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Tutte le creature soffrono: da qui si incomincia

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Cosa significa stare bene, o addirittura essere felici, in questo mondo?

Il pianeta Terra è un immenso cimitero, in cui la possibilità di vivere si basa sulla morte altrui. Banalmente, per vivere occorre cibarsi di altre creature. Certo, si può tentare di sfuggire a questa crudeltà connaturata all’esistenza, rimanendo così in basso nella catena alimentare da scegliere solo prodotti vegetali che non comportino l’uccisione delle piante, come nel caso di frutta, semi e certi tipi di verdure. Tuttavia, una tale scelta estrema non negherebbe la dolorosa realtà dell’esistenza, al massimo confermerebbe quanto sia difficile, se non impossibile, vivere senza provocare dolore e morte alle altre creature.

Anche nell’estrema ratio di non cibarsi di altri viventi, cosa che forse qualche santo prova a fare, ciò non toglie che la nostra vita richieda la morte degli avi, così come la nostra morte è un prerequisito per i posteri. Se così non fosse, l’esplosione demografica ci ucciderebbe tutti.

Quindi, la vita si fonda sulla morte e sul dolore, e non c’è una sola famiglia sul pianeta che non abbia estinti da ricordare e da compiangere.

E fin qui ho parlato delle sofferenze “necessarie”, che sono una esigua minoranza rispetto a quelle che quotidianamente dobbiamo affrontare. Poi ci sono tutte le altre, quelle “non necessarie”, o persino “inutili”. Mi riferisco al continuo inestinguibile dolore provocato sia dalla nostra follia interiore, sia dalla pazzia collettiva di quel manicomio insanguinato, chiamato società, popolo o nazione, in cui cerchiamo di dar senso alle nostre miserrime esistenze.

Come se già tutto questo non bastasse, alcuni di noi si sentono estranei a questo mondo, vivendolo come un’allucinazione o, anche quando vogliono attribuirgli una concretezza superiore a quella di un sogno, non lo percepiscono come casa propria. E’ così che nascono mille filosofie e religioni, dagli odierni starseed fino al più millenario: «Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Giovanni, 15:19).

Senza scomodare enunciazioni religiose così altisonanti e solenni, ritengo che un tale senso di estraneità abbia radici facilmente dimostrabili sia nella biologia che nella psicologia. 

Nel caso della biologia, basta notare che l’Homo sapiens sapiens non è spiegabile in termini evoluzionistici, tant’è che è l’unica specie sul pianeta senza un habitat naturale e senza un corpo compatibile con la vita in natura. Più verosimilmente, noi siamo un OGM disgraziato abbandonato a se stesso, condannato alla continua necessità di supporto tecnologico e di ambienti artificiali antiecologici. In questo senso, e solo in questo senso, scevro da moralismi, chi aveva tacciato la specie umana di essere un cancro per il pianeta aveva ragione (Julian Huxley, biologo, 1962). Questa amara realtà riguarda tutti noi. Se anche ammettessimo di venire dal cielo in senso filogenetico, e/o di essere stati in qualche modo addomesticati da una specie diversa da noi (i cambiamenti anatomici associati alla “sindrome della domesticazione” descrivono abbastanza bene alcune delle note differenze tra uomini moderni e Neanderthal), dovremmo comunque concludere che il cielo ci ha abbandonati. In alternativa, ci siamo ribellati al cielo e siamo rimasti da soli. [Cfr.: “Resi Umani. Da organismi scimmieschi all’ominide pensante, una storia ancora da scrivere” di Pietro Buffa e Mauro Biglino (Uno Editori, fuori commercio ma scaricabile gratuitamente da qui) e "I geni manipolati di Adamo. Le origini umane attraverso l'ipotesi dell'intervento biogenetico" (Pietro Buffa, tutt'ora in vendita)].

L’altro aspetto di estraneità, quello psicologico, è quasi banale, ma riguarda solo un’esigua minoranza di noi. In pratica, in un mondo di persone ignoranti, poco presenti a se stesse, meschine, mediocri, rassegnate al meno peggio, bisognose di affermazioni e di convenzioni rassicuranti, chi ha la disgrazia di essere normodotato, normopensante, e persino minimamente istruito, si sente un estraneo ed appare folle agli altri. Questo tipo di esemplare di Homo sapiens cogitans è infatti quasi sempre emarginato e screditato nei contesti sociali per lo più popolati da Homo sapiens babbeus. A conferma del rapporto tra le due sottospecie, infatti, la patologia psichiatrica è sovente premiata nei posti di potere e normalizzata.

Questo dramma si riflette anche nel rapporto che l’umanità ha con la verità, che solitamente suscita scandalo, vergogna e condanna. Pensiamo ad esempio a Galileo Galilei, condannato nel 1633 per aver sostenuto l’eresia che la Terra giri intorno al Sole. Di contro, la menzogna di solito suscita approvazione e consenso. E’ quindi del tutto lecito e comprensibile che chi asserisce parole di verità possa avere il sospetto di provenire da un altro pianeta.

Tutto questo, comunque, non esaurisce le possibili cause del senso di estraneità a questo mondo. Rimane ancora una piccola statistica di persone che, pur magari riconoscendosi in tutto o in parte in quello che ho scritto, sperimentano ricordi di altri mondi, di altre vite, o persino esperienze paranormali o angeliche. Queste esperienze, e in particolare le memorie (come nel caso degli starseed), sembrano rendere plausibile la provenienza della propria anima da un'altra dimensione, o da un altro pianeta. Credo che questo tipo di credenza sia fortemente alimentata dal fatto che la vita "qua sulla Terra" sia percepita come abbastanza schifosa o, in alternativa, che sentirsi "prescelti" (non si sa da chi) per una missione di ordine "superiore" serva a dare senso alla propria esistenza. A costoro vorrei suggerire una lettura del capitolo "Interferenza da Memoria Aliena Passiva (MAP) e da Memoria Aliena Attiva (MAA)" del PDF gratuito "Alien Cicatrix", a pag. 218. E non aggiungo altro. E' un testo del 2005. Chi preferisce un'edizione più recente, e aggiornata, può far riferimento al cap. 9 del libro "Alieni o Demoni" del 2022, di Corrado Malanga. Un'attenta lettura potrà anche dare senso ad alcuni fenomeni paranormali.

Fin qui non ho parlato degli orrori riconosciuti, prima o poi, da coloro che raggiungono l’età per comprendere. Il problema è che la TV ci ha ormai completamente anestetizzati, proponendoci continuamente immagini di gravi crimini e perverse follie fin dalla più tenera età, soprattutto grazie ad una cinematografia senza più tabù. Siamo così continuamente esposti al peggio da non farci più caso, e il confine tra il reale e il simulato non sempre giunge a un livello cosciente. Proviamo ad osservare qualche fotografia storica di orrori veri per verificare se ci suscitano qualche reazione e di che tipo: “The Boy from the Warsaw Ghetto(foto anonima, ca. 1943, Shoah), "The Terror of War" (“Napalm Girl”, Nick Ut, 1972, guerra del Vietnam) o “The Vulture and the Little Girl” (Kevin Carter, 1993, carestia in Sudan). Preferisco citare foto del secolo scorso perché attendibili. La barbarie di oggi è uguale se non peggio di quella di allora, però le foto attuali generate dall’IA non sono distinguibili da quelle reali.

Ho già detto abbastanza del nostro immenso cimitero, grande come tutto il pianeta e su cui abbiamo eretto un manicomio altrettanto grande. Certo, la cultura potrebbe venire in nostro soccorso e aiutarci ad essere migliori delle bestie, ma è un’eventualità abbastanza rara. «Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti» (Karl Kraus, 1974).

Ora possiamo tornare alla domanda iniziale. Cosa significa stare bene, o addirittura essere felici, in questo mondo? Beh... facciamoci un favore a vicenda, utile alla nostra pace interiore... non chiediamocelo più, è meglio cambiare domanda.

Guardiamo la questione da un altro punto di vista: tutte le creature soffrono, e soffrono molto, tutte quante, nessuna esclusa. Cerchiamo quindi di essere solidali e prestiamo attenzione non solo al nostro dolore, ma anche a quello degli altri. Così magari la facciamo finita con le guerre, o almeno ci asteniamo dal prenderne parte.

Quanto alle persone malvagie che danno dimostrazione del peggio che l’umanità può esprimere, sono come scolari che non hanno ancora imparato la lezione. Non è quello il modo di reagire al dolore. A noi il compito di seguire esempi diversi.

(5 novembre 2025)

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