoria è duratura. A differenza dei trionfi materiali o esterni, che sono temporanei e possono essere facilmente perduti, il dominio su se stessi è stabile e permanente. Questo concetto sottolinea l'importanza della pratica personale e della disciplina nella via del buddismo. Il percorso verso l'illuminazione richiede sforzo costante, meditazione e autocontrollo.


106
Onorare
per un solo momento
chi ha conquistato se stesso
è più meritevole
che migliaia di offerte
a chi ne è indegno.

Questa strofa ci invita a riflettere sul valore dell'onore e del rispetto verso coloro che hanno raggiunto la padronanza di sé. Il Budda insegna che riconoscere e onorare una persona che ha realizzato il controllo sui propri desideri e passioni ha un valore immensamente maggiore rispetto a fare offerte a chi non possiede tale qualità.

La padronanza di sé è considerata una delle conquiste più alte nel buddismo. Significa avere il controllo sui propri pensieri, emozioni e azioni, non essere più schiavi dei desideri e delle avversioni. Quando onoriamo qualcuno che ha raggiunto questa padronanza, riconosciamo l'importanza di questo traguardo e ci ispiriamo a perseguire la stessa via.

Fare "migliaia di offerte" a chi è indegno, invece, è visto come un'azione priva di vero merito spirituale. Questo perché le offerte fatte a chi non vive in armonia con i principi del Dharma non producono i frutti spirituali che invece derivano dal riconoscimento e dal rispetto verso i veri praticanti.

Siamo incoraggiati a discernere chi merita il nostro rispetto e a comprendere che il vero valore spirituale risiede nella saggezza e nella padronanza di sé, non nelle mere cerimonie o nelle offerte materiali.


107
Onorare
per un solo momento
chi ha conquistato se stesso
giova di più
che celebrare mille cerimonie
senza saggia comprensione.

Questa strofa continua l'insegnamento della precedente, enfatizzando l'importanza di onorare chi ha raggiunto l'autocontrollo e la saggezza. Il Budda sottolinea che persino un breve momento di rispetto verso un individuo che ha conquistato se stesso ha un valore superiore rispetto a mille cerimonie compiute senza comprensione.

Nel buddismo, le cerimonie e i rituali sono pratiche comuni che possono aiutare i praticanti a concentrarsi e a sviluppare la propria spiritualità. Tuttavia, il Budda ci ricorda che senza una comprensione saggia e profonda del Dharma, queste cerimonie perdono il loro vero valore spirituale. Il gruppo della saggezza (paññakkhandha), composto da retta visione e retta intenzione, è uno dei tre gruppi del Nobile Ottuplice Sentiero, che porta all'illuminazione.

Quindi, mentre i rituali possono essere parte del nostro percorso spirituale, essi non devono sostituire la vera comprensione e il rispetto per chi ha raggiunto l'autocontrollo. Questi individui incarnano gli insegnamenti del Budda e offrono un esempio vivente di ciò che possiamo aspirare a diventare. Riconoscere e onorare tali persone ci aiuta a mantenere la giusta direzione nel nostro cammino spirituale.


108
I gesti di offerta
di un intero anno
per guadagnar meriti a se stessi
non valgono un quarto
del rispetto devoto
verso un essere nobile.

Questa strofa ci offre una riflessione sull'importanza dell'intenzione e della qualità degli atti di devozione. I gesti di offerta, per quanto possano essere numerosi e costanti, se compiuti con l'intenzione di guadagnare meriti per se stessi, non hanno lo stesso valore di un singolo atto di rispetto genuino e devoto verso un essere nobile.

Un essere nobile, nel contesto buddista, è spesso riferito a qualcuno che ha raggiunto un elevato stato di realizzazione spirituale, come un Budda o un arhat (colui che ha superato tutte le afflizioni - kleshas - e non è più vincolato dalla brama - tanha). La strofa enfatizza che il rispetto devoto verso tali esseri non è semplicemente una questione di azione esteriore, ma piuttosto di riconoscimento e venerazione della loro purezza e saggezza interiore.

Questo insegnamento ci invita a riflettere sulla qualità della nostra pratica spirituale. Non è tanto il numero di rituali o offerte che conta, ma l'autenticità del nostro rispetto e la sincerità della nostra devozione. Quando rendiamo omaggio con un cuore puro, riconoscendo le qualità nobili e l'ispirazione che derivano dagli esseri realizzati, generiamo un merito molto più grande rispetto a qualsiasi offerta fatta con motivazioni egoistiche.

Inoltre, questa strofa ci ricorda l'importanza della consapevolezza e della rettitudine nelle nostre azioni. Le azioni compiute con l'intenzione di ottenere qualcosa in cambio non sono allineate con il vero spirito del Dharma, che ci insegna a sviluppare qualità interiori come la compassione, la saggezza e l'altruismo.


109
Chi onora e rispetta
i più anziani
riceve quattro doni del cielo:
lunga vita, bellezza, felicità e forza.

Questa strofa ci insegna l'importanza di onorare e rispettare gli anziani. Nel contesto del buddismo, questo non riguarda solo gli anziani in senso di età, ma anche quelli che sono spiritualmente avanzati e saggi. Mostrare rispetto verso queste persone è visto come un atto di grande virtù.

Rispettare gli anziani ci connette con la saggezza accumulata dalle generazioni precedenti, aiutandoci a comprendere meglio la vita e i suoi insegnamenti. Nel fare ciò, riceviamo quattro doni: lunga vita, bellezza, felicità e forza. Questi doni non sono solo fisici, ma anche spirituali.

Lunga vita può essere interpretata come una vita piena di significato e serenità. Bellezza può riferirsi alla bellezza interiore, che si manifesta attraverso un cuore puro e una mente serena. La felicità è quella che nasce dalla consapevolezza e dalla pace interiore, mentre la forza è la capacità di affrontare le sfide della vita con saggezza e compassione.

Il rispetto per gli anziani ci insegna anche l'umiltà e la gratitudine. Ci ricorda che siamo parte di una comunità più grande e che il nostro benessere è intrecciato con quello degli altri. Praticare questa virtù ci avvicina alla via indicata dal Budda, promuovendo una vita di armonia e crescita spirituale.


110
Un solo giorno vissuto
con chiara intenzione e onestà
ha più valore di cento anni
privi di disciplina
e di saggia rinuncia.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla qualità della nostra vita piuttosto che sulla sua durata. Vivere "con chiara intenzione e onestà" significa essere pienamente consapevoli delle nostre azioni e pensieri, mantenendo una visione chiara e pura delle nostre motivazioni reali e del nostro comportamento.

Disciplinare la nostra mente e i nostri desideri è essenziale per raggiungere la liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara). La "saggia rinuncia" non si riferisce solo alla sobrietà nei beni materiali (cfr. "La sobrietà come fattore di cambiamento"), ma anche al lasciar andare attaccamenti, avversioni e ignoranza. Questi sono i tre veleni che il Budda ha identificato come cause principali della sofferenza umana.

Nel buddismo, vivere con disciplina implica seguire il Nobile Ottuplice Sentiero, che include rette visione, intenzione, parola, azione, mezzi di sussistenza, sforzo, consapevolezza e concentrazione. Questi elementi sono fondamentali per sviluppare una vita etica e spiritualmente appagante.

Infine, questa strofa ci ricorda che una vita vissuta con onestà e saggezza, anche se breve, ha un impatto molto più profondo e significativo rispetto a una lunga vita vissuta senza direzione né consapevolezza. È un invito a valutare continuamente il nostro cammino e a vivere ogni giorno con presenza mentale e integrità.


111
Un solo giorno vissuto
con chiara intenzione e saggezza
ha più valore di cento anni
privi di disciplina
e di manifesta saggezza.

Anche questa strofa, seguendo l'insegnamento della precedente, ci spinge a considerare la profondità e il significato della nostra esistenza piuttosto che la sua durata. La disciplina nella nostra vita quotidiana è cruciale per avanzare lungo il cammino del Dharma, coltivando la saggezza e mantenendo una vita virtuosa. Senza disciplina, le nostre menti e azioni possono facilmente deviare verso comportamenti non salutari, allontanandoci dalla serenità e dalla liberazione.

In questo caso, se ci riferiamo al Canone Pali, la disciplina (Vinaya) può far riferimento all'insieme di regole della vita monastica (Patimokkha). Le regole del Vinaya aiutano a mantenere l'ordine e l'armonia all'interno della comunità monastica. Inoltre, la disciplina monastica crea un ambiente che favorisce la pratica spirituale. Riducendo le distrazioni e le tentazioni, i monaci possono concentrarsi meglio sulla meditazione, lo studio e il raggiungimento della liberazione.

Le regole del Vinaya aiutano anche a mantenere una buona reputazione per la comunità monastica agli occhi dei laici. Comportamenti etici e disciplinati generano rispetto e sostegno da parte della società. Le regole sono una guida etica e morale, incoraggiando comportamenti virtuosi e scoraggiando quelli dannosi. Questo non è solo per il bene individuale del monaco, ma anche per il benessere della comunità e della società in generale.

Vivendo con disciplina e saggezza, seguiamo un percorso che non solo ci porta benefici personali, ma contribuisce anche a un mondo più armonioso. Anche un solo giorno vissuto con tali qualità può avere un impatto straordinario, molto più significativo di una lunga vita priva di direzione e consapevolezza.


112
Un solo giorno vissuto
con chiara intenzione
e profondo impegno
ha più valore di cento anni
vissuti in pigra passività.

Anche questa strofa sottolinea l'importanza della qualità della nostra esistenza rispetto alla sua durata. Vivere anche un solo giorno "con chiara intenzione e profondo impegno" è immensamente più prezioso di vivere cento anni in modo pigro e passivo.

La chiara (retta) intenzione (samma sankappa) è uno degli elementi del Nobile Ottuplice Sentiero, il percorso indicato dal Budda per raggiungere l'illuminazione. Vivere con chiara intenzione significa essere consapevoli delle nostre motivazioni e scelte, dirigendo la nostra energia verso azioni che generano benessere e liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara).

Il "profondo impegno" si manifesta attraverso un atteggiamento costantemente vigile e dedito alla crescita personale e spirituale. Questo impegno richiede disciplina, determinazione e un costante sforzo per migliorarsi, sia attraverso la pratica della meditazione che attraverso l'adozione di comportamenti virtuosi nella vita quotidiana. Significa anche affrontare le difficoltà con coraggio e pazienza, senza lasciarsi scoraggiare dalle sfide.

Al contrario, la "pigra passività" è caratterizzata dall'inerzia e dall'assenza di motivazione. In questo stato, tendiamo a evitare le responsabilità e a cercare solo il comfort e il piacere immediato. La mancanza di obiettivi chiari e di sforzo ci porta a sprecare il nostro potenziale e a vivere una vita priva di profondità e significato.

La passività ci rende spettatori della nostra esistenza, mentre il profondo impegno ci rende protagonisti, attivamente coinvolti nel nostro percorso di evoluzione. Così, ogni azione consapevole e impegnata diventa un passo verso la liberazione e la realizzazione del nostro vero potenziale.

Questo insegnamento ci guida a valorizzare la qualità delle nostre esperienze e a impegnarci attivamente nella nostra trasformazione interiore. Ogni momento vissuto con intenzione e impegno diventa un'opportunità per coltivare la saggezza (panna) e la compassione (karuna), avvicinandoci sempre più alla liberazione e alla vera felicità.


113
Un solo giorno vissuto consapevoli
della natura fugace della vita
ha più valore di cento anni
inconsapevoli di nascita e morte.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla transitorietà della vita e sull'importanza della consapevolezza. Vivere consapevoli della natura fugace dell'esistenza significa riconoscere che tutto ciò che ci circonda è impermanente. Questa comprensione ci aiuta a dare valore a ogni momento, vivendo con maggiore presenza e intenzione.

Nel buddismo, il concetto di impermanenza (anicca) è fondamentale. Tutte le cose, inclusi noi stessi, sono in costante cambiamento. Quando siamo consapevoli di questo, possiamo abbandonare l'attaccamento e l'illusione di permanenza che spesso ci porta a soffrire. La consapevolezza della nascita e della morte non è solo un riconoscimento del ciclo vitale, ma anche un invito a dare significato a ogni istante.

La consapevolezza che le nostre vite si trovano in un "equilibrio delicato e molto precario" ci aiuta a non rimandare ciò che è importante, a dare priorità a ciò che conta veramente, e ad apprezzare ciò che abbiamo qui e ora. Quando viviamo consapevoli della nostra mortalità, siamo meno propensi a rimpiangere il passato o a preoccuparci eccessivamente del futuro. Riconoscendo la fugacità della vita, sviluppiamo una maggiore gratitudine per ogni esperienza, sia essa positiva o negativa, poiché ogni momento è unico e irripetibile.

Il Dhammapada ci ricorda che la qualità della nostra vita dipende dalla nostra capacità di essere consapevoli. La consapevolezza ci permette di vedere la verità della nostra esistenza e ci guida verso una vita più autentica e significativa. Vivere consapevoli della natura fugace della vita ci libera dalla paura della morte e ci incoraggia a vivere ogni giorno con gratitudine e saggezza.


114
Un solo giorno vissuto svegli
a ciò che non muore
ha più valore di cento anni
restando ignari del senza-morte.

Kisa Gotami era una giovane madre che, purtroppo, perse il suo unico figlio molto piccolo. Distrutta dal dolore, portava il corpo del bambino da persona a persona, cercando qualcuno che potesse riportarlo in vita. Il suo dolore fu così grande che molti pensarono che fosse impazzita. Alla fine, un signore anziano la indirizzò dal Budda, dicendole che solo lui avrebbe potuto aiutarla.

Quando Kisa Gotami raggiunse il Budda, egli la ascoltò con grande compassione e le propose una soluzione: le disse che poteva riportare in vita suo figlio se avesse trovato un singolo granello di senape da una casa in cui non fosse mai morto nessuno. Speranzosa, Kisa Gotami iniziò la sua ricerca, ma presto si rese conto che in ogni casa c'era stata una perdita, un lutto, una morte.

Questa esperienza fece comprendere a Kisa Gotami che la morte è una parte inevitabile della vita e che nessuno è esente dalla sofferenza della perdita. Tornò dal Budda, che le insegnò la verità dell'impermanenza e la via per superare la sofferenza. Si risvegliò ed entrò nel primo stadio dell'illuminazione. Alla fine divenne un arhat.

Nel "Gotami Sutta", Kisa Gotami rispose a Mara, il demone tentatore che personifica le forze del desiderio, dell'illusione e della morte, ostacolando il cammino verso l'illuminazione. Ecco un estratto (cfr. testo completo):

Poi, avendo capito che “Questo è Mara il Maligno”, rispose a lui in versi:

Io ho trovato in passato
l’uccisione di figli,
ho finito
[la mia ricerca per] gli uomini.
Io non mi addoloro,
Io non piango –
e non ho paura di te,
mio amico.
È distrutta dappertutto – la delizia.
La massa dell’oscurità è fracassata.
Avendo sconfitto l’esercito della morte,
libera
dalle fermentazioni mentali
io dimoro.

Quindi Mara il Maligno – triste e abbattuto, constatando: ”Kisa Gotami la monaca mi conosce” – scomparve.

Il "senza-morte" di cui parla questa strofa del Dhammapada non si riferisce a una condizione fisica di immortalità, ma a uno stato di illuminazione e liberazione dal ciclo di nascita e morte (samsara). Questo stato si raggiunge attraverso la comprensione profonda della natura impermanente di tutte le cose e il distacco dagli attaccamenti mondani.

Vivere "svegli a ciò che non muore" significa vivere con la comprensione profonda della verità dell'impermanenza e della non-sostanzialità del sé (anatta), avvicinandosi così al nirvana.

Il Budda insegnò che la sofferenza (dukkha) deriva dal nostro attaccamento e desiderio per ciò che è impermanente. Realizzare "ciò che non muore" significa vedere oltre le illusioni della realtà fisica e riconoscere la verità ultima: tutto ciò che nasce è destinato a morire, ma esiste una dimensione della mente che può trascendere questa ciclicità.


115
Un solo giorno vissuto nella consapevolezza
della verità profonda
ha più valore di cento anni
vissuti da inconsapevoli.

Nel buddismo, la consapevolezza (sati) è fondamentale per il cammino verso l'illuminazione. Essa ci permette di vedere la realtà per quello che è, senza essere offuscati dalle illusioni o dai desideri. Vivere nella consapevolezza della verità profonda significa essere presenti nel momento, comprendere la natura impermanente di tutte le cose e riconoscere le Quattro Nobili Verità insegnate dal Budda: la verità della sofferenza (dukkha), la causa della sofferenza, la fine della sofferenza, e il sentiero che conduce alla fine della sofferenza.

Trascorrere un solo giorno con questa consapevolezza significa vivere in modo pieno e autentico, libero dalle illusioni e dalle distrazioni che spesso dominano la nostra vita quotidiana. Questo ci porta a sviluppare una visione chiara e profonda della realtà, permettendoci di agire con saggezza e compassione.

D'altra parte, vivere cento anni da inconsapevoli equivale a essere intrappolati in un ciclo di ignoranza e sofferenza. Senza la consapevolezza, siamo facilmente influenzati dalle emozioni negative e dai desideri, e perdiamo di vista ciò che è veramente importante. La vita, se vissuta in modo superficiale e distratto, perde di significato e valore.

Ogni giorno vissuto con consapevolezza è un passo verso la liberazione e l'illuminazione, e ci permette di sperimentare la vera pace e felicità​.


IL MALE

116
Non tardare a fare ciò che è salutare.
Dissuadi la mente dal fare il male.
La mente che esita a fare il bene
potrebbe provar piacere a fare il male.

Questa strofa ci esorta a non rimandare le azioni "salutari", ossia quelle che portano benefici a noi stessi e agli altri. Il termine "salutare" si riferisce a ciò che è eticamente e spiritualmente positivo. L'importanza di agire prontamente per il bene è enfatizzata dal rischio che, esitando, la nostra mente possa inclinarsi verso azioni malvagie. Questo ci ricorda che il bene e il male nascono dalle nostre intenzioni e decisioni quotidiane.

Nel buddismo, la mente è considerata la fonte di tutte le azioni. Il Budda insegna che dobbiamo allenare la nostra mente per evitare che si indirizzi verso pensieri e azioni dannose. Quando siamo consapevoli dei nostri pensieri, possiamo intervenire prima che si trasformino in azioni negative.

Il concetto di "esitare a fare il bene" è particolarmente rilevante. Spesso, la procrastinazione e l'inerzia ci impediscono di compiere azioni virtuose. Questo potrebbe essere dovuto alla paura, al dubbio o alla semplice pigrizia. Nel momento in cui non agiamo per il bene, lasciamo spazio alla mente per indulgere in comportamenti negativi. Il piacere momentaneo che può derivare dal fare il male è ingannevole e porta alla sofferenza a lungo termine.

È importante notare che anche la non-azione, ovvero il non compiere prontamente un'azione compassionevole di aiuto, può equivalere a fare il male. Quando vediamo qualcuno in difficoltà e non interveniamo per paura o indifferenza, stiamo permettendo al male di prosperare. La non-azione in queste situazioni è una forma di complicità con il male, con la quale alimentiamo la sofferenza degli altri. Pertanto, essere attivi nel fare il bene non è solo una scelta positiva, ma una responsabilità etica.

È essenziale che noi agiamo con decisione e costanza nel praticare il bene, sviluppando virtù come la generosità, la compassione e la saggezza. Attraverso l'impegno costante e la vigilanza mentale, possiamo evitare che la nostra mente si lasci attrarre dal male e possiamo costruire una vita di pace e armonia.

Questo insegnamento del Budda ci guida a coltivare una disciplina interiore e a non sottovalutare mai l'importanza delle nostre azioni quotidiane, poiché ogni piccola azione contribuisce al nostro percorso verso l'illuminazione.

Come nota finale, in virtù dell'interconnessione tra tutti gli esseri, il bene fatto agli altri è anche il bene fatto a noi stessi, e il male fatto agli altri è anche il male fatto a noi stessi. E viceversa.


117
Se compi un’azione malvagia
non ripeterla.
Evita di compiacertene nel ricordo.
Dolorosa è la conseguenza del male.

Questa strofa ci invita a riflettere sulle nostre azioni e sulle loro conseguenze. Quando compiamo un'azione malvagia, essa non solo influisce negativamente su coloro che ne sono vittime, ma porta anche dolore e sofferenza a noi stessi. Questo dolore può manifestarsi in vari modi, sia a livello fisico che mentale, creando un ciclo di negatività che ci allontana dalla pace e dalla felicità.

Il primo consiglio è di non ripetere l'azione malvagia. Nel buddismo, l'importanza della consapevolezza (sati) è fondamentale. Dobbiamo essere consapevoli delle nostre azioni, dei nostri pensieri e delle loro ripercussioni. Solo attraverso la consapevolezza possiamo interrompere il ciclo del male e iniziare a coltivare il bene.

Il secondo consiglio è di evitare di compiacersi nel ricordo delle azioni malvagie. Potremmo essere tentati di rivivere interiormente momenti in cui abbiamo provato un falso senso di potere o di soddisfazione attraverso atti negativi. Tuttavia, questo non fa che rafforzare il nostro legame con quelle azioni e impedire la nostra crescita spirituale.

Infine, il testo ci ricorda che la conseguenza del male è dolorosa. Questo principio è basato sulla legge del karma, secondo la quale ogni azione porta con sé delle conseguenze. Le azioni malvagie portano inevitabilmente sofferenza, non solo nell'immediato, ma anche nel lungo termine.

Attraverso l'applicazione di questi insegnamenti, possiamo imparare a vivere in modo più etico e consapevole, contribuendo al nostro benessere e a quello degli altri. La pratica costante della consapevolezza e della retta azione ci guida verso una vita di pace e armonia, liberandoci dal ciclo della sofferenza.


118
Se compi un’azione salutare
falla di nuovo.
Gioisci nel ricordarla.
Il frutto della bontà è la contentezza.

Questa strofa ci incoraggia a coltivare e ripetere le azioni salutari, quelle che portano beneficio a noi stessi e agli altri. La pratica delle azioni virtuose è un elemento centrale nel percorso spirituale buddista, che mira a promuovere il benessere e la felicità duratura.

Quando compiamo un’azione salutare, dovremmo ripeterla. Questo rafforza le nostre abitudini positive e ci aiuta a costruire un carattere basato sulla bontà e sulla rettitudine. Nel buddismo, le azioni salutari (kusala) non solo migliorano la nostra vita presente, ma accumulano meriti che influenzano positivamente anche le nostre future esistenze.

Gioire nel ricordare le azioni salutari è altrettanto importante. Ricordare con piacere le buone azioni che abbiamo compiuto ci motiva a continuare su questa strada e ci aiuta a coltivare un senso di soddisfazione e di autostima. La gioia derivante dalle buone azioni è una fonte di energia positiva che alimenta il nostro impegno nel praticare la virtù.

Il frutto della bontà è la contentezza. Questo ci insegna che le azioni salutari non portano solo benefici esterni, ma anche una profonda serenità interiore. La contentezza (santutthi) è uno stato di soddisfazione e pace che sorge naturalmente quando viviamo in armonia con i principi etici e spirituali.

Il Budda disse: "La contentezza è la ricchezza più alta", intendendo che quando siamo soddisfatti non abbiamo bisogno di ottenere qualcosa, di andare da qualche parte o di essere qualsiasi cosa per essere felici, perché lo siamo già, e quindi la contentezza ha più valore di qualsiasi possesso o realizzazione. Il Budda descrive l'appagamento del monaco in questo modo: "Si accontenta di una veste che gli copre il corpo e di un'elemosina che gli soddisfa lo stomaco e, non avendo accettato più di quanto sia sufficiente, se ne va per la sua strada, proprio come un uccello che vola qua e là portando con sé solo le sue ali".
(tratto da: Tibetan Buddhist Encyclopedia)

In pratica, questa strofa del Dhammapada ci invita a essere consapevoli delle nostre azioni e a scegliere deliberatamente di fare il bene. Ripetere queste azioni e gioirne ci aiuta a sviluppare una vita più felice e significativa, creando un ciclo virtuoso di positività e benessere che si espande a chi ci circonda.


119
Anche chi fa del male
può gioire
finché le sue azioni
non hanno dato frutti.
Ma maturati gli effetti
delle azioni
non potrà evitarne
le dolorose conseguenze.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla legge del karma, un principio fondamentale nel buddismo che afferma che ogni azione, buona o cattiva, avrà delle conseguenze. Il Budda ci ricorda che le persone che compiono azioni malvagie possono sperimentare momenti di gioia temporanea, ma questa felicità è fugace e ingannevole.

Il termine "karma" si riferisce alle azioni intenzionali che compiamo con corpo, parola e mente. Secondo il buddismo, queste azioni determinano le nostre esperienze future. La gioia che deriva dalle azioni malvagie è temporanea perché, non appena i risultati delle azioni maturano, si manifesteranno come sofferenza. Questo riflette l'inevitabilità del karma, ovvero ogni azione porta con sé una reazione corrispondente.

Anche se non vediamo immediatamente i risultati delle nostre azioni, ciò non significa che non ci saranno conseguenze. Le azioni malvagie porteranno inevitabilmente dolore e sofferenza una volta che i loro effetti si manifesteranno.


120
Anche chi vive in modo salutare
può soffrire
fino a che le sue azioni
non hanno dato frutti.
Ma quando i frutti
delle sue azioni maturano
non gli sfuggono
le gioiose conseguenze.

Questa strofa ci ricorda che le buone azioni, come quelle malvagie, hanno le loro conseguenze. Nel buddismo, il karma non si manifesta immediatamente. Possiamo quindi soffrire anche quando viviamo rettamente, poiché i risultati delle nostre azioni salutari potrebbero non essere ancora maturati.

Questo ci insegna la pazienza e la fiducia nel processo karmico. Le buone azioni porteranno inevitabilmente gioia e benefici, ma ciò potrebbe richiedere tempo. Questo ritardo non dovrebbe scoraggiarci dal continuare a vivere in modo etico e consapevole. La sofferenza che possiamo incontrare lungo il percorso non è un segno di fallimento, ma una fase temporanea in attesa che il karma positivo si manifesti.

Se le nostre buone azioni avessero immediatamente delle conseguenze positive, rischieremmo di diventare arroganti e di perdere la spontaneità nel fare il bene. Agire virtuosamente solo per ottenere una ricompensa trasformerebbe le nostre azioni salutari in un atto egoistico. Invece, l'insegnamento buddista ci esorta a fare il bene per il semplice desiderio di farlo, senza aspettarci nulla in cambio. Questo approccio ci aiuta a coltivare un cuore puro e altruista.

Comunque, anche se le difficoltà e le sofferenze possono sembrare ingiuste, mantenere fede nelle nostre buone azioni e continuare a praticare la virtù porterà alla fine a conseguenze gioiose. Il Budda ci esorta a non scoraggiarci e a continuare a coltivare la bontà, sapendo che ogni azione salutare contribuirà a un futuro migliore per noi e per gli altri.


121
Non ignorare la risonanza del male
pensando che finirà nel nulla.
Come la brocca si riempie
di pioggia che cade goccia a goccia
così col tempo lo stolto è incrinato
dalle azioni malvage.

In questa strofa, il Budda ci esorta a non sottovalutare le conseguenze delle azioni malvagie, anche se all'inizio possono sembrare insignificanti. L'immagine della brocca che si riempie lentamente di pioggia rappresenta come ogni piccola azione negativa, quando ripetuta nel tempo, possa accumularsi fino a causare gravi danni.

Dobbiamo comprendere che ogni azione, per quanto piccola, ha un impatto. Le azioni malvagie creano karma negativo, che si accumula e porta sofferenza sia a noi stessi che agli altri. Il karma è un concetto fondamentale nel buddismo, riferendosi alla legge di causa ed effetto: le azioni che compiamo, buone o cattive, influenzano il nostro futuro.

Questo insegnamento sottolinea l'importanza di vivere con consapevolezza e attenzione. Le nostre azioni quotidiane non sono irrilevanti; ogni pensiero, parola e gesto contribuisce al nostro cammino spirituale. Dobbiamo vigilare sui nostri comportamenti, cercando di evitare azioni malvagie e coltivare azioni salutari e virtuose.

La nostra trasformazione spirituale non avviene dall'oggi al domani, ma attraverso la pratica costante e la purificazione delle nostre intenzioni e azioni. Come la brocca si riempie goccia a goccia di malvagità, al contrario possiamo riempire gradualmente la nostra mente e il nostro cuore di bontà attraverso la pratica diligente del Dharma, come indicato dal Budda nella strofa successiva.


122
Non sottovalutare la risonanza di un’azione saggia
pensando che a nulla varrà.
Come la brocca si riempie
di pioggia che cade goccia a goccia
così col tempo il saggio
si fa ricolmo di bontà.

Questa strofa ci insegna a riconoscere l'importanza delle piccole azioni sagge e virtuose. Proprio come la brocca si riempie di pioggia, anche noi, con azioni ripetute nel tempo, possiamo riempirci di bontà e saggezza.

Noi spesso tendiamo a sottovalutare i piccoli gesti di bontà, pensando che siano insignificanti. Tuttavia, il Budda ci ricorda che ogni singolo atto di saggezza contribuisce al nostro cammino spirituale. Ogni azione virtuosa crea karma positivo, che si accumula e ci guida verso un futuro migliore.

Questa strofa ci invita a coltivare la pazienza e la perseveranza. La trasformazione spirituale non avviene all'improvviso, ma attraverso un impegno costante nel tempo. Ogni piccolo gesto di gentilezza, ogni parola di saggezza, ogni pensiero puro contribuisce a creare un carattere virtuoso e una mente illuminata.

Le azioni sagge e virtuose, sebbene possano sembrare piccole, hanno un impatto duraturo sulla nostra vita e su quella degli altri. Il karma positivo che accumuliamo ci porterà gioia e serenità.

Dobbiamo quindi incoraggiare noi stessi a compiere costantemente azioni sagge e virtuose, senza scoraggiarci se i risultati non sono immediati. Ogni piccola goccia conta e, con il tempo, ci porterà a una vita ricolma di bontà e saggezza.


123
Come vigile e protettivo
rimane colui cui si affida
un carico prezioso
evita il male come un veleno.

Questa strofa ci invita a comprendere l'importanza della vigilanza e della protezione nei confronti del nostro comportamento e delle nostre azioni. Così come qualcuno che si prende cura di un carico prezioso con estrema attenzione, anche noi dobbiamo trattare la nostra condotta morale e spirituale con la stessa cura.

Il "carico prezioso" è la nostra stessa vita, e più specificamente la rara fortuna di essere nati come esseri umani e di aver incontrato gli insegnamenti del Budda. Questa opportunità unica ci offre la possibilità di seguire un percorso di crescita spirituale e di contribuire al benessere degli altri.

Nel buddismo, il "male" viene paragonato a un veleno, indicando quanto possa essere dannoso per la nostra mente e il nostro spirito. Il male, o azioni non salutari, non solo danneggiano noi stessi ma anche gli altri. Evitare il male significa essere consapevoli delle nostre azioni, parole e pensieri, mantenendoli in linea con i principi del Dhamma.

Essere vigili e protettivi richiede uno sforzo costante di consapevolezza (sati). La consapevolezza ci permette di riconoscere e prevenire azioni dannose prima che si manifestino, proteggendo così il nostro benessere spirituale. Questo concetto è essenziale nel percorso verso l'illuminazione, dove la disciplina e la rettitudine sono fondamentali.

Il "carico prezioso" include anche la nostra missione nel mondo basata su "karuna" (compassione) e "ahimsa" (non violenza). Karuna ci spinge ad agire per alleviare la sofferenza degli altri, mentre ahimsa ci guida a evitare di causare danno in qualsiasi forma. Integrando questi principi nella nostra vita, possiamo rendere la nostra esistenza di massimo beneficio per tutti.

Infine, la metafora del veleno sottolinea l'urgenza di evitare comportamenti non salutari. Proprio come eviteremmo un veleno che potrebbe causare danni immediati e gravi al corpo, così dobbiamo evitare azioni non salutari che corrompono la nostra mente e il nostro karma.


124
Una mano senza ferite
può maneggiare il veleno
e non subire danno;
così il male non tocca
chi non lo compie.

Questa strofa ci offre un'immagine potente per illustrare un principio fondamentale del buddismo: la purezza morale protegge dall'influenza negativa del male. Nichiren Daishonin illustrò lo stesso concetto con queste parole:

Il Buddismo insegna che la fragranza interna otterrà protezione esterna. Questo è uno dei suoi principi più importanti.

La metafora della mano senza ferite che può maneggiare il veleno senza subire danno suggerisce che se il nostro cuore e la nostra mente sono liberi da impurità e cattive intenzioni, possiamo attraversare situazioni difficili senza essere contaminati dal male.

Il Budda insegna che il male non può toccarci se non lo compiamo noi stessi. Questo ci ricorda l'importanza del karma, il principio per cui le nostre azioni, parole e pensieri determinano le conseguenze future. Se evitiamo di compiere il male, non subiremo le conseguenze negative che ne derivano. Pertanto, la pratica del bene e la purezza d'intenzione diventano scudi contro il male.

Questa strofa ci invita a coltivare una vita virtuosa, consapevole delle nostre azioni e delle loro ripercussioni. Ci incoraggia a rimanere integri, evitando comportamenti che possono causare sofferenza a noi stessi e agli altri. Come la mano senza ferite rimane immune al veleno, così un cuore puro e una mente consapevole rimangono immuni alle influenze negative del mondo.


125
Se con intenzione fai male
a una persona innocente
una persona pura e senza macchia
il male si ritorcerà contro di te
come sottile polvere gettata nel vento.

Il Budda ci ricorda che le nostre azioni, specialmente quelle malevole compiute con intenzione, non rimangono senza conseguenze.

Quando facciamo del male a qualcuno che è innocente e puro, stiamo generando karma negativo. Le azioni intenzionali di una persona influenzano il suo futuro, e questo si riflette chiaramente nel concetto che "il male si ritorcerà contro di te come sottile polvere gettata nel vento". Anche se inizialmente potrebbe sembrare che le nostre azioni non abbiano ripercussioni immediate, come la polvere lanciata nel vento, esse inevitabilmente tornano indietro, colpendo chi le ha compiute.

Chögyal Namkhai Norbu, che ha contribuito significativamente alla diffusione e alla comprensione della cultura tibetana e del buddismo tibetano in Occidente, scrisse:

«Quando si spiega il karma, si parla generalmente di due fattori principali: le cause primarie e le cause secondarie. Per produrre una causa primaria potenzialmente in grado di produrre un effetto, sono necessarie tre cose: l'intenzione, l'azione vera e propria e poi la soddisfazione. La causa primaria karmica, così formata, è paragonabile al seme di un fiore, il cui sviluppo dipende da vari fattori come l'acqua, il fertilizzante, il sole e così via. Tutti questi fattori sono come le cause secondarie che compongono tutte le diverse circostanze che incontriamo nella nostra vita. Pertanto, essendo consapevoli di esse, è possibile evitare di favorire quelle che potrebbero far manifestare le cause karmiche primarie. Per esempio, se in una vita passata ho commesso un'azione che potrebbe portarmi a essere ucciso in questa vita, questa è la causa primaria, che potrebbe manifestarsi quando è presente la causa secondaria appropriata, come un litigio. Ma se nel momento del litigio ho la consapevolezza che sto creando un karma negativo e quindi mi trattengo dall'arrabbiarmi, probabilmente l'altra persona si calmerà e io avrò evitato la possibilità di essere ucciso. In generale, tutte le cause secondarie sono il riflesso delle cause primarie. Come disse il Budda: “Se vuoi sapere cosa hai fatto nella tua vita passata, osserva la tua condizione attuale; se vuoi sapere quale sarà la tua condizione futura, osserva le tue azioni attuali”».

(tratto da: "Dzogchen: The Self-Perfected State", Snow Lion Publications, 1996, capitolo 2, pag. 41, tradotto da "Dzogchen, Lo stato di autoperfezione", a cura di Adriano Clemente, Roma, 1986)

Agire con compassione e rettitudine non solo ci protegge dal karma negativo ma contribuisce anche a creare un ambiente di pace e armonia attorno a noi. Vivendo secondo questi principi, possiamo evitare che la "polvere" delle nostre azioni negative ci ritorni contro.


126
Alcuni rinascono come esseri umani
chi fa del male rinasce in un inferno
chi fa del bene nella beatitudine
e il puro entra nella terra senza sentieri.

Il primo verso, "Alcuni rinascono come esseri umani", suggerisce che una rinascita umana è un'opportunità preziosa per la pratica spirituale. Nella tradizione buddista, si crede che la rinascita umana sia rara e offre una possibilità unica di perseguire il sentiero verso l'illuminazione.

Il secondo verso, "chi fa del male rinasce in un inferno", ci avverte delle terribili conseguenze delle azioni negative. Il concetto di "inferno", comunque, merita un chiarimento soprattutto per noi occidentali.

L'inferno cristiano e gli inferni buddisti differiscono notevolmente per concezione, scopo e durata delle pene. L'inferno cristiano è un luogo di punizione eterna per i peccatori non redenti, in conseguenza del rifiuto di Dio e dei suoi comandamenti. Qui le pene sono eterne, senza possibilità di redenzione o reincarnazione. L'inferno cristiano è spesso descritto con immagini di fuoco, tortura e tormento eterno, e una volta che un'anima vi entra, non c'è possibilità di salvezza.

Questa è l'iscrizione sulla porta dell'Inferno cristiano:

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.

(Dante, Divina Commedia, Inferno, III, vv. 1-9)

Gli inferni buddisti, invece, sono stati temporanei di esistenza causati dal karma negativo. Questi inferni servono come luoghi di purificazione ed espiazione delle cattive azioni compiute nelle vite precedenti. Le pene negli inferni buddisti durano fino a quando il karma negativo non viene esaurito, dopodiché c'è la possibilità di reincarnazione in una condizione migliore.

Esistono diversi inferni buddisti, sia di caldo che di freddo, ognuno con specifici tipi di sofferenza:

Gli Otto Inferni Caldi

  1. Samjiva (Inferno della Rianimazione) → I dannati sono uccisi ripetutamente in modi orribili, ma subito rianimati per subire nuovamente le stesse sofferenze.
  2. Kalasutra (Inferno delle Linee Nere) → I dannati vengono tagliati da linee nere incise sui loro corpi con strumenti taglienti, causando un dolore intenso.
  3. Samghata (Inferno della Pressione) → I dannati sono schiacciati da enormi masse, come montagne, che si muovono e li comprimono fino a ridurli in polvere, per poi riformarsi e subire nuovamente la stessa sorte.
  4. Raurava (Inferno delle Urla) → I dannati sono tormentati da urla continue e angoscianti, e sono costantemente torturati da serpenti e altri animali velenosi.
  5. Maharaurava (Inferno delle Grandi Urla) → Simile al precedente, ma con tormenti ancora più intensi e prolungati, spesso causati da esseri infernali che infliggono sofferenze ancora maggiori.
  6. Tapana (Inferno dell’Ardore) → I dannati sono bruciati vivi in fiamme intense e soffocanti, senza alcuna possibilità di sollievo.
  7. Pratapana (Inferno del Grande Ardore) → Simile all'inferno dell'Ardore, ma con una temperatura ancora più elevata e tormenti più intensi, spesso con esseri infernali che infliggono ulteriori pene.
  8. Avici (Inferno dell’Incessante Tormento) → Il più terribile degli inferni caldi, dove i dannati soffrono un dolore continuo e insopportabile senza alcuna pausa o speranza di liberazione.

Gli Otto Inferni Freddi

  1. Arbuda (Inferno delle Vesciche) → I dannati soffrono per il freddo estremo, che causa la formazione di vesciche su tutto il corpo.
  2. Nirarbuda (Inferno delle Vesciche Rompenti) → Le vesciche formate dal freddo estremo si rompono, causando ulteriore dolore e sofferenza.
  3. Atata (Inferno dei Brividi) → I dannati tremano incessantemente a causa del freddo penetrante, con i denti che battono continuamente.
  4. Hahava (Inferno dei Pianti) → Il freddo è così intenso che i dannati non possono fare altro che piangere e lamentarsi in continuazione.
  5. Huhuva (Inferno dei Lamenti) →  I dannati gridano e si lamentano senza sosta, con il freddo che penetra fino alle ossa.
  6. Utpala (Inferno del Loto Blu) → La pelle dei dannati diventa blu come un fiore di loto a causa del freddo estremo.
  7. Padma (Inferno del Loto) → Il freddo causa la formazione di tagli profondi sulla pelle dei dannati, simili a fiori di loto.
  8. Mahapadma (Inferno del Grande Loto) → Il più terribile degli inferni freddi, dove il freddo intenso provoca sofferenze inimmaginabili e tagli profondi simili a grandi fiori di loto.

Tornando al Dhammpada, il terzo verso, "chi fa del bene nella beatitudine", ci rassicura che le azioni virtuose portano a stati di esistenza felici, come i reami celesti. Tuttavia, anche queste esistenze, sebbene piacevoli, sono temporanee e non rappresentano la liberazione finale.

Infine, "e il puro entra nella terra senza sentieri", fa riferimento alla realizzazione del nirvana, la meta ultima del buddismo. La "terra senza sentieri" rappresenta uno stato di libertà assoluta, dove l'individuo è liberato dal ciclo di nascita e morte (samsara). Questo stato è raggiungibile solo attraverso la purificazione della mente e del cuore, eliminando tutte le impurità e i desideri che ci legano al mondo fenomenico.

Riflettendo su questa strofa, siamo incoraggiati a coltivare la virtù e la saggezza, consapevoli che ogni nostra azione ha un impatto non solo sul presente, ma anche sulle nostre future esistenze.


127
Non c’è luogo sulla terra
non caverna di montagna
non oceano né cielo
dove sfuggire le conseguenze
delle cattive azioni.

Questa strofa sottolinea l'inevitabilità delle conseguenze delle azioni negative, suggerendo che non esiste alcun rifugio dove possiamo sfuggire al karma negativo accumulato. Tuttavia, il karma nel buddismo e in altre tradizioni orientali è spesso frainteso. Non è sinonimo di destino, fato o predeterminazione nel senso rigido e immutabile del termine. Piuttosto, il karma riguarda il principio di causa ed effetto legato alle azioni personali, familiari, e collettive in generale.

A differenza di un destino predeterminato, il karma può essere modificato. Attraverso comportamenti virtuosi, meditazione, pratiche etiche e saggezza, un individuo può trasformare il karma negativo e migliorare la propria situazione futura.

Il Sutra del Nirvana (Mahāparinirvāṇasūtra) individua in maniera chiara l'ignoranza (avidya) come causa scatenante di tutte le sofferenze:

La missione di colui che divenne il Risvegliato (il Buddha), durante tutte le epoche che formano la vita di un mondo, è rivelare la dottrina che insegna a metter fine al succedersi delle esistenze, distruggendone le radici. La personalità umana ha origine nell’ignoranza (Avidya); dall’ignoranza viene la Rappresentazione (Samskara); dalla Rappresentazione viene la Conoscenza (Vijnana); dalla Conoscenza viene la Forma e il nome delle cose (Namarupa); dalla Forma e nome delle cose, viene la Sensibilità (Shadayatana); dalla Sensibilità viene il Contatto (Sparsa); dal Contatto viene la Sensazione (Vedana); dalla Sensazione viene il Desiderio (Trishna); dal Desiderio viene l’Accettazione (Upadana); dall’Accettazione viene l'Esistenza (Bhava); dall’Esistenza viene la Vita (Jati); dalla Vita viene il Dolore (Jaràmarana), e tutte le miserie, gli affanni, le angosce, che gravano sopra i mortali. Per la qual cosa il Buddha pensò, che la vita e la morte corrono e si succedono, a quel modo che un carro corre perchè ha le ruote: conviene dunque tor via le ruote. Ora l'uomo corre il cammino della vita e della morte a cagione dell’ignoranza (Avidya): conviene dunque tor via l’Ignoranza. Distrutta l'Ignoranza viene a distruggersi la Rappresentazione (Samskara); per la distruzione di essa si distrugge la Conoscenza (Vijnana); e nel medesimo modo vengonsi a distruggere le Forme (Namarupa), la Sensibilità (Shadayatana), il Contatto (Sparsa), la Sensazione (Vedana), il Desiderio (Trishna), l’Accettazione (Upadana), e finalmente si distrugge e s’annienta la Esistenza (Bhava) e la Vita (Jati); e con la Vita, il Dolore (Jaràmarana) e tutto il cumulo di miserie, d’affanni, di amarezze di cui si compone la vita.
 
(tratto da: "Mahāparinirvāṇa-Sūtra, ovvero Il libro della totale estinzione del Buddha", traduzione di Carlo Puini, 1911, pp.35-36)

Quindi più ci impegniamo a porre rimedio alla nostra ignoranza e maggiormente possiamo alleviare il karma negativo e le sofferenze che ne conseguono. Diverse scuole buddiste interpretano questo principio in modi diversi.

Nelle tradizioni Mahayana, esiste l'idea che attraverso la comprensione profonda e la pratica della compassione e della saggezza, possiamo trasformare il nostro karma. Non si tratta di sfuggire al karma, ma di trasformare le energie negative in positive attraverso azioni meritorie, meditazione e pratiche spirituali.

Il karma è spesso visto come un processo interdipendente. Le azioni non esistono in un vuoto ma sono interconnesse con altre cause e condizioni. Attraverso la pratica della consapevolezza e del comportamento etico, possiamo influenzare le condizioni future, riducendo l'impatto negativo delle azioni passate.

Alcune tradizioni, come il Buddismo di Nichiren Daishonin, enfatizzano pratiche specifiche per alleggerire il karma negativo. Secondo questa scuola, recitando Nam-myoho-renge-kyo e seguendo una pratica buddista diligente, possiamo ridurre la durata e l'intensità delle sofferenze karmiche. Questo processo è paragonabile a scontare una punizione in modo più rapido e meno doloroso rispetto a quanto sarebbe stato altrimenti. In questo modo, si può non solo alleggerire il proprio karma, ma anche influire positivamente sul karma collettivo.

In altre tradizioni, il riconoscimento e il pentimento sinceri per le azioni passate possono avere un effetto purificante. Anche se non possiamo sfuggire completamente alle conseguenze delle nostre azioni, il pentimento e la pratica del perdono possono mitigare l'intensità del karma negativo.

Inoltre, il karma non è statico, nel senso che le nostre azioni presenti e future giocano un ruolo cruciale. Continuando a fare buone azioni mosse da compassione e saggezza, possiamo creare un impatto positivo che può contrastare o bilanciare il karma negativo passato.

Pertanto, mentre questa strofa del Dhammapada ci ricorda l'inevitabilità delle conseguenze karmiche, le pratiche e gli insegnamenti buddisti ci offrono indicazioni per affrontare il karma in modo costruttivo, trasformandolo e purificandolo attraverso una pratica consapevole e etica.


128
Non c’è luogo sulla terra
non caverna di montagna
non oceano né cielo
dove la morte non allunghi su di te la mano.

Questa strofa ci invita a non fuggire dalla realtà della morte, ma ad abbracciarla come parte integrante del nostro percorso spirituale. Questo ci aiuta a vivere con una mente più aperta e un cuore più compassionevole, contribuendo a creare un'esistenza più significativa e armoniosa.

La certezza della morte è un promemoria per essere gentili e retti nelle nostre azioni quotidiane. Quando riconosciamo la fragilità della vita siamo più inclini a trattare gli altri e noi stessi con maggiore cura e rispetto:

Questo dovrebbe fare chi pratica il bene
e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
chiaro nel parlare,
gentile e non vanitoso,
contento e facilmente appagato;
non oppresso da impegni e di modi frugali,
calmo e discreto, non altero o esigente;
incapace di fare
ciò che il saggio poi disapprova.

Che tutti gli esseri
vivano felici e sicuri:
tutti, chiunque essi siano,
deboli o forti,
grandi o possenti,
alti, medi o bassi,
visibili e non visibili,
vicini e lontani,
nati o non nati.

Che tutti gli esseri vivano felici!
Che nessuno inganni l’altro,
né lo disprezzi
né, con odio o ira,
desideri il suo male:

Come una madre
protegge con la sua vita
suo figlio, il suo unico figlio
così, con cuore aperto,
si abbia cura di ogni essere,
irradiando amore
sull’universo intero;
in alto verso il cielo,
in basso verso gli abissi,
in ogni luogo, senza limitazioni,
liberi da odio e rancore.

Fermi o camminando,
seduti o distesi,
esenti da torpore,
sostenendo la pratica di Metta;
questa è la sublime dimora.

Il puro di cuore,
non legato ad opinioni,
dotato di chiara visione,
liberato da brame sensuali,
non tornerà a nascere in questo mondo.

(Metta Sutta, Insegnamento sulla gentilezza amorevole)

Cercare di evitare o negare la morte è inutile. Invece, possiamo scegliere di accettare questa realtà e viverla con saggezza.


LA VIOLENZA

129
Provando empatia per gli altri
si scopre che tutti gli esseri hanno paura
della punizione e della morte.
Allora, non si assale
né si provoca più nessuno.

Questa strofa ci invita a riflettere profondamente sull'empatia e sulla compassione verso tutti gli esseri viventi. Secondo il buddismo, comprendere le paure e le sofferenze degli altri è essenziale per coltivare una mente e un cuore compassionevoli. La paura della punizione e della morte è un'esperienza universale, comune a tutti gli esseri senzienti. Questo riconoscimento ci unisce e ci invita a considerare le nostre azioni con maggiore consapevolezza.

Quando ci rendiamo conto che la sofferenza e la paura sono condivise da tutti, sviluppiamo naturalmente maggiore gentilezza, accoglienza e capacità di ascolto. Questo sentimento di connessione ci porta a evitare di danneggiare o provocare gli altri, poiché comprendiamo che fare del male agli altri equivale a fare del male a noi stessi.

Il Budda insegna che la non-violenza (ahimsa) è una delle pratiche fondamentali per chi segue il sentiero spirituale. Non solo ci asteniamo dall'infliggere sofferenza, ma attivamente coltiviamo l'intenzione di alleviare la sofferenza degli altri (karuna). Questo è un passo cruciale verso l'illuminazione, dove la saggezza e la compassione lavorano insieme per creare un mondo più armonioso.

Inoltre, comprendere l'inevitabilità della sofferenza e della morte ci aiuta a vivere con maggiore consapevolezza e apprezzamento per la vita presente. Ogni momento diventa prezioso e le nostre azioni diventano più significative. Vivendo con empatia e compassione, ci avviciniamo a quella pace interiore che il Budda ci incoraggia a cercare.


130
Provando empatia per gli altri
si scopre che tutti gli esseri
amano la vita e temono la morte.
Allora, non si assale
né si provoca più nessuno.

Questa strofa continua a sviluppare il tema dell'empatia e della compassione, focalizzandosi questa volta sull'amore per la vita e il timore della morte, sentimenti che accomunano tutti gli esseri viventi. Questo verso ci esorta a riconoscere la sacralità della vita e il desiderio universale di sopravvivere e prosperare.

Questa comprensione ci guida a trattare gli altri con la stessa cura e rispetto che vorremmo per noi stessi. La realizzazione che ogni essere tiene alla propria vita quanto noi teniamo alla nostra ci spinge a evitare qualsiasi forma di violenza o provocazione.

Il Budda insegna che ogni azione di violenza o danno verso gli altri non solo causa sofferenza immediata, ma accumula anche karma negativo, che porta a ulteriori sofferenze future. Agendo con gentilezza e rispetto per la vita altrui, coltiviamo un ambiente di pace e armonia, sia per noi stessi che per gli altri. Quando non siamo più centrati esclusivamente sulle nostre paure e desideri, ampliamo la nostra visione per includere anche le paure e i desideri degli altri. Questo allargamento della nostra prospettiva ci avvicina all'ideale del Bodhisattva, che cerca di alleviare la sofferenza di tutti gli esseri senzienti.

La pratica dell'empatia e della compassione non è solo un precetto morale, ma una via per raggiungere la pace interiore e la liberazione. Vivendo in questo modo, non solo evitiamo di causare sofferenza, ma creiamo anche le condizioni per una vita più felice e soddisfacente per noi stessi e per gli altri.


131
Far male agli esseri viventi
che come noi cercano appagamento
significa far male a noi stessi.

Questa strofa sottolinea il principio fondamentale del buddismo dell'interconnessione tra tutti gli esseri viventi. Fare del male agli altri non è solo un atto di violenza verso di loro, ma è anche un atto di autolesionismo. Questo perché, secondo il Budda, tutti gli esseri viventi condividono il desiderio comune di evitare la sofferenza e di cercare la felicità. Quando agiamo con crudeltà o infliggiamo sofferenza, non stiamo semplicemente violando la pace degli altri, ma stiamo anche creando le condizioni per la nostra stessa sofferenza futura.

Nel contesto del karma, ogni azione compiuta con intenzione lascia un'impronta nella nostra mente, che può condurre a future esperienze di sofferenza o gioia a seconda della natura dell'azione. La sofferenza causata agli altri torna inevitabilmente a chi la compie, attraverso il meccanismo del karma. Quindi, agire in modo dannoso è come piantare semi di sofferenza che prima o poi germoglieranno nella nostra vita. Questo insegnamento ci invita a riconoscere l'unità di tutti gli esseri e a coltivare la compassione come mezzo per evitare il male, non solo per gli altri, ma anche per noi stessi.


132
Non far del male agli esseri viventi
che come noi cercano appagamento
significa far felici noi stessi.

Questa strofa completa il pensiero espresso nella precedente, sottolineando il valore positivo della non-violenza (ahiṃsā) e della compassione. Quando ci asteniamo dal fare del male agli altri, non solo evitiamo la sofferenza, ma contribuiamo attivamente alla nostra felicità e benessere. Questa felicità non deriva solo dal sollievo di non accumulare cattivo karma, ma anche dalla pace interiore che nasce dal vivere in armonia con gli altri e con il mondo.

La felicità che deriva dal non nuocere agli altri è profonda e duratura, perché è radicata nella consapevolezza etica e nella compassione. Nella tradizione buddista, la felicità autentica è strettamente legata alla retta condotta morale (sīla), che include il rispetto per la vita di tutti gli esseri. Questo rispetto non è solo un precetto etico, ma una pratica spirituale che purifica la mente e conduce alla pace interiore. In altre parole, vivere senza causare danno agli altri è una via sicura per coltivare la propria felicità, poiché armonizza le nostre azioni con la verità universale dell'interconnessione tra tutti gli esseri.


133
Evita di parlare agli altri con durezza:
la parola aspra provoca rivalsa.
Chi viene ferito dalle tue parole
può di rimando ferirti.

Questa strofa sottolinea l'importanza della parola gentile e del controllo verbale. Nel contesto degli insegnamenti del Budda, la parola ha un potere immenso, sia per costruire che per distruggere. Parlare con durezza significa utilizzare un linguaggio che ferisce, che provoca dolore negli altri. Questo tipo di comunicazione non solo nuoce agli altri, ma crea un ciclo di sofferenza che si ritorce su chi l'ha causata. Chi è ferito dalle parole può reagire con altrettanta durezza, perpetuando un ciclo di violenza verbale.

Nel buddismo, la parola retta è una delle componenti del Nobile Ottuplice Sentiero, che guida verso la liberazione dalla sofferenza. La parola retta si manifesta non solo nell'evitare la menzogna, ma anche nell'astenersi dal parlare in modo aggressivo o offensivo. Questo insegnamento è fondamentale per promuovere l'armonia nelle relazioni interpersonali. Evitando la parola aspra, non solo si protegge se stessi dalla potenziale ritorsione, ma si contribuisce anche alla creazione di un ambiente di pace e comprensione reciproca.

L'invito alla moderazione nel linguaggio riflette un più ampio principio buddista, quello della non-violenza, che non si limita all'azione fisica ma si estende anche alle parole e ai pensieri. Coltivare la parola gentile è, quindi, un passo essenziale verso il vivere in accordo con il Dharma, la via della rettitudine.


134
Se ti parlano con durezza
fatti silenzioso come un gong spezzato;
non rivalersi è segno di libertà.

Questa strofa offre una visione complementare alla precedente, spostando l'attenzione dalla parola gentile alla reazione alla durezza altrui. Essere paragonati a un "gong spezzato" suggerisce l'idea di un oggetto che, essendo rotto, non può più rispondere al colpo che riceve. Allo stesso modo, il Budda insegna che non rispondere alla durezza con altra durezza è un segno di grande forza interiore e libertà spirituale.

Nel contesto del buddismo, questa non-rivalsa rappresenta la capacità di trascendere le reazioni automatiche che nascono dall'ego ferito. È un invito a praticare l'equanimità, una qualità che permette di mantenere la pace interiore indipendentemente dalle circostanze esterne. La non-violenza, anche verbale, è un'espressione di compassione e saggezza, perché riconosce che rispondere alla violenza con altra violenza non fa che alimentare la sofferenza reciproca.

Questa strofa ci incoraggia a spezzare il ciclo della violenza, non solo per il bene dell'altro, ma anche per il proprio progresso spirituale. Il Budda insegna che la vera libertà si ottiene non reagendo con rabbia o risentimento, ma mantenendo la calma e la serenità anche di fronte all'offesa. Questo è un segno di padronanza di sé e di avanzamento sulla via del risveglio, dove la mente non è più prigioniera delle reazioni emotive, ma è libera e pacificata.


135
Come il pastore
conduce il gregge al pascolo
vecchiaia e morte
sospingono gli esseri viventi.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla realtà inevitabile della vecchiaia e della morte, paragonandola al modo in cui un pastore guida il suo gregge. Il Budda ci ricorda che, indipendentemente dai nostri sforzi o dai nostri desideri, siamo tutti inevitabilmente sospinti verso la vecchiaia e la morte, proprio come le pecore che sono condotte dal pastore verso un luogo prestabilito.

Il paragone con il pastore suggerisce l’inevitabilità e la naturalezza di questo processo. Così come le pecore non possono sfuggire alla guida del pastore, anche noi non possiamo sottrarci al ciclo naturale della vita, che comprende la nascita, la vecchiaia e la morte. Questo insegnamento mira a farci comprendere l'importanza di accettare la nostra condizione umana e di prepararci spiritualmente per affrontare la realtà della nostra esistenza.

Accettare questa verità ci aiuta a vivere con maggiore saggezza, senza aggrapparci alle illusioni di eternità o permanenza. La consapevolezza della nostra mortalità può diventare un potente stimolo a vivere in modo virtuoso, coltivando qualità come la compassione, la generosità e la rettitudine, che ci conducono lungo il sentiero della liberazione dal ciclo delle rinascite, noto come samsara. Questo è il cuore dell'insegnamento del Budda: riconoscere la sofferenza intrinseca della vita e trovare la via per trascenderla.

Tale via, però, non c'entra nulla con il transumanesimo e con le idee di immortalità che ne derivano. Queste non sono altro che una folle illusione che porta alla negazione della vita, perché tentare di negare la morte significa anche rinnegare la vita. E' come voler negare al sole di poter tramontare, per paura che il giorno dopo non ci sia una nuova alba. Tale folle perversione e incapacità di comprendere la realtà delle cose è oggi abbondamente suggerita dalla cinematografia e dagli investimenti di miliardari poveri di spirito.

[...] [Il transumanesimo è] una scuola di pensiero solitamente associata alle visioni tecno-utopiche di imprenditori della Silicon Valley che, dalla fine degli anni Novanta, hanno preso a coltivare la speranza di un’accelerazione del genere umano verso un glorioso avvenire post-biologico. Non lo hanno fatto innanzitutto attraverso l’elaborazione di teorie sull’avvenire dell’uomo, ma con ingenti investimenti e ricerche negli ambiti tecnico-scientifici più promettenti per dare vita al sogno di una umanità liberata dai lacci della sua imperfezione e finitudine: nanotecnologie, intelligenza artificiale, tecniche biomediche per la life-extension, criogenia, cibernetica, manipolazione del dna, sviluppo di supporti non biologici sui quali trasferire l’esistenza una volta esaurite le funzionalità del corpo e molti altri percorsi per giungere all’agognata singolarità, il punto di non ritorno dell’evoluzione umana.
 
Gli adepti del verbo transumanista, strettamente inteso, abbondano da decenni nelle grandi aziende tecnologiche [...]
 
Già una decina d’anni fa il politologo americano Francis Fukuyama, segnalando il transumanesimo come una delle tendenze più insidiose della nostra epoca, aveva notato che non è semplice separare i progetti elaborati negli avamposti della tecnologia dai loro antecedenti filosofici, e proprio questo è il tratto problematico della vicenda: “Anche se i rapidi avanzamenti nel campo della biotecnologia ci trasmettono spesso una certa inquietudine, la minaccia morale e intellettuale che rappresentano non è sempre facile da identificare. La razza umana, dopo tutto, è in una condizione piuttosto misera, se consideriamo le malattie che ci affliggono, le limitazioni fisiche e le nostre vite tutto sommato molto brevi. Mettiamoci dentro le gelosie, la violenza e i costanti stati d’ansia, e il progetto transumanista improvvisamente inizia a sembrare ragionevole”, scriveva Fukuyama. [...]
 
[...] Del resto, sostiene Harari, “l’umanità sta acquisendo in fretta qualità che abbiamo storicamente attribuito al divino”.
 
tratto da: L'eterna illusione dell'uomo che verrà

Con un'etica e una comprensione profondamente radicati nell'analisi di realtà che il Budda ha fatto in questa strofa, possiamo guardare questi approcci transumani con la stessa preoccupazione con cui osserveremmo una nave diretta verso un naufragio certo, a meno di non cambiare direzione. Nel nostro caso, cambiare direzione significa accettare la vita così com'è. Chi ha compreso che il proprio karma non è altro che la propria missione di vita, non ha paura né di vivere, né di morire.

[...] In giapponese il termine missione (shimei) si traduce in "usare la propria vita". Karma e missione sono due facce della stessa medaglia. Le difficoltà, le sofferenze e gli ostacoli fanno parte delle nostre esistenze. Poter trasformare questi veleni in medicina è la più grande fortuna che abbiamo e, con il nostro esempio, possiamo incoraggiare chi ha sofferto come noi. Non esiste karma che non possa essere trasformato.

Le nostre vite custodiscono la natura di Budda e possono brillare su qualsiasi oscurità. Come vuoi usare la tua?

tratto da: Il karma: destino immutabile o forza motrice per la vita?

L'idea del karma come missione personale e impegno sociale è coerente con i principi di interconnessione di tutti gli esseri viventi, di compassione intesa come desiderio di alleviare la sofferenza altrui, e di impermanenza, nel senso che nulla è permanente e quindi abbiamo l'opportunità di cambiare e crescere. Questa visione non solo integra la pratica spirituale individuale con l'impegno per il bene comune, ma suggerisce anche che ogni azione, per quanto piccola, possa avere un impatto significativo sul mondo. Offre un quadro etico e motivatore per la vita, incoraggiandoci in un percorso di crescita personale che contribuisca al miglioramento della società nel suo complesso.


136
Fanno il male
ma non sanno quello che fanno;
gli stolti subiscono le conseguenze
delle loro azioni
come chi maneggiando il fuoco si brucia.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura dell'ignoranza e sulle sue conseguenze. Secondo l'insegnamento del Budda, l'ignoranza (avidyā) è la radice di tutte le sofferenze. Quando agiamo con ignoranza, non comprendiamo le leggi di causa ed effetto del karma.

Gli "stolti" citati in questo verso sono coloro che non hanno la consapevolezza della retribuzione karmica delle loro azioni. Come chi maneggia il fuoco senza cautela finisce per bruciarsi, così chi agisce in modo non saggio e inconsapevole inevitabilmente soffrirà le conseguenze delle sue azioni.

Questo monito ci invita alla vigilanza e alla consapevolezza, incoraggiandoci a riconoscere l'importanza delle nostre azioni, parole e pensieri. Il Budda ci esorta a coltivare la saggezza per evitare di cadere nelle trappole dell'ignoranza, che ci portano a compiere azioni dannose per noi stessi e per gli altri.


137-140
Far del male a chi è indifeso
porta in breve sofferenza
agli aggressori.
Mieteranno dolore, povertà o fallimento
malattia, follia o persecuzione
violenza, angoscia o rovina
e dovranno dopo la morte, soli
incontrare faccia a faccia i propri torti.

Queste strofe sottolineano la legge del karma in modo specifico e dettagliato. Far del male a chi è indifeso è descritto come un atto particolarmente grave, che comporta conseguenze inevitabili e dolorose. Le varie forme di sofferenza descritte – dolore, povertà, fallimento, malattia, follia, persecuzione, violenza, angoscia e rovina – rappresentano il ventaglio di risultati negativi che possono scaturire da azioni ingiuste. Il riferimento alla sofferenza dopo la morte, dove gli aggressori "incontrano faccia a faccia i propri torti", introduce l'idea di una giustizia karmica che va oltre la vita presente, alludendo a una retribuzione che può continuare nelle vite future o in stati esistenziali postumi.

Il messaggio è chiaro: non possiamo sfuggire alle conseguenze delle nostre azioni. Questo ci ricorda l'importanza di coltivare la compassione e l'empatia, soprattutto verso i più vulnerabili. Il Budda ci insegna che ogni azione compiuta con malevolenza non solo danneggia l'altro, ma ritorna inevitabilmente su chi l'ha compiuta, creando un ciclo di sofferenza dal quale è difficile uscire. Coltivare la bontà e l'altruismo è, quindi, essenziale per vivere una vita in pace e armonia, e per interrompere il ciclo delle sofferenze.


141
Né l'ascetismo esteriore
né l'umiliazione di sé
né alcuna privazione fisica
purificano il cuore
di chi è ancora oscurato dal dubbio.

Il Budda ci insegna che la pratica autentica non risiede nelle mere apparenze esteriori o nelle pratiche di mortificazione del corpo. Spesso, possiamo essere tentati di pensare che atti visibili di rinuncia, come privarsi di cibo o infliggersi sofferenza fisica, possano dimostrare la nostra purezza o il nostro progresso spirituale. Tuttavia, questi gesti esteriori, per quanto impressionanti, non sono sufficienti se la mente e il cuore non sono purificati da dentro.

Il "dubbio" menzionato qui si riferisce all’incertezza spirituale, al non vedere chiaramente la realtà come è. Nel buddismo, il dubbio è considerato uno degli ostacoli più grandi nel percorso verso l'illuminazione, poiché ci tiene legati all’ignoranza e alla confusione. Finché il nostro cuore è offuscato dal dubbio, qualsiasi forma di austerità non sarà in grado di portarci alla liberazione.

Il vero cammino verso la purificazione passa attraverso la comprensione profonda, il discernimento interiore e lo sviluppo della saggezza. Solo liberandoci del dubbio e coltivando una visione chiara possiamo sperimentare una purificazione autentica, che non dipende dalle manifestazioni esteriori ma dalla trasformazione del nostro stato mentale.


142
Vesti sgargianti
non sono di per sé
ostacolo alla libertà.
E' un cuore in pace
puro, domato
vigile e senza macchia
a distinguere un rinunciante
un pellegrino, un essere nobile.

Questa strofa ci invita a riflettere su come l'apparenza esteriore non sia un indicatore del cammino spirituale. Le “vesti sgargianti” sono una metafora per le distrazioni esteriori, che possono sembrare rilevanti, ma non determinano la purezza del cuore o la vera liberazione. Spesso siamo tentati di giudicare il progresso spirituale di qualcuno basandoci su segni esteriori, come abiti o comportamenti, ma il Budda ci ricorda che la vera nobiltà e la vera rinuncia risiedono nel cuore.

Il cuore “puro, domato, vigile e senza macchia” è quello che ha superato le passioni, l'avidità e l'odio, ed è costantemente attento a mantenere la consapevolezza. Questo stato interiore, libero da impurità, è ciò che davvero distingue un “essere nobile” da chi è ancora legato ai desideri mondani.

Per noi, questa strofa rappresenta un invito a concentrarci più sul nostro stato mentale e sulla nostra condotta interiore, piuttosto che sull’apparenza esteriore o su segni superficiali di spiritualità. Solo quando avremo domato e purificato il nostro cuore, potremo dire di percorrere davvero la via della libertà.


143
Un cavallo ben addestrato
non ha bisogno di freno.
Rari sono gli esseri a cui
per moderazione e disciplina
non serve ammonimento.

Questo verso ci invita a riflettere sull'importanza della disciplina interiore. Così come un cavallo ben addestrato non ha bisogno di un freno per essere controllato, anche noi, una volta coltivata una mente addestrata, non necessitiamo di ammonimenti esterni. Il controllo non deve essere imposto dall'esterno, ma deve sorgere dall'interno, grazie alla moderazione e alla consapevolezza.

Il Budda ci insegna che la vera padronanza di sé è il risultato di una pratica costante che coinvolge mente, corpo e parola. La "moderazione" di cui parla non è solo limitarsi nelle azioni, ma è il frutto della profonda comprensione delle cause della sofferenza e dell’impermanenza di ogni cosa. Non ci facciamo più guidare dalle passioni, perché abbiamo imparato a riconoscerne la natura.

Nel buddismo, "disciplina" si riferisce all’osservanza dei precetti e al costante sforzo di purificare il cuore. Il vero praticante non ha bisogno di rimproveri perché il suo impegno nasce dalla consapevolezza della sofferenza e dalla volontà di liberarsi da essa. Solo pochi, come dice il verso, riescono a raggiungere questo livello di disciplina, ma tutti possiamo aspirare a questa libertà.


144
Lascia che il timore di una mediocrità senza fine
ti sproni a un ardente impegno
come per incitare
un cavallo ben addestrato
basta il tocco della frusta.
Abbandona il peso dell'interminabile contesa
con fiducia non esaltata
con purezza d'azione
impegno, concentrazione
e con consapevole e disciplinata
dedizione al sentiero.

Il Buddha ci invita a considerare la paura di condurre una vita insignificante come un segnale per risvegliarci e dedicarci con ardore alla pratica. Così come un cavallo ben addestrato reagisce immediatamente a un leggero tocco della frusta, allo stesso modo noi dobbiamo rispondere prontamente al richiamo della nostra consapevolezza, lasciandoci spronare dalla paura di una vita vuota e priva di profondità.

Questo stimolo ci spinge a lasciare indietro le contese e le distrazioni, e a focalizzarci su un impegno consapevole e disciplinato, coltivando azioni pure, concentrazione e dedizione al sentiero spirituale.


145
I costruttori di canali
convogliano il flusso dell'acqua.
I fabbri forgiano le frecce.
I falegnami lavorano il legno.
I buoni domano se stessi.

Questo verso ci invita a riflettere su come le abilità pratiche e manuali siano paragonabili alla pratica spirituale. I costruttori di canali guidano l’acqua, i fabbri modellano il metallo, i falegnami lavorano il legno: ogni mestiere richiede disciplina, attenzione e abilità. Allo stesso modo, chi aspira a seguire la via del Budda deve "domare" se stesso, cioè deve sviluppare autocontrollo e consapevolezza.

Il verbo "domare" implica che noi stessi siamo come una forza grezza che necessita di essere affinata, trasformata. La mente non addestrata può essere caotica e impulsiva, mentre la mente disciplinata diventa uno strumento potente per raggiungere la saggezza e la pace interiore.

L'analogia ci insegna che come un artigiano dedica tempo e pazienza al proprio mestiere, anche noi dobbiamo dedicare attenzione e sforzo alla pratica spirituale. Il cammino verso la liberazione richiede uno sforzo costante di auto-riflessione e miglioramento, coltivando qualità come la rettitudine, la pazienza e la compassione.


 

LA VECCHIAIA

146
Come ridere?
Come abbandonarsi alla gioia
se il mondo è in fiamme?
Perché sei avvolto nel buio
non dovresti cercare la luce?

Questa strofa ci invita a riflettere profondamente sulla condizione esistenziale in cui ci troviamo. Il mondo è descritto come "in fiamme", una metafora che nel buddismo rappresenta l'impermanenza, il dolore e la sofferenza (dukkha) che permeano l'esistenza condizionata. Le "fiamme" si riferiscono alle passioni, ai desideri insoddisfatti e alle illusioni che ci tengono legati al ciclo del samsara, il ciclo infinito di nascita, morte e rinascita.

La domanda "come ridere?" ci sollecita a chiederci come possiamo indulgere nei piaceri superficiali e nelle distrazioni quotidiane quando siamo circondati dalla sofferenza. Nel buddismo, il primo passo verso il risveglio è proprio riconoscere la sofferenza e la sua onnipresenza.

L'ultima parte della strofa ci spinge a cercare la "luce" – che simboleggia la saggezza (panna) e l'illuminazione. Quando siamo "avvolti nel buio" dell'ignoranza (avidya), non dovremmo rassegnarci, ma piuttosto cercare la via della liberazione attraverso il Dharma, gli insegnamenti del Budda. Questa ricerca della luce è il cammino che ci porta alla fine del dolore e alla pace interiore.


147
Guarda questo corpo un tempo imbellettato:
sapeva attrarre l'attenzione
ma ora non è che carne che va guastandosi
semplice putridume.
Non è né solido né reale.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura transitoria del corpo e della bellezza fisica. Un tempo il corpo poteva sembrare affascinante, capace di attirare lo sguardo degli altri, ma col passare del tempo, il suo deterioramento diventa evidente. Questa immagine del corpo in decadenza è usata per mostrarci la realtà dell'impermanenza, uno dei concetti fondamentali del buddismo.

Nel buddismo, l'impermanenza (anicca) riguarda il fatto che tutte le cose composte sono destinate a mutare e infine a dissolversi. Il corpo, nonostante la sua apparenza temporanea di solidità, è fatto di elementi destinati a decomporsi. Questa consapevolezza ci aiuta a liberarci dall'attaccamento al corpo e alla bellezza, ricordandoci che queste qualità non sono né durature né reali nel senso profondo del termine.

Il Budda ci esorta, quindi, a non cercare rifugio o identità in ciò che è destinato a svanire. Questo ci prepara a guardare oltre l'apparenza fisica e ad esplorare ciò che è stabile e permanente: la saggezza, la compassione e la consapevolezza della realtà così com'è.


148
Questo corpo con gli anni si consuma;
la malattia è sua ospite:
vulnerabile, fragile
un ammasso decrepito che va disintegrandosi
e infine svanisce nella morte.

Questo verso ci ricorda la transitorietà e la fragilità del corpo umano. Il Budda ci invita a riflettere su questa realtà come parte integrante del cammino verso la saggezza. Il corpo è descritto come qualcosa che, con il tempo, si consuma, ospitando malattie e disfacendosi fino alla sua inevitabile morte. Questa consapevolezza non ha lo scopo di suscitare pessimismo, ma di promuovere un atteggiamento realistico e distaccato nei confronti della vita fisica.

Nel buddismo, l'attaccamento al corpo e alle sue esperienze è una delle principali cause di sofferenza (dukkha). Quando ci identifichiamo completamente con il nostro corpo, soffriamo inevitabilmente per il suo deterioramento. Comprendere che il corpo è destinato a invecchiare e morire ci aiuta a sviluppare un distacco salutare e una maggiore attenzione alle dimensioni spirituali della nostra esistenza.

In questo contesto, il corpo non viene disprezzato, ma visto nella sua realtà contingente. Liberarci dall'attaccamento al corpo è un passo fondamentale per ridurre la sofferenza e avanzare verso la liberazione, perché ci spinge a cercare rifugio non nel temporaneo, ma nella verità profonda e imperitura del Dharma.


149
Che piacere serba la vita
una volta scorte
vecchie ossa sbiancate
abbandonate e sparse intorno?

Questa strofa ci invita a riflettere sulla transitorietà del corpo e della vita fisica. Il Budda spesso sottolineava l'importanza di contemplare la morte (maranasati), non per instillare paura, ma per portarci a comprendere la vera natura dell’esistenza e ridurre l’attaccamento al mondo materiale.

Nichiren Daishonin scrisse:

[...]
Il mucchio d’ossa dei corpi nei quali abbiamo vissuto e siamo morti nel corso di un kalpa è più alto del monte Sumeru e più profondo della terra. Anche se le nostre vite sono preziose, troppo facilmente ci vengono strappate.
[...]
 
tratto da: Risalire la Porta del Drago
 
[...]
“Sebbene tu sia partito all’alba per il viaggio della vita, orgoglioso delle tue belle guance rosee, alla sera non sarai che un mucchio di bianche ossa che marciscono nella brughiera”. Per quanto tu possa frequentare la compagnia dei nobili di corte, coi capelli acconciati elegantemente come nuvole e le maniche svolazzanti come turbini di neve, tutti questi piaceri, quando ti fermi a considerarli, non sono nient’altro che un sogno dentro un sogno. Alfine dovrai venire a giacere sotto il tappeto d’erba ai piedi della collina, e i tuoi baldacchini ingioiellati e le tende di broccato a cosa ti serviranno sulla strada per l’aldilà?
[...]
 
tratto da:  Conversazione fra un santo e un uomo non illuminato
 

Il piacere sensuale e la bellezza del corpo sono effimeri. Vederli in relazione alla loro impermanenza ci aiuta a disincantarci dalle illusioni che ci legano ai desideri fisici. Il corpo è spesso associato a oggetto di attaccamento e orgoglio, ma questa strofa ci sprona a riconoscere la sua vera natura di decomposizione e morte.

Riflettendo sulla realtà del corpo come composto di ossa e carne destinate a scomparire, ci avviciniamo alla consapevolezza dell'impermanenza. Questa comprensione è essenziale per ridurre la sofferenza e abbracciare il cammino verso la liberazione. Non c'è vero piacere duraturo nella materialità, e solo distaccandoci da essa possiamo trovare la pace interiore.


150
Il corpo fisico non è che ossa
coperte di carne e sangue.
Dentro ammassati
decadimento e morte, orgoglio e malignità.

Questa strofa ci invita a riflettere sulla natura transitoria e impermanente del nostro corpo. In essa, il corpo è descritto come una combinazione di elementi che sono soggetti a deterioramento e decomposizione, come ossa, carne e sangue. Questi elementi fisici ci ricordano che il corpo umano è fragile e destinato al decadimento, proprio come tutto ciò che è condizionato e impermanente nel mondo.

Il Budda ci incoraggia a non attaccarci al corpo, né a sviluppare orgoglio o arroganza basati sulla nostra fisicità, perché ciò che compone il corpo è destinato a invecchiare, ammalarsi e morire. Orgoglio e malignità sono accostati alla decadenza fisica, simboleggiando come anche i nostri difetti mentali e spirituali siano radicati in questa realtà impermanente. Questo ci spinge a riflettere sull'importanza di coltivare la saggezza e la consapevolezza piuttosto che alimentare l'attaccamento al corpo o al mondo materiale.

Seguendo questo insegnamento, possiamo imparare a vedere il corpo come uno strumento temporaneo e concentrarci su ciò che è realmente duraturo.


151
Tramandato dai saggi
è il sapere che la verità
sopravvive alla dissoluzione
benché ciò che è esternamente entusiasmante
perda di smalto
e benchè il corpo decada.

Con il tempo, la bellezza e il fascino svaniscono, e il corpo umano inevitabilmente si deteriora con la vecchiaia e la morte. Tuttavia, ciò che è più importante, la verità, sopravvive a tutto questo. La verità, nel contesto buddista, si riferisce agli insegnamenti del Dharma (la legge naturale, la realtà ultima), che trascende la natura effimera delle cose materiali.

Il nostro compito, dunque, è discernere tra ciò che è temporaneo e ciò che è eterno. Non dovremmo essere attaccati alle cose che inevitabilmente passano, come l'apparenza fisica o i piaceri superficiali. Piuttosto, dovremmo impegnarci a cercare la verità, che è duratura e ci porta alla liberazione dalla sofferenza.

Questa strofa ci invita a distaccarci dall'illusione del "sé" corporeo e a rivolgerci verso il Dharma, che rappresenta la luce che non viene oscurata dall'impermanenza del mondo materiale. In questo modo, possiamo avvicinarci alla saggezza e alla pace interiore.


152
Come buoi nella stalla
invecchiano gli stolti, mettendo su carne
e restando piccoli di mente.

Questa strofa ci invita a riflettere sul senso della crescita, differenziando tra quella fisica e quella mentale o spirituale. L’immagine dei buoi che invecchiano nella stalla, ingrassando senza cambiare veramente, rappresenta coloro che vivono una vita materiale, concentrata esclusivamente sul corpo e i suoi piaceri, ma senza coltivare la propria mente e la propria saggezza.

Noi possiamo intendere il messaggio come un avvertimento a non limitarci alla mera sopravvivenza o a vivere meccanicamente, accumulando esperienza fisica o ricchezze senza accrescere la nostra comprensione interiore. Crescere spiritualmente significa coltivare la consapevolezza, sviluppare virtù come la saggezza, la compassione e la visione chiara della realtà. Restare “piccoli di mente” implica invece rimanere legati all’ignoranza, ai desideri e alle illusioni del mondo materiale.

Il Budda ci insegna che il vero sviluppo avviene attraverso la pratica del Dharma, che porta alla liberazione dalle sofferenze. Non basta invecchiare o vivere una vita lunga, ma è fondamentale dirigere i nostri sforzi verso la crescita interiore, affinché la nostra esistenza abbia un senso più profondo.


153-154
Per vite innumerevoli ho vagato
cercando invano
il costruttore della casa
della mia sofferenza.
Ma ora ti ho trovato, costruttore
di nulla da oggi in poi.
Le tue assi sono state rimosse
e spezzata la trave di colmo.
Il desiderio è tutto spento;
il mio cuore, unito all'increato.

In queste strofe, il Budda descrive il momento del suo risveglio, rivolgendosi al "costruttore della casa della mia sofferenza". Questo "costruttore" può essere identificato con Mara, la personificazione delle illusioni e delle tentazioni, colui che rappresenta gli ostacoli alla liberazione. Durante il risveglio del Budda, Mara cercò di distoglierlo dal suo cammino, ma fallì. In questo senso, le "assi" e la "trave di colmo" rappresentano il desiderio e l'illusione che Mara usa per legarci all'esistenza condizionata.

L'espressione "esistenza condizionata" si riferisce al ciclo di nascita, morte e rinascita (samsara) in cui tutti gli esseri sono intrappolati. Questo ciclo è alimentato dalle forze del desiderio, dell'ignoranza e delle azioni passate (karma), che continuano a creare le condizioni per la sofferenza. Fino a quando restiamo sotto il dominio di queste forze, rimaniamo prigionieri di Mara e della sofferenza.

Quando il Budda dice "le tue assi sono state rimosse", egli afferma di aver smantellato le basi del ciclo della sofferenza, superando il desiderio e liberandosi dalla presa di Mara. Il "cuore unito all'increato" si riferisce al raggiungimento del nirvana, uno stato di pace e libertà al di là del ciclo delle rinascite, dove Mara non può più esercitare il suo potere.

Questa strofa ci ricorda che la liberazione dalla sofferenza è possibile solo quando riconosciamo e superiamo i legami del desiderio e delle illusioni, incarnati da Mara.


155
Coloro che in gioventù
non scelgono una vita di rinuncia
né ricavano un buon profitto dal lavoro
finiscono vecchi aironi intristiti
presso uno stagno senza pesci.

Questa strofa ci invita a riflettere sul significato delle scelte che facciamo nella nostra giovinezza. Il Budda ci presenta due opzioni altrettanto valide: dedicarsi alla vita monastica, ovvero a una vita di rinuncia agli attaccamenti materiali, o trarre un profitto dal proprio lavoro mondano, inteso non solo come guadagno economico, ma come impegno produttivo e significativo nella società.

Se in gioventù non scegliamo nessuna di queste due vie – né la vita monastica né un'attività lavorativa che dia frutto – rischiamo di invecchiare con un senso di vuoto e rimpianto. L'immagine dell'airone vecchio e intristito presso uno stagno senza pesci evoca questa desolazione, cioè un'esistenza in cui, ormai giunti alla fine, ci accorgiamo di non aver coltivato né una ricca vita spirituale né un appagamento nel mondo materiale.

L'insegnamento ci invita a riflettere sulla necessità di scegliere consapevolmente il proprio percorso, dedicandosi o alla pratica spirituale o a un lavoro utile e significativo, per non arrivare alla vecchiaia con rimpianti e insoddisfazione.

(La "rinuncia" può avere anche un significato più generale, come vedremo alla strofa 167)


156
Coloro che in gioventù
non scelgono una vita di rinuncia
né ricavano un buon profitto dal lavoro
come frecce che mancato il bersaglio
cadono stanche
rimpiangeranno il passato.

Questa strofa completa il pensiero della precedente, sottolineando il tema del rimpianto. Il Budda ci insegna che coloro che non hanno scelto una vita monastica né si sono dedicati a un lavoro significativo durante la loro giovinezza saranno come "frecce che, mancato il bersaglio, cadono stanche". L'immagine della freccia che fallisce il bersaglio simboleggia uno sforzo vano, una vita sprecata, un tentativo fallito.

Il rimpianto è il risultato di una vita priva di scopo o di una direzione chiara. Il Budda ci spinge quindi a riflettere sul nostro cammino. Se manchiamo di fare scelte significative, ci troveremo, in vecchiaia, a lamentare le opportunità perdute, incapaci di cambiare ciò che è ormai passato.


 

SE STESSI

157
Se siamo cari a noi stessi
ci veglieremo solleciti
giorno e notte.

In questa strofa, il Budda ci invita a coltivare la consapevolezza e la cura di noi stessi. Il termine "vegliare" si riferisce all'attenzione e alla vigilanza costante che dobbiamo mantenere verso la nostra mente e il nostro comportamento. Questo implica non essere solo attenti alle azioni esteriori, ma soprattutto alle dinamiche interiori, ai pensieri e alle emozioni che spesso possono sfuggire al controllo e causare sofferenza.

L'idea di essere "cari a noi stessi" non deve essere confusa con l'egoismo o il narcisismo. Nel buddismo, la cura di sé ha un significato profondo, significa prendersi la responsabilità del proprio cammino spirituale e della propria liberazione. Se davvero desideriamo il nostro bene, dobbiamo essere diligenti e praticare la consapevolezza con costanza, evitando di cadere nella pigrizia mentale o nei desideri fuorvianti.

Questa strofa ci ricorda che la vera protezione e il vero rifugio risiedono nella nostra stessa disciplina interiore. Essere solleciti "giorno e notte" rappresenta l'impegno continuo, senza distrazioni, necessario per ottenere pace e liberazione dalle sofferenze della vita. Questo è il cuore della pratica buddista.


158
E' saggio
consolidare se stessi
prima di dare indicazioni agli altri.

Prima di cercare di guidare o correggere gli altri, dovremmo lavorare sulla nostra stessa crescita e trasformazione interiore. Il Budda ci insegna che il vero cambiamento parte da dentro, e solo quando siamo stabilmente ancorati alla pratica e alla consapevolezza possiamo davvero essere di aiuto agli altri.

Questo non significa che dobbiamo essere "perfetti" (qualunque cosa possa significare...) prima di offrire sostegno o guida, piuttosto dovremmo riflettere sull’importanza della coerenza tra ciò che insegniamo e ciò che pratichiamo. Se non abbiamo ancora domato la nostra mente o non siamo in armonia con i principi del Dharma, i nostri consigli rischiano di essere vuoti o poco efficaci.

Inoltre, questa strofa ci ricorda che siamo responsabili innanzitutto del nostro cammino. La consapevolezza del proprio stato mentale e spirituale è una delle pratiche fondamentali del buddismo. Solo attraverso un lavoro costante su di noi possiamo contribuire al benessere degli altri. Così, consolidando la nostra saggezza e virtù, diventiamo un esempio vivente, ispirando gli altri non solo con le parole, ma con la nostra stessa presenza.


159
Il più difficile dei discepoli siamo noi stessi.
Pratica quello che insegni:
doma te stesso
prima di cercare di domare altri.

Questa strofa amplifica il messaggio della precedente, sottolineando come la sfida più ardua che affrontiamo nel nostro cammino spirituale non è quella di correggere gli altri, ma di lavorare su noi stessi. Il Budda ci esorta a essere coerenti: prima di trasmettere insegnamenti agli altri, dobbiamo essere noi stessi in armonia con ciò che predichiamo.

Il concetto di "domare" rimanda al controllo della mente e delle emozioni. Nel buddismo, la mente è spesso paragonata a un animale selvaggio che deve essere addomesticato attraverso la disciplina e la pratica costante. Solo una volta che abbiamo imparato a controllare i nostri desideri, le nostre paure e le nostre illusioni, possiamo sperare di guidare gli altri con saggezza e compassione.

Con umiltà, dovremmo riconoscere le nostre difficoltà e imperfezioni e lavorarci su con pazienza, piuttosto che concentrarci solo sugli errori altrui. Praticare ciò che insegniamo non è solo un atto di integrità, ma un modo per far sì che il nostro esempio parli più forte delle nostre parole.


160
In verità è su di noi
che possiamo contare;
come contare
su qualcun altro?
E' un raro rifugio
arrivare ad affidarci
a noi stessi.

Questa strofa ci invita a riflettere sull'importanza dell'autosufficienza e della responsabilità personale nel cammino verso la liberazione. Nel buddismo, il termine "rifugio" si riferisce a ciò che ci protegge o ci sostiene, e generalmente si trova nei Tre Gioielli: il Budda, il Dharma (l'insegnamento) e il Sangha (la comunità dei praticanti). Tuttavia, qui si evidenzia che la fonte ultima di fiducia deve risiedere dentro di noi. Non possiamo fare pieno affidamento sugli altri per il nostro progresso spirituale.

Il Budda ci insegna che la vera saggezza e la pace interiore derivano dall'osservazione e dalla padronanza di noi stessi. Questo concetto si ricollega all'idea che ognuno di noi deve percorrere la propria strada, con sforzo e disciplina. Anche se possiamo ricevere guida e ispirazione dagli altri, la pratica, la crescita e l'illuminazione sono nostre responsabilità.

Infine, questa strofa sottolinea che è raro trovare rifugio in se stessi, perché richiede un profondo lavoro interiore e una stabilità mentale non facile da raggiungere. Ma chi riesce in questo è davvero al sicuro dalle difficoltà del mondo esterno.


161
Come un diamante taglia la pietra
in cui un tempo albergava
così può sbriciolarti il male
che tu stesso compi.

Il paragone tra il diamante e la pietra racchiude un significato profondo. Il diamante, emblema di durezza e forza, si forma nelle profondità della terra (circa 150-200 chilometri sotto la superficie terrestre), proprio all'interno della roccia da cui prende origine. Allo stesso modo, le azioni negative nascono nelle profondità del nostro essere, sono il prodotto della nostra ignoranza, del nostro egoismo, della nostra stupidità, e delle nostre intenzioni. Fondamentalmente il male nasce da dentro di noi ogni volta che ci sentiamo "distaccati", "separati" dalle altre creature. Tuttavia, le nostre azioni malvage possono acquisire un potere che ci sovrasta, proprio come il diamante, che essendo più duro della pietra che lo ha generato può tagliarla e distruggerla.

Il male che compiamo somiglia a un boomerang, perché parte da noi e ritorna inevitabilmente colpendoci, ma con una forza maggiore di quella che abbiamo usato. Questo colpo non si limita a un danno fisico o esterno, ma può tradursi anche in una disgregazione interiore. Lo "sbriciolarsi" evocato nel verso può essere inteso come la frantumazione della nostra mente e della nostra anima, portando con sé confusione, rimorso e sofferenza.

Tutto ciò esemplifica il concetto di karma, cardine del buddismo.


162
Chi commette il male
si comporta verso se stesso
come il peggiore dei nemici.
Come il rampicante
che soffoca l'albero
che lo sorregge.

Questo verso ci invita a riflettere sulla natura distruttiva delle nostre azioni negative. Quando compiamo il male, non danneggiamo solo gli altri, ma anche noi stessi, diventando i peggiori nemici di noi stessi. È come un rampicante che, pur crescendo grazie al sostegno dell'albero, finisce per soffocarlo. Allo stesso modo, le nostre azioni nocive soffocano la nostra crescita spirituale e ci impediscono di progredire sulla via della liberazione.

Il concetto di "male" nel buddismo è legato all'ignoranza e alle emozioni distruttive, come l'odio e l'avidità, che alimentano il samsara, il ciclo di nascita e morte caratterizzato dalla sofferenza. Il male, come un rampicante, può sembrare inizialmente innocuo o perfino vantaggioso, ma col tempo si espande e diventa un ostacolo insormontabile alla nostra felicità e serenità interiore.

Questo insegnamento ci incoraggia a prestare attenzione alle nostre azioni e a coltivare una mente virtuosa, evitando le cause di sofferenza per noi stessi e per gli altri. Comprendere questa dinamica è fondamentale per liberarsi dal ciclo del karma negativo e avvicinarsi alla pace interiore.


163
E' facile a farsi quello
che non fa bene a nessuno
difficile invece è fare alcunché
di veramente utile e buono.

Il cammino del bene è arduo e richiede disciplina e sforzo, mentre compiere azioni che arrecano danno o che non apportano alcun beneficio è molto più semplice. La "retta azione", parte del Nobile Ottuplice Sentiero, è necessaria per alleviare la sofferenza e raggiungere la liberazione.

Spesso siamo attratti dalla via della minore resistenza, agendo per abitudine o per comodità, anche quando queste azioni non portano un beneficio concreto né a noi né agli altri. Il Budda ci esorta invece a seguire la via del bene, che è impegnativa ma porta alla vera serenità.

L’invito è a essere consapevoli del valore delle nostre azioni, compiendo scelte che siano utili e altruistiche. Anche se più difficili da intraprendere, le azioni virtuose hanno un impatto profondo, sia su noi stessi che sul mondo intorno a noi, e ci aiutano a coltivare la saggezza e la compassione, elementi essenziali per il nostro progresso spirituale.

[...] Più imbocchiamo la via facile, la via della minore resistenza, più seguiamo solo i nostri desideri, più la mente diviene trascurata, distratta e confusa. [...]

[...] Anicca, dukkha e anattā non sono concetti in cui crediamo, ma caratteristiche che possiamo osservare. [...]
 
[...] Il genere di conoscenza che acquisiamo dalla meditazione buddhista ci rende umili. Ajahn Chah la definisce la conoscenza del lombrico – non ti rende arrogante, non ti fa montare la testa, non ti fa sentire che sei qualcuno o che hai ottenuto qualcosa. In termini mondani, questa pratica non sembra molto importante o necessaria. [...] Ci sono state persone che si sono confrontate con me in proposito, dicendomi: “Cosa fate voi monaci seduti lì tutto il tempo? Cosa state facendo per aiutare l’umanità? Siete solo degli egoisti, vi aspettate che la gente vi porti il cibo mentre voi non fate che stare seduti a guardare il respiro. State scappando dal mondo reale”.
 
Ma cos’è il mondo reale? Chi sta davvero scappando, e da cosa? Cosa dovremmo affrontare? Scopriamo che quello che le persone chiamano il mondo reale è il mondo in cui credono, il mondo verso il quale hanno degli obblighi, oppure il mondo che conoscono e che è loro familiare. Ma quel mondo è una condizione della mente. Meditare vuol dire confrontarsi per davvero con il mondo reale, riconoscendo e prendendo atto di com’è veramente, invece di credergli, o di giustificarlo, o di cercare mentalmente di annichilirlo. [...]
 
[...] Quindi con una mente tranquilla diventiamo consapevoli dello schema ciclico, vediamo che tutto ciò che sorge cessa. [...]
 
tratto da: "Anāpānasati" (lett.: "Consapevolezza del respiro"), da libro "Now is the knowing" di Ajahn Sumedho

Quindi, stiamo attenti su cosa sia realmente benefico e altruiscono. A tal proposito, potremmo tenere a mente il "Maharishi Effect". Nel 1978, 7.000 persone meditarono con l’intenzione di avere un effetto positivo sulla città circostante per tre settimane consecutive. Il risultato dei loro sforzi di meditazione intenzionali e collettivi fu che l’energia collettiva della città venne completamente trasformata: si ridussero i tassi globali di criminalità, gli atti violenti e le morti in media del 16%; diminuirono i suicidi e gli incidenti stradali, tenendo conto di tutti i fattori variabili; le attività terroristiche si ridussero del 72% nel corso del progetto di meditazione. Da allora sono stati condotti più di 50 studi per verificare la validità dell’Effetto Maharishi e i risultati hanno confermato l’impatto diretto che la meditazione globale ha sul mondo.


164
Come il bambù distrugge se stesso
nel dare frutto
a se stessi fanno male gli stolti
prestando fede a false opinioni
e deridendo i saggi
che vivono in accordo con la Via.

Il bambù è una pianta particolare, che fiorisce e produce frutti solo una volta nella sua vita. Quando lo fa, impiega così tanta energia in questo processo che finisce per morire subito dopo. Questo è un ciclo naturale del bambù, che, per dare frutto, si consuma completamente. La strofa usa questa immagine per rappresentare come le nostre cattive azioni, guidate da false opinioni e dall’ignoranza, finiscano per danneggiare noi stessi. Proprio come il bambù si autodistrugge nel dare frutto, allo stesso modo lo "stolto", agendo in base a convinzioni errate e deridendo chi segue la saggezza, si autodistrugge attraverso le proprie azioni. Il "frutto" del bambù è quindi una metafora per le azioni malvagie o dannose.

Il termine "stolto" nel buddismo si riferisce a chi è prigioniero dell'illusione, dell'ignoranza e delle opinioni errate (micchā-diṭṭhi), mentre i "saggi" sono coloro che vivono secondo il Dharma, l'insegnamento del Budda. Deridere i saggi significa rifiutare la verità e perpetuare l'ignoranza. Ciò porta l'individuo a soffrire, poiché si allontana dalla Via che conduce alla liberazione dalla sofferenza.

L'insegnamento principale qui è che le false opinioni non solo impediscono di vedere la realtà così com'è, ma attivamente ci conducono alla rovina. Per questo, dobbiamo cercare di purificare la nostra mente e il nostro cuore, coltivando la saggezza e l'umiltà per riconoscere gli insegnamenti corretti e seguire la Via.


165
Siamo noi a fare il male
e siamo noi a diventare impuri.
Siamo noi a evitare il male
e siamo noi a essere puri.
La purezza
è nelle nostre mani.
Nessun altro è responsabile.

Questa strofa pone al centro la responsabilità personale, un tema cardine del pensiero buddista. Non c’è una divinità esterna che giudica o premia, ma siamo noi a plasmare il nostro cammino attraverso le nostre azioni, le nostre parole e i nostri pensieri. Questa responsabilità è allo stesso tempo una sfida e un'opportunità: ci ricorda che il nostro destino è nelle nostre mani, che possiamo cadere ma anche risollevarci grazie alla nostra volontà e consapevolezza.

Quando si parla di "purezza" nel contesto buddista, non si tratta di un concetto morale assoluto, ma piuttosto della capacità di liberare la mente da inquinanti come l’avidità, l’odio e l’illusione. Questi inquinanti oscurano la nostra visione e ci impediscono di sperimentare la vera natura della realtà, che il Budda ha descritto come impermanente (anicca), insoddisfacente (dukkha) e priva di un sé permanente (anatta).

La strofa ci invita a riflettere su un aspetto cruciale: se la purezza dipende da noi, allora anche il cambiamento è sempre possibile. È un messaggio di speranza e di forza interiore: non importa quanto ci sentiamo "impuri" o lontani dal cammino, ogni istante è una nuova opportunità per correggere il nostro percorso e orientare la mente verso il bene.

Nichiren Daishonin scrisse:

Sia che tu invochi il nome del Budda, che reciti il sutra o semplicemente offra fiori e incenso, tutte le tue azioni virtuose metteranno nella tua vita buone radici e benefici. Pratica la fede con questa convinzione. Il Sutra di Vimalakirti [...] afferma inoltre che, se la mente degli esseri viventi è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra; non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente.
 
tratto da: Il conseguimento della Buddità in questa esistenza

E' però vero che le influenze esterne fanno di tutto per depistarci, nel senso di allontarci dalla pratica degli insegnamenti del Budda. Questo è il tema della strofa successiva.


166
Se conosci la tua strada
percorrila fino in fondo.
Non permettere alle richieste degli altri
per quanto insistenti
di distrarti.

Questa strofa completa e arricchisce il pensiero della precedente, affrontando il tema delle influenze esterne e della nostra capacità di rimanere saldi. Il Budda ci ricorda che conoscere il sentiero, la Via — ovvero il Nobile Ottuplice Sentiero — è solo l’inizio. La vera sfida è mantenere la determinazione a seguirlo nonostante le distrazioni, le aspettative e le richieste altrui.

Nella pratica buddista, le influenze esterne spesso si manifestano sotto forma di attaccamenti, desideri mondani o pressioni sociali. Tuttavia, queste non devono diventare scuse per deviare dal nostro cammino. Il verso sottolinea l'importanza della risolutezza: una volta che abbiamo riconosciuto ciò che è salutare e in accordo con il Dharma (l’insegnamento del Budda), dobbiamo coltivare la forza interiore per procedere senza esitazioni.

È utile riflettere sul concetto di "non distrarsi". Questo non significa ignorare gli altri o chiudersi in un atteggiamento egoistico, ma piuttosto distinguere con saggezza le richieste che ci avvicinano alla pratica da quelle che ci allontanano. Rimanere fedeli alla Via implica discernimento, attenzione e la capacità di dire "no" a ciò che non contribuisce alla nostra liberazione.

Infine, la strofa ci invita a coltivare l’autonomia spirituale: anche se le influenze esterne possono essere potenti, la responsabilità ultima rimane nostra. La pratica è personale, ed è attraverso la continuità e l’impegno che possiamo affrontare le distrazioni e progredire verso la libertà interiore.


 

IL MONDO

167
Rinunciando ai percorsi inutili
e non vivendo sconsideratamente
non seguendo false opinioni
non nutriamo la confusione.

Questa strofa del Dhammapada ci invita a riflettere sull'importanza della "rinuncia" consapevole e del vivere in accordo con la verità. Quando il testo menziona "percorsi inutili", si riferisce a quegli obiettivi e attività che non conducono alla liberazione o alla pace interiore, ma piuttosto alimentano l'attaccamento e l'illusione. È una chiamata a riconoscere quali azioni sono davvero significative per la nostra crescita spirituale.

Il tema della "rinuncia" merita un chiarimento, che possiamo trarre da "Il significato essenziale di tutti gli insegnamenti di Budda?":

La rinuncia è un invito a guardare oltre le apparenze superficiali della vita, a sondare le profondità della nostra esistenza con sincerità e coraggio. Non si tratta di abbandonare le gioie o le responsabilità del mondo, ma di sviluppare una consapevolezza profonda della natura insoddisfacente e transitoria dell'esistenza ciclica, conosciuta come samsara.
 
Riflettendo sulla natura della sofferenza, possiamo contemplare le quattro nobili verità insegnate dal Budda: la verità della sofferenza, l'origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza e il sentiero che conduce alla sua cessazione. Osserviamo come le esperienze piacevoli siano fugaci e come l'attaccamento a esse generi ansia e delusione. Comprendiamo che ogni aspetto della nostra vita è soggetto all'impermanenza: le relazioni cambiano, il corpo invecchia, le circostanze mutano.
 
Questa consapevolezza non deve portarci al pessimismo, ma piuttosto a un desiderio genuino di liberazione. Riconosciamo che la ricerca incessante di soddisfazioni temporanee non può appagare il desiderio innato di una felicità duratura. La rinuncia diventa quindi una scelta di liberarsi dalle illusioni e dalle abitudini mentali che ci tengono imprigionati nel ciclo della sofferenza.

Tornando alla strofa, il vivere "sconsideratamente" implica un’esistenza guidata dall’impulso, priva di consapevolezza e discernimento. La consapevolezza (sati) è una delle qualità fondamentali per percorrere il sentiero verso la liberazione. Essere consapevoli significa essere presenti in ogni momento, riconoscendo pensieri, emozioni e azioni, e scegliendo deliberatamente il cammino più salutare.

Le "false opinioni" indicano visioni distorte della realtà, come il credere che la felicità derivi solo dai beni materiali o dai piaceri sensoriali. Queste credenze ci mantengono intrappolati nella confusione (avijja), una delle principali cause della sofferenza.

Seguendo il consiglio del Budda, noi possiamo liberarci dalla confusione sviluppando saggezza (prajna) e discernimento. Questo richiede impegno, ma i frutti sono profondi: una vita vissuta con integrità e direzione.


168
Non atteggiarti a falsa umiltà.
Segui con fermezza la tua meta.
La pratica diligente
porta all'appagamento
sia nel presente che nel futuro.

Questa strofa ci invita a un'attitudine di sincerità e determinazione nel cammino spirituale. Il primo verso ci mette in guardia dal rischio di cadere in una falsa modestia, che non è altro che un travestimento dell'ego. Nel percorso della pratica, non dobbiamo né esagerare le nostre qualità né fingere un'umiltà che non sentiamo. La vera umiltà nasce dalla "comprensione della realtà" così com'è, senza le distorsioni dell'orgoglio o dell'insicurezza.

Nel contesto del Dhammapada e più in generale del buddismo, questa comprensione della realtà riguarda la visione diretta della natura impermanente (anicca), insoddisfacente (dukkha) e priva di un sé intrinseco (anattā) di tutte le cose.

Quando comprendiamo profondamente che non esiste un sé solido e indipendente da difendere o da esaltare, l'orgoglio e l'insicurezza perdono terreno. L'orgoglio nasce dall'attaccamento a un'immagine di noi stessi, mentre l'insicurezza è il suo riflesso opposto: il timore che questa immagine non sia abbastanza. Entrambi sono basati sull'illusione di un sé permanente e separato. Quando vediamo che tutto è interconnesso e in continuo mutamento, non c'è più bisogno di aggrapparsi a un'idea di un "io" superiore o inferiore.

I versi successivi ci spingono a mantenere la pratica spirituale con fermezza. Questa è il processo di trasformazione interiore che conduce alla liberazione dalla sofferenza (dukkha). Non è un semplice esercizio intellettuale, né un rituale fine a sé stesso, ma un cammino che coinvolge l’intero essere: mente, corpo e azioni.

Possiamo vedere la pratica come un sentiero a più dimensioni, che include tre aspetti fondamentali:

1. Disciplina etica (sīla)
Questo è il fondamento della pratica. Senza una condotta retta, la mente resta agitata e confusa. La disciplina etica non è imposta dall'esterno, ma nasce dalla comprensione che azioni basate su brama, avversione e ignoranza generano sofferenza.

2. Coltivazione della mente (samādhi)
Questa include la meditazione e la coltivazione della consapevolezza (sati). Una mente distratta e instabile è soggetta a emozioni reattive e schemi abituali. La pratica della concentrazione e della presenza mentale permette di sviluppare chiarezza, equanimità e pace interiore.

3. Saggezza (paññā)
Questa è la comprensione profonda della realtà così com'è, libera da illusioni. La saggezza buddista non è un sapere teorico, ma un'intuizione diretta della natura impermanente, insoddisfacente e priva di un sé delle cose (anicca, dukkha, anattā). Quando coltiviamo la visione profonda (vipassanā), iniziamo a vedere il mondo senza attaccamenti e paure, sviluppando una libertà autentica.

Tornando alla strofa, il verso conclusivo ci assicura che l'impegno diligente porta all'appagamento, sia nel presente che nel futuro. Questo appagamento non è una gratificazione superficiale, ma la pace interiore che nasce dall'essere in armonia con la realtà così com'è, senza attaccamento né avversione. A questo proposito, vorrei citare alcuni versi della Bhagavad Gītā (2.69-72) che, pur provenendo da una tradizione spirituale diversa dal Buddismo, danno pienamente il senso di quale sia l'appagamento, cioè la pace, che possiamo raggiungere:

Ciò che è notte per tutti gli esseri viventi, è il momento in cui l’uomo disciplinato è desto;  
ciò in cui gli esseri viventi sono desti è notte per il saggio che vede la verità.
 
Come le acque dei fiumi affluiscono nell’oceano, che rimane colmo e immutabile,  
così tutti i desideri entrano in colui che rimane impassibile;  
egli ottiene la pace, e non colui che si lascia dominare dai desideri.
 
Chi abbandona tutti i desideri, vive senza bramosia, senza senso di possesso, senza egoismo,  
costui raggiunge la pace.

Per inciso, nonostante le importanti differenze dottrinali, sia induismo che buddismo enfatizzano la necessità della disciplina interiore e del distacco per raggiungere la pace. Entrambi vedono l’azione giusta come essenziale per la crescita spirituale, e parlano del superamento dell’ego e della visione profonda come via di liberazione.


169
Vivi bene la tua vita
in accordo con la Via,
rifuggi una vita di distrazione.
Una vita ben vissuta porta all'appagamento
sia nel presente che nel futuro.

Dopo aver esortato, nella strofa precedente, a seguire con fermezza la propria meta, il Budda ribadisce l’importanza di vivere in accordo con la Via (Dharma), evitando la distrazione e l’inconsapevolezza. Questo verso completa e approfondisce il precedente, sottolineando che l’impegno spirituale non è solo questione di determinazione, ma di "modo di vivere". Soffermiamoci quindi sull'esortazione iniziale a "vivere bene".

Nella prospettiva buddista, una vita ben vissuta non si misura con il successo mondano, la ricchezza o la fama, ma con la qualità della nostra presenza mentale e della nostra condotta. Chi si lascia trascinare dalle abitudini inconsapevoli e dalle passioni non fa altro che perpetuare la sofferenza. Al contrario, chi vive in armonia con il Dharma sviluppa chiarezza, serenità e libertà interiore.

La "distrazione" (pamada) è uno dei principali ostacoli sulla Via. Significa vivere in balia delle reazioni automatiche, inseguendo piaceri effimeri e trascurando la natura impermanente (anicca) dell’esistenza. Precedentemente, nel verso 21, abbiamo letto: "La consapevolezza ricettiva apre alla vita / la fuga nella distrazione è un sentiero di morte". Non si tratta di una morte fisica, ma della morte dell’autenticità, della lucidità e della possibilità di liberazione. Un’esistenza inconsapevole è una vita sprecata.


170
Il re della morte non riesce a scovare
chi vede il mondo
come insostanziale
fugace, una bolla
illusorio, un semplice miraggio.

Il termine "miraggio" è ancora più forte di "impermanente" o "transitorio", perché non indica solo qualcosa che svanisce, ma qualcosa che appare in un modo e poi si rivela essere altro. Il mondo che percepiamo è, in un certo senso, un'allucinazione collettiva, sostenuta dalle nostre convinzioni errate, dalle nostre abitudini percettive, dai nostri limiti.

Nel buddismo, l'illusorietà della realtà fenomenica è spiegata attraverso la dottrina dell'origine dipendente (pratītya-samutpāda). Non c’è nulla che esista indipendentemente, ma ogni cosa sorge in dipendenza da altre condizioni. La nostra mente, invece, tende a solidificare ciò che è fluido, a rendere "reale" ciò che è solo un'apparenza transitoria. Questo è il motivo per cui il mondo ci sembra solido, anche se in realtà è come un sogno, un gioco di luci e ombre che cambia costantemente.

Phena Sutta (Discorso sulla Schiuma)
 
[...]
“Ora supponete che durante l’autunno – quando piove forte – una bolla d’acqua dovesse apparire e dovesse sparire sull’acqua, e un uomo di buona vista la vedesse, l’osservasse e l’esaminasse. Per lui – vedendola, osservandola ed esaminandola – apparirebbe vuota, inconsistente, senza sostanza: perché quale sostanza potrebbe esserci in una bolla d’acqua? Allo stesso modo, un monaco vede, osserva ed esamina ogni sensazione passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o sottile; comune o sublime; vicina o lontana. Per lui – vedendola, osservandola ed esaminandola – apparirebbe vuota, inconsistente, senza sostanza: perché quale sostanza potrebbe esserci in una sensazione?
 
“Ora supponete che durante l’ultimo mese della stagione calda ci fosse un miraggio, e un uomo di buona vista lo vedesse, l’osservasse e l’esaminasse. Per lui – vedendolo, osservandolo ed esaminandolo – apparirebbe vuoto, vano, senza sostanza: perché quale sostanza potrebbe esserci in un miraggio? Allo stesso modo, un monaco vede, osserva ed esamina ogni percezione passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o sottile; comune o sublime; vicina o lontana. Per lui – vedendola, osservandola ed esaminandola – apparirebbe vuota, vana, senza sostanza: perché quale sostanza potrebbe esserci in una percezione?
[...]
 
Saṃyutta Nikāya, sezione 22, discorso 95 (SN22.95)

In alcune tradizioni contemplative, questa immagine viene sviluppata ulteriormente: le bolle che si formano e svaniscono sulla superficie del mare rappresentano non solo i nostri pensieri ed emozioni, ma anche le nostre vite. Noi ci manifestiamo per un attimo come individui distinti, poi ci riassorbiamo nell’oceano della coscienza universale. Lasciamoci ispirare da questi versi del Vijñāna Bhairava, che appartiene alla tradizione dello Shivaismo tantrico del Kashmir e condivide concetti e pratiche con il Buddhismo tantrico (Vajrayana):

58. Questo cosiddetto universo appare come un gioco di destrezza, una esibizione di quadri. Per essere felice, guarda a questo così.
 
61. Come le onde vengono con l'acqua e le fiamme col fuoco, così l'universale ondeggia con noi.
 
80. Medita sulla finzione del mondo che brucia incenerito e diventa essere sopra umano.
 
105. In verità le forme sono inseparate. Inseparati sono l’essere onnipresente e la tua forma. Realizza ciascuna come fatta di questa consapevolezza.
 
106. Senti la consapevolezza di ogni persona come la tua consapevolezza. Così, lasciando da parte l’interesse per sé, diventa ogni essere.
 
(Vijñāna Bhairava Tantra)

Se continuiamo a identificarci con la bolla o con l'onda, vivremo nella paura della sua scomparsa; se invece ci riconosciamo come oceano, la paura svanisce.

Se comprendiamo questo, il "re della morte" (Mara, nel buddismo) non può più "scovarci". Mara è la personificazione dell’illusione e dell’attaccamento, il signore del samsara, il ciclo delle nascite e delle morti. Ma se comprendiamo che il mondo fenomenico è un’allucinazione della mente, ci liberiamo dal suo dominio. Non perché neghiamo l’esistenza del mondo, ma perché smettiamo di vederlo come qualcosa di solido e definitivo. La vera realtà non è nella bolla, ma nell’oceano stesso.

Questa comprensione porta alla vera libertà: non siamo più ingannati dai giochi di luce della nostra percezione, non siamo più trascinati nel turbine dell’attaccamento e dell’illusione. Chi vede il mondo per ciò che è, senza restare intrappolato nelle sue false promesse, è come chi si risveglia da un sogno o si libera da un'allucinazione ipnotica. Vive con leggerezza, senza la paura della morte, perché ha compreso di essere molto più di una bolla destinata a scoppiare: è l’acqua stessa, l’oceano senza confini.


171
Vieni, contempla questo mondo.
Guardalo: è un carro addobbato a festa.
Vedi come gli stolti sono rapiti
dalle proprie idee
mentre il saggio non nutre attaccamento.

172
C'è chi si risveglia
dall'inconsapevolezza
e fa luce nel mondo
come la luna
quando sbuca dalle nuvole.

173
Chi trasforma
vecchie e inconsapevoli abitudini
in gesti freschi e salutari
fa luce nel mondo
come la luna libera dalle nuvole.

174
Una volta presi nella rete
rari sono gli uccelli che sfuggono.
In questo mondo di illusione
rari coloro che vedono una via alla libertà.

175
I bianchi cigni si alzano in volo.
Gli adepti dello yoga
viaggiano attraverso lo spazio.
I saggi trascendono
l'illusione del mondo
mettendo nel sacco le orde di Mara.

176
Chi trasgredisce
la legge della sincerità
chi non si cura
dell'esistenza futura
non c'è male
che non possa commettere.

177
Chi non dà valore alla generosità
non raggiunge il regno celeste.
Ma il saggio gioisce nel dare
e dimora nella beatitudine.

178
Meglio del dominio sul mondo intero
meglio dell'andare in paradiso
meglio che comandare l'universo
è dedicarsi alla Via senza ripensamenti.

 

IL BUDDHA

179
La perfezione del Buddha è assoluta;
non resta niente da aggiungere.
Non ha misura la sua saggezza
non conosce limiti.
Come potrebbe venir distratto
dalla verità?

180
La perfezione del Buddha è assoluta;
non esiste brama
che possa trascinarlo.
Non ha misura la sua saggezza
non conosce limiti.
Come potrebbe venir distratto
dalla verità?

181
Gli spiriti celesti custodiscono
chi si è risvegliato
chi ha piena comprensione della Via
è devoto alla meditazione
e gioisce della pace
della rinuncia.


182
Non è facile nascere
essere umano
e vivere una vita mortale.
Non è facile distinguere
la profonda saggezza
ma più raro di tutto
è che nasca un Buddha.

Questa strofa mette in evidenza l'importanza e la rarità della nascita umana. Nella visione buddista, ottenere una rinascita come essere umano è considerato un'opportunità preziosa e rara. Essere umani ci dà la capacità unica di praticare il Dharma, comprendere la saggezza profonda e aspirare all'illuminazione. L'ultimo verso sottolinea che, sebbene sia già difficile nascere come essere umano e ancor più difficile ottenere la saggezza, la cosa più rara è la nascita di un Budda, un essere completamente illuminato che può guidare gli altri lungo il sentiero.

Ogni giorno, quando ti svegli pensa: oggi sono fortunato perché mi sono svegliato, sono vivo, ho una preziosa vita umana e non la sprecherò. Userò tutte le mie energie per migliorarmi, per aprire il mio cuore agli altri, avrò per gli altri parole gentili e non pensieri cattivi e non mi arrabbierò, ma cercherò di far più bene che posso.
(Dalai Lama)

Considerando le parole del Dalai Lama, possiamo vedere come si collegano strettamente con la strofa del Dhammapada:

[...] Così come dicono i Lama Kadampa, grazie alle vite preziose del passato hai ottenuto una vita preziosa adesso. Adesso non rovinare la tua opportunità.

Per cui veramente, noi che abbiamo ottenuto questa preziosa nascita umana, [...], noi che abbiamo ottenuto questa grande opportunità, se non stiamo attenti di nuovo, cadremo nel precipizio dei reami inferiori. Per cui tutti noi dobbiamo veramente comportarci bene, fare bene, agire bene, cogliere l'essenza di questa vita stando molto attenti. Per cui pensate tutti in questo modo, addestrate il vostro pensiero in questo modo, [...]

Dalai Lama, tratto da "Generazione della mente dell'Illuminazione (Bodhicitta)"

Il Dalai Lama sta enfatizzando l'importanza della nostra attuale vita umana, descrivendola come un'opportunità preziosa e rara. Richiama l'attenzione sul fatto che questa vita è stata ottenuta grazie a meriti accumulati in vite passate, riflettendo la nozione karmica secondo la quale le nostre azioni passate influenzano le nostre rinascite presenti e future.

L'espressione "reami inferiori" (apāya) si riferisce ai regni di esistenza meno desiderabili secondo la cosmologia buddista. Questi reami includono:

  • Reame degli inferi o degli esseri infernali (nāraka) → Condizioni di esistenza di grande dolore e sofferenza.
  • Reame degli spiriti affamati (preta) → Esseri tormentati dalla fame e dalla sete insaziabili.
  • Reame degli animali (tiryak) → Una condizione di esistenza dominata dall'ignoranza e dalla sofferenza.

Il Dalai Lama avverte che, se non siamo attenti e non utilizziamo saggiamente la nostra vita umana, potremmo "cadere nel precipizio dei reami inferiori". Questa metafora del precipizio suggerisce un pericolo imminente e una caduta irreversibile. Pertanto, ci esorta tutti a comportarci bene, agire bene e "cogliere l'essenza di questa vita". In altre parole, dobbiamo vivere in modo virtuoso, praticare il Dharma e sviluppare la nostra mente verso l'illuminazione (Bodhicitta).

Altre tradizioni buddiste enfatizzino concetti simili. Ecco alcune citazioni di Nichiren Daishonin:

È estremamente raro nascere come essere umano. Tu non solo sei dotato della vita umana, ma hai avuto la rara fortuna di incontrare il Buddismo.

(tratto da: "Lettera a Jakunichi-bo")

Gli uomini vivono in questo mondo fuggevole ove tutto è incertezza e impermanenza, eppure giorno e notte non pensano che alla quantità di ricchezza che possono ammassare in questa esistenza. Dall’alba al crepuscolo si concentrano solo su faccende terrene, senza venerare il Budda e senza credere nella Legge (1); trascurano la pratica buddista, mancano di saggezza e sprecano le loro giornate. Quando saranno trascinati davanti al tribunale di Yama, il signore dell’inferno, quali provviste porteranno con sé nel lungo viaggio attraverso il triplice mondo (2), cosa potranno usare come barca o zattera per attraversare il mare delle sofferenze di nascita e morte e giungere nella Terra della Ricompensa Effettiva (3) o nella Terra del Budda della Luce Tranquilla (4)? Quando siamo illusi è come se sognassimo, quando siamo illuminati è come se ci fossimo svegliati.

(tratto da: "Le quattordici offese")
(1) In questo scritto, "Legge" indica, in senso specifico, la Legge di Nam-myoho-renge-kyo e, in senso generale, gli insegnamenti del Budda o Dharma
(2) Il triplice mondo è il mondo degli esseri non illuminati che trasmigrano nei sei sentieri inferiori (inferno, regno degli spiriti affamati, animali, asura, esseri umani, esseri celesti). Esso è costituito da: 1) il mondo del desiderio, governato da vari desideri; 2) il mondo della forma, i cui abitanti sono liberi dai desideri, dai bisogni e dagli appetiti, ma, avendo ancora una forma materiale, sono soggetti ad alcune restrizioni materiali; 3) il mondo della non forma o assenza di forma, dove gli esseri sono liberi sia dai desideri sia dalle restrizioni materiali.
(3) Nella Terra della Ricompensa Effettiva vivono i bodhisattva degli stadi superiori.
(4) La Terra della Luce Eternamente Tranquilla è la terra del Budda, libera dall'impermanenza e dalle impurità.

Le affermazioni di Nichiren Daishonin risuonano con le parole del Dalai Lama e con la strofa del Dhammapada. Tutte queste tradizioni evidenziano alcuni punti comuni:

  • Rarità della Vita Umana → Tutte e tre le tradizioni sottolineano quanto sia raro nascere come essere umano, offrendo un'opportunità unica per la pratica spirituale.
  • Preziosità della Vita Umana → La vita umana è estremamente preziosa, un'opportunità da non sprecare.
  • Pratica del Dharma → Utilizzare la vita umana per praticare il Dharma è essenziale per avanzare spiritualmente e ottenere l'illuminazione.

Indipendentemente dal contesto culturale o dalla specifica scuola di pensiero, la nostra vita umana è un'opportunità unica per la crescita spirituale e la pratica del Dharma, e dovremmo valorizzarla e utilizzarla saggiamente.


183
Smetti di fare il male
coltiva il bene
purifica il cuore.
E' questa la Via
del Risvegliato.

 

184
Un rinunciante
non tiranneggia nessuno.
La paziente tolleranza
è il vertice dell'ascesi.
Suprema meta
dicono i Buddha
è la profonda liberazione.

185
Non insultare, non maltrattare
coltiva la rinuncia
nel rispetto della disciplina
frugale nel mangiare e pago
della dimora che hai
dònati all'intento consapevole:
questo è l'insegnamento del Buddha.

186-187
Non nei beni preziosi
trovi l'appagamento
né nei piaceri dei sensi
triviali o raffinati che siano.
Il discepolo del Buddha
trova gioia
nell'estinzione della brama.

188-189
Svariati sono i luoghi dove gli esseri
cercano di sfuggire alla paura:
montagne, boschi
parchi e giardini
e luoghi sacri.
Ma nessuno di questi
offre vero rifugio
nessuno ci libera dalla paura.

190-191
Chi si rifugia nel Buddha
nel Dhamma e nel Sangha
vede e penetra in profondità
la sofferenza, la sua causa, la sua fine
e la via che conduce alla vera libertà.

192
Il Buddha, il Dhamma, il Sangha
sono il vero rifugio
sono eccelsi
conducono alla liberazione.

193
E' difficile trovare esseri
di profonda saggezza;
rari i luoghi
in cui nascono.
Chi ad essi si accompagna
quando appaiono
incontra la buona sorte.

194
Benedetta è la nascita di un Buddha
benedetta la rivelazione del Dhamma
benedetta l'armonia del Sangha
beata è la melodiosa comunione.

195-196
Immenso è il beneficio
che deriva dall'onorare
chi è puro, chi è andato oltre la paura.
Gli esseri che hanno trovato libertà
da dolore e da angoscia
sono degni di onore.

 

LA FELICITÀ

179
La perfezione del Buddha è assoluta;
non resta niente da aggiungere.
Non ha misura la sua saggezza
non conosce limiti.
Come potrebbe venir distratto
dalla verità?

180
La perfezione del Buddha è assoluta;
non esiste brama
che possa trascinarlo.
Non ha misura la sua saggezza
non conosce limiti.
Come potrebbe venir distratto
dalla verità?

181
Gli spiriti celesti custodiscono
chi si è risvegliato
chi ha piena comprensione della Via
è devoto alla meditazione
e gioisce della pace
della rinuncia.

182
Non è facile nascere
essere umano
e vivere una vita mortale.
Non è facile distinguere
la profonda saggezza
ma più raro di tutto
è che nasca un Buddha.

183
Smetti di fare il male
coltiva il bene
purifica il cuore.
E' questa la Via
del Risvegliato.

184
Un rinunciante
non tiranneggia nessuno.
La paziente tolleranza
è il vertice dell'ascesi.
Suprema meta
dicono i Buddha
è la profonda liberazione.

185
Non insultare, non maltrattare
coltiva la rinuncia
nel rispetto della disciplina
frugale nel mangiare e pago
della dimora che hai
dònati all'intento consapevole:
questo è l'insegnamento del Buddha.

186-187
Non nei beni preziosi
trovi l'appagamento
né nei piaceri dei sensi
triviali o raffinati che siano.
Il discepolo del Buddha
trova gioia
nell'estinzione della brama.

188-189
Svariati sono i luoghi dove gli esseri
cercano di sfuggire alla paura:
montagne, boschi
parchi e giardini
e luoghi sacri.
Ma nessuno di questi
offre vero rifugio
nessuno ci libera dalla paura.

190-191
Chi si rifugia nel Buddha
nel Dhamma e nel Sangha
vede e penetra in profondità
la sofferenza, la sua causa, la sua fine
e la via che conduce alla vera libertà.

192
Il Buddha, il Dhamma, il Sangha
sono il vero rifugio
sono eccelsi
conducono alla liberazione.

193
E' difficile trovare esseri
di profonda saggezza;
rari i luoghi
in cui nascono.
Chi ad essi si accompagna
quando appaiono
incontra la buona sorte.

194
Benedetta è la nascita di un Buddha
benedetta la rivelazione del Dhamma
benedetta l'armonia del Sangha
beata è la melodiosa comunione.

195-196
Immenso è il beneficio
che deriva dall'onorare
chi è puro, chi è andato oltre la paura.
Gli esseri che hanno trovato libertà
da dolore e da angoscia
sono degni di onore.

 

L’AFFETTO

209
C’è chi va in cerca
di quello che dovrebbe evitare
ed evita
quello che dovrebbe cercare.
Intrappolato nei sensi
perde la via
e invidia
chi conosce la verità.

210
Perdere la compagnia
di quelli con cui ti trovi bene
è doloroso;
anche peggiore
la vicinanza di chi non ti piace.
Dunque non consegnarti
alla compagnia né di quelli
con cui ti trovi bene
né di chi non ti piace.

211
Guardati dall’attaccamento
che nasce dall’affetto
perché separarsi da chi
ci è caro è doloroso;
se invece non assecondi
né osteggi l’affetto
non ci sarà schiavitù.

212
Prediligere è fonte di dolore.
Prediligere genera la paura di perdere.
Se invece sei libero dalla predilezione
non c’è dolore,
e come potrebbe esserci paura?

213
Perdersi nel voler bene
produce dolore;
perdersi nel voler bene
genera paura.
La libertà dal voler bene
fa cessare il dolore,
e come potrebbe esserci paura?

214
Perdersi nel piacere
produce sofferenza;
perdersi nel piacere
genera paura.
Restando liberi nell’esperienza del piacere
la sofferenza cessa,
e come potrebbe esserci paura?

215
Perdersi nella passione
produce sofferenza;
perdersi nella passione
genera paura.
Se non ti perdi nella passione
la sofferenza cessa,
e come potrebbe esserci paura?

216
Perdersi nel desiderio
produce sofferenza;
perdersi nel desiderio
genera paura.
La libertà dal desiderio
mette fine alla sofferenza,
e come potrebbe esserci paura?

217
Naturalmente amato è chi
vive agendo rettamente
e ha trovato la Via
e grazie alla visione profonda
si è radicato nella verità.

218
Chi anela
all’ineffabile
col cuore colmo d’ispirazione
con la mente libera
dal desiderio dei sensi
lo chiamo
"uno che è in viaggio verso la libertà".

219-220
Come i familiari e gli amici
accolgono con gioia
chi da lontano torna a casa
così è accolto dalle proprie buone azioni
chi le ha compiute
quando passa da questa alla prossima vita.

 

LA RABBIA

221
Rinuncia alla rabbia.
Lascia cadere l’orgoglio.
Liberati da tutto ciò
che ti tiene legato.
Il puro di cuore che non si aggrappa
né al corpo né alla mente
non cade preda della sofferenza.

222
Chi sa contenere la rabbia
come un auriga controlla
il carro in corsa
tiene in pugno le redini della sua vita;
gli altri tutt'al più ci posano sopra le mani.

223
Trasforma la rabbia con la gentilezza
e il male col bene,
la grettezza con la generosità
la falsità con la rettitudine.

224
Questi tre sentieri
portano tutti al paradiso:
dire la verità
non cedere alla rabbia
e dare, anche quando hai
ben poco da condividere.

225
Un risvegliato non è mai causa di sofferenza.
Saggiamente si domina
e va verso l’immutabile
dove non c’è più dolore.

226
Qualunque impurità viene mondata
nella mente di chi
sempre veglia,
giorno e notte educandosi
e dedicando tutta la sua vita
alla liberazione.

227
Dall’inizio dei tempi
vengono criticati
quelli che parlano troppo
quelli che parlano troppo poco
e quelli che non parlano affatto.
Tutti in questo mondo sono soggetti a critiche.

228
Non c’è mai stato
né mai ci sarà
né c’è ora qualcuno
che venga solo biasimato
o in tutto e per tutto lodato.

229
Chi vive in modo impeccabile
chi ha discernimento
è intelligente e virtuoso
viene apprezzato dal saggio.

230
Si può coprire di biasimo chi
nel suo essere è simile all’oro?
Anche gli dèi apprezzano il suo splendore.

231
Guardati dai movimenti maldestri
e sii consapevole del comportamento del tuo corpo.
Rinuncia a una condotta insincera
e coltiva ciò che è salutare.

232
Guardati dalla parola affettata
e sii consapevole di ogni cosa che dici.
Rinuncia alla parola scaltra
e coltiva ciò che è salutare.

233
Guardati dal pensiero tortuoso
e fai attenzione a tutto quello che pensi.
Rinuncia al pensiero indisciplinato
e coltiva ciò che è salutare.

234
Coltiva il dominio di sé
il saggio
nell’azione, nel pensiero
e nella parola.

 

GLI INQUINANTI

235
Come una foglia avvizzita,
i messaggeri della morte
ti sono al fianco.
Benché un lungo viaggio ti aspetti
non hai fatto alcun preparativo.

236
Affrettati a coltivare la saggezza.
Fai di te stesso un’isola.
Terso da macchie e imperfezioni
sarai un essere nobile.

237
E’ tempo per te di presentarti
al signore della morte.
Non ci sono soste in questo viaggio,
eppure quali preparativi hai fatto?

238
Affrettati a coltivare la saggezza,
fai di te stesso un’isola.
Terso da macchie e impurità
sei libero
dalla nascita e dalla morte.

239
A poco a poco
passo passo
il saggio asporta le sue impurità
come l’orafo dall’oro le scorie.

240
Come il ferro è corroso
dalla propria ruggine
corroso dal suo stesso agire
è colui che compie il male.

241
La mancanza di studio porta
a dimenticare gli insegnamenti,
la trascuratezza sciupa la casa,
la pigrizia fa perdere la bellezza,
la distrazione è la rovina dell’attenzione.

242
Un comportamento sessuale scorretto
sminuisce chi lo segue,
l’avarizia sminuisce
chi non dona.
Le azioni che sminuiscono chi le compie
sono vere macchie.

243
Ma la peggiore delle macchie
è l’ignoranza.
Sei libero
se la purifichi.

244
La vita sembra facile
per chi non conosce vergogna
per chi è impudente come un corvo,
arrogante, aggressivo
invadente e corrotto.

245
Non è facile la vita di chi
conosce la vergogna,
è umile, puro di cuore
e distaccato, ha integrità
morale ed è riflessivo.

246-247
Chi distrugge la vita,
non tiene in nessun conto la verità,
è irresponsabile nella sessualità,
prende ciò che non gli appartiene
e sventato indulge alle droghe
distrugge le radici stesse
della sua vita.

248
Chi dedica se stesso alla bontà
ricordi che è disastrosa
l’incapacità di dominarsi.
Non permettere
all’avidità e al comportamento scorretto
di prolungare la tua infelicità.

249-250
Sono la fede e la fiducia
che ispirano a essere generosi.
Se ci sentiamo scontenti
di quanto ci è stato dato
sarà turbata di continuo
la nostra meditazione;
ma liberi da tale scontentezza
la meditazione si colma di pace.

251
Nulla brucia come la passione
nulla ostacola come l’odio
nulla imprigiona come l’illusione
e nulla travolge come il desiderio.

252
E’ facile notare i difetti degli altri
ma ci vuole coraggio per guardare ai propri.
Come pula
vagli le altrui manchevolezze
e intanto nascondi le tue,
come un cacciatore furtivo
si nasconde alla preda.

253
Chi va sempre in cerca
dei difetti degli altri
moltiplica i propri vizi
e si allontana dalla libertà.

254
Non ci sono sentieri tracciati nell’aria
non c’è liberazione che non passi dalla Via.
Molti indulgono
alla proliferazione
il risvegliato ne è libero.

255
Non ci sono sentieri tracciati nell’aria,
non c’è liberazione che non passi dalla Via.
Niente di ciò che è condizionato
è permanente
e tuttavia i Buddha restano sereni.

 

IL GIUSTO

256
Decidere in modo arbitrario
non equivale a giustizia.
Considerati
i pro e i contro,
il saggio decide caso per caso.

257
Chi prende decisioni in base
alla verità e all’equità
salvaguarda la legge
ed è ritenuto giusto.

258
Chi parla molto
non vuol dire che sia ispirato dalla saggezza.
Il saggio si riconosce
perché è in pace con la vita
libero da ostilità e paura.

259
Chi ha una conoscenza
limitata
ma comprensione e condotta
in armonioso accordo con la Via,
questi conosce il Dhamma.

260
Non bastano i capelli grigi
per fare un anziano;
si può essere maturi d’anni
ma forse invano.

261
Anziano è colui
che è sincero, virtuoso,
impeccabile nel comportamento,
senza macchia e saggio.

262-263
Chi è invidioso,
meschino e intrigante
non è attraente nonostante
un bell’aspetto e la parola eloquente.
Ma chi si è liberato
dalle sue manchevolezze
ed è giunto alla saggezza
è veramente attraente.

264
Rasarti la testa
non fa di te un rinunciante
se sei ancora
incurante e disonesto.
Come può essere considerato rinunciante
chi è ancora posseduto
dal desiderio e dalla passione?

265
Si diventa monaci o monache
lasciando cadere ogni malvagità
rinunciando a qualsiasi
nocività
sia essa grande o piccola.

266
Non si è monaci o monache
perché si dipende dagli altri
per il proprio nutrimento
ma perché ci si sottomette
con tutto il cuore
all’ addestramento del corpo,
della parola e della mente.

267
Si diventa monaco o monaca
penetrando questo mondo
con la comprensione
al di là del bene e del male
e vivendo una vita di purezza
e di contemplazione.

268-269
Il silenzio non esprime profondità
se resti ignorante e non coltivato.
Come avesse una bilancia in mano
l’assennato soppesa le cose
salutari e non salutari
e arriva a conoscere
sia il mondo interiore che quello esterno.
Perciò l’assennato è detto saggio.

270
Quelli che ancora causano sofferenza
agli esseri viventi
non li si può chiamare realizzati.
Chi è spiritualmente realizzato
si comporta in modo da non ferire
nessuno.

271-272
Non accontentarti
di attenerti alle regole
e ai regolamenti
né di ottenere una vasta erudizione.
Non sentirti soddisfatto
perché raggiungi l’assorbimento meditativo,
né perché dimori
in beata solitudine.
Dovresti essere contento
solo quando arrivi
al completo sradicamento
di ogni forma di ignoranza e inganno.

 

IL SENTIERO

273
La più nobile delle vie
è l’ottuplice sentiero,
il più nobile discorso
quello delle quattro nobili verità,
la libertà dal desiderio
è il più nobile degli stati
e il Buddha che tutto vede
il più nobile degli esseri.

274
Questa è l’unica via
nessun' altra
porta alla chiara visione.
Segui questo sentiero
e Mara resterà disorientato.

275
Se segui il sentiero
arriverai alla fine della sofferenza.
Avendolo visto di persona
insegno la Via
che toglie tutte le spine.

276
Il risvegliato
può solo indicare la via:
siamo noi a doverla percorrere.
Chi con saggezza riflette
e intraprende il sentiero
è libero dai ceppi di Mara.

277
"Tutte le cose condizionate
sono impermanenti":
quando lo comprendiamo
direttamente e profondamente
ci sentiamo stanchi di questa vita di sofferenza.
E’ questa la via che conduce alla purificazione.

278
"Tutte le cose condizionate
sono di per sé insoddisfacenti":
quando lo comprendiamo
direttamente e profondamente
ci sentiamo stanchi di questa vita di sofferenza.
E’ questa la via che conduce alla purificazione.

279
"Tutte le realtà sono prive
di un sé permanente":
quando lo comprendiamo
direttamente e profondamente
ci sentiamo stanchi di questa vita di sofferenza.
E’ questa la via della purificazione.

280
Se, pur giovane e forte
rimandi di agire
quando sarebbe necessario
perso in sbadate fantasie
non potrai scorgere mai
la Via e la sua saggezza.

281
Sii accurato in ciò che dici,
domina i tuoi pensieri
e sii impeccabile in ciò che fai.
Purificare questi tre comportamenti
ti farà procedere sulla via dei saggi.

282
Contemplare la vita porta alla saggezza,
senza contemplazione la saggezza svanisce.
Discerni come la saggezza
si coltiva e si distrugge
e cammina sulla via della crescita.

283
Sfoltisci le foreste del desiderio
ma non aggredire e non distruggere gli alberi.
Ripulisci l’intera foresta del desiderio
e vedrai il sentiero che conduce alla libertà.

284
Finché l’attrazione sessuale
non è svanita
se anche la più sottile delle tracce rimane
il cuore è tenuto in dipendenza
come il vitellino alla mucca.

285
Recidi i vincoli d’affetto
come si coglie un fiore d’autunno.
Percorri il sentiero della liberazione
esposto dal Risvegliato.

286
E’ stolto
chi indulge a sognare
il luogo più incantevole
in cui vivere, dicendosi:
"Qui farà caldo,
lì sarà fresco" —
inconsapevole della morte che incombe.

287
Come un’alluvione può travolgere
un intero villaggio
chi è catturato da relazioni
e possessi
la morte lo trascina con sé.

288-289
Quando si avvicina la morte
nessuno dei tuoi ardenti attaccamenti
ti proteggerà.
Ricordalo e con saggia disciplina
e risoluto sforzo affrettati
ad aprirti una strada verso la libertà.

 

VERSI SPARSI

290
E’ la saggezza
che permette di lasciar andare
più lieve felicità
in cambio di più vasta
felicità.

291
Fallisci
nella ricerca della felicità
se è alle spese
dell’altrui benessere.
Ti intrappola ancora
il laccio della malevolenza.

292
Lasciare incompiuto
ciò che andrebbe fatto
e fare ciò
che andrebbe evitato
conduce a trascuratezza e presunzione.
Moltiplica la confusione.

293
Svanisce la confusione
perseverando in una pratica
di meditazione
centrata sul corpo,
evitando ciò
che non andrebbe fatto
e consapevolmente facendo
ciò che va fatto.

294
Lasciando cadere desiderio e orgoglio
sradicando le visioni errate
e superando
gli illusori attaccamenti
del mondo dei sensi
procede libero il nobile d'animo.

295
Avendo sgombrato il sentiero
da tutti gli ostacoli —
avidità, rabbia, fiacchezza e pigrizia
inquietudine, ansia e dubbio —
procede libero il nobile d'animo.

296
I discepoli del Buddha
sono pienamente svegli
giorno e notte
contemplando il Risvegliato.

297
I discepoli del Buddha
sono pienamente svegli
giorno e notte
contemplando la realtà.

298
I discepoli del Buddha
sono pienamente svegli
giorno e notte
contemplando la comunione
dei risvegliati.

299
I discepoli del Buddha
sono pienamente svegli
giorno e notte
contemplando
la vera natura del corpo.

300
I discepoli del Buddha
sono pienamente svegli
giorno e notte immersi
nella gioia della compassione.

301
I discepoli del Buddha
sono pienamente svegli
giorno e notte
immersi nella gioia
di coltivare il cuore.

302
E’ difficile vivere
la vita della rinuncia:
raro è saperne apprezzare
le sfide.
Ma è anche difficile vivere
la vita del capofamiglia:
fa soffrire
stare con quelli
per cui non si sente amicizia.
Vagare senza impegno
porta sempre a difficoltà.
Perché non rinunciare
all’illusorio inseguimento del dolore?

303
Un pellegrino adorno di virtù
padrone di sé e dedito
al comportamento saggio
sarà accolto sempre con onore;
uno così è facile a riconoscersi
e può viaggiare con fiducia.

304
I buoni
si scorgono anche da lontano.
Splendono come le distanti
cime dell’Himalaya.
Chi non sceglie la pratica
semplicemente scompare
come freccia scoccata nel buio.

305
Con entusiasmo dédicati
alla pratica in solitudine:
siedi solo, dormi solo, solo cammina
con gusto, come fossi nel cuore della foresta.

 

L’INFERNO

306
Mentire porta sofferenza.
Nascondere azioni disoneste
porta sofferenza.
Queste due forme di inganno
portano gli esseri
a uno stesso stato di afflizione.

307
Chi indossa
l'abito del rinunciante
e tuttavia nutre il male
e non ha freno
si muove verso uno stato doloroso.

308
Per un rinunciante
è meglio inghiottire ferro rovente
che vivere di offerte
disonestamente ottenute.

309
Ripetuta tristezza,
sonno tormentato,
biasimo e rimorso
sono la sorte dell’adultero.

310
Breve è la gioia
mista a timore della coppia di adulteri;
non porta che a dolorose conseguenze.

311
Anche un filo d’erba maneggiato male
può ferirti la mano;
così la vita del rinunciante
fa male a chi la vive in modo sbagliato.

312
Le azioni fatte in modo negligente,
le pratiche compiute senza purezza,
la vita santa vissuta in modo iniquo
sono di poco o nessun beneficio.

313
Se devi fare qualcosa
falla bene
con energia e devozione;
la vita del rinunciante condotta svogliatamente
non fa che alzare polvere.

314
E’ meglio non compiere
azioni nocive
perché portano sempre rimorso.
Meglio compiere azioni non dannose
perché non ne seguirà pentimento.

315
Come accuratamente si difende
una città di confine
proteggi te stesso
dai pericoli interni ed esterni:
costruisci le tue difese in tempo e con saggezza.
Se non ci si mette all’opera
al momento giusto
ne deriverà profonda infelicità.

316
Opinioni distorte
che creano vergogna
per ciò che vergognoso non è
o indifferenza
per ciò di cui andrebbe provata vergogna
precipitano gli esseri in un inferno.

317
Opinioni distorte
che creano paura
verso ciò che non è da temere
o indifferenza
di fronte a ciò che andrebbe temuto
precipitano gli esseri in un inferno.

318
Opinioni distorte
che additano come giusto ciò che è sbagliato
e sbagliato ciò che è giusto
portano gli esseri alla disgregazione.

319
La chiara visione che riconosce
ciò che è guasto come guasto
e ciò che è puro come puro
porta gli esseri a trascendere l’infelicità.

 

L’ELEFANTE

320
Come un elefante in battaglia
resiste alle frecce
io scelgo di tollerare
gli attacchi verbali degli altri.

321
Cavalli ben addestrati
sono fidati anche nella ressa
e degni di essere montati dai re.
Gli individui che hanno addestrato se stessi
a tollerare la violenza
sono ovunque preziosi.

322
Ci colpiscono i cavalli e gli elefanti
ben addestrati
ma più toccanti
sono gli esseri
che hanno domato se stessi.

323
Non su un animale ben addestrato
puoi cavalcare
verso la terra della liberazione,
puoi raggiungerla solo
sulla ben addestrata
cavalcatura di te stesso.

324
Un elefante selvaggio
catturato, legato e in calore
diventa agitato e incontrollabile,
non tocca cibo,
brama solo di tornare a casa nella foresta.

325
Solo lo stolto mangia troppo
e indulge alla pigrizia
e torpido sguazza
nel sonno come un enorme maiale:
tutto ciò predice nuova sofferenza.

326
La mia mente un tempo
selvaggia e indisciplinata
vagava dove voleva;
ora la tengo a freno
come il mahout col suo bastone uncinato
controlla un elefante in calore.

327
Come un elefante con risolutezza
si trascina fuori da un pantano
elévati con l’ispirazione
dell’attenzione coltivata.

328
Se trovi un compagno sincero
che coltiva integrità e saggezza
supererai tutti i pericoli
in gioiosa e affettuosa compagnia.

329
Ma se non trovi
un amico sincero
che coltiva integrità e saggezza
allora, come un re che lascia
una terra conquistata
o un elefante che vaga solitario nella foresta,
procedi in solitudine.

330
Un’innocente vita solitaria
vissuta con agio
come il solitario elefante nella foresta
è meglio della vana
compagnia degli stolti.

331
La gioia sorge
dalla tempestiva compagnia di amici.
La gioia sorge
dall’avere poche esigenze.
La gioia sorge
dalla virtù accumulata alla fine di una vita.
La gioia sorge
dal vedere al di là della sofferenza.

332
La gioia sorge
dal servire equamente i propri genitori.
La gioia sorge
dal dare sostegno ai rinuncianti.
La gioia sorge
dall’onorare gli esseri risvegliati.

333
La gioia sorge
dal coltivare la virtù anche in vecchiaia.
La gioia sorge
dal coltivare una fede che ha fondamento.
La gioia sorge con la chiara visione.
La gioia sorge
dal rinunciare al male.

 

LA BRAMA

334
Il desiderio non contenuto
cresce come rampicante nella foresta.
Perdendocisi dentro
si salta qua e là come una scimmia,
di albero in albero cercando frutti.

335
Nutrire le abitudini
a desiderare e ad aggrapparsi
è come concimare erbe nocive.

336
Come l’acqua cade da una foglia di loto
così scivola via la sofferenza
da chi è libero da tossico desiderio.

337
Come le piogge torrenziali distruggono le messi
Mara ti può distruggere.
Perciò ti supplico:
dissoda le radici di ogni desiderio.
La mia benedizione
protegga il tuo lavoro.

338
Se le radici non vengono strappate
le erbacce continuano a ricrescere:
la sofferenza torna a visitarci
finché rimane il desiderio.

339
Quando la corrente
del piacere dei sensi scorre impetuosa
genera un torrente di desiderio.

340
La corrente del desiderio scorre ovunque.
Il rampicante selvaggio della passione
si dissemina e si fa intricato.
Individuarlo con chiara visione
lo estirpa.

341
Gli esseri incontrano naturalmente il piacere;
ma quando il piacere è contaminato
dalla brama
non abbandonarlo genera frustrazione
seguita da un penoso tedio.

342
Catturati nelle abitudini del desiderio
siamo colti dal panico
come conigli presi in trappola.
Reagire rinforza il dolore
del sentirsi intrappolati.

343
Catturati nelle abitudini del desiderio
siamo colti dal panico
come conigli presi in trappola.
Se si vuole uscire dalla trappola,
è dal desiderio che ci si deve liberare.

344
C’è chi si incammina
sul sentiero della libertà
per poi tornare, seguendo il desiderio,
in schiavitù.

345-346
La saggezza sa
che essere dietro le sbarre
o in catene
imprigiona meno
dell’infatuazione per gli oggetti
o l’ossessione delle relazioni.
Questi legami seppure non altrettanto evidenti
sono potenti e ci incatenano.
Rinunciare all’attaccamento
al mondo dei sensi
significa essere liberi dalla prigione del desiderio.

347
Come un ragno prigioniero della sua stessa tela
un essere irretito dal desiderio dei sensi
deve liberarsi dalle proprie passioni
per tornare in libertà.

348
Lascia cadere il passato.
Lascia cadere il futuro.
Lascia cadere il presente.
Con cuore libero
raggiungi l’altra sponda
al di là della sofferenza.

349
I legami
delle abituali illusioni e del desiderio
si rafforzano
se distratti lasciamo che la mente indugi
negli oggetti desiderati.

350
Chi trova gioia
nel calmare i pensieri sensuali
chi è vigile
e coltiva la consapevolezza
degli aspetti ripugnanti
del corpo
spezza i legami del desiderio
e scioglie le abitudini illuse.

351
Per chi ha raggiunto la meta
non c’è più necessità di una nuova forma:
è libero da paura e desiderio.
Estirpate
sono le spine dell’esistenza.

352
Maestro è chi ha abbandonato
ogni desiderio e ogni presa sul mondo
chi ha visto
la verità al di là delle forme
eppure possiede
una profonda conoscenza delle parole.
Di tale grande essere si può dire
che abbia portato a compimento il suo scopo.

353
Non riconosco altri
come miei maestri
poiché da me stesso sono giunto
alla saggezza che tutto vince,
tutto comprende, a tutto rinuncia:
interamente liberato
da ogni desiderio.

354
Il dono della verità supera tutti i doni.
La fragranza della realtà
supera tutte le fragranze.
La gioia della verità
trascende ogni altra gioia.
La libertà dal desiderio
è la fine di ogni sofferenza.

355
Le ricchezze rovinano lo stolto
ma non chi cerca ciò che va al di là.
Non solo rovina il benessere degli altri
e li fa soffrire: lo stolto
distrugge anche se stesso.

356
Le erbacce danneggiano i campi.
La passione è nociva a tutti gli esseri.
Sostenta chi è libero dalla passione:
è un dono che arreca grande beneficio.

357
Le erbacce danneggiano i campi.
L’odio è nocivo a tutti gli esseri.
Sostenta chi è libero dall’odio:
è un dono che arreca grande beneficio.

358
Le erbacce danneggiano i campi.
La confusione è nociva a tutti gli esseri.
Sostenta chi è libero
dalla confusione:
è un dono che arreca grande beneficio.

359
Le erbacce danneggiano i campi.
L’invidia è nociva a tutti gli esseri.
Sostieni chi è libero dall’invidia:
sarà di grande beneficio.

 

IL RINUNCIANTE

360
E’ giusto disciplinare lo sguardo.
E’ giusto disciplinare l’udito.
E’ giusto disciplinare l’odorato.
E’ giusto disciplinare la lingua.

361
E’ giusto essere disciplinati nel corpo.
E’ giusto essere disciplinati nella parola.
E’ giusto essere disciplinati nella mente.
E’ giusto essere disciplinati
in tutto.
Il rinunciante che disciplina
ogni suo aspetto realizza la libertà
dalla sofferenza.

362
Chi rettamente si disciplina
in tutte le azioni,
chi è raccolto,
appagato e gioisce
della contemplazione in solitudine:
questi è un rinunciante.

363
E’ gradevole ascoltare
le parole di un rinunciante
saggio, non tronfio
la mente raccolta
la parola contenuta
e chiara nel significato.

364
Chi dimora nel Dhamma
chi nel Dhamma trova gioia
chi contempla il Dhamma
chi affida alla memoria il Dhamma
non perde la Via.

365
Lamentarsi della propria sorte
o invidiare i privilegi degli altri
ostacola la pace della mente.

366
Viceversa: contento
anche con poco
puro nel modo di vivere e vitale
sei da tutti tenuto in grande stima.

367
I veri rinuncianti
considerano l’interezza di corpo e mente
non sfiorati da pensieri di "io" o "mio"
e privi di desiderio
per ciò che non possiedono.

368
Il rinunciante
che dimora nella gentilezza amorevole
con cuore devoto
all’insegnamento del Buddha
incontra pace, silenzio e beatitudine.

369
Vuota l’acqua dalla tua barca,
liberati dalle inquinanti passioni
della brama e dell’odio:
disincagliato salpa
verso la liberazione.

370
Chi ha disinnescato
i rozzi attaccamenti
e gli attaccamenti sottili
chi coltiva le facoltà spirituali
scopre la libertà
dalla confusione.

371
Vigila!
Non trascurare la meditazione,
non permettere alla mente
di intrattenere pensieri sensuali,
guardati dall’inghiottire per distrazione
una palla di ferro rovente
per poi gridare:
"Perché soffro?".

372
La concentrazione non sorge
senza comprensione,
la comprensione non si affaccia
senza concentrazione.
Chi le conosce entrambe
si avvicina alla liberazione.

373
Una felicità che trascende la gioia ordinaria
conoscono i rinuncianti
che si ritirano in solitudine
con cuore tranquillo
e chiara comprensione della Via.

374
Quando i saggi dimorano
nella contemplazione
della natura impermanente
del corpo e della mente
e di tutta l’esistenza condizionata
provano gioia e contentezza
penetrando fino
a ciò che è intrinsecamente sicuro.

375-376
Questi sono i primi passi
nel cammino di un rinunciante:
regola in modo saggio le tue facoltà,
impegnati nel tirocinio,
appagati di quel che hai,
cerca la compagnia
di chi nutre la tua aspirazione
a praticare con entusiasmo gli insegnamenti.
La bellezza di un comportamento puro
genera pieno benessere
grazie alla completa
libertà dal rimorso.

377
Come i fiori appassiti cadono
dal gelsomino
lascia cadere
passione e odio.

378
Pacificato lo definisco
uno che è tranquillo nel corpo,
nella parola, nella mente
e si è purificato interamente
di tutte le ossessioni mondane.

379
Scruta te stesso.
Esamina te stesso.
Se fai saggia attenzione
nel valutare te stesso
vivrai con scioltezza.

380
Siamo noi la nostra protezione,
proprio noi siamo il nostro rifugio:
come potrebbe essere altrimenti?
Dunque con adeguata premura
prendiamoci cura di noi stessi.

381
Un monaco, una monaca che coltivi
un’attitudine gioiosa
e riponga piena
fiducia nella Via
incontra pace, silenzio, beatitudine.

382
Seppure giovane, un rinunciante
devoto alla Via con tutto se stesso
illumina il mondo
come la luna che sbuca dalle nuvole.

 

GRANDE ESSERE

383
Con impegno interrompi
la corrente del desiderio
e abbandona le passioni dei sensi;
riconoscendo i limiti
di tutto ciò che ha una forma
realizza l’increato.

384
Le catene di ogni schiavitù si spezzano
per chi vede chiaramente
e sa bene che siano
concentrazione e visione intuitiva.

385
Grande è l’essere
che non si ferma su questa sponda
né sull’altra
né su sponda alcuna.
Un essere così non è legato da nulla.

386
Grande è l’essere
che dimora con agio in solitudine,
il cuore libero
da macchia,
completato il cammino,
purificato da ogni tendenza coercitiva,
sveglio.

387
Di giorno brilla il sole
la luna brilla di notte.
Ma giorno e notte
risplende il Buddha
nella gloria della luce.

388
Un grande essere
è chi ha trasformato il male.
Contemplativo
è uno che vive in pace.
Rinunciante
è chi abbandona l’impurità.

389
La non rivalsa
è la caratteristica di un grande essere.
Egli non origina rabbia.
Se viene aggredito,
non fa parte della sua natura reagire.

390
La libertà dalla sofferenza è pari
alla libertà dall’intenzione
di causare dolore.
Non c’è vera grandezza
se non c’è dominio sulla rabbia.

391
Chi si astiene dal provocare sofferenza
attraverso il corpo, la parola e la mente
è un essere degno di rispetto.

392
Devozione e rispetto
è naturale offrire
a chi ci ha rivelato la Via.

393
Nessuno è da considerarsi
degno di rispetto
a causa della sua nascita o della sua cultura
o di qualsiasi altra qualità esteriore.
E' la purezza,
la comprensione della verità
che decide di qualcuno il merito.

394
Ornamenti esteriori
e pensieri apparentemente spirituali
sono irrilevanti
se all’interno regna la confusione.

395
Non preoccuparsi
dell’aspetto esteriore
ma impegnarsi
intensamente e fermamente nella pratica
fanno la grandezza.

396
Nessuno è nobile
per eredità.
Nobiltà è ripulire se stessi
da tutti i veleni
e gli attaccamenti.

397
Chi si è liberato da ogni schiavitù
e ha raggiunto l’assenza di paura
chi è al di là degli attaccamenti
e delle corruzioni
lo riconosco come un grande essere.

398
Chiunque tagli i lacci dell’odio,
sciolga i nodi del desiderio,
distrugga le chiuse delle false opinioni,
spalanchi le porte dell’ignoranza
e guardi in faccia la verità,
lo riconosco come un essere grande.

399
La forza della pazienza
è la risorsa degli esseri nobili:
possono venire incatenati,
sopportare attacchi fisici e verbali
senza abbandonarsi alla rabbia.

400
Chi è libero dalla rabbia,
padrone di sé con naturalezza, virtuoso,
esperto nella pratica
ed è andato al di là della rinascita
lo chiamo un essere grande.

401
Come l’acqua scivola da una foglia di loto
i piaceri dei sensi
non aderiscono
a un grande essere.

402
Chi conosce la libertà
di aver abbandonato
il fardello dell’attaccamento
al corpo-mente
lo chiamo un grande essere.

403
Chi ha profonda saggezza
chi vede ciò che si accorda
e non si accorda con la Via
chi ha raggiunto
il picco del possibile
lo chiamo un grande essere.

404
Chi non è attaccato alla compagnia
sia di laici che di monaci
e vive libero da desideri
o ansie di qualsivoglia sicurezza
è un essere grande.

405
Chi ha rinunciato
all’uso della forza
nel rapporto con gli altri
deboli o forti che siano
chi non uccide
né dà motivo di essere ucciso
è da ritenere un grande essere.

406
Chi resta amichevole
fra gli ostili
in pace fra gli aggressivi
e non si aggrappa a ciò
da cui gli altri dipendono
è un essere grande.

407
Per un essere grande
passione e malevolenza
arroganza e presunzione
cadono
come un minuscolo seme cadrebbe
dalla punta di un ago.

408
Grande è colui
che dice la verità
che offre delicato incoraggiamento
che non polemizza con nessuno.

409
Le azioni di un essere grande sono pure.
Mai prende per sé
intenzionalmente
ciò che appartiene a un altro.

410
Il cuore di un essere grande è libero.
I grandi esseri non bramano più
le cose di questo mondo
o di un qualunque altro mondo.

411
Il cuore di un essere grande è libero.
Con accurata comprensione
che va oltre ogni dubbio
ha stabile accesso
alla terra della liberazione.

412
Grande è l’essere
che ha trasceso
i vincoli del bene e del male
che è purificato
e libero dal dolore.

413
L’essere libero
da ogni desiderio
come la luna in un cielo senza nuvole
puro, limpido e sereno
lo chiamo grande.

414
Ci sono esseri
che percorrono l’arduo sentiero
che passa per la rischiosa palude
delle passioni corrosive
attraversano l’oceano dell’illusione
l’oscurità dell’ignoranza
e vanno oltre.
Hanno come sostegno
la saggia contemplazione
come rifugio la libertà dal dubbio
sono liberati:
questi sono per me esseri grandi.

415
E’ grande l’essere che
avendo messo un freno al desiderio
per il piacere dei sensi
vive la vita del senza casa
e ottiene la libertà
dal desiderio
e dall’incessante divenire.

416
E' grande l’essere che
avendo messo un freno alla smania di avere
vive la vita del senza casa
e ottiene la libertà
dalla smania di avere
e dall’incessante divenire.

417
E' grande l’essere che
vede in trasparenza le gioie ordinarie
come pure i piaceri sottili
per liberarsi dall' attaccamento.

418
Chi smette
di contrapporre il mi piace al non mi piace
chi si è acquietato
chi non è influenzato
dalle condizioni del mondo
lo chiamo un grande essere.

419
Grande è l’essere
che comprende pienamente
lo svanire e il sorgere degli esseri
che resta consapevole
non attaccato, sveglio
conscio in ogni momento
del saggio modo di agire.

420
Inconcepibile è la condizione
di un grande essere dopo la morte:
non resta traccia di passioni.
E’ puro.

421
Chiunque viva libero
dalle abitudini ad attaccarsi
al passato, al presente o al futuro
senza nulla possedere
è un essere grande.

422
Un grande essere non conosce paura, come un toro,
nobile, forte, saggio, diligente
vede in trasparenza le illusioni
è limpido, vigile e sveglio.

423
Essenza di un grande essere
è comprendere ogni dimensione
dell’esistenza passata
vedere con precisione tutti i mondi
raggiungere la fine delle rinascite
conoscere con profonda chiarezza
tutto ciò che è da conoscere
liberare il cuore dall’ignoranza.


Appendice A: Per completare lo scopo mio e altrui, genero la mente dell’illuminazione

Per completare lo scopo mio e altrui
Genero la mente dell’illuminazione

Dopo avere generato la mente dell’illuminazione
Accoglierò tutti gli esseri come miei ospiti
Impegnandomi nella condotta meravigliosa e suprema dell’illuminazione
Possa io ottenere lo stato di Buddha per essere di beneficio
a tutti gli esseri migratori.

Qualsiasi cosa positiva in questo mondo deriva dalla mente altruistica,
qualsiasi cosa negativa di questo mondo deriva dall’egoismo.

Che bisogno c’è di aggiungere altro?
Gli esseri ordinari agiscono solo per il proprio scopo,
i Buddha agiscono per il bene degli altri.
Questa è la differenza fra questi due.

Se non scambio la mia felicità
per la sofferenza degli altri,
non otterrò lo stato di Buddha
e non sarò felice nemmeno nel samsara.

Finché lo spazio esiste,
finché esistono gli esseri,
possa esistere anche io
per eliminare le loro sofferenze.

Quindi cavalcando il cavallo della mente dell’illuminazione,
tutto lo scoraggiamento viene eliminato
e procederò da felicità in felicità:
quale saggio potrebbe mai procastinare (questa mente).

Nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha
Prendo rifugio finché non avrò ottenuto l’illuminazione.
Per le raccolte che ho ottenuto con la generosità e le altre
Possa io ottenere l’illuminazione per il beneficio degli esseri migratori.

frasi tratte da: Coltivare la Mente dell’Illuminazione,
breve raccolta di consigli di Sua Santità il Dalai Lama per una pratica quotidiana,
estratti da live streaming del 6 giugno 2020


Appendice B: Coltivare umiltà, altruismo e compassione

L'umiltà non deve essere confusa con l'autocommiserazione. Essere umili significa riconoscere il valore e le qualità degli altri senza svalutare noi stessi. L'umiltà autentica deriva dalla saggezza e dal coraggio di vedere noi stessi in relazione agli altri, mantenendo sempre una mente aperta e rispettosa verso chi ci circonda.

Per diminuire l'egoismo, dobbiamo cambiare prospettiva, mettendoci al posto degli altri. Tutte le sofferenze nel mondo derivano principalmente dall'egoismo, dal considerare noi stessi più importanti degli altri. Pertanto, praticare il cambiamento di sé con gli altri è fondamentale per ridurre l'egoismo e per raggiungere la felicità e l'illuminazione.

Invece di concentrarci su noi stessi, dobbiamo coltivare l'altruismo. Questo significa vedere i benefici dell'altruismo e gli aspetti negativi dell'egoismo. Aumentare l'altruismo e diminuire l'egoismo è una pratica fondamentale, che non solo porta felicità personale, ma anche benefici a chi ci circonda. La compassione e l'altruismo sono forze potenti che trasformano la nostra vita e quella degli altri.

La vera compassione non è debolezza, ma una forza coraggiosa. La compassione autentica vede le sofferenze degli altri e desidera alleviarle, senza scoraggiarsi. Questo tipo di compassione è alimentato dall'altruismo e dalla saggezza, creando una fiducia forte in noi stessi e nella capacità di essere di beneficio agli altri.

L'importanza della mente dell'illuminazione, o bodhicitta, è centrale nella nostra pratica. Bodhicitta è la mente che aspira all'illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Coltivare bodhicitta implica sviluppare un altruismo estremo e una compassione che abbraccia tutti gli esseri viventi, superando le proprie limitazioni e desideri egoistici.

La pratica quotidiana dell'altruismo e della compassione è essenziale. Questo non solo purifica la nostra mente dalle negatività, ma accumula anche meriti spirituali. La mente dell'illuminazione è come il sole splendente che dissipa la nebbia dell'ignoranza, portando chiarezza e pace mentale. Tale pratica è  superiore a qualsiasi altra forma di devozione rituale o recitazione di mantra.

Un punto cruciale è trasformare le condizioni avverse in opportunità di crescita. Quando affrontiamo difficoltà, dobbiamo vedere queste situazioni come opportunità per praticare l'altruismo e la compassione. Questa trasformazione delle avversità in sentiero spirituale rafforza la nostra mente e il nostro cuore, rendendoli più pronti e capaci di affrontare le sfide con una prospettiva positiva.

La meditazione sulla vacuità (cfr. Nagarjuna) è strettamente collegata alla riduzione dell'egoismo. Comprendere che i fenomeni non esistono intrinsecamente come appaiono ci aiuta a diminuire l'attaccamento e l'avversione, poiché riconosciamo che tali emozioni si basano su concezioni erronee della realtà. Questo porta a una mente più serena e meno incline alle emozioni distruttive.

E' fondamentale la saggezza unita alla compassione. Solo attraverso la comprensione profonda della natura della realtà e delle emozioni è possibile sviluppare un altruismo autentico e duraturo. Questa combinazione di saggezza e compassione è il fondamento per una pratica spirituale efficace e completa.

Dovremmo riflettere quotidianamente su questi principi, facendo della compassione e dell'altruismo parte integrante della nostra vita. Recitiamo preghiere e versi che rafforzino la mente dell'illuminazione, mantenendo costantemente viva l'aspirazione a essere di beneficio per tutti gli esseri senzienti. Questa pratica quotidiana non solo porta pace e felicità interiori, ma crea anche un impatto positivo nel mondo.

Idee estrapolate dal video "Sua Santità il Dalai Lama - Le Quattro Nobili Verità"


Appendice C: Le due verità

La dottrina buddista delle due verità distingue tra verità convenzionale e verità ultima. Questa distinzione permette di spiegare come diverse affermazioni possano apparire contraddittorie ma essere comunque vere in contesti diversi. Mentre la verità convenzionale riguarda le affermazioni utili nella pratica quotidiana e nella comunicazione, la verità ultima è la comprensione profonda della realtà, che libera dall'attaccamento alle distinzioni concettuali.

I maestri buddisti affrontano il dilemma di come usare il linguaggio per liberare gli individui dalle abitudini mentali ed emotive ingannevoli. La verità deve essere adattata alle condizioni spirituali dell'ascoltatore senza perdere la sua capacità di trasformazione interiore. Questo comporta l'uso di espressioni che, pur essendo diverse, rispettano un criterio di verità applicabile a tutte le affermazioni.

Nāgārjuna sottolinea che comprendere la co-origine dipendente è essenziale per raggiungere il nirvāṇa. La co-origine dipendente è identificata con la vacuità. Questa comprensione non nega l'esistenza condizionata, ma ne rivela la natura interdipendente e priva di essenza intrinseca.

Secondo Nāgārjuna, tutte le cose sorgono e cessano a causa di condizioni interdipendenti. La vacuità non è il rifiuto dell'esistenza condizionata, ma la comprensione che tutte le cose sono prive di essenza intrinseca. Questa visione permette di vedere la realtà in modo non dualistico, liberandosi dall'illusione di un sé autonomo.

La percezione umana è spesso illusoria perché assume che le cose abbiano un'esistenza intrinseca. Questo porta a sofferenza e attaccamento emotivo. La vacuità, invece, rivela che l'esperienza condizionata è interdipendente e quindi "vuota". In questo modo, si può comprendere come la sofferenza e la liberazione dipendano dalla stessa realtà interdipendente.

Nāgārjuna utilizza una dialettica negativa per smantellare le concezioni errate e liberare dalla dipendenza da entità fenomeniche e ideali. Questa dialettica è un mezzo per raggiungere la comprensione della vacuità. Negando la validità assoluta delle concezioni, Nāgārjuna permette di vedere la realtà come interdipendente e vuota di essenza intrinseca.

Anche la verità convenzionale ha un ruolo nel processo di liberazione interiore. Nāgārjuna usa il discorso convenzionale per esprimere la via di mezzo, dimostrando che la pratica quotidiana e l'illuminazione ultima sono interconnesse. La verità convenzionale, pur essendo relativa, è indispensabile per indicare la verità ultima.

La saggezza ultima non consiste nel rifiutare tutte le formulazioni mentali, ma nel liberarsi dall'attaccamento a qualsiasi singola idea o esperienza, riconoscendo che tutte le distinzioni sono vuote e interdipendenti. Questo porta a una comprensione profonda della realtà e alla liberazione dalla sofferenza.

Il nirvāṇa non è un'entità opposta al saṃsāra, ma la comprensione che tutte le distinzioni sono vuote. Questa realizzazione richiede una trasformazione profonda della consapevolezza di sé. Non si tratta di eliminare tutte le distinzioni, ma di vederle nella loro interdipendenza e vacuità.

La saggezza ultima è paragonata a una condizione di salute mentale che permette di funzionare senza sofferenza e con grande gioia. La verità convenzionale può indicare la libertà dalle illusioni e dalle aspettative dolorose. In questo modo, la pratica buddista mira a una condizione di benessere totale.

Nāgārjuna insiste che la comprensione della vacuità deve essere applicata nella vita quotidiana, non solo come teoria, ma come pratica che libera dall'attaccamento alle distinzioni concettuali. Questo implica un cambiamento profondo nella percezione e nell'atteggiamento verso la realtà.

Le affermazioni convenzionali non sono false, ma sono relative e funzionali alla comunicazione e alla pratica. La verità ultima, invece, rivela la natura interdipendente e vuota di tutte le cose. Queste due verità sono interconnesse e complementari nel processo di liberazione.

Nāgārjuna afferma che le distinzioni tra purezza e impurità, tra nirvāṇa e saṃsāra, sono relative e vuote. Questo elimina l'attaccamento a qualsiasi visione rigida della realtà. Comprendere questa vacuità permette di liberarsi dalle illusioni e dalle sofferenze.

Nāgārjuna critica l'idea di una realtà intrinseca e immutabile, sostenendo che tutte le cose sono interdipendenti e prive di essenza autonoma. Questa comprensione è essenziale per la liberazione. Il riconoscimento della vacuità di tutte le cose è il cuore della filosofia di Nāgārjuna.

La dialettica negativa e la pratica meditativa sono strumenti per purificare le abitudini mentali ed emotive. La realizzazione della vacuità è una trasformazione interiore che libera dalla sofferenza. Questi strumenti sono essenziali per la comprensione e la pratica del buddismo.

La vera illuminazione implica il non-attaccamento a qualsiasi idea o esperienza. Questo porta a una liberazione profonda e a una gioia intrinseca che trascende le distinzioni fenomeniche. La vacuità è il mezzo per raggiungere questa condizione di liberazione.

La dottrina delle due verità non solo chiarisce la natura della realtà, ma ha anche una funzione liberatoria, purificando la mente dagli attaccamenti e dalle illusioni. Questo è il fine ultimo dell'insegnamento buddista secondo Nāgārjuna. La comprensione delle due verità è quindi essenziale per la pratica buddista.

Le verità convenzionali e ultime non sono opposte, ma interrelate. La pratica quotidiana e la comprensione profonda si sostengono a vicenda nel processo di liberazione. Nāgārjuna mostra come queste verità siano complementari e indispensabili l'una all'altra.

In conclusione, la dottrina delle due verità di Nāgārjuna offre una via di mezzo che riconosce la vacuità di tutte le cose, promuovendo una visione della realtà che libera dalla sofferenza e conduce alla realizzazione del nirvāṇa. Questa comprensione è alla base della pratica e della filosofia buddista. La via di mezzo corrisponde allo spazio vuoto tra idee diverse, tra concezioni diverse della realtà. Stare nella via di mezzo significa non aderire a nessuna idea, a nessuna ideologia. Per questa ragione, la via di mezzo è elusiva e va oltre il pensiero discorsivo ordinario, superando l’attaccamento a qualsiasi idea.


Appendice D: Liberarsi da verità rigide per liberarsi dalla sofferenza

Nel buddismo, l'idea che l'attaccamento a concetti rigidi e a credenze assolute possa essere una fonte di sofferenza è un tema profondamente radicato e complesso. Una delle dottrine fondamentali che illustrano questo concetto è quella del "non-sé" (anatta). Questa dottrina insegna che non esiste un sé permanente e immutabile. Piuttosto, l'identità è vista come una raccolta di elementi in continuo cambiamento. L'attaccamento a un sé immutabile è quindi considerato una delle principali cause della sofferenza, poiché porta a desideri, paure e illusioni che sono inevitabilmente frustrati dalla realtà dell'impermanenza.

Il Sutra del Cuore (Prajnaparamita Hrdaya), uno dei testi centrali del buddismo Mahayana, esprime chiaramente l'idea della vacuità con la famosa affermazione "la forma è vuoto e il vuoto è forma". Leggiamolo per intero, è composto di 14 versi nella versione in sanscrito:

Immerso nella saggezza suprema davanti a monaci e Bodhisattva riuniti, Kannon (Avalokitesvara) Bodhisattva della compassione, risponde all'allievo Shariputra insegnando la dottrina del vuoto.

Oh Shariputra, la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma;
ciò che è forma è vuoto, ciò che è vuoto è forma;
lo stesso è per sensazione, percezione, discriminazione e coscienza.
Tutte le cose sono vuote apparizioni, Shariputra.
Non sono nate, non sono distrutte, non sono macchiate, non sono pure;
non aumentano e non decrescono.
Perciò nella vacuità non c'è forma né sensazione, né percezione, né discriminazione, né coscienza;
Non ci sono occhi né orecchi, naso, lingua, corpo, mente;
Non ci sono forma né suono, odore, gusto, tatto, oggetti;
né c'è un regno del vedere,
e così via fino ad arrivare a nessun regno della coscienza;
non vi è conoscenza, né ignoranza,
né fine della conoscenza, né fine dell'ignoranza,
e così via fino ad arrivare a né vecchiaia né morte;
né estinzione di vecchiaia e morte;
non c'è sofferenza, karma, estinzione, via;
non c'è saggezza né realizzazione.
Dal momento che non si ha nulla da conseguire, si è un bodhisattva.
Poiché ci si è interamente affidati alla prajna paramita,
la mente non conosce ostacoli;
dal momento che la mente non conosce ostacoli
non si conosce la paura, si è oltre il pensiero illusorio,
e si raggiunge il Nirvana.
Poiché tutti i Buddha
del passato, del presente e del futuro
si affidano interamente alla prajna paramita, conseguono la suprema illuminazione.
Sappi dunque che la prajna paramita è il grande mantra,
il mantra più alto,
il mantra supremo e incomparabile,
capace di placare ogni sofferenza.
Ciò è vero.
Non è falso.
Perciò io recito il mantra della prajna paramita,
Che dice:
Gate, gate, paragate, parasamgate, bodhi, svaha!

(Il mantra finale è praticamente intraducibile, c'è una discussione da secoli sul significato di quel verso, che presenta molti problemi dal punto di vista grammaticale. Probabilmente si riferisce alle tappe del risveglio e agli stadi del cammino spirituale. Una possibile interpretazione di tale verso potrebbe essere: "Andato, andato, andato oltre, andato completamente oltre, risveglio, evviva!")

Questo sutra suggerisce che tutte le cose, sebbene appaiano concrete e solide, sono in realtà prive di essenza indipendente. La percezione delle cose come dotate di un'essenza intrinseca è un'illusione che genera sofferenza. Riconoscere la vacuità implica vedere attraverso l'illusione e comprendere la natura interdipendente di tutte le cose, il che porta a un allentamento dell'attaccamento e quindi alla riduzione della sofferenza.

La filosofia Madhyamaka, sviluppata dal filosofo buddista Nagarjuna, approfondisce ulteriormente queste idee. Nagarjuna argomenta che tutte le cose sono "svabhava-shunya", cioè prive di un'essenza propria. Questa visione implica che ogni cosa esiste solo in relazione a qualcos'altro e non ha un'esistenza indipendente. Attaccarsi a qualsiasi verità assoluta è dunque un errore che conduce alla sofferenza, poiché tale attaccamento non riconosce la natura condizionata e interdipendente della realtà.

Un altro principio fondamentale del buddismo è l'importanza del "non-attaccamento". Questo principio si applica non solo agli oggetti materiali e ai desideri, ma anche alle opinioni e alle credenze. Nei suoi discorsi, il Budda avverte frequentemente contro l'attaccamento alle visioni come una forma di schiavitù mentale. Questo attaccamento può portare a conflitti e sofferenza, poiché le visioni rigide non possono adattarsi alla realtà dinamica e mutevole del mondo.

Il concetto di vacuità (sunyata) è centrale nella filosofia buddista, specialmente nella tradizione Mahayana. La vacuità non significa che nulla esiste, ma piuttosto che le cose non esistono in modo indipendente e inerente. Questa comprensione incoraggia una visione del mondo dove le verità rigide sono viste come illusioni e potenzialmente dannose se vi si attacca. Accettare la vacuità delle cose permette una maggiore flessibilità mentale e una capacità di adattarsi ai cambiamenti, riducendo così la sofferenza.

Il buddismo pone una forte enfasi sull'esperienza diretta e sulla pratica personale per comprendere la realtà. Questo approccio pratico mette in discussione la dipendenza da dottrine e credenze fisse. Il Budda stesso, nel Kalama Sutta, incoraggia i suoi seguaci a non accettare insegnamenti basati solo sulla fede o sull'autorità, ma a investigare e sperimentare personalmente la verità. Questa attitudine sperimentale riduce l'attaccamento a verità assolute e promuove una comprensione più profonda e personale della realtà.

Nella meditazione vipassana, ad esempio, i praticanti sono incoraggiati a osservare direttamente le loro esperienze mentali e fisiche per vedere la natura transitoria e condizionata di tutte le cose. Questa pratica aiuta a dissolvere le illusioni e a liberarsi dalle credenze rigide, conducendo a una riduzione della sofferenza. L'osservazione diretta permette di vedere chiaramente che ogni esperienza è impermanente e priva di essenza, promuovendo così un atteggiamento di non-attaccamento.

Il concetto di pratityasamutpada, o origine dipendente, è un altro insegnamento chiave che illustra l'interdipendenza di tutte le cose. Secondo questo principio, ogni fenomeno esiste in relazione a cause e condizioni specifiche e non può esistere indipendentemente. Comprendere questa interdipendenza aiuta a vedere attraverso l'illusione delle verità assolute e promuove una visione più dinamica e flessibile della realtà. Questa comprensione può ridurre l'attaccamento e la sofferenza associata.

Inoltre, il buddismo zen enfatizza la necessità di andare oltre le parole e i concetti per raggiungere una comprensione diretta della realtà. I maestri zen spesso utilizzano koan, o enigmi paradossali, per rompere le abitudini di pensiero logico e portare i praticanti a una consapevolezza immediata e non concettuale. Questo approccio sottolinea l'insufficienza delle verità concettuali e promuove una forma di conoscenza intuitiva e diretta che trascende le credenze rigide.

Il linguaggio stesso è visto come una fonte di potenziale attaccamento e illusione nel buddismo. Le parole e i concetti possono creare la falsa impressione di solidità e permanenza, portando a un attaccamento che genera sofferenza. La pratica buddista spesso implica l'uso di linguaggio in modo consapevole e l'attenzione ai limiti delle parole nel descrivere la realtà. Questa consapevolezza aiuta a evitare l'attaccamento a verità linguistiche e a promuovere una comprensione più diretta e immediata della realtà.

Nella pratica del Dharma, la flessibilità mentale e l'apertura all'esperienza sono fortemente incoraggiate. I praticanti sono invitati a mantenere una "mente del principiante", aperta e non fissata su credenze e concetti preesistenti. Questa apertura permette una maggiore adattabilità e riduce la sofferenza associata all'attaccamento a verità rigide. La mente del principiante è pronta a imparare e a vedere le cose come realmente sono, senza i filtri delle credenze preconcette.

Gli insegnamenti sul "non-attaccamento" alle visioni sono anche illustrati nella parabola della zattera, dove il Budda spiega che i suoi insegnamenti sono come una zattera usata per attraversare un fiume. Una volta raggiunta l'altra sponda, non ha senso portare la zattera con sé. Allo stesso modo, gli insegnamenti dovrebbero essere usati per raggiungere la liberazione dalla sofferenza e non dovrebbero essere rigidamente attaccati una volta raggiunto questo scopo.

La comprensione corretta della vacuità può portare a un senso di liberazione e leggerezza, poiché si riconosce che le cose non sono mai così fisse e solide come sembrano. Questo può aprire la strada a una maggiore compassione e saggezza, poiché ci si rende conto che le sofferenze e le gioie degli esseri sono tutte transitorie e interconnesse. La saggezza della vacuità aiuta a vedere attraverso le illusioni che causano sofferenza e a vivere con una maggiore serenità e compassione.

Il buddismo tantrico, o Vajrayana, spinge ulteriormente questi concetti con pratiche che mirano a trasformare le illusioni e le emozioni negative in saggezza e compassione. Attraverso pratiche avanzate come la visualizzazione e la recitazione di mantra, i praticanti lavorano per trasformare la loro percezione della realtà e vedere attraverso le verità superficiali. Questa trasformazione delle illusioni in saggezza è un altro modo in cui il buddismo affronta l'attaccamento a verità rigide e la sofferenza che ne deriva.

La pratica della meditazione è centrale in tutte le tradizioni buddiste come mezzo per coltivare la consapevolezza e la comprensione della natura della realtà. Attraverso la meditazione, i praticanti imparano a osservare i loro pensieri e le loro emozioni senza attaccamento, vedendo la loro natura impermanente e condizionata. Questa pratica aiuta a liberarsi dalle credenze rigide e dalle illusioni, portando a una riduzione della sofferenza e a una maggiore pace interiore.

Gli insegnamenti del Budda sul "Retto Pensiero" e sulla "Retta Visione" fanno parte del Nobile Ottuplice Sentiero e sottolineano l'importanza di vedere la realtà così com'è, senza distorsioni. Questi insegnamenti incoraggiano una visione del mondo basata sulla comprensione corretta e sulla saggezza piuttosto che sulle credenze rigide e distorte. La retta visione implica vedere attraverso le illusioni e riconoscere la natura interdipendente e impermanente della realtà.

La comprensione profonda dell'interconnessione di tutte le cose può portare a un senso di umiltà e di rispetto per la complessità della realtà. Questo atteggiamento di apertura e di rispetto aiuta a ridurre l'attaccamento a verità rigide e promuove una visione più equilibrata e compassionevole del mondo. La saggezza che emerge dalla comprensione della vacuità e dell'interdipendenza aiuta a vivere con maggiore serenità e a contribuire al benessere degli altri.

Infine, la liberazione dalla sofferenza nel buddismo è vista come un processo continuo di apprendimento e di adattamento. Non è una destinazione finale, ma un percorso di crescita e di trasformazione. La flessibilità mentale, la comprensione della vacuità e la pratica della compassione sono strumenti chiave in questo percorso. Riconoscere la natura illusoria delle verità rigide e vivere con una mente aperta e non attaccata può portare a una vita di maggiore serenità, saggezza e compassione.


Conclusione

I testi antichi possono solo darci conferme di quel che già abbiamo capito o iniziato a intuire. Si tratta però di conferme importanti e necessarie. Frequentare un testo prezioso come il Dhammapada è senz'altro benefico per il nostro essere.

Noi spesso facciamo una grande confusione tra realtà, desideri e giudizi. Tolti i desideri e i giudizi, la nostra mente si rasserena. Chi è saggio non ha bisogno né di lottare (inutilmente) per cambiare il mondo, né di impegnarsi più di altri, né di mostarsi. La propria tranquilla presenza in questo mondo di dukkha è più che sufficiente. Un gesto amorevole nel silenzio è quanto basta. La propria devozione al Dharma e lo spegnimento del fuoco di avidità, collera, animalità, invidia, e di altri veleni, vanno bene così come sono. Non c'è null'altro da fare o da dimostrare.

Con il cuore pulito, la karuṇā sorge spontanea. Il saggio desidera silenziosamente che anche le altre persone si incamminino lungo la Via, ma sa rispettare i modi, i tempi, le credenze, le filosofie e il karma di ognuno. Gli tornano a mente queste parole del Sutra del Loto (Saddharmapuṇḍarīkasūtra):

Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?

Con questo nel cuore, il saggio lavora ogni giorno su se stesso, e rispetta e apprezza gli altri così come sono. Si ricorda che da ognuno c'è qualcosa da imparare. Sa che il bene e il male non derivano da un insegnamento dottrinale, ma dall'evoluzione della coscienza di ognuno. In questo senso ha trasceso il bene e il male, categorie duali illusorie che esistono all'interno di un mondo basato sull'interdipendenza, sulla contrapposizione e compresenza di opposti entrambi legittimi e necessari.

Chi è saggio ha trasceso le ricompense positive e negative del karma, nel senso che non ha bisogno di curarsene, perché seguire la virtù è più che sufficiente. La vita sa già quel che deve fare, non sta alla goccia d'acqua dire all'oceano cosa deve fare. L'unica aspirazione della goccia d'acqua è perdere completamente la propria identità di goccia e tornare ad essere ciò che è sempre stata, cioè oceano. Questo significa trascendere la morte, perché non ci sono più né morte né paura della morte.

Egli dà uno sguardo alle varie dottrine e alla loro saggezza. Si ricorda che la felicità deriva dalla virtù.

Con tutto ciò nel cuore, il saggio non ha bisogno di parlare a vanvera. Non ne sente né bisogno né stimolo. Il silenzio è suo amico e le sue malattie e preoccupazioni sono poche. I suoi bisogni legati all'esistenza materiale (cibo, soldi, casa e altro) sono moderati e sempre un mezzo, mai un fine, perché non cerca nulla che lo allontani dal Dharma.

Il saggio non è aggrappato al proprio sé, né ad alcuna idea in particolare. Si ricorda di quante volte egli stesso ha cambiato idea e percorso di vita, per questo non considera se stesso un maestro, né si mette ad insegnare ad altri. Al massimo, a chi gli chiede qualcosa, può suggerire di dare uno sguardo alle auree parole del Budda. Il saggio si ricorda che il percorso di consapevolezza è personale. Svolge quotidianamente pratiche e meditazioni, ma non ne fa pubblicità, sa che chi cerca trova.

A proposito del non sentirsi maestri di nessuno, potremmo ricordare come inizia il prologo del libro "Zen Mind, Beginner's Mind", di Shunryu Suzuki:

Nella mente del principiante ci sono molte possibilità, ma in quella dell'esperto poche.
[...]
Nella mente del principiante non c'è il pensiero "ho raggiunto qualcosa". Tutti i pensieri egocentrici limitano la nostra vasta mente. Quando non pensiamo al raggiungimento di un obiettivo, non pensiamo a noi stessi, siamo veri principianti. Allora possiamo davvero imparare qualcosa. La mente del principiante è la mente della compassione. Quando la nostra mente è compassionevole, è senza limiti.
[...]
Quindi la cosa più difficile è mantenere sempre la mente del principiante.
[...]

Infine, poiché abbiamo spesso parlato di samsara e di nirvana, vorrei dar voce a questo interessante punto di vista di Douglas Berger, scritto nella Internet Encyclopedia of Philosophy a proposito di Nagarjuna:

Il giuramento buddista di evitare la sofferenza non può essere inteso come una denuncia del mondo, ma solo come un impegno a sfruttare le possibilità di pace che già sono insite in esso. Parlare del Budda e delle pratiche ispirate al Budda non equivale a innalzare una bandiera religiosa o ideologica che delimita un Paese dall'altro; piuttosto, il mondo della sofferenza e il mondo della pace hanno la stessa estensione e gli stessi confini, e parlare della sofferenza e del Budda serve solo a renderci consapevoli delle possibilità del mondo, e di come la nostra realizzazione di queste possibilità dipenda proprio da ciò che facciamo e da come interagiamo.

Concludo augurando ad ogni lettore una vita il più possibile pacificata e armoniosa, arricchita dalla saggezza e dalla serenità che il Dhammapada può offrirci. Manteniamo sempre vivo lo spirito di ricercare, di praticare e di approfondire.

Grazie.

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