Le cose che accadono hanno sempre un significato, tuttavia la nostra società odierna fa tutto il possibile per svuotare di senso le nostre vite.
Oggi l'intelligenza artificiale colonizza il nostro spazio del giudizio e dell’azione: anticipa i nostri gesti, ci offre risposte prefabbricate, riduce l’intervallo tra la domanda e la risposta, ovvero il tempo della ricerca e della riflessione. Nel farlo, spezza il legame tra l'impegno e il risultato, tra l'esperienza e la comprensione. Se il compito è esternalizzato all’algoritmo, a noi non resta che la falsa illusione del controllo di ciò che stiamo facendo e la fatica di interpretare ciò che non abbiamo realmente fatto. Il tutto in una chiave solipsistica in cui manca la relazione con gli altri. Se poi "l'altro diverso da me, con cui mi relaziono" è solo la macchina, sarebbe come mangiare cibo senza alcun sapore né odore, o come pretendere nutrimento ed energia da un edulcorante.
Due cardini della nostra identità — “apprendere” e “fare” — si stanno indebolendo. L’apprendimento diventa consumo rapido di contenuti, non sedimentazione; l'agire si trasforma in supervisione passiva dell’output della macchina. Il problema è che più accumuliamo scorciatoie, meno sviluppiamo noi stessi, la nostra capacità di giudizio e le nostre relazioni umane, che sono quanto di più sacro e necessario abbiamo.
Mentre basiamo le nostre vite su sistemi infernali che non comprendiamo, il saper fare, che nasce dall’errore, dal tempo e dalla responsabilità, viene rimpiazzato da automatismi che ci esonerano dal decidere.
Ormai in molti campi, il lavoro già lo fa l'intelligenza artificiale, che riesce meglio di ciascuno di noi a star dietro ai frenetici cambiamenti di un mondo impazzito. La prassi odierna è di sostituire il vecchio consolidato con un nuovo che durerà pochissimo, in una corsa sempre più veloce verso un muro inamovibile. I binari del treno dell'innovazione, infatti, finiscono contro le rocce dei nostri limiti e dei nostri bisogni di base. Ma prima ancora, tali binari rischiano di crollare su ponti fragilissimi, costruiti sull'inganno che sia possibile trascendere madre Natura.
Per la prima volta nella storia dell'umanità, linguaggio e tecnologia viaggiano insieme attraverso l'applicazione delle intelligenze artificiali. Questo connubio maledetto sta mettendo in crisi le nostre relazioni. L'accelerazione tecnologica non darà il tempo a nessuno di noi di adattarsi alla macchina “pensante”, rendendo sempre più fragile e incerto il nostro stare al mondo, il nostro vivere, il nostro “amare”.
Immaginiamo quando l'apprendimento dei bambini, a casa e a scuola, sarà supportato solo dall'intelligenza artificiale. La relazione tra il docente artificiale e il discente umano sarà deformata e deformante, fredda, senza cuore, senza calore umano. In questa scuola del futuro, i bambini saranno convinti che l'intelligenza artificiale sia un oracolo, la bocca della verità, il loro riferimento culturale. Ma non c'è bisogno di andare lontano nel tempo, in alcuni casi è già così anche per gli adulti. A chi crederanno i bambini? Ai genitori o all'intelligenza artificiale? La domanda è retorica.
Tutto ciò accade dentro un clima di emergenza permanente — guerra, collasso economico e malattie — che alimenta l'ansia, ci frammenta l’attenzione e ci spinge alla delega. La prima guerra, però, è quella contro l’essere umano, contro la nostra capacità di dare significato a noi stessi e agli eventi, di apprendere davvero, di agire in prima persona. In questo modo, il potere usa la tecnologia per mettere in catene la nostra anima e la nostra possibilità di capire "chi siamo", rendendoci spettatori passivi e sfiduciati delle nostre vite.
Le persone passive e senza motivazioni, infatti, sono le più facili da controllare. Un popolo fatto di persone rassegnate lascia campo libero a coloro che detengono il potere. Tuttavia, non abbiamo alcun obbligo di cedere di fronte ai drammi odierni, semplicemente accettando che tutto debba per forza finire male.
L'unica cosa che non cambia nel tempo è il cambiamento e la sua imprevedibilità. Il divenire è una continua trasformazione nella vita di ciascuno di noi. Adesso è come se fossimo tutti malati in un mondo malato, eppure sta a noi la scelta fondamentale se vivere questi tempi drammatici come un'opportunità o come una condanna.
Vorrei citare, a tal riguardo, "La saggezza del Sutra del Loto" (vol. 1, pag. 179), di Daisaku Ikeda:
Toda lo spiegava in modo semplice: «Per il fatto di aver abbracciato il Gohonzon, la vita di un malato sarà trasformata grazie a un profondo senso di serenità ed egli troverà piacere nel semplice fatto di vivere.
«Godere pienamente della propria vita significa essere un Budda. Per quanto possiamo gioire della nostra vita, possediamo i nove mondi, quindi inevitabilmente qualche volta soffriremo, ma scopriremo che la natura della nostra sofferenza e dei nostri problemi è cambiata. Mentre prima eravamo assorbiti dai nostri problemi e dalle nostre preoccupazioni, ora riusciamo a prenderci cura anche degli altri. Non trovate che ritenere la vita stessa una gioia assoluta sia ciò che si intende per essere Budda?»
La vita ha i suoi piaceri e le sue pene, ma coltivando una profonda fede riusciremo a rafforzare i dieci fattori del mondo di Buddità e potremo gioire dei momenti buoni come dei momenti cattivi. Tutto ciò lo dobbiamo al Gohonzon e quindi dovremmo provare una profonda riconoscenza per il Daishonin.
Ecco, dare importanza alle relazioni significa dare significato alle nostre esistenze, anche in un mondo che è quello che è. La vita è innanzitutto relazione, proprio quella relazione che la tecnologia, e più in generale tutte le nostre illusioni e i nostri limiti, vogliono spezzare o semplificare. Ma nel campo di battaglia dell'esistenza, semplificare significa ingannare noi stessi. Meglio vivere pienamente.
(6 settembre 2025, rielaborazione di idee maturate insieme a Giulio Ripa, che ringrazio)
Per approfondimenti, segnalo la mia intervista su Youtube: Un'alternativa all'IA (che non è nostra amica)